CANCELLERIA, REGNO DI SICILIA

Federiciana (2005)

CANCELLERIA, REGNO DI SICILIA

TTheo Kölzer

Quello di 'cancelleria' è un termine convenzionale che definisce l'insieme di persone che in una corte reale si occupano della stesura dei documenti di un sovrano. Nel caso della cancelleria normanna è possibile riconoscere un suo assestamento istituzionale solo nel periodo imperiale di Federico II, ed è in questo lasso di tempo che il termine 'cancelleria' si incontra per la prima volta nel senso inteso in questo contesto.

Come già sotto Roberto il Guiscardo, anche la cancelleria latina di Ruggero II fu in un primo tempo l'attività di un solo uomo e consisteva in un cappellano che all'occorrenza scriveva i documenti regi. Il distacco dalla cappella di corte sopravviene dopo Guarnerio (1126-1130), il decano di Mazara, che è il primo notaio stabile da quando Ruggero II ottiene la dignità ducale in Puglia (1127). Il suo successore Wido era già un notaio professionista laico, e da questo momento di norma si continuò per questa strada. Le Costituzioni di Melfi (1231), appoggiandosi al diritto canonico, vietavano espressamente ai chierici di svolgere le funzioni di giudice e di notaio (tabellionato), tuttavia non impedivano completamente l'impiego di notai ecclesiastici nella cancelleria imperiale.

Già sotto i due Guglielmi si giunse a un evidente ampliamento del personale della cancelleria; sotto Tancredi lavoravano parallelamente da tre a quattro notai, sotto Costanza da cinque a sei. Questa situazione, almeno nel caso di Costanza, corrisponde anche all'incremento della produzione di documenti nella media annua rispetto all'epoca di Ruggero II. In complesso, dal periodo della monarchia normanna (1130-1198) sono stati tramandati quattrocentosessantacinque documenti ‒ senza considerare quelli dell'imperatore Enrico VI ‒, di cui in media un terzo è ancora disponibile in originale. La percentuale di falsificazioni oscilla tra un decimo e un quinto; nel caso dei documenti latini di Ruggero II, invece, ammonta a non meno del 42,5 per cento.

Nella redazione dei documenti di cancelleria i notai sono chiamati semplicemente notarius noster, a partire da Tancredi notarius et fidelis noster (scil. del sovrano); come denominazione straniera si incontra, per esempio, notarius domini regis, e solo Gosfrido, il notaio di Costanza, si definisce nel 1195 in uno dei documenti privati da lui redatti domini imperatoris notarius (A. Mongitore, Bullae, privilegia, et instrumenta Panormitanae metropolitanae ecclesiae, Panormi 1734, pp. 62 s.); al principio dell'epoca sveva sembra che si fosse sentito come il 'servitore di due padroni'. Diversamente dalla cancelleria regia tedesca, i notai normanni nelle corroborazioni dei privilegi si chiamavano per nome, e da un confronto delle redazioni emerge che queste denominazioni sono attendibili; si incontrano eccezioni solo sotto Federico II. È verosimile che l'uso di chiamare il notaio per nome abbia origine dal modello di documento dei duchi longobardi di Benevento. L'assenza della denominazione dei notai nel periodo compreso fra il 1140 e il 1144 coincide, non a caso, con il periodo in cui fu attivo il cancelliere inglese Roberto di Selby e potrebbe quindi essere conseguenza di una sua direttiva. Questo discorso non è applicabile alla cancelleria di Costanza, i cui notai mentre l'imperatrice è ancora in vita si nominano solo sporadicamente, e avviene con maggior regolarità solo dopo la sua morte. È evidente che in questo caso i notai seguono provvisoriamente l'uso della cancelleria tedesca, che sotto certi aspetti affiora anche altrove, sebbene nella cancelleria di Costanza non sia documentato nessun notaio tedesco. D'altra parte i documenti dell'imperatore per i destinatari siciliani erano compilati da notai tedeschi del suo seguito, oppure da notai ausiliari del Regno, e solo nel contesto dell'editto di revoca il notaio di Costanza, Eugenio, scrisse eccezionalmente una apodixa dell'imperatore. Notai ausiliari si incontrano anche durante il regno di Ruggero II e nel caso di Ambrogio, menzionato sotto Costanza, dovrebbe trattarsi di un tabellione che forse era al servizio dell'arcivescovo di Messina. L'attività dei notai ausiliari e le carte prodotte da parte dei destinatari diminuiscono con il progressivo consolidarsi della situazione della cancelleria, e devono essere considerate nel complesso un'eccezione.

