REAZIONE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

REAZIONE (XXVIII, p. 949)

Modesto PANETTI
Francesco GALANZINO

Propulsione a reazione. - Consiste nello sfruttamento della spinta che si genera contemporaneamente e per effetto della emissione di materiali contenuti nel veicolo. Essa è diretta in senso opposto a quello in cui l'emissione ha luogo. È il noto fenomeno del rinculo delle armi da fuoco, che fa retrocedere l'affusto all'atto dello sparo. Con un'arma automatica, a sparo ripetuto con ritmo frequente, si potrebbe costituire un veicolo con propulsione a reazione, collocando l'affusto in un carro su ruote. Ma per assicurare alla funzione dello strumento un carattere pratico bisogna realizzare l'emissione in modo continuo e con materiale fluido possibilmente di facile ricupero. Perciò la propulsione a reazione, nella tecnica moderna, si realizza esclusivamente con l'emissione di gas.

Come si genera la spinta per reazione con un getto di gas. - Per provocare l'emissione di un getto gassoso a grande velocità da una capsula chiusa bisogna comprimervi il gas, e ciò si può fare per mezzo di macchine, come nel turboreattore, prendendo aria dall'esterno; ma si può anche ottenere come risultato diretto della combustione di una sostanza termogena integrale, come avviene nel razzo, la cui carica è al tempo stesso comburente e combustibile.

In ogni caso la spinta nasce dal fatto che alla luce di efflusso corrisponde un'area interna alla camera di combustione soggetta a pressione non compensata. Si ha quindi una forza libera costituente la spinta propulsiva. Essa cresce con l'ampiezza dell'area suddetta e con la grandezza della pressione interna. Ma poiché l'uno e l'altro di questi fattori contribuiscono ad accrescere la portata del getto che erompe dalla camera, si intuisce che la spinta deve essere in rapporto diretto con la suddetta portata. D'altra parte la velocità di efflusso, per ugual salto di pressione deve essere tanto più piccola quanto più grande è la densità del fluido espulso, poiché con la sua massa cresce la sua inerzia ad accelerare il proprio movimento.

Teorema della quantità di moto. - Da quanto sopra discende che la spinta deve ragguagliarsi alla portata in unità di massa del getto uscente. In ciò consiste il teorema della quantità di moto, il quale afferma che la spinta sulla capsula racchiudente il fluido è uguale alla quantità di moto della portata effluente nell'unità di tempo, cioè al prodotto della portata in unità di massa per la velocità. Sennonché il problema, così semplice nella sua impostazione elementare, si complica quando si considera un fluido comprimibile, soggetto a modificare la sua densità con la pressione. Di fatto, avviandosi esso alla bocca di efflusso, mentre la pressione diminuisce, cresce il suo volume specifico, e quindi, data l'ampiezza della luce di scarico, cresce la difficoltà di smaltire attraverso ad essa una massa fluida cospicua nell'unità di tempo.

Caduta di pressione critica. - Esiste quindi un salto di pressione massimo, al di là del quale la portata cessa di aumentare. Questo salto di pressione critico corrisponde, per i gas biatomici, ad un rapporto fra la pressione finale e la iniziale prossimo ad 1/2. Esattamente la portata massima si raggiunge quando tale rapporto è uguale a 0,53. In tali condizioni alla bocca di efflusso si ha la velocità del suono, ossia la velocità di propagazione delle onde di pressione nel gas. Ciò spiega la ragione fisica per la quale una pressione a valle inferiore a quella corrispondente al rapporto critico non provoca ulteriori aumenti della portata. Di fatto, la caduta della pressione di scarico, al disotto del suddetto valore, non può far risentire a monte il suo effetto, perché la segnalazione del suo richiamo, diventato più energico, non può risalire una corrente fluida che cammini con la medesima velocità con la quale il richiamo stesso si può trasmettere. Da questi principî si deducono le condizioni di esercizio e le norme di tracciamento dell'ugello di efflusso, lungo il quale il getto gassoso si accelera, riducendo la sua sezione via via che aumenta la sua velocità. Perciò gli ugelli dei reattori sono tubi convergenti, con sezione minima alla bocca di uscita, dove si raggiunge al più la velocità del suono corrispondente alla temperatura regnante in quella sezione.

