ITALIA, REGNO DI

Enciclopedia Italiana (1933)

ITALIA, REGNO DI

Ettore Rota

Succede alla Repubblica Italiana il 17 marzo 1805, conseguenza della trasformazione imperiale della Francia. Napoleone cinge la corona regia in Milano (26 maggio) e nomina viceré il figliastro Eugenio de Beauharnais (7 giugno). Lo stato è comunemente detto Regno Italico.

Il regno sorge entro i limiti territoriali della Repubblica, meno Massa e Carrara annesse a Lucca eretta in principato (1805): non ha dunque più lo sbocco sul Mar Ligure. Per il trattato di Presburgo si accresce del Veneto (24 maggio 1806), insieme con l'Istria marittima e la Dalmazia, le quali però gli sono tolte con la creazione delle "Provincie Illiriche" dipendenti dalla Francia (1809); ebbe anche Guastalla, nel 1806 data in dote a Paolina, ma ceduta al regno per intromissione di A. Aldini che ne dimostrò l'indivisibilità dalla Lombardia per motivi di ordine militare. Dopo la pace di Schönbrunn acquista il Trentino, tolto alla Baviera (18 maggio 1810), e le Marche, tolte alla Chiesa (2 aprile 1808). Nel complesso si estendeva sopra 76.000 kmq., dalla Sesia all'Isonzo, dalle Alpi al fiume Tronto, con 6 milioni e ½ di abitanti. Pure mutevole fu la sua relazione con gli stati confinanti: il 4 ottobre 1805 la Repubblica Ligure fu annessa all'Impero e così Parma e Toscana (24 maggio 1808), l'una governata dal principe Camillo Borghese, l'altra eretta in granducato per Elisa Baciocchi; e dopo Schönbrunn, le Provincie Illiriche formarono il confine orientale del regno, e i dipartimenti del Trasimeno e del Tevere, nell'ex-stato della Chiesa, il confine sudoccidentale. Il problema dei confini agitò gl'ingegni degl'Italiani consapevoli della loro irregolarità. Nel 1810 il conte Testi chiedeva al viceré che la linea di frontiera, a nord, coincidesse con la linea di displuvio: "dalla sommità di quei monti dove si dividono le acque per cadere al N. verso l'Alemagna, al mezzodì verso l'Italia": ossia che il regno fosse integrato dell'Alto Adige, rimasto alla fedele Baviera.

