RENATO d'Angio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RENATO d'Angio

Enza Russo

RENATO d’Angiò. – Secondogenito del re titolare di Napoli Luigi II d’Angiò e della principessa Iolanda d’Aragona, Renato nacque nel castello di Angers il 16 gennaio 1409.

Il nome, estraneo alla dinastia reale, fu scelto dai genitori per la loro particolare devozione a san Renato vescovo di Angers.

La prima fase della vita politica di Renato (tra il 1417 e il 1435) si svolse nella Francia della guerra dei Cent’anni. Morto il padre, nel 1417, ereditò le terre di Guise, Chailly e Longjumeau, che furono amministrate dalla madre, sotto la cui tutela fu posto insieme ai fratelli fino al conseguimento della maggiore età. Nel 1419, Iolanda ottenne che Luigi, suo zio materno, cardinale e vescovo di Châlons-sur-Marne, adottasse Renato come erede del Ducato di Bar, spettante di diritto alla regina, figlia del duca di Bar Roberto. Il feudo, del quale il cardinale si era indebitamente appropriato, era trasmissibile per via femminile.

Essendo auspicabile l’unione del Ducato di Lorena con il Ducato di Bar al fine di proteggere dai nemici bellici il Regno di Francia, a Renato fu data in sposa Isabella, figlia ed erede del duca di Lorena Carlo II (detto l’Ardito), la quale portò in dote 5000 lire tornesi. Le nozze furono celebrate nella cattedrale di Nancy il 24 ottobre 1420. Renato ottenne di conservare lo stemma familiare, aggiungendo alle proprie armi lo scudo angioino. Al seguito dello zio Luigi e presso la corte del suocero, portò a termine gli studi cominciati sotto la guida della madre e apprese le pratiche di governo grazie al precettore Jean di Proissy. In particolare, a Nancy ebbe modo di apprezzare la letteratura e la musica.

Nel gennaio 1425, Carlo II di Lorena redasse un testamento con il quale conferì a Renato il governo del Ducato dopo la sua morte, e nel corso dell’anno anche l’aristocrazia lorenese accettò la legittimità della sua trasmissione per via femminile. Il 2 agosto 1427 Isabella diede alla luce il primo figlio, Giovanni; nel 1429 Renato assistette all’incoronazione del re di Francia Carlo VII, al quale gli inglesi, forti anche dell’appoggio del duca di Bedford, avevano contrapposto il re d’Inghilterra Enrico VI. Il 23 giugno 1430 il cardinale Luigi morì e Renato entrò in possesso del Ducato di Bar e del Marchesato del Pont. Alla morte del suocero, avvenuta il 25 marzo dell’anno seguente, ereditò anche il Ducato di Lorena, e mise mano ad alcune riforme volte a rendere amministrativamente omogenei i suoi domini.

La situazione di Renato sembrava favorevole, ma presto il Ducato gli fu disputato dal conte Antonio di Vaudémont, unico figlio maschio di un fratello minore di Carlo II duca di Lorena, schieratosi – nella guerra in corso – con il duca di Borgogna Filippo il Buono (che sosteneva gli inglesi e si stava ritagliando ampi possedimenti nella Francia orientale), mentre Renato era fedele al re di Francia. Richiesto di aiuto, Carlo VII gli inviò il signore di Barbazan, valido combattente, e le forze angioine assediarono Vaudémont: ma Renato, sapendo la Lorena messa a ferro e a fuoco, ordinò che fosse tolto l’assedio, nonostante i consigli del Barbazan. La decisione si rivelò fatale: il 2 luglio 1431 Renato fu sconfitto a Bulgnéville dal Vaudémont, forte anche dell’aiuto dei borgognoni. Fatto prigioniero, fu consegnato a Filippo il Buono, il quale lo rinchiuse nel castello di Talent, nei pressi di Digione.