Se il salto di pressione è maggiore del salto critico la portata cessa di crescere; si deve però produrre un'espansione al di là della bocca di efflusso, in seno alla corrente già espulsa dalla capsula, se l'ugello di efflusso non si estende al di là della sua sezione minima. Le ulteriori cadute di pressione che vi corrispondono possono influire sulla spinta, propagandosi in parte alla parete esterna della capsula, dalla quale il getto erompe, ed interessandola nella regione prossima alla bocca di efflusso. Così la spinta risulterà incrementata; ma non in ragione della maggiore caduta di pressione, che viene quindi meno perfettamente utilizzata.

Ugello convergente-divergente. - Altrettanto succede se l'ugello si prolunga al di là della sezione minima con un tronco divergente, per obbligare il fluido, in regime ipersonico, a continuare la sua espansione e contemporaneamente l'ulteriore aumento della sua velocità. Ma in questo secondo tronco il regime è instabile. La caduta ulteriore di pressione scende facilmente al disotto di quella che regna nella camera di scarico, e poi risale bruscamente attraverso un'onda d'urto, dopo la quale il fenomeno assume nuovamente il carattere subsonico, e quindi il deflusso lungo il tronco divergente avviene con ulteriore progressivo aumento della pressione, fino a raggiungere quella dell'ambiente esterno (v. aerodinamica, in questa App.). Anche in questo caso la caduta di pressione disponibile è meno perfettamente sfruttata, data la perdita d'energia della quale l'onda d'urto è causa, come sede di un fenomeno irreversibile, che provoca un aumento di entropia del gas.

Perciò i reattori sono stati finora realizzati con ugelli semplicemente convergenti e caduta di. pressione non inferiore alla critica, e quindi con velocità di efflusso dalla luce finale minore di quella del suono. Bisogna però notare che tale velocità, se i gas effluenti sono caldi, può superare sensibilmente la velocità del suono a temperatura ordinaria (circa 340 m/s) senza che il fenomeno assuma caratteri ipersonici. Ciò perché la velocità del suono cresce proporzionalmente alla radice quadrata delle temperature assolute. Così, a 350 °C (a 623° assoluti, la velocità del suono raggiunge 500 m/s.

Propulsori a razzo. - Regolazione e durata di azione. - Finché il reattore funziona semplicemente come razzo basta curare che la carica termogena bruci regolarmente, in modo, ad esempio, di mantenere costante il salto di pressione fra l'interno e l'estemo. Se si tratta di polveri piriche ciò si ottiene calibrando il tubetto che le contiene, lungo il quale la combustione si propaga. Nei sistemi a due liquidi (comburente e combustibile) si regola invece il loro afflusso ai bruciatori per mezzo di pompe. Ma il razzo ha durata di azione limitatissima, per il peso molto rilevante della carica termogena rispetto alla quantità di calore generata bruciando. I razzi Jato, ad esempio, che la Aerojet Engineering Corporation di Azusa (California) costruisce in serie, come strumenti ausiliarî per la partenza degli aeroplani con turboreattori, possono operare soltanto per 14 sec., sviluppando 450 kg. di spinta. Non si può quindi affidare ad essi il compito di propulsori per la navigazione aerea.

Turboreattori. - Principî e realizzazioni. - I turboreattori sono gruppi motopropulsori termici capaci di sviluppare una spinta per mezzo di un getto gassoso, costituente lo scarico di una turbina a gas potenziata dalla combustione di un carburante in aria preliminarmente compressa. Essi trasportano il solo combustibile, captando l'aria occorrente alla combustione come un ordinario motore per aereo, predisposto però in modo che i suoi gas di scarico abbiano, rispetto all'ambiente, una pressione abbastanza alta per provocare un energico getto di reazione. Questo compito riduce naturalmente la capacità del motore a creare energia meccanica utilizzabile. Ma, d'altra parte, questa è ridotta a zero se la propulsione è realizzata esclusivamente per reazione, senza il sussidio di eliche. In un motore ordinario il risultato si potrebbe ottenere registrando la distribuzione in modo che il lavoro corrispondente al ciclo basti esattamente a vincere le resistenze interne della macchina. Questa concezione, variamente tradotta in atto mescolando ad esempio i gas di scarico con l'aria di refrigerazione del motore, separatamente compressa da un ventilatore e successivamente potenziata da bruciatori, ha permesso le prime realizzazioni ai pionieri del volo a reazione, fra i quali l'italiano Campini.

