BERTA, Renato

Enciclopedia del Cinema (2003)

Berta, Renato

Stefano Masi

Direttore della fotografia svizzero, nato a Bellinzona il 2 marzo 1945. Con il suo gusto per la luce naturale ha lasciato una profonda impronta nella nouvelle vague svizzera dei primi anni Settanta. Conosciuto anche all'estero grazie al successo internazionale dei film di Alain Tanner e Claude Goretta, ha avuto dagli anni Ottanta in poi un'importante carriera francese, portando alle estreme conseguenze la lezione di Nestor Almendros e ottenendo nel 1988 un César per gli impasti cromatici di Au revoir les enfants (1987; Arrivederci ragazzi) di Louis Malle.Appassionato cinefilo, frequentò sin da ragazzo le proiezioni del Festival di Locarno, dove fu anche membro di una giuria giovanile, e fondò un cineclub studentesco nella scuola dove studiava da apprendista meccanico. Nel 1965 si trasferì a Roma per seguire i corsi del Centro sperimentale di cinematografia, e durante il soggiorno italiano frequentò il Filmstudio, tempio romano della cinefilia, dove conobbe Jean-Luc Godard, all'epoca in Italia per Vent d'est (1969; Vento dell'Est), e Jean-Marie Straub, che lo prese come assistente sul set di Othon, noto anche come Les yeux ne veulent pas en tout temps se fermer, o Peut-être qu'un jour Rome se permettra de choisir à son tour (1969), e più tardi come operatore per molti altri film, da Geschichtsunterricht (1972) a Operai, contadini (2001), tutti firmati da Straub con Danièle Huillet. Al ritorno in patria, lavorò in uno dei film più importanti della nouvelle vague svizzera, Charles mort ou vif (1969), il primo dei sei lungometraggi che avrebbe fotografato per Tanner. Fu l'inizio di una carriera felice come operatore della nuova generazione dei cineasti svizzeri, Francis Reusser, Daniel Schmid, Thomas Koerfer, Goretta, Michel Soutter, Yves Yersin. Coraggioso sperimentatore, convinto assertore della necessità di riunire le competenze luministiche del direttore della fotografia con quelle del camera work, si adattò benissimo alla formula produttiva più leggera che la nouvelle vague svizzera aveva fatto propria. Tra i suoi film più importanti di quegli anni, da ricordare Pas si méchant que ça (1975), per Goretta; Jonas qui aura vingt-cinq ans en l'an 2000 (1976; Jonas che avrà vent'anni nel 2000), per Tanner; Violanta (1977) per Schmid. Partecipò all'esperienza coo-perativistica del Filmkollekt di Zurigo e più tardi, dopo il tramonto di questo gruppo, si lasciò coinvolgere nella Film video collectif di Losanna, attorno alla quale gravitavano i cineasti della Svizzera romanda, Godard compreso, per il quale B. girò Sauve qui peut, la vie (1980; Si salvi chi può, la vita), in collaborazione con il collega William Lubtchansky. Al principio degli anni Ottanta, mentre entrava in crisi l'identità della nouvelle vague svizzera, B. si avvicinò al cinema francese. Nel 1984 Eric Rohmer gli affidò le immagini del suo Les nuits de la pleine lune (Le notti della luna piena), film di grande delicatezza che lo fece apprezzare in Francia. Da allora molti cineasti francesi, da Jacques Rivette (Hurlevent, 1985) ad André Téchiné (Rendez-vous, 1985), da Benoît Jacquot (Corps et biens, 1985) a Malle (Au revoir les enfants) hanno scoperto il talento di B., che nel frattempo si era trasferito a Parigi e aveva messo radici in quella cultura cinematografica, pur continuando occasionalmente a lavorare con i registi svizzeri. In Francia B. ha approfondito la conoscenza delle tecniche di illuminazione in studio, lavorando sulla densità dei colori pastello nell'astrazione di Smoking ‒ No Smoking (1993) di Alain Resnais, film che ricorda il mondo figurativo dei fumetti e per il quale è stato candidato sia al César sia al Prix Camérimage. Si è così definitivamente affermato come una delle grandi firme della fotografia europea, lasciando la propria impronta in film di registi come Fabio Carpi (La prossima volta il fuoco, 1993) o Manoel de Oliveira (Viagem ao princípio do mundo, 1997, Viaggio all'inizio del mondo; Palavra e utopia, 2000). Nella seconda metà degli anni Novanta ha stretto un intenso proficuo sodalizio con Amos Gitai, firmando le immagini di molti suoi film, da Devarim (1995; L'inventario) fino a Eden (2001). Ha collaborato anche con la rivista "Cahiers du cinéma", realizzando interviste a grandi maestri della fotografia, come Giuseppe Rotunno e Atsuta Yuhau.

Bibliografia

D. Dubroux, J.-H. Roger, S. Le Péron, Entretien avec Renato Berta, directeur de la photographie, in "Cahiers du cinéma", 1978, 284, pp. 61-69.

Ph. Le Guay, Renato Berta, in "Cinématographe", 1985, 110, pp. 15-17.

M. Chevrie, F. Sabouraud, 12 questions aux chefs-opérateurs, in "Cahiers du cinéma", 1987, 395-396, pp. 31-40.

S. Masi, Renato Berta. Au revoir les operateurs, in Svizzera/Europa. I volti europei del cinema svizzero, Roma, 1987, pp. 8-11 (con una conversazione a cura di M. Cifariello, S. Masi e A. Leone).

J.-P. Jeancolas, Renato Berta: en France, chacun travaille pour soi, in "CinémAction", 1993, 66, pp. 152-56.

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