L’onere della difesa del Ducato e dell’amministrazione dei domini di Renato ricadde sulla moglie Isabella. Questa riuscì a stipulare con il Vaudémont una tregua di tre mesi, a decorrere dal 1° agosto, durante la quale Renato fu temporaneamente trasferito a Bracon-sur-Salins, nella Franca Contea. Isabella formò anche un consiglio di governo costituito da sei membri, tra i quali si distinse la figura del vescovo di Toul, Henri de Ville. I negoziati per la liberazione furono presto avviati, e nonostante il disappunto di Filippo il Buono (che temeva possibili rivendicazioni sulla Franca Contea e sui suoi possedimenti fiamminghi, precedentemente imperiali) per il ricorso all’arbitrato di Sigismondo d’Asburgo a proposito della successione al Ducato di Lorena, il 6 aprile 1432 Renato ottenne una sorta di libertà provvisoria, lasciando in ostaggio i due figli Giovanni e Luigi. L’atto di rilascio prevedeva che Renato si riconsegnasse prigioniero a Digione il 1° maggio dell’anno seguente. Renato ne approfittò per trattare con il conte di Vaudémont, promettendo in sposa la maggiore delle sue figlie, Iolanda, al primogenito di questi, Ferry. Il 24 aprile 1434, nella cattedrale di Basilea, l’imperatore Sigismondo pronunciò la sentenza emessa dal suo tribunale, riconoscendo a Renato la titolarità del Ducato di Lorena per conto della moglie. Il 25 dicembre Filippo il Buono, indispettito, gli intimò di ricostituirsi immediatamente a Digione.

Intanto maturavano gli eventi che furono all’origine di un duraturo coinvolgimento di Renato – che, peraltro, inizialmente restò ancora prigioniero in Francia – nella storia dell’Italia meridionale per circa un ventennio (1435-54). Il 12 novembre 1434 il fratello Luigi III d’Angiò, adottato come figlio dalla regina di Napoli Giovanna II d’Angiò-Durazzo priva di eredi, morì a Cosenza senza discendenti diretti. Renato ereditò pertanto la contea di Provenza, il Ducato d’Angiò e i diritti angioini sul Regno di Napoli, allora contestati dal re Alfonso V d’Aragona (il Magnanimo), indicato come erede da Giovanna II anteriormente a Luigi, quando papa Martino V aveva dichiarato che il regno spettava di diritto alla dinastia d’Angiò-Provenza. Il 2 febbraio 1435, Giovanna, in punto di morte, nominò ufficialmente Renato suo erede al trono napoletano. Informato degli eventi, ai primi di giugno Renato nominò la moglie Isabella luogotenente generale e la inviò nel Regno di Napoli in sua vece, affidando nel contempo ai vescovi di Metz e di Verdun il governo dei ducati di Bar e di Lorena. Il 1° luglio papa Eugenio IV, che mostrava chiaramente la propria predilezione per le rivendicazioni angioine anche a causa della condotta assunta dai rappresentanti di Alfonso al Concilio di Basilea, inviò una lettera a Filippo il Buono, intercedendo per la liberazione di Renato. Il duca chiese a Renato un milione di fiorini e il Ducato di Bar in pegno, ma questi non accettò, sebbene la sua situazione non fosse presa in considerazione negli accordi stipulati quell’anno ad Arras tra i re di Francia e di Inghilterra e lo stesso Filippo di Borgogna. Il 21 settembre Renato, tramite due rappresentanti, stipulò un’alleanza con il duca di Milano Filippo Maria Visconti, a cui i genovesi avevano da poco consegnato Alfonso d’Aragona, catturato a seguito della battaglia di Ponza nel corso del tentativo di conquistare il Regno di Napoli.