In seguito si riconobbe più logico separare le due funzioni della compressione e della generazione di potenza, che gli ordinarî motori svolgono congiuntamente, facendo uso di macchine esclusivamente rotative, un compressore e una turbina a gas (v. in questa App.), montati sullo stesso albero, tali che il lavoro richiesto dal primo pareggi quello di cui la seconda è capace, e ciò grazie al potenziamento del flusso uscente dal compressore con la combustione di carburanti, iniettati in una camera posta fra le due macchine. A questa formula costruttiva si giunse con relativa facilità, avendo a disposizione strutture meccaniche già messe a punto per altri scopi: i compressori centrifughi per la sovralimentazione dei motori ad alta quota e le turbine per ricuperare l'energia dei gas di scarico dei motori alternativi a combustione interna.

Si riconobbe subito la necessità di operare nella camera di combustione con miscele poverissime (una parte di carburante per almeno 50 parti di aria) e ciò sia per limitare la temperatura di ammissione alla turbina (dovendo evitare che le palette, soggette a gravi centrifugazioni, vengano contemporaneamente surriscaldate, compromettendone la resistenza) sia per accrescere la portata della corrente gassosa in gioco, proporzionalmente alla quale cresce, come si disse, la spinta di reazione. Naturalmente la limitazione della temperatura massima nuoce al rendimento termodinamico del ciclo, secondo il quale il turboreattore opera e spiega i consumi specifici di carburante piuttosto elevati rispetto all'energia meccanica del getto gassoso scaricato dalla turbina.

Possibilità di mantenere costante la spinta alle grandissime velocità. - Il basso rendimento termodinamico del turboreattore è però compensato largamente dalla capacità di mantenere quasi costante la spinta alle più alte velocità di volo, supposta invariabile la quantità di calore data al getto gassoso nell'unità di tempo.

Ciò è conseguenza di due influenze operanti in senso opposto. La velocità di volo incrementa di fatto la portata, primo fattore della spinta, ma diminuisce il secondo fattore, l'eccesso della velocità di efflusso rispetto a quella di introduzione. Se, difatti, si ammette che la trasformazione del calore nell'incremento di energia cinetica del getto avvenga con rendimento costante, sarà costante la differenza fra i quadrati delle due velocità, e quindi diminuirà, col crescere della velocità d'ingresso, la differenza fra le loro prime potenze.

Da questa proprietà risulta essere dato essenziale di un turboreattore il rapporto fra la spinta che esso può sviluppare e il consumo di combustibile nella unità di tempo. I progressi fatti dalle prime realizzazioni sono, in questo indirizzo, sensibili, poiché dal consumo di 1,4 kg. all'ora per ogni kg. di spinta si è oggi discesi a consumi prossimi ad 1 kg. all'ora. Ciò in conseguenza soprattutto dei maggiori rendimenti del compressore e della turbina, che da o,70 sono saliti rispettivamente a o,85 e circa 0,90, grazie allo studio rigoroso del comportamento aerodinamico dei loro palettaggi. Ulteriori progressi si attendono, dalla tecnologia, dalla quale si richiedono, per la costruzione delle palette della turbina, materiali capaci di sopportare temperature superiori alle attuali di 600° a 650° C, insieme alle gravissime centrifugazioni che li sollecitano. Si è tentato il rivestimento ceramico delle palette in acciaio, mentre si cerca di perfezionare il raffreddamento sia con getto d'aria, sia con iniezione d'acqua.

Campo di preminenza dei turboreattori. - Conseguenza fondamentale della costanza della spinta è la possibilità di raccogliere grandi potenze propulsive alle massime velocità di volo, alle quali perciò la propulsione a reazione sostituisce vantaggiosamente quella con elica. Per l'elica, di fatto, la spinta diminuisce col crescere della velocità, sia perché il suo passo non può essere aumentato, con buon rendimento, oltre determinati limiti, sia perché quando le estremità delle pale si avvicinano alla velocità del suono l'efficienza dell'elica cade rapidamente.

Il turboreattore è nettamente superiore all'elica per velocità di volo superiori ai 750 km/ora e può funzionare lodevolmente fino a 1100 km/ora a quota bassa, e fino a 1500 km/ora circa alle quote più elevate (15 km. sopra il livello del mare). Il vantaggio delle alte quote, alle quali, per la rarefazione dell'aria, gli aeromobili incontrano minori resistenze, è dovuto anche alla possibilità di bluciare un maggiore peso di combustibile senza pericolo di portare l'aria freddissima della stratosfera oltre i limiti tollerabili per la resistenza delle palette delle turbine.