Per quanto la provenienza dei notai sia accertata senza ombra di dubbio, quelli siciliani isolani svolgono solo un ruolo subordinato, mentre la maggior parte è originaria del continente, con una prevalenza della Puglia e della Campania. Questo predominio della terraferma proseguirà sotto Federico II. Talvolta sono vagamente riconoscibili gruppi basati sulla parentela, su relazioni personali o locali. La famiglia di Matera, originaria di Cosenza, diede per esempio un notaio, Leone di Matera, che per quanto si sa fu attivo per la prima volta sotto Guglielmo II e lavorò ancora per Costanza e Federico II. In quest'ultimo periodo chiamò evidentemente presso di sé suo fratello Filippo e sempre sotto Federico si incontra un altro fratello, Procopio, nonché Pantaleone e Tommaso di Matera. In complesso queste relazioni personali potrebbero aver svolto un ruolo più decisivo nell'accesso a corte di quanto oggi le fonti non consentano di riconoscere. In ultima analisi la lettura di Ugo Falcando, l'anonimo cortigiano, che per esempio stigmatizza con parole caustiche la clientela del vicecancelliere Matteo, suffraga quest'ipotesi.

Non abbiamo alcuna testimonianza in merito all'esistenza di una scuola di cancelleria, ma ovviamente era possibile essere educati e ricevere una formazione a corte fin dalla giovinezza. Così Matteo, secondo Romualdo di Salerno, fu "in aula regia a puero enutritus" (Chronicon, in R.I.S.2, VII, 1, a cura di C.A. Garufi, 1909-1935, p. 257) e anche Gioacchino da Fiore fu mandato dal padre alla corte reale normanna per fare carriera nell'amministrazione. Di regola, però, nel caso dei funzionari di cancelleria dovrebbe essersi trattato di notai compiutamente formati che, per merito o grazie a relazioni, trovavano la strada per giungere a corte e qui facevano pratica nei loro nuovi compiti sotto la guida di notai di cancelleria esperti. Il titolo di magister che si incontra occasionalmente non è indizio sicuro di studi specifici, infatti nel Meridione il magister spesso non è nulla più di un maestro artigiano o un esperto nella sua professione. Si dice dei notai di Federico II che si fossero attribuiti questo titolo per impressionare i postulanti più ingenui.

Non è accertabile se il trilinguismo della capitale Palermo, decantato da Pietro da Eboli ("urbs felix populo dotata trilingui": Liber ad honorem Augusti, a cura di T. Kölzer-M. Stähli, Sigmaringen 1994, p. 45, v. 56), si possa presumere per ogni notaio; non vi sono testimonianze a questo proposito, e tuttavia una generale conoscenza di più lingue, anche nel caso dei funzionari regi, potrebbe essere stata, se non il presupposto, perlomeno un fattore vantaggioso per la carriera, laddove sarebbe da includere naturalmente anche il francese della lingua di corte. Il trilinguismo della cancelleria normanna, suggerito da Pietro da Eboli ancora per il finire del XII sec. in una nota miniatura che illustra l'epoca dei Guglielmi, aveva ceduto il passo da tempo a una coerente latinizzazione, dopo che Ruggero II aveva ancora fatto redigere prevalentemente i suoi documenti in greco; anche i documenti bilingui sono stati compilati solo in casi eccezionali. Nei rapporti giuridici privati e tra i funzionari regi il greco mantenne un'importanza maggiore di quanto ancora oggi faccia trapelare la tradizione. Non sono stati tramandati documenti regi esclusivamente in arabo risalenti all'epoca normanna. È incerto se le parti in arabo nei documenti del regno di Ruggero II siano state prodotte della sua cancelleria. Con il governo di Costanza l'arabo cadde completamente in disuso come lingua dei documenti, ed esiste solo un vago accenno alla traduzione araba del testo di un documento originariamente redatto in latino.

