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regione

Dizionario di Storia (2011)
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regione


Porzione di territorio che si designa per caratteri propri, geografici o storici. Nel pieno degli anni Novanta del Novecento, il concetto di r. ha attraversato una fase di profonda rivisitazione, per le implicazioni con le nuove situazioni geopolitiche venutesi a creare su scala mondiale, continentale (in partic. europea), nazionale e locale. La caduta delle barriere ideologiche e il venir meno della contrapposizione fra grandi «blocchi» regionali hanno dato nuovo impulso a quel processo di globalizzazione che tende a configurare un unico sistema economico, molto permeabile alle informazioni ma anche sensibile agli eventi «rivoluzionari», in partic. di natura finanziaria, in qualunque parte del territorio mondiale essi accadano. All’interno di quella che si potrebbe definire «r. globale», la dimensione statale è ormai avvertita come insufficiente a fronteggiare questi eventi, anche nel caso di grandi potenze sia politiche sia economiche. Tendono a moltiplicarsi, così, le iniziative per la creazione di organismi sovranazionali di cooperazione e libero scambio, che hanno avuto nell’Unione Europea – dopo il Trattato di Maastricht (1992) – una sorta di propulsore. Tutti i complessi regionali avanzati o emergenti hanno stretto i tempi di una sostanziale integrazione, approfondendo ulteriormente il divario con le r. totalmente sottosviluppate, in partic. africane, che stentano a darsi tali obiettivi. All’estremo opposto riemergono gli ambiti locali, la cui individualità regionale era stata messa in ombra, se non sostanzialmente alterata, nella fase della crescita urbano-industriale massiva, quando tali ambiti erano stati inglobati nelle periferie metropolitane o discriminati dai grandi poli di sviluppo. Si è affermato, in tal modo, il valore dell’identità regionale, su base culturale prima ancora che economica o amministrativa. Quando si aggiunge una forte connotazione etnica, ciò comporta profonde tensioni nella politica degli aggregati statali. Le drammatiche vicende che hanno accompagnato il dissolvimento dell’Unione Sovietica e della Iugoslavia hanno evidenziato come una base multietnica non possa essere ricondotta a confinazioni e ritagli territoriali; allo stesso modo in cui nazionalità private di unità politica, ma profondamente vive (per es. i curdi o i palestinesi), continuano a rappresentare fattori destabilizzanti nel quadro geopolitico, con ripercussioni a scala mondiale. R. e appaiono oggi come i termini di un confronto iniziato, per l’Italia come per tutti i Paesi maggiormente sviluppati, con la formazione dello Stato moderno, sia esso unitario o federale: confronto fra il ritaglio territoriale delle unità politico-amministrative, da parte del governo centrale, e la consapevolezza di appartenere a entità costitutive di un organismo più ampio, ma dotate di sostanziale autonomia culturale ed economica, da parte delle comunità regionali. La convergenza verso forme istituzionali che, progressivamente, conducano i due termini a identificarsi ne appare l’evoluzione normale e auspicabile.

Le regioni in Italia

In Italia la questione di un ordinamento su base regionale si pose all’atto stesso dell’unità nazionale. La maggioranza moderata, nel primo Parlamento del nuovo Stato unitario, introdusse un ordinamento amministrativo ispirato al modello centralistico francese; fu scartata, quindi, l’ipotesi di riconoscere un’ampia autonomia ai territori degli Stati italiani preunitari, nel timore che ciò potesse compromettere l’unità nazionale. Tuttavia, successivamente, il problema delle autonomie mantenne un ruolo di rilievo nel dibattito politico e culturale fino all’avvento del fascismo. Dopo la Seconda guerra mondiale le istanze di autonomia regionale trovarono riscontro nella Costituzione, il cui titolo V (artt. 114-133) distinse le regioni in due categorie: quelle a statuto speciale e quelle a statuto ordinario. Nel 1968 il Parlamento istituì, nel rispetto del dettato costituzionale, 15 r. a statuto ordinario e fissò al 1970 le prime elezioni regionali. Con questo atto giungeva a compimento un processo iniziato fin dal 1948 con l’istituzione delle prime r. a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta) e proseguito nel 1963 con l’istituzione della quinta e ultima r. a statuto speciale, il Friuli-Venezia Giulia, per la quale si era dovuto attendere il ritorno di Trieste e del suo territorio all’amministrazione italiana (1954). Un momento importante nella storia delle amministrazioni regionali è costituito dalla fine degli anni Settanta. Nel 1978 fu varata la riforma sanitaria in base alla quale importanti funzioni venivano trasferite alle r.: si sanciva, infatti, la gratuità delle cure per tutti e si riordinava la medicina pubblica affidandone la gestione ad appositi organismi dipendenti dalle r., le USL (unità sanitarie locali). Alle r., inoltre, veniva demandata la programmazione sanitaria, e quindi la gestione della medicina scolastica e del lavoro e degli ospedali, nonché il controllo dell’igiene ambientale (potere, quest’ultimo, abrogato nel 1993 in seguito a referendum). Negli anni più recenti, la riforma delle istituzioni ha portato a rilevanti modificazioni nel sistema delle autonomie locali. A partire dal 1997, in nome del principio di sussidiarietà, è stato avviato un imponente processo di conferimento alle regioni e agli enti locali di compiti e di funzioni relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo locale. Nel 1999, una legge costituzionale ha sensibilmente modificato le disposizioni concernenti l’autonomia statutaria delle r. e, tenuto conto dei buoni risultati prodotti dall’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province, ha previsto l’elezione diretta dei presidenti delle giunte regionali. La posizione del presidente della giunta regionale ne è risultata così molto rafforzata, essendogli espressamente attribuito il compito di dirigere la politica della giunta della quale è responsabile. Assai significative sono anche le modifiche concernenti l’autonomia statutaria. Si è previsto che ciascuna r. abbia uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determini la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Un passaggio decisivo del processo riformatore è stato compiuto nel 2001 con l’approvazione di una legge di modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione. La modifica del titolo V disegna un nuovo rapporto tra Stato e r.; attribuisce a queste ultime competenza legislativa esclusiva in tutte le materie che non siano attribuite alla competenza esclusiva dello Stato, o nelle quali lo Stato è abilitato a dettare i principi fondamentali. Oggi il dibattito sulle r. e sul loro ruolo è collegato alla discussione relativa all’assetto federale dello Stato.

Vedi anche
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Vocabolario
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regióne
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