La politica del Regno è tutta francese. Figura come legge fondamentale la costituzione della Repubblica Italiana, ma in forma illusoria. Il regno obbedisce a decreti imperiali, detti statuti costituzionali, che non potevano essere discussi né modificati. Il re comanda da solo; ha 6 milioni di appannaggio e il godimento dei beni, mobili e immobili, per diritto di conquista o di successione. Il viceré, circondato da una corte fastosa, a Milano, con un milione di rendita in beni demaniali, è docile e passivo. I collegi elettorali conservano il loro compito di formare le liste dei candidati al Corpo legislativo, ai consigli dipartimentali, all'ufficio di giudice di pace; ma il Corpo legislativo, che ha facoltà di esaminare i bilanci, la coscrizione, le rendite dei beni nazionali, le imposte, i disegni di legge e il sistema monetario, è abolito dopo i primi segni d'opposizione. Quindi non ebbe valore effettivo la Censura, costituita di 21 membri dei collegi elettorali, con potere di controllo sulla finanza e sulla costituzionalità del regime. Pernio dell'amministrazione è il Consiglio di stato, di nomina regia, suddiviso in 3 sezioni: legislazione, interno e finanza, guerra e marina. Il Regno comprende 24 dipartimenti, invece dei 13 della Repubblica; ognuno con un prefetto, un intendente di finanza, una direzione delle poste. Dal 1808 ha principio un Senato consulente, di nomina regia e sopra le liste dei Collegi elettorali: di esso fanno parte i principi reali, i grandi ufficiali della corona, il patriarca di Venezia, gli arcivescovi di Milano, Bologna, Ravenna, Ferrara e i cittadini più benemeriti. Dal 1806 fa legge il Codice napoleonico. La giustizia è amministrata come in Francia: non più i giurati, ma i processi sono pubblici e spediti; per i delitti maggiori, la pena di morte. La stampa, teoricamente libera, è vigilata con severità. La tendenza all'accentramento si afferma sempre più decisa. Napoleone allarga la sfera della sua attività a tutta la vita della nazione: riduce le parrocchie, sopprime conventi e congregazioni tranne quelle ospedaliere e di assistenza femminile, confisca i loro beni, fraziona i latifondi, rinnova la struttura economica e sociale. Obbliga il clero a cooperare per la conquista degli spiriti e fa della massoneria un'istituzione quasi ufficiale. L'ordine della Corona di ferro serve a ricompensare i grandi servigi resi allo stato. A poco a poco il regno prese la forma d'un dispotismo illuminato alla maniera di Giuseppe II. Napoleone non rifuggiva dal chiedere al popolo la sua opinione per avere un appoggio; la respingeva quando minacciava di essere un controllo alla propria. Perciò l'istruzione era tranquillamente protetta. Obbligatoria e laica quella elementare; largamente sussidiata, quella superiore. Milano, con 127.000 ab., aveva 18 scuole normali (ossia elementari) e due ginnasî. Ma le cure maggiori erano rivolte all'esercito e all'educazione militare. Con decr. 7 luglio 1805 Napoleone convertiva il Collegio Ghislieri in R. Scuola militare e con decreto dello stesso anno organizzava militarmente le due università di Pavia e di Bologna. L'esercito del regno raggiunse la cifra di 71.000 uomini. Il contegno dei suoi soldati fece dire a Napoleone nel 1811: "Gl'Italiani saranno un giorno i primi soldati d'Europa". Dalla guerra di Spagna tornarono 9000 Italiani su 30.000; da quella di Russia, 1000 su 27.000. Le milizie non furono raggruppate in un corpo unico e autonomo; sempre frazionate; spesso confuse nell'esercito francese. Impulso parimenti grandioso ebbero i lavori pubblici: monumenti (l'Arena e l'Arco del Sempione a Milano), edilizia e strade. Le acque e le strade vennero affidate, sotto la direzione di G. Paradisi, a un'amministrazione autonoma, separata sin dal 7 giugno 1805 dal Ministero dell'interno. Essa ubbidì a finalità strategiche e commerciali, talvolta legate agli effetti del "blocco". Si registrò una spesa totale di 69.669.000 franchi: 24 per costruire strade nuove (Schio-Trento, Mestre-Treviso, Reggio-Spezia, Rimini-Firenze, ecc. oltre alla continuazione dei lavori del Sempione, iniziati nel 1802); 7 e mezzo per migliorare strade vecchie; il resto fu impiegato in lavori idraulici (canale Milano-Pavia, ecc.). L'amministrazione delle finanze prese la posizione più notevole nel pensiero di Bonaparte: essa consisteva nella creazione di due ministeri: delle Finanze e del Tesoro, quest'ultimo con l'ufficio d'un vero controllore generale. I bilanci erano resi pubblici. Le spese molto alte: solo per il mantenimento dell'armata francese il regno versava alla Francia un contributo annuo di 19.200.000 franchi, e dopo l'annessione del Veneto, di 30 milioni. Il cumulo dei sacrifici costò a Napoleone la perdita del favore popolare.

Bibl.: G. Pecchio, Saggio stor. sull'ammin. finanz. dell'ex-Regno d'Italia, Torino 1852; Coraccini, Storia dell'amm. del R. d'I., Lugano 1823; E. Driault, Napoléon en Italie, Parigi 1906; F. Lemmi, Le origini del Ris. ital., 2ª ed., Milano 1927; per gli studî varî di A. Pingaud, v. B. Peroni, Studi napoleonici, in La Nuova Antologia, 16 agosto 1932.