Imbarcatasi a Marsiglia insieme al figlio Luigi, Isabella giunse a Napoli il 25 ottobre 1435, stabilendo la propria residenza a Castel Capuano. Presto si diffuse la notizia che il duca di Milano si era accordato con Alfonso, liberandolo e consentendogli così di riprendere la guerra intorno a Gaeta, sul confine settentrionale del Regno di Napoli. A Renato non mancò nei mesi successivi l’appoggio papale: un suo rappresentante, Guy de Bossaye, prestò omaggio a Eugenio IV in quanto signore feudale del Regno (Firenze, febbraio 1436) ottenendo la bolla d’investitura (affidata a Cosimo de’ Medici: la consegna a Renato era subordinata al pagamento, entro un anno, di 30.000 ducati, peraltro mai versati, sì che la bolla gli fu trasmessa solo dopo la perdita del Regno). Nell’aprile del 1436 il pontefice scrisse nuovamente a Filippo il Buono, nel vano tentativo di convincerlo alla liberazione di Renato. Dopo altri mesi di prigionia, a novembre Renato ottenne una libertà di sei settimane e il 25 dicembre si recò a Lille per definire con il duca le condizioni della propria liberazione definitiva (pagamento di 400.000 scudi d’oro, cessione delle terre di Cassel e di Bois de Nieppes nelle Fiandre – legate al patrimonio dei duchi di Bar –, e rinuncia ai diritti su Dunkerque e Bourbourg, connessi alla successione della cugina, contessa di Saint-Pol, figlia di Roberto di Bar). Filippo il Buono sottoscrisse l’accordo il 3 febbraio 1437. La fine delle ostilità fu cementata dalla concessione in sposa di una nipote del duca di Borgogna, Maria di Borbone, al primogenito di Renato.

Dopo aver visitato i ducati di Lorena, d’Angiò e la Provenza, Renato salpò alla volta di Napoli per difendere i propri diritti sul Regno. Nel frattempo, nonostante gli aiuti militari inviati a Isabella dal pontefice e dal doge di Genova Tommaso di Campofregoso, la situazione militare si era evoluta in senso favorevole al Magnanimo, che alla fine del 1436 si era impadronito di Gaeta, Capua, Ischia e di quasi tutta la provincia di Terra di Lavoro (ma Maddaloni rimase fedele agli Angioini), parte del Principato Citra, numerose terre e signorie delle altre province del Regno e l’ampio Stato del principe di Taranto, suo potente alleato. All’inizio del 1437 gli angioini persero anche Castelnuovo e Castel dell’Ovo, due fortezze napoletane di importanza fondamentale per la loro posizione strategica.

Renato sostò dapprima a Genova, dove sbarcò il 15 aprile 1438; ripartì dopo aver riconosciuto alla città una serie di privilegi di natura commerciale, giungendo a Napoli il 19 maggio. Cavalcò per la capitale il giovedì dell’Ascensione, secondo la consuetudine del Regno, dopodiché si dedicò innanzitutto a sistemare gli affari interni della città (inviando nel contempo nel Ducato di Bar, con il titolo di governatore, il figlio cadetto Luigi, marchese di Pont). Nel corso dell’estate riconquistò Scafati, il Ducato di Amalfi e altre terre della costa tirrenica (Sorrento, Massa e Castellammare); poi nell’agosto del 1437 si recò in Abruzzo (territorio da lui considerato base cruciale per la cacciata degli aragonesi), dove sin dal giugno operavano il valente condottiero Giacomo Caldora (cui era affidato il comando delle forze angioine) e Francesco Sforza, e sul fronte opposto lo stesso Alfonso.