Per quanto riguarda l'appartenenza etnica del personale della cancelleria, i nomi dei notai naturalmente sono solo un cattivo indizio, tanto più considerando la crescente integrazione dello stato plurinazionale. Il notaio di Costanza, Ysaias, e il notaio di Guglielmo I, Saul, forse erano di origine ebraica, mentre il notaio di Ruggero II, Calopetrus, e quello di Costanza, Eugenio, potrebbero essere stati greci.

I notai generalmente godevano di un notevole credito nell'Italia meridionale dei secc. XI e XII, e questo vale in particolare per i notai reali, come afferma Ugo Falcando: "non levis auctoritatis esse notarios curie" (Historia, a cura di G.B. Siragusa, Roma 1897, p. 113, ll. 16 s.). Non a caso venivano coinvolti in qualità di testimoni nella stesura di documenti privati e occasionalmente li scrissero di proprio pugno. Nella tarda epoca sveva il collegium notariorum si concepiva addirittura come fraternitas. Il notaio di Costanza, Rainaldo, era stato dapprima camerario della Chiesa palermitana, di cui possedeva un feudo. Tuttavia sembra che la posizione di notaio reale equivalesse a un avanzamento nella carriera. Il notaio Matteo di Aiello, discendente di una dinastia di giudici campana, che divenne vicecancelliere e poi cancelliere, non era senz'altro inferiore ai suoi fratelli per prestigio sociale: l'abate Costantino della Ss. Trinità di Venosa, il vescovo Giovanni di Catania e Ruggero, magister iudex a Sorrento; i suoi figli erano il conte Riccardo di Aiello e l'arcivescovo Nicola di Salerno.

È indicativo che l'ufficio di cancelliere sia stato creato solo nel 1131, quindi dopo l'incoronazione reale; più che a una necessità rispondeva all'esigenza di prestigio del sovrano parvenu. Di regola si tratta di una carica soprattutto politica, piuttosto che di una funzione importante per l'andamento interno degli affari, sebbene i cancellieri nelle corroborazioni siano chiamati solitamente 'datari'. Naturalmente la cancelleria funzionava anche in assenza del suo titolare, in particolare sotto Costanza, nei cui documenti Gualtiero di Palearia (v.), vescovo di Troia, nominato cancelliere da Enrico VI, non viene menzionato contrariamente all'uso normanno; l'imperatrice lo fece addirittura incarcerare per circa un anno, dopo la morte del marito. Con due sole eccezioni i cancellieri o vicecancellieri sono ecclesiastici: il vicecancelliere Maione (1152-1160) raggiunse in seguito la carica di ammiraglio, del vicecancelliere e cancelliere Matte si è già detto. Dalla sua morte (21 luglio 1193) fino all'avvento di Gualtiero di Palearia (Pasqua 1195) la carica di cancelliere rimase vacante.

Sull'effettiva direzione della cancelleria non sappiamo nulla. Si può supporre che fosse affidata a notai più anziani, come suggerisce anche la denominazione di Matteo, magister notarius. Ma solo lui e Maione, che cominciò come scriniarius, fecero carriera all'interno della cancelleria di Costanza fino a diventare vicecancelliere e cancelliere.

L'andamento interno degli affari traeva vantaggio da un notevole grado di continuità nel personale al di là dell'avvicendarsi dei sovrani. Si osserva una cesura solo nel momento in cui sale al potere Tancredi, tuttavia ciò non accade nel trapasso all'epoca sveva: quattro notai di Tancredi e di Guglielmo III e tre di Guglielmo II sono attestati ancora sotto Costanza, che da parte sua 'passa' al figlio non meno di nove notai.

Il lavoro della cancelleria normanna evidentemente non è ancora limitato a determinati giorni, come viene prescritto nel 1244 nell'ordinamento della cancelleria emanato da Federico II; i documenti con data del giorno si distribuiscono senza particolari picchi di frequenza nell'arco dell'intera settimana, compresa la domenica. Comunque dalla produzione della cancelleria è possibile ricostruire solo sommariamente l'andamento dell'attività, in quanto non è stato tramandato un ordinamento della cancelleria per l'età normanna.

