FOTONUCLEARE, REAZIONE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

FOTONUCLEARE, REAZIONE

Mario Mattioli

Introduzione. - Le r. f. appartengono a quella classe di processi nucleari in cui un fotone interagisce elettromagneticamente con un nucleo atomico. Il fotone, γ, colpisce il nucleo A dal quale viene assorbito, e successivamente, emettendo una o più particelle X, si trasforma in un altro nucleo B. Sinteticamente una r.f. si indica con A(γ,X)B. Esse rappresentano uno dei tanti metodi d'indagine per investigare la materia nucleare e determinare le proprietà dei nuclei atomici.

La natura elettromagnetica della sonda, sia essa realizzata tramite fotoni o elettroni, è particolarmente utile rispetto ad altre, come protoni, mesoni, ecc., nell'indagine dei sistemi nucleari nei quali le forze principali che si esercitano tra i nucleoni sono completamente diverse e non del tutto note. Infatti, poiché l'interazione elettromagnetica ha una costante di accoppiamento, ovvero esercita una forza, circa cento volte minore di quella forte che tiene insieme i nucleoni nel nucleo, essa rappresenta solo una perturbazione, di non grande importanza, della struttura del sistema nucleare permettendo, quindi, una completa e non distruttiva indagine dello stesso.

Tramite le fotoreazioni nucleari è stato possibile, tra l'altro, stabilire la validità dei diversi modelli del nucleo, verificare la forma dei potenziali nucleari a distanze maggiori di qualche fermi (1f = 10−13 cm) dal centro del nucleo, avere informazioni dirette sulle funzioni d'onda degli stati nucleari. A tal proposito recentemente, con esperimenti di fotodisintegrazione del deutone, nucleo dell'atomo di deuterio, si è potuta determinare la percentuale della funzione d'onda dello stato D presente nello stato fondamentale S del nucleo stesso.

Un processo d'interazione elettromagnetica con un nucleo può essere rappresentato, genericamente, come in fig. 1. Il fotone, γ, trasferisce al nucleo, nello stato iniziale A, il quadrimpulso qm dato da:

qμ=p-p=(pipf, i(EiEf)/c)=(q, iℏω/c) [1]

in cui pi, Ei, pf ed Ef sono impulso ed energia dell'elettrone nello stato iniziale e finale, q l'impulso trasferito al nucleo, ω la pulsazione del fotone, la costante di Planck ridotta e c la velocità della luce nel vuoto. Il quadrato della [1], grandezza scalare e perciò invariante sotto trasformazioni di Lorentz, è dato da:

qμqμ=q2−(ℏω/c)2 [2]

nella quale il primo termine al secondo membro rappresenta la parte spaziale e l'altro quella temporale del quadrimpulso trasferito. Quest'ultimo, si deduce facilmente dalla [2], può essere maggiore, minore o uguale a zero.

Le f. n. sono quei processi in cui la quantità qμqμ=0 e il fotone assorbito dal nucleo A è un fotone reale con massa invariante nulla.

Tramite fasci di elettroni è possibile invece avere valori di qμqμ diversi da zero. Se qμqμ > 0, prevalendo la parte spaziale, al nucleo A viene trasferito un quadrimpulso qμ di tipo spazio (space-like) tramite un fotone virtuale. Diversamente se qμqμ 〈 0 si trasferisce al nucleo A un quadrimpulso di tipo tempo (time-like) sempre tramite un fotone virtuale. Quindi l'indagine svolta tramite diffusione di elettroni permette di variare indipendentemente l'impulso e l'energia trasferiti al nucleo diversamente da quanto accade con le fotoreazioni che rappresentano un caso limite con q = ℏω/c, difficilmente realizzabile con gli elettroni. Peraltro le elettroreazioni, pur concedendo allo sperimentale un grado di libertà in più permettendo di cambiare separatamente energia e impulso, diventano, al limite di q = ℏω/c, molto più difficili da realizzare a causa delle correzioni radiative da apportare al processo in seguito ai fenomeni complessi cui è soggetto l'elettrone nell'attraversare la materia.