Favorevoli a Renato erano, nella regione, Vasto, la fedelissima città dell’Aquila e le terre di Caldora, mentre Chieti, Popoli e Sulmona erano sottoposte agli aragonesi. Il Magnanimo accettò la proposta fattagli da un araldo di Renato per definire le condizioni di una battaglia decisiva, che avrebbe dovuto svolgersi l’8 settembre 1437 nella piana posta tra Capua e Maddaloni, particolarmente adatta al combattimento, ma l’angioino non si presentò rimanendo in Abruzzo (dove riconquistò Albe e Celano, ma non Sulmona), mentre Alfonso ridusse all’obbedienza numerosi baroni della provincia e accerchiò Napoli fino al 17 ottobre 1437, abbandonando poi l’assedio per la morte del fratello Pietro d’Aragona, ucciso da un colpo di artiglieria. Dopo un rapido passaggio a Lucera, Renato poté così rientrare a Napoli senza ostacoli verso la metà di dicembre del 1437: gli obbedivano la maggior parte degli Abruzzi e delle province di Capitanata, Basilicata e Calabria, ma solo nell’estate del 1439 riconquistò Castelnuovo e Castel dell’Ovo, a Napoli.

Nel gennaio del 1440 il Magnanimo, dopo aver conquistato Salerno, prese Acerra e assediò il castello di Aversa. Renato ordinò ad Antonio Caldora (che aveva sostituito il padre, morto nel novembre del 1439) di liberare la città, ma questi, considerando le proprie forze numericamente inferiori all’esercito aragonese, decise di dirigersi verso la Puglia per riconquistare le terre perdute e di muovere poi verso gli Abruzzi, dove sollecitava Renato a recarsi per rafforzare la fedeltà della regione al partito angioino. Fu la svolta decisiva della guerra.

Renato fece innanzitutto diffondere la notizia che si sarebbe recato insieme alla famiglia a Firenze per chiedere aiuto a papa Eugenio IV (che nel giugno del 1439 era stato deposto dai padri del Concilio di Basilea, i quali, a novembre, avevano proceduto all’elezione dell’antipapa Felice V). Recatosi invece a Lucera per sollevare gli animi dei sostenitori, mosse poi verso l’Abruzzo e convinse Caldora a prestare soccorso ad Aversa. L’esercito angioino si diresse così verso la Campania; ad Apollosa (La Pelosa), nei pressi di Benevento, si presentò l’occasione favorevole per lo scontro decisivo con l’esercito di Alfonso. Tuttavia, avendo Renato rinviato il pagamento delle truppe, Caldora (che già in precedenza, in Abruzzo, aveva rivendicato denaro e viveri) decise di non procedere nello scontro, adducendo a pretesto la superiorità numerica dei nemici. Renato reagì imprigionando Caldora al rientro a Napoli, provocando la ribellione dei suoi uomini, i quali lo costrinsero a liberare il condottiero che, come era prevedibile, offrì i propri servigi ad Alfonso.

Ad agosto Renato rispedì in Francia Isabella, affidandole il governo dei suoi domini d’Oltralpe in qualità di luogotenente generale. Da allora si trasferì a Castelnuovo per meglio provvedere alla difesa della città. Consapevole dell’inferiorità delle proprie forze, Renato offrì la corona ad Alfonso purché questi adottasse come proprio erede il primogenito Giovanni, già formalmente duca di Calabria, titolo spettante all’erede al trono napoletano, ma il Magnanimo rifiutò tale proposta. Nonostante il soccorso prestato a Renato dalle truppe pontificie e genovesi, guidate rispettivamente dal conte di Tagliacozzo e da Aron Cybo, i nemici riuscirono a sottomettere rapidamente la Calabria, gli Abruzzi e, dopo aver avuto Caiazzo, posero l’assedio contro Napoli nel novembre del 1441. Gli aragonesi presero Castel dell’Ovo, conquistarono le città circostanti, quali Pozzuoli e Torre del Greco, ed entrarono a Napoli il 2 giugno 1442, costringendo Renato ad abbandonare il Regno. Nel corso del ritorno in Francia sostò a Firenze, dove ricevette dal papa la bolla d’investitura, ma alla fine di ottobre era già in Provenza. Iniziava così la terza e ultima fase, un quarantennio circa (1442-80), della lunga vita di Renato.