La stesura del documento era preceduta di norma dalla presentazione di una petizione, in prima persona o tramite messaggeri e lettere, ammesso che il sovrano non si attivasse di propria iniziativa. Si è tramandata nella redazione originale la supplica dei canonici di Cefalù che sotto Guglielmo II chiedevano la restituzione del sarcofago di porfido trasportato a Palermo. Interventi di terzi sono menzionati raramente. Secondo Ugo Falcando ‒ seppure in una situazione eccezionale ‒ veniva consegnata dapprima una petizione scritta al cancelliere, il quale eventualmente procurava un'udienza dal sovrano. Questa modalità ricorda sostanzialmente l'impostazione della procedura prescritta nell'ordinamento della cancelleria di Federico II. D'altra parte, i cancellieri o i familiari esaminavano i documenti inoltrati, che venivano anche letti in pubblico. Sono menzionati raramente casi di cassazioni, ma potrebbero essersi verificati con maggior frequenza soprattutto in occasione della revoca dei privilegi da parte di Ruggero II e di Enrico VI. Non sempre al sovrano era possibile prendere una decisione immediata; talvolta le trattative si protraevano per più fasi dell'itinerario. Ma anche in altri casi, di tanto in tanto, dovevano essere interpellati funzionari in loco allo scopo di interrogare testimoni o di esaminare e accertare confini. Questo accadeva naturalmente sotto forma di mandato reale o in nome del sovrano tramite la Curia, ossia probabilmente attraverso i familiari, e i funzionari compilavano anche un rapporto scritto, laddove per esempio le descrizioni dei confini trasmesse non di rado erano incorporate nel documento regio. Di norma la stesura vera e propria dei documenti ‒ ammesso che non fosse necessario fornire ulteriore materiale documentario ‒ dovrebbe essere avvenuta rapidamente, come in seguito fu richiesto anche nell'ordinamento della cancelleria di Federico II; non si hanno notizie in merito a rinvii, e una dissociazione fra actum e datum è estranea ai documenti regi normanni. La iussio per la stesura di un documento, malgrado le corrispondenti formulazioni nelle corroborazioni, non dovrebbe essere stata emanata direttamente dal re ai notai, ma attraverso il capo effettivo della cancelleria o altri funzionari della corte; in ogni caso questa procedura è prevista in seguito anche dall'ordinamento della cancelleria di Federico II.

I notai si agevolavano il compito usando documenti preparatori e formulari; talvolta facevano riferimento anche a documenti più antichi con analogo contenuto giuridico, il che induce forse a supporre l'esistenza di quaderni da minuta privati che devono aver fatto parte della dotazione di ogni notaio. Formulari di cancelleria dell'epoca normanna non sono stati tramandati o non sono noti. Horst Enzens-berger (1971, p. 76), sulla base di documenti ampiamente concordanti sul piano testuale a proposito della giurisdizione relativa all'adulterio, ha postulato l'esistenza di "registri di prescrizioni" come fondamento della stesura dei documenti, ma anche questa congettura resta incerta in quanto non siamo informati sulle caratteristiche dei registri dell'epoca normanna. Per il regno di Costanza l'uso di documenti preparatori è attestato per circa un terzo dei testi, e su questa base si spiega, in modo naturale, anche la penetrazione del formulario tedesco nella prassi della cancelleria normanna.

Una minuta per la copia definitiva si è conservata solo in un caso, ma si deduce che lo stesso notaio era responsabile della bozza del testo e contemporaneamente della copia definitiva, e che, quindi, la distinzione fra dettatore e scrittore nota dalla cancelleria tedesca di regola fosse superflua per la cancelleria siciliana. Non è chiaro neppure a chi spettasse l'apposizione del sigillo al documento. Pietro di Blois (Patrologiae cursus completus [...]. Series Latina, a cura di J.-P. Migne, Parisiis 1841-1864, CCVII, ep. 131, col. 390ab) afferma di essere stato sigillarius sotto Guglielmo II, ma non disponiamo di altre prove in merito a questo 'posto in organico'. Dopo la morte di Enrico VI l'imperatrice tolse il sigillo al cancelliere Gualtiero di Palearia, che pare se lo fosse attribuito senza esserne legittimato ‒ è attestato che nella cancelleria di Costanza egli non esercitava alcun tipo di funzione ‒, e lo fece imprigionare.