Naturalmente le altissime velocità citate richiedono una speciale architettura dell'aeromobile, come l'uso di ali sottili con profilo appuntito anche anteriormente, e con pianta a freccia. Ma, anche sotto questo punto di vista, il turboreattore offre cospicui vantaggi, avendo una sezione maestra, a parità di potenza, sensibilmente minore di quella richiesta da un motore alternativo, soprattutto se dotato di compressore assiale.

Dati di esercizio. - La struttura odierna dei turboreattori risale ai tipi impostati in Germania nel 1936 coi Messerschmitt (operanti per l'appunto coi compressori assiali), che nel 1939, su apparecchi Junkers, eseguirono i primi voli. Poco dopo, in Inghilterra, F. Whittle, che aveva preso nel 1930 il suo primo brevetto, faceva eseguire dalla Rolls Royce nel 1941 il suo primo reattore, dotato di compressore centrifugo. Una successiva edizione dello stesso motore, designata con la sigla W 2B/23 eseguiva i primi voli su aeroplani Gloster nel 1943. Seguì la serie dei Dervent con la quale, attraverso successivi perfezionamenti, l'Inghilterra raggiunse il primato in questo campo, costruendo gruppi capaci di spinte a punto fisso, che, nelle cinque successive edizioni, salirono da 900 a 1800 kg. Il ciclo si svolgeva raggiungendo la pressione di 3,85 atmosfere effettive dopo il compressore e la temperatura di 780° C dopo la camera di combustione, nella quale veniva iniettato combustibile nella proporzione di 1/70 del peso di aria introdotto. Nel distributore precedente la turbina il getto gassoso raggiungeva la velocità di 600 m/sec mentre la temperatura scendeva a 610° C. All'uscita dalla turbina con velocità assiale di 310 m/sec e temperatura di 525° C, il flusso imboccava il turboreattore, avendo a disposizione un salto di pressione che nei primi esemplari era appena di 0,4 atm. In seguito numerose ditte in Inghilterra e negli S. U. costruirono queste macchine, sia col semplice carattere di turboreattori, sia riunendo in un solo gruppo i due mezzi di propulsione, l'elica e il getto di reazione, per assicurare l'efficienza anche alle basse velocità dell'involo. La Westinghouse americana costruisce oggi turboreattori con compressori assiali a sei stadî e diametro massimo esterno di 485 mm. capaci di 720 kg. di spinta, realizzando così una eccezionale finezza di forme.

La presa dinamica e l'autoreattore. - Dovendo captare l'aria lungo il percorso ad alta velocità, ha importanza il tracciato razionale della bocca, attraverso cui l'aria è introdotta e avviata al compressore.

Essa può contribuire alla prima fase del ciclo, creando come presa dinamica una pressione preliminare cospicua. Ad es., in un volo a bassa quota, con la velocità di 200 m/sec., se l'aria nella presa dinamica viene rallentata fino a 50 m/sec, si può guadagnare circa 1/4 di atm.

Il condotto, trattandosi di velocità subsonica, deve essere divergente, con legge incrementale della sezione non rapida, per evitare il distacco della corrente gassosa dalla parete.

La compressibilità del gas esalta il fenomeno, tanto che, accostandosi il volo alla velocità del suono (1200 km/ora) la presa dinamica dovrebbe essere in grado di creare da sola una soprapressione di tre o quattro atmosfere, sufficiente al funzionamento del reattore. Esso quindi opererebbe senza meccanismi in moto, cioè senza compressore e quindi senza turbina.

Questo dispositivo ideale, preveduto da Réné Lorin fin dal 1913, prende il nome di statoreattore ovvero di autoreattore. In America lo si designa col simbolo Athodyd, derivato dalle iniziali della dicitura Aerothermo-Dynamic Duct.