Sezione d'urto di assorbimento. - L'andamento della sezione d'urto di assorbimento per fotoni reali σa presenta notevole somiglianza per quasi tutti i nuclei. Quindi è possibile rappresentarla, per un nucleo arbitrario, come in fig. 2.

Al fine di dare una descrizione generale della sezione d'urto di fotoassorbimento per un generico nucleo, consideriamo le interazioni che possono avvenire come una funzione dell'energia del fotone. Per energie molto basse, cioè all'incirca al di sotto del MeV, il nucleo si comporta come un oggetto unico e diffonde la radiazione elettromagnetica secondo la nota formula di Thomson. Nel caso di fotoni incidenti non polarizzati la sezione d'urto differenziale di questo processo, che è tipicamente un fenomeno di dipolo elettrico, si scrive:

dσ/dΩ=Δ2 (1+cos2θ)/2 [3]

in cui D=−Z2e2 (AMc2) è la cosiddetta ampiezza di diffusione, Z il numero di protoni, e la carica elettrica elementare, A il numero di nucleoni ed M la massa del nucleone. A energie più alte e fino a qualche MeV il fotone eccita i singoli stati legati che possono decadere tramite l'emissione di fotoni agli stati con energia inferiore. Il primo stato eccitato può decadere solo in quello fondamentale, mentre ciascuno stato successivo ha la possibilità di decadere in tutti quelli sottostanti. Questo spiega la presenza, nella sezione d'urto, di picchi, in corrispondenza delle energie di questi stati legati, la cui forma è ben rappresentata da una curva di tipo lorenziano. Inoltre, poiché la larghezza totale, Γk, dello stato k-esimo di energia Ek è data dalla somma delle larghezze parziali, γk, associate al decadimento agli stati sottostanti, quelli a più alta energia di eccitazione diventano progressivamente più larghi. Al di sopra della soglia per emissione di nucleoni, intorno a 8-10 MeV, per la maggior parte dei nuclei, i livelli si allargano rapidamente perdendo la loro individualità e il comportamento del nucleo, a livello microscopico, è ben rappresentato da modelli a particella indipendente come, per es., il modello a strati. Quindi la σa presenta ancora dei picchi risonanti seppure molto più larghi di quelli a energia più bassa e dovuti agli stati legati.

La risonanza gigante è la caratteristica dominante della sezione d'urto di assorbimento di fotoni. Essa si presenta con un largo massimo, dell'ordine di 3÷10 MeV, situato tra 13 e 18 MeV per nuclei medi e pesanti e intorno a 20 MeV per quelli leggeri. È presente in tutti i nuclei ed è ben approssimata, per quelli medi e pesanti, da una curva di tipo lorenziano:

σa(E)0{E2Γ2/[(E20E2)2+E2Γ2]} [4]

in cui σ0 ed E0 sono, rispettivamente, il valore della sezione d'urto di assorbimento e dell'energia corrispondenti al massimo della curva di larghezza, presa a mezza altezza, Γ. In realtà questa assunzione è troppo semplicistica in quanto le oscillazioni quadrupolari della superficie nucleare modificano sensibilmente la forma della curva.

Per energie oltre la risonanza gigante e fino alla soglia di fotoproduzione dei pioni, la σa non presenta irregolarità. Il meccanismo attraverso il quale avviene l'assorbimento di fotoni è il cosiddetto effetto a quasi-deutone. Anch'esso è, principalmente, un processo di dipolo elettrico determinato dalla forte correlazione a due corpi nello stato fondamentale del nucleo. Un fotone di alta energia interagisce con un neutrone e protone collidenti ad alta velocità e li espelle dal nucleo con le modalità dinamiche della fotodisintegrazione del deutone. Oltre la soglia di produzione di pioni, circa 150 MeV, cominciano a eccitarsi gradi di libertà nucleonici e quindi la Ϛa presenta delle risonanze in corrispondenza alle energie di tali eccitazioni (Δ, N*,....).