La retribuzione per la stesura di un documento sembra essere stata negoziata in un primo tempo fra i destinatari e il notaio, ed è provato che ne derivarono abusi, che nel 1167 si cercò di sanare mediante le norme tariffarie emanate dal cancelliere Stefano di Perche, il cui testo purtroppo non è stato tramandato. La consegna del documento avveniva attraverso il re o la cancelleria, o funzionari della corte. Guglielmo II depose personalmente sull'altare importanti documenti redatti per le chiese di Palermo e di Monreale. Privilegi con il nuovo conferimento di proprietà e di diritti erano regolarmente accompagnati dai cosiddetti mandati esecutivi ai funzionari preposti in loco, nei quali costoro erano invitati a investire dei suoi diritti il beneficiario e a garantirne il godimento integrale.

La direzione vera e propria della cancelleria e ancor più la suddivisione interna del lavoro sfuggono al nostro sguardo. Scrittura e dettato, come già è stato sottolineato, di regola erano di un solo notaio, che quindi era evidentemente responsabile dello 'svolgimento' complessivo della pratica. Sotto Federico II talvolta si può osservare che il notaio seguiva questo procedimento ancora per un altro lasso di tempo dopo la consegna del documento.

Non sappiamo con certezza se i notai si appoggiassero sistematicamente a un assistente specializzato per eseguire la tipica scrittura adottata per le righe introduttive. Le grandi variazioni, anche in documenti di singoli notai, non sono interpretabili univocamente, ma la tinta diversa dell'inchiostro testimonia almeno in alcuni casi che le lettere allungate della prima riga non erano scritte in diretta connessione con il resto del documento.

Un coinvolgimento di assistenti è da supporre regolarmente per le parti in greco dei documenti bilingui, come già era consigliato per l'aspetto esteriore. Un dipartimento greco a sé stante non esiste comunque più nella cancelleria dopo Ruggero II. In un solo caso sappiamo dell'esistenza di uno scriniarius e di un sigillarius separati.

Si è già indicato come i notai della cancelleria occasionalmente lavorassero anche al di fuori della loro sfera d'attività vera e propria, per esempio scrivendo documenti dei familiari, della dogana o di privati. Un notaio di Guglielmo II, Tancredi, nel 1187 è documentato come legato siciliano alla corte di Federico Barbarossa, e il notaio di re Tancredi, Tommaso da Gaeta, che incontriamo ancora sotto Federico II, durante il regno di Costanza è incaricato esclusivamente di svolgere delicate missioni diplomatiche presso la Curia. Sul piano letterario solo Maione si distingue come autore di una Expositio orationis dominicae. A lui si potrebbe affiancare il 'cancelliere' Enrico Aristippo, arcidiacono di Catania, che secondo Ugo Falcando dopo l'uccisione di Maione dovrebbe aver diretto temporaneamente la cancelleria, pur non essendo individuabile nelle fonti in questa funzione. Egli è un esponente della cultura di corte siciliana che apparentemente bastava a se stessa e non ha sviluppato alcuna influenza esterna riconoscibile; anche i notai devono essere considerati onesti artigiani piuttosto che artisti del linguaggio.

All'ufficio di cancelliere, la 'cancellaria', erano connessi secondo Ugo Falcando anche determinate entrate e possedimenti; indipendentemente da ciò viene menzionato una volta un tenimentum cancellerie. Per i notai sembra essere stata consueta una retribuzione, che in seguito ad abusi diede luogo nel 1167 all'emanazione delle più antiche disposizioni tariffarie conosciute. In merito a un compenso annuale, che è consueto sotto Federico II, non emerge nulla. Tuttavia, almeno alcuni notai non sembrano essere stati privi di mezzi. Guglielmo II consentì al suo notaio Matteo, per esempio, la fondazione di un convento (S. Maria de Latinis) per ventiquattro suore, un'iniziativa che dovette comportare un investimento di capitale piuttosto ingente. Alla dotazione di questa fondazione apparteneva anche un casale, che già Guglielmo I aveva regalato al notaio, ma c'è da dubitare che queste remunerazioni fossero la regola. Il notaio di Costanza, Rainaldo, l'antico camerario della Chiesa palermitana, ottenne dalla sovrana un feudo che fu da lei stessa confermato, e nel Catalogus baronum è registrato come feudatario il regius notarius Guglielmo.