La Marquart Aircraft Co. ne costruisce due esemplari di potenza diversa e li sperimenta, collocandoli a bordo di aeroplani, dotati di altri mezzi di propulsione, come i caccia Lookheed F 80 con turboreattori. Un primo esemplare autonomo è il Gorgon IV con autoreattore Marquart fissato sotto il piano stabilizzatore. L'azione operatrice consiste tutta nella velocità stessa del fuso volante, che racchiude nel suo seno i tre condotti attivi: la presa dinamica, la camera di combustione e il reattore. Naturalmente l'autoreattore è assolutamente incapace di iniziare da solo il volo, e deve quindi essere appoggiato da razzi per la partenza e per il raggiungimento di una velocità sufficiente ad attivarlo (700 km/ora).

L'esemplare citato ha le caratteristiche di una bomba volante, rimorchiabile con un altro aeroplano, che l'abbandona quando è capace di reggersi coi suoi mezzi ed accelerare la sua andatura fino ai 1000 km/ora.

Il tracciato dei suoi condotti interni costituisce un problema di fluidodinamica di particolare delicatezza.

Bibl.: The development of Rolls Royce Turbojets, in Aeronautical Engineering, 26 ottobre 1945-8 febbraio 1946; Wittle, Turbojets, Inst. of. Mech. Eng., 5 ottobre 1945; Inst. of mech. Eng., Proceedings, CLIII, Londra 1945; C. Ferrari, Sul calcolo dei compressori assiali a più giranti, in La termotecnica, gennaio 1948; M. Panetti, Principî e limiti di applicazione del turboreattore, ibid., febbraio 1948.

Le armi a reazione.

Nel corso della seconda Guerra mondiale sono stati largamente impiegati da quasi tutti i belligeranti i proietti razzo, nei quali il moto è basato sul principio della propulsione a reazione. Il razzo, realizzato prima del cannone, nella lotta impegnata con questo ultimo aveva avuto la peggio, essenzialmente per la scarsa gittata e la grande dispersione del tiro. Già prima dello scoppio delle ostilità parecchi sperimentatori avevano tentato di riportare in onore il razzo, senza però raggiungere risultati positivi. Fu solo dopo l'inizio della guerra che gli studî vennero ripresi con maggiore alacrità, giungendo ad ottime realizzazioni. I vantaggi di tale tipo di proietto possono essere così sintetizzati: a) leggerezza del proiettore (lanciarazzi), che non richiede affusti complicati, pesanti e muniti di organi frenati; b) peso notevole del proietto e quindi grande volume di fuoco; c) scarso personale richiesto per l'impiego.

Il razzo differisce dal cartoccio proietto d'artiglieria per il fatto che in quest'ultimo solo il proietto esce dal pezzo all'atto dello sparo mentre il razzo parte al completo, il che significa che esso trasporta un peso morto addizionale che ne riduce la portata e l'efficacia. Nel razzo la parte antistante al motore è costruita in modo da resistere alla pressione dei gas della carica propulsiva, così come l'anima del cannone resiste alla deflagrazione della carica di lancio.

I gas sfuggono da uno o più orifizî situati nella parte posteriore del motore, spingendo avanti il razzo. Dato che la propulsione dipende dal flusso continuo dei gas, il tubo del lanciarazzi è aperto nella parte posteriore e in qualche caso è abolito e sostituito da una rotaia di guida. Essendo il rinculo totalmente eliminato, il lanciarazzi può essere costruito in leghe leggere e persino in resine sintetiche e può essere installato anche su imbarcazioni leggere e su automezzi comuni, senza l'interposizione di organi speciali.

La stabilizzazione del razzo lungo la traiettoria viene ottenuta sia con alette d'impennaggio, sia inclinando l'asse dei tubi di scarico dei gas ed imprimendo in tal modo al proietto un movimento di rotazione durante il volo.

Una delle cause che impedirono maggiormente il rapido affermarsi della nuova arma è da ricercarsi nella dispersione eccessiva che si verifica al tiro, nonché nella scarsa gittata in relazione al peso di carica impiegato; al primo inconveniente, durante la recente guerra, è stato ovviato aumentando il volume di fuoco con l'impiego di armi a canne multiple, che lanciano contemporaneamente od a breve intervallo di tempo fino a 24 e più proietti.

Le realizzazioni nel campo dei razzi sono state numerosissime, specie da parte tedesca nel periodo 1944-45; la costruzione di lanciarazzi risultava infatti di gran lunga più semplice di quella di cannoni, per le fabbriche tedesche duramente provate dall'aviazione anglo-americana.

