Regicidio

Dizionario di Storia (2011)

regicidio


Uccisione del monarca. Nel Medioevo, il r. era considerato assolutamente illegittimo, in base all’assunto che la monarchia fosse fondata sul diritto divino (cioè un diritto che emana direttamente dalla volontà divina). La concezione del r. si modificò nel corso del 16° sec. a opera dei cd. monarcomachi, giuristi ugonotti (➔ ) che, nel clima della guerra di religione culminata nella notte di s. Bartolomeo (1572), asserirono la superiorità della sovranità popolare e teorizzarono il diritto dei sudditi a deporre e uccidere un sovrano che opprimesse la loro vita religiosa; ne è espressione il pamphlet Vindiciae contra tyrannos (1579). I principali esponenti furono i francesi F. Hotman (Franco-Gallia, 1573), N. Barnaud (1538-1604), P. de Mornay (1549-1623) e lo scozzese G. Buchanan (De iure regni apud Scotos, 1579). Tali posizioni influenzarono anche i cattolici e, in particolare, i gesuiti spagnoli L. de Molina, J. de Mariana e Suárez, ma anche Bellarmino (➔ ); il dibattito trovò un drammatico riscontro nell’assassinio di Enrico III di Francia (1589) e poi di Enrico IV (1610). La riflessione sulla legittimità del r. emerge anche nel pensiero politico di T. Hobbes, sullo sfondo della prima rivoluzione inglese che portò all’uccisione di Carlo I Stuart (1649). La condanna del r. emerge invece, dopo l’esecuzione di Luigi XVI, nelle posizioni dei critici della Rivoluzione francese come E. Burke.

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