Una carriera concomitante al servizio nella cancelleria non era ancora concessa ai notai di Ruggero II. Il vicecancelliere Maione arrivò alla carica di ammiraglio; il notaio Santoro, attestato nel 1155-1169, si incontra nel 1185 come gran giustiziere di corte, due anni più tardi anche lui come ammiraglio. Leone di Matera nel 1198 è definito iudex dell'imperatrice, allorché dopo la morte di Costanza consegnò al pontefice il suo testamento; nel 1220 era giustiziere della Calabria, nel 1222 forse addirittura presidente del gran tribunale di corte. Anche il 'diplomatico' Tommaso da Gaeta concluse la sua carriera come gran giustiziere di corte. Ma queste sporadiche testimonianze dimostrano che si trattava di eccezioni. La regola era rappresentata dal più importante dei notai di Guglielmo II, Alessandro, che nel 1172-1188 scrisse non meno di ventinove documenti e che non svolse altra attività. Carriere all'interno della cancelleria sono altrettanto rare e documentabili solo nel caso di Maione e, naturalmente, di Matteo. In questa prospettiva appaiono più comprensibili le tappe della carriera del notaio Filippo di Salerno: lo incontriamo per la prima volta nel 1180 a Palermo come notaio nella duhana de secretis, quindi nell'amministrazione centrale delle finanze, in seguito nel 1186 come notaio del tribunale di corte (notarius regie curie), infine nel 1198 è notaio dell'imperatrice Costanza e nel 1200-1201 del giovane Federico II.

Per quanto riguarda la gestione dei registri nella cancelleria normanna, non si può andare oltre le congetture. Elenchi di possedimenti terrieri e di servi che ricalcano la prassi amministrativa araba (deftarii, plateae) sono già attestati sotto Ruggero I. Secondo Ugo Falcando i "libri consuetudinum, quos defetarios appellant" (Historia, a cura di G.B. Siragusa, Roma 1897, p. 69, ll. 11 ss.) sarebbero andati perduti nel 1161, in concomitanza con la rivolta di Maione, e Matteo, il futuro vicecancelliere e cancelliere, li avrebbe ricostruiti. Questi libri catastali dopo la costituzione di autorità centrali furono gestiti dalla duhana. Veri e propri registri di documenti non sono attestati invece prima del periodo imperiale di Federico II; gli Excerpta di Marsiglia suggeriscono un inizio intorno al 1230. Una loro precedente esistenza, supposta in un primo tempo da Bresslau (H. Bresslau, Handbuch der Urkundenlehre, I, Leipzig 1889, pp. 136 s.), rimane una pura ipotesi, e dello stesso tenore sono le congetture di Karl Andreas Kehr (1902, pp. 134 s.) in merito a un registro per mandati e funzionari. Emerge piuttosto che la corte non era sempre informata in merito a dispute riguardanti i rapporti di proprietà, come ci si può aspettare considerando la gestione differenziata dei registri. Dalla questione relativa alla compilazione dei registri a corte devono essere distinti gli inventari redatti ad hoc, come per esempio il Catalogus baronum, un elenco dei vassalli della Corona che risale nel suo nucleo originario alla tarda età di Ruggero II (1150-1152) ed è stato integrato e rielaborato più volte (1167-1168, 1175, 1239-1240).

Un archivio di corte è attestato per la prima volta nel 1148: un privilegio per la Chiesa di Messina giaceva "cassatum et infirmatum et ruptum in regiis scriinis" (Codex diplomaticusregni Siciliae, 1987, p. 216, ll. 12 s.). Anche due documenti chirografi di Guglielmo I per Genova furono conservati nell'archivio reale; in questo caso si tratta di importanti documenti di 'politica estera', e si noti a questo proposito come Genova avesse la consuetudine di redigere sempre i suoi 'trattati di stato' come chirografi. Maione compare come scriniarius quattro anni prima, non a caso nel quadro della generale revoca dei privilegi avvenuta nel 1144. Sotto Federico II (1219) incontriamo in questa funzione il notaio Filippo di Matera.