Nello specchio seguente sono elencati i dati relativi ai principali tipi di proietti a razzo costruiti durante la seconda Guerra mondiale:

Armi di piccolo e medio calibro. - Fra i tipi più interessanti merita un cenno il Bazooka americano del calibro di 60 mm., nel quale la carica di scoppio al tritolo è organizzata a carica cava (v. anticarro, in questa App.). Si tratta di un'arma molto efficace e dagli Americani è ritenuta uno dei fattori determinanti la vittoria. Gli si possono peraltro addebitare varie manchevolezze, quali la scarsa portata e la poca precisione di tiro.

Il Bazooka è un proietto (piuttosto una piccola bomba), che porta la carica propellente costituita da 5 tubi di polvere tipo C del peso complessivo di 59,5 gr., allogata nel codolo del proietto. La velocità del razzo a fine combustione della carica propellente è di circa 80 m/sec., capace di far percorrere al proietto la distanza massima di circa 600 m.

Sia presso gli Americani sia presso gli altri belligeranti vennero costruiti altri razzi di piccolo calibro, aventi caratteristiche poco diverse dal Bazooka e destinati essenzialmente al tiro anticarro. Sempre nell'impiego campale, ma allo scopo di ottenere eccezionali effetti di distruzione e di ausilio all'artiglieria di medio calibro ha fatto ottima prova il razzo russo Katjuška, del calibro di 130 mm. e del peso di circa 40 kg. (fig. 2). In esso l'accensione della carica di propulsione è elettrica; la gittata è di circa 7-8 km. La combustione della carica di lancio ha una durata corrispondente a circa un centinaio di metri di gittata, indi il razzo continua sulla sua traiettoria per la velocità acquisita.

Il proietto propriamente detto è del tutto analogo a quello di artiglieria, con la sola differenza che le sue pareti, non essendo sollecitate da sforzi in partenza, possono essere assai più sottili con notevole vantaggio in rendimento nel peso della carica di scoppio; esso può essere anche sostituito da una bomba incendiaria. Il dispositivo a reazione, cilindrico, presenta anteriormente un'avvitatura per l'unione al proietto, posteriormente 4 alette in lamiera stampata costituenti il governale. Nell'interno di esso, a pochi centimetri dal suo estremo posteriore è sistemato un condotto convergente-divergente (ugello) ed è applicata una griglia per l'appoggio degli elementi di carica. Questa è costituita da 7 cilindri forati di polvere colloidale del peso complessivo di 1,027 kg. e sopra di essi è situato un petardetto di polvere nera accesa elettricamente, per l'innesco della carica.

L'apparecchiatura per il lancio del razzo (organo di Stalin) è installata su un autocarro (fig. 3) e comprende: 1) un castello a traliccio sostenuto da un affustino; 2) un piano di otto rotaie di lancio; 3) un congegno di elevazione; 4) un congegno di direzione; 5) un impianto elettrico d'accensione. Nella cabina dell'autocarro sono allogati i comandi ed il quadro dell'impianto elettrico. Ogni rotaia porta un razzo appoggiato sull'ala superiore ed uno sospeso a quella inferiore. Ogni ala ha nella sua parte posteriore due contatti elettrici che, in posizione di sparo, risultano in corrispondenza di quelli del razzo. Un commutatore chiude successivamente i circuiti delle varie rotaie, facendo partire i 16 razzi con ritmo normale di uno ogni 2 secondi.

Ed ecco le caratteristiche essenziali delle armi a reazione campali: 1) i proietti a razzo tedeschi dal calibro 150 in su, sono tutti stabilizzati mediante l'efflusso del gas di scarico per canali inclinati sull'asse; 2) i proietti a razzo di minor calibro (tedeschi ed alleati) hanno tutti la stabilizzazione a mezzo di alette di impennaggio; 3) i lanciarazzi da posizione sono rappresentati sempre da qualche cosa di molto rudimentale: una rotaia o addirittura un piano di legno; 4) i lanciarazzi campali sono generalmente multipli, con affusti a ruote; 5) le gittate raggiunte sono sempre modeste: da 80 metri come nel Panzerfaust 60, giungono a circa 2000 m. nella maggior parte dei razzi di medio e grosso calibro. Le gittate di 7000 e 9000 metri dei razzi da 150 e 210 sono pagate con un forte aumento del peso della carica di lancio (circa il 60-45 per cento del peso del proietto).

Armi a reazione di grosso calibro: v. teleproietti, in questa Appendice.

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