Interazione radiazione-nucleo. - Se vogliamo dare una valutazione quantitativa del processo di fotoreazione nucleare, dobbiamo studiare l'interazione tra i fotoni e il nucleo da un punto di vista formale.

La probabilità, per un nucleo interagente con la radiazione elettromagnetica, di operare una transizione da uno stato iniziale | i > agli stati finali possibili | f > di densità ϱf, è data, per unità di tempo:

w={2π | 〈 f | Hi | i > |2 ϱf}/h [5]

in cui Hi è l'hamiltoniana d'interazione tra la radiazione e il nucleo che, nella gauge di Coulomb, viene espressa tramite la densità di corrente nucleare j e il potenziale vettore A:

Hi=−(1/c)≤j(r,tA(r,t)dr'''. [6]

Dalla [5] è poi possibile dedurre, in modo semplice, la sezione d'urto di fotoassorbimento. Successivamente, tramite un procedimento di sviluppo della radiazione incidente in serie di autostati del momento angolare e della parità, grandezze conservate nelle transizioni nucleari, si giunge alla descrizione del processo d'interazione per mezzo dei cosiddetti multipoli elettromagnetici che rappresentano le soluzioni dell'equazione d'onda per un dato valore del momento angolare totale J e della parità P. Si parla, quindi, di transizioni di multipolo elettrico EJ di ordine J e parità P=(−1)J e di multipolo magnetico MJ di ordine J e parità P=(−1)J+1.

Confrontando le diverse transizioni tra loro si possono fare le seguenti deduzioni: a) le transizioni, siano esse elettriche o magnetiche, di ordine J+1 sono meno probabili delle corrispondenti di ordine J; b) le transizioni magnetiche sono meno probabili di quelle elettriche. Quindi, in generale, le transizioni di tipo E1, cioè di dipolo elettrico, predominano largamente su tutte le altre. Questa conclusione è giustificabile, intuitivamente, dal fatto che i fotoni reali, rispetto alle particelle con massa di pari energia, trasferiscono al nucleo una piccola quantità di moto e quindi eccitano più facilmente le transizioni con basso momento angolare.

Quando la probabilità di transizione, e di conseguenza la sezione d'urto di fotoassorbimento, assume valori molto più alti dell'analoga probabilità associata alla transizione di un singolo nucleone, si è soliti definire come collettivo il carattere di questa risonanza detta, perciò, gigante. L'interpretazione di questo fenomeno collettivo fu presto data con modelli macroscopici. Secondo M. Goldhaber ed E. Teller si devono immaginare i neutroni e i protoni inglobati in due sfere rigide che oscillano, l'una contro l'altra, seguendo una forza di richiamo prodotta dall'energia di simmetria superficiale.

H. Steinwedel e J.H.D. Jensen, diversamente, descrivono il nucleo come una goccia avente superficie sferica indeformabile all'interno della quale i neutroni e i protoni si comportano come due fluidi che oscillano sollecitati da una forza di richiamo che è generata dall'energia di simmetria di volume.

Fotoproduzione. - Appena l'energia del fotone raggiunge determinati valori lo scenario delle fotoreazioni cambia sensibilmente. Infatti a energie E dell'ordine dei 150 MeV la lunghezza d'onda λ=hc/E del fotone incidente sul nucleo è inferiore alle dimensioni non soltanto del nucleo, ma degli stessi nucleoni. Quindi l'interazione avviene, prevalentemente, con uno soltanto di essi all'interno del nucleo e, nel caso in cui l'energia è sufficiente, si apre il canale della fotoproduzione di nuove particelle nello stato finale.