Sulla base di una cultura scritta evoluta, che non era esclusivo appannaggio del clero, la cancelleria reale si sviluppò quindi a partire da esordi molto modesti analogamente alla formazione dell'amministrazione centrale regia e dello stato burocratico centralizzato, dall'età dei Guglielmi, fino a diventare un organismo efficiente. In merito alla direzione vera e propria della cancelleria e alla sua organizzazione interna non sappiamo quasi nulla; senza dubbio il grado di efficienza di quest'organismo preposto alla spedizione è fortemente falsato dalla situazione negativa delle fonti. Il lavoro della cancelleria, a partire dal regno di Ruggero II, era svolto esclusivamente da laici, in massima parte originari del continente e appartenenti a popolazioni differenti sul piano etnico. Il percorso normale della carriera sembra procedere dal tabellionato o dalla magistratura cittadina al servizio a corte, ma soltanto in rari casi ha superato questi limiti. Tuttavia i notai godevano di un elevato credito, che sembrano aver sfruttato anche sotto l'aspetto pecuniario, almeno fino all'emanazione delle norme tariffarie del cancelliere Stefano di Perche (1167) riguardanti la loro retribuzione.

Per quanto riguarda la forma esteriore del documento regio normanno, si può toccare con mano l'influenza dei documenti papali, tuttavia hanno dato il loro contributo anche Bisanzio (bolla di piombo, firma autografa di Ruggero II in greco, documenti purpurei, inchiostro rosso per la rota) e i principati dell'Italia meridionale (corroborazioni con il nome dello scrittore, formula Salvatoris nell'invocazione, formula heres-et-filius nell'intitolazione, lettere allungate della riga introduttiva). L'influsso tedesco all'epoca di Enrico VI e di Costanza rimase in complesso un evento effimero. Come in altri settori, quindi, i normanni procedettero anche in questo caso in modo eclettico, e crearono a partire da tradizioni diverse qualcosa di nuovo e autonomo, che diede gradualmente forma rappresentativa al Regno siciliano-normanno anche in quest'ambito. L'accostamento più spiccato alla forma del documento papale si può osservare al principio del regno di Ruggero II, con il notaio Wido (1132-1136), un laico attivo in un periodo in cui il rapporto fra il nuovo sovrano e il feudatario papale era ancora estremamente teso, ma l'esigenza di una legittimazione molto pressante. Il documento regio acquistò palesemente maggior autonomia nell'età dei due Guglielmi, alla luce dei rapporti nel complesso consolidati con la Curia. Questo rivela una consapevole emancipazione del Regno normanno, ravvisabile anche nel nuovo orientamento della politica siciliana negli anni Ottanta del sec. XII.

La retorica del documento regio, misurabile soprattutto nelle arenghe, continuò a svilupparsi e raggiunse l'acme sotto Guglielmo II. La crescente molteplicità delle arenghe dal 1136 è caratterizzata da un'articolazione più concentrata dei colon, una selezione ricercata delle parole in stretta connessione con i testi liturgici e una musicalità più accentuata delle risorse stilistiche ritmiche, queste ultime determinate soprattutto da una più rigorosa attenzione per il cursus, con una chiara tendenza al cursusvelox, mentre allitterazioni, rime e onomatopee occupano solo una posizione marginale e irrilevante. Per quanto riguarda il tenore delle arenghe, se nei documenti di Ruggero esse svilupparono in primo piano la formazione del concetto regio, a partire da Guglielmo II i notai cercarono di conferire alla funzione regale una fisionomia positiva tramite un catalogo di virtù che si ritenevano connaturate (innata) al re.

Nel complesso al documento regio siciliano-normanno, in un ambiente contrassegnato tradizionalmente da un grado elevato della forma scritta, non spetta quella posizione privilegiata che è propria dei prodotti delle cancellerie reali dell'Europa occidentale. Come documento giuridico fortemente vincolato a forme tradizionali e assoggettato in modo crescente alle formalità degli affari quotidiani, esso può essere considerato solo parzialmente un riflesso dello sviluppo culturale generale e di quello linguistico in particolare. Il raffinamento linguistico, a partire dall'ultimo terzo del XII sec., proviene dall'esterno, senza che si raggiungano i vertici della stilistica dell'Europa occidentale. La cancelleria reale, da parte sua, non ha esercitato un ruolo stimolante in questo senso, il che vale anche per le altre attività letterarie alla corte reale normanna.