Alcuni esempi di reazioni di fotoproduzione sono:

γ+p=p+π° [7]

γ+p=n+π+ [8]

γ+p=n+π++π° [9]

γ+p=Λ+Κ+ [10]

γ+n=p+π- [11]

nelle quali γ è il fotone, n il neutrone, p il protone, π+, π, π° i pioni positivi, negativi e neutri, Λ l'iperone lambda, K+ il kaone positivo. Dalla conservazione del quadrimpulso totale e con semplici considerazioni cinematiche, può essere dimostrato che le reazioni [7-11] diventano possibili soltanto se l'energia del fotone supera un valore minimo Es detto, appunto, energia di soglia della reazione:

Es=[(Σimi)2M2]/2M [12]

in cui Σimi è la somma delle masse delle particelle presenti nello stato finale ed M è la massa dell'adrone nello stato iniziale. Se nella [12] sostituiamo i valori delle masse relativi alla reazione [7], otteniamo Es=145 MeV che è il valore più basso tra tutte le reazioni di fotoriproduzione indicate.

Nonostante, in linea di principio, sia possibile studiare sperimentalmente le reazioni di fotoproduzione anche sui nuclei complessi, è naturale che si preferisca usare come bersaglio l'idrogeno per la fotoproduzione su protone e il deuterio per quella su neutrone in quanto la struttura nucleare, che non è completamente nota, complica inutilmente la comprensione dei risultati. Nello stesso modo in cui lo studio delle fotoreazioni nucleari fornisce informazioni sulla struttura del nucleo, quello della fotoproduzione su nucleoni dà un contributo alla conoscenza della struttura del nucleone.

Lo stato di un sistema di particelle è definito dall'insieme dei numeri quantici conservati e da quelli non conservati. Lo stato di protone di un nucleone, per es., ha gli stessi numeri quantici di quello p+π° a meno dell'energia che, in quest'ultimo caso, è maggiore. Quindi l'interazione forte, conservando tutti i numeri quantici del protone, tranne il numero di particelle, può indurre transizioni del tipo p→p+π°. D'altronde, in meccanica quantistica, ha senso parlare di violazione di una grandezza conservata se questa è concettualmente misurabile. Se quindi non fossimo in grado di distinguere la differenza di energia tra lo stato di p e quello di p+π° saremmo costretti a concludere che essi sono indistinguibili. D'altra parte, secondo il principio di indeterminazione, per effettuare una misura di energia con un'imprecisione minore di ΔE occorre un intervallo di tempo Δt >ℏΔΕ. Si può quindi concludere che la transizione p→p+π° è possibile purché duri un tempo minore di Δt.

Stati di questo genere, essendo inosservabili, vengono detti virtuali. Una particella stabile come il protone può allora essere schematizzata come avente una struttura complessa costituita dall'insieme di tutti gli stati virtuali che essa può raggiungere. È quindi naturale attendersi che, tramite esperimenti di fotoproduzione, poiché il fotone incidente interagisce con l'insieme degli stati virtuali del nucleone, si possono avere informazioni sulla struttura nucleonica e, di conseguenza, sulle interazioni forti.

La scoperta delle risonanze virtuali nucleoniche, la misura dei loro momenti magnetici, l'esistenza del pione neutro (π°) sono soltanto alcuni degli esempi del contributo che può essere dato da questo tipo di processo alla conoscenza della struttura del nucleone.

A energie superiori a quelle delle risonanze virtuali, dell'ordine della decina di GeV, la lunghezza d'onda λ del fotone è molto minore delle dimensioni del nucleone ed è quindi possibile cominciare a mettere in evidenza la sua struttura interna a partoni (v. in questa Appendice). Così, la fotoproduzione ad alta energia ci dovrebbe fornire informazioni preziose sulle funzioni di distribuzione dei quark e dei gluoni all'interno del nucleone.

Bibl.: J.P. Ruterford, Hadronic production of real and virtual photons, in International symposium on lepton and photon interactions at high energies, Kyoto 1985; Nuclear and particles physics source book, a cura di S.P. Parker, New York 1988.

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