Fonti e Bibl.:Codex diplomaticus regni Siciliae, a cura di C. Brühl-F. Giunta-A. Guillou, ser. I, II, 1, Rogerii II regis diplomata latina, a cura di C. Brühl, Köln-Wien 1987; III, Guillelmi I regis diplomata, a cura di H. Enzensberger, Köln-Weimar-Wien 1996; V, Tancredi et Willelmi III regum diplomata, a cura di H. Zielinski, Köln-Wien 1982; ser. II, I, 2, Constantiae imperatricis et reginae Siciliae diplomata (1195-1198), a cura di Th. Kölzer, ivi 1983 (ora in M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, XI, 3, Constantiae imperatricis diplomata, a cura di Th. Kölzer, 1990). K.A. Kehr, Die Urkunden der normannisch-sicilischen Könige, Innsbruck 1902 (riprod. anast. Aalen 1962); H. Enzens-berger, Beiträge zum Kanzlei- und Urkundenwesen der normannischen Herrscher Unteritaliens und Siziliens, Kallmünz 1971; H. Zielinski, Zu den Urkunden der beiden letzten Normannenkönige Siziliens, Tankreds und Wilhelms III. (1190-1194), "Deutsches Archiv", 36, 1980, pp. 433-486; H. Enzensberger, Il documento regio come strumento del potere, in Potere, società e popolo nell'età dei due Guglielmi, Bari 1981, pp. 103-138; Id., Utilitas regia. Note di storia amministrativa e giuridica e di propaganda politica nell'età dei due Guglielmi, "Atti della Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo", ser. V, 1, 1981-1982, pp. 23-61; Th. Kölzer, La reggenza di Costanza nello specchio dei suoi diplomi, ibid., pp. 83-107; A. Noth, Alcune osservazioni a proposito dell'edizione dei documenti arabi dei re normanni di Sicilia, ibid., pp. 121-129; H. Zielinski, I diplomi di Tancredi e di Guglielmo III, ibid., pp. 63-81; Id., Zum Königstitel Rogers II. von Sizilien (1130-1154), in Politik, Gesellschaft, Geschichtsschreibung. Gießener Festgabe für František Graus zum 60. Geburtstag, a cura di H. Ludat-R.C. Schwinges, Köln-Wien 1982, pp. 165-182; C. Brühl, Diplomi e cancelleria di Ruggero II, con un contributo sui diplomi arabi di A. Noth, Palermo 1983; Th. Kölzer, Urkunden und Kanzlei der Kaiserin Konstanze, Königin von Sizilien, Köln-Wien 1983; Id., Die sizilische Kanzlei von Kaiserin Konstanze bis König Manfred (1195-1266), "Deutsches Archiv", 40, 1984, pp. 532-561; J. Wansbrough, Diplomatica Siciliana, "Bulletin of the School of Oriental and African Studies", 47, 1984, nr. 1, pp. 9-21; Th. Kölzer, Kanzlei und Kultur im König-reich Sizilien 1130-1198, "Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken", 66, 1986, pp. 20-39 (trad. it. Cancelleria e cultura nel regno di Sicilia [1130-1198], in Cancelleria e cultura nel medio evo, a cura di G. Gualdo, Città del Vaticano 1990, pp. 97-118); H. Enzensberger, La cancelleria normanno-sveva tra unità monarchica e tendenze regionali, in Unità politica e differenze regionali nel regno di Sicilia. Atti del Convegno internazionale di studio in occasione dell'VIII centenario della morte di Guglielmo II re di Sicilia, a cura di C.D. Fonseca-H. Houben-B. Vetere, Galatina 1992, pp. 105-118; Th. Kölzer, Die normannisch-staufische Kanzlei (1130-1198), "Archiv für Diplomatik", 41, 1995, pp. 273-289; H. Zielinski, Die Kanzlei Tankreds und Wilhelms III. von Sizilien (1190-1194) mit Ausblicken auf die Kanzlei der Kaiserin Konstanze (1195-1198), in Cavalieri alla conquista del Sud. Studi sull'Italia normanna in memoria di Léon-Robert Ménager, a cura di E. Cuozzo-J.-M. Martin, Roma 1998, pp. 328-343; Th. Kölzer, Der Einfluß der Papsturkunde auf die Urkunden der normannischen Könige Siziliens, in Papsturkunde und europäisches Urkundenwesen, a cura di P. Herde-H. Jakobs, Köln-Weimar-Wien 1999, pp. 307-317; Th. Ertl, Studien zum Kanzlei- und Urkundenwesen Kaiser Heinrichs VI., Wien 2002.

Traduzione di Maria Paola Arena

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