Interessato a consolidare la propria posizione alla corte del re di Francia, Renato servì lealmente Carlo VII, prendendo parte ai negoziati che il re stava conducendo con gli inglesi a Tours, nell’ultima fase della guerra dei Cent’anni. Il trattato (1444) fu consolidato con il matrimonio a Nancy della figlia di Renato, Margherita, con il re d’Inghilterra Enrico VI. Renato diede il proprio contributo anche al tentativo di Carlo VII di ricomporre lo scisma pontificio, nominando due propri rappresentanti, i vescovi di Toulon e di Marsiglia, nella delegazione con la quale il monarca francese chiese le dimissioni dell’antipapa Felice V. L’anno seguente, in seguito alla rottura della tregua da parte degli inglesi, combatté al fianco di Carlo VII per la conquista della Normandia, che lasciarono vittoriosi nell’agosto del 1450.

Il 17 febbraio 1453 la regina Isabella morì e il Ducato di Lorena fu ceduto al primogenito Giovanni, che già lo governava. Nello stesso anno il re di Francia decise di inviare Renato in Italia per portare aiuto a Francesco Sforza, in lotta contro gli Orléans per il possesso del Ducato di Milano in seguito alla morte senza eredi di Filippo Maria Visconti; un accordo stipulato a Tours prevedeva che Renato dovesse combattere alla testa di un esercito di 10.400 cavalli. Fu anche l’ultimo, pallido tentativo di rivendicare i diritti sul Regno di Napoli mediante la stipula di alleanze e accordi.

Partito da Angers il 4 maggio dopo aver affidato il governo del Ducato d’Angiò al consiglio, presieduto da Bertrand de Beauvau, aiutò i milanesi a riconquistare numerose località (anche con l’appoggio dei fiorentini), soggiornando a Piacenza durante la stagione invernale. Ma proprio allora, a causa della scarsità delle risorse e delle preoccupanti notizie che giungevano da Costantinopoli, furono avviate le trattative di pace che sfociarono nel trattato di Lodi (1454), volto a garantire la difesa della penisola italiana dalla minaccia dei turchi. Scomparsa anche la minima prospettiva di veder realizzate le proprie aspirazioni sul Regno meridionale, Renato decise di rientrare in Francia, pur promettendo di inviare in Italia il figlio Giovanni. Lasciata Piacenza il 4 gennaio 1454, era già ad Aix-en-Provence all’inizio del mese successivo.

Un estremo tentativo angioino in Italia fu in effetti compiuto proprio da Giovanni, alcuni anni più tardi. Inviato nel 1458 a Genova da Carlo VII, costui sottoscrisse l’atto di sottomissione della città alla monarchia francese, e tentò poi (essendo morto nel giugno 1458 Alfonso il Magnanimo) una spedizione nel Regno di Napoli contro il figlio illegittimo di Alfonso ed erede al trono napoletano, Ferrante I d’Aragona. Dopo alterne vicende, Giovanni fu duramente sconfitto a Troia nell’agosto del 1462. La disfatta angioina ebbe come conseguenza la ribellione di Genova, che l’anno seguente il nuovo re di Francia Luigi XI cedette al duca di Milano.

Il 10 settembre 1454 Renato sposò Jeanne, figlia del conte di Laval Guy XIV e di Isabella di Bretagna, la quale portò in dote 40.000 scudi; il matrimonio con una donna di una famiglia della media aristocrazia, da poco integratasi nei circoli dell’alta nobiltà grazie all’erezione in contea della signoria di Laval (1429), indusse Renato a proseguire il ridimensionamento del raggio della sua azione politica, e a rivolgere i propri interessi verso lo scacchiere politico francese e catalano.

Nel 1466 infatti i catalani, ribellatisi al re Giovanni II d’Aragona, appartenente alla dinastia castigliana dei Trastámara, inviarono a Renato una delegazione presieduta dall’abate di Ripoll, Ponce Andreu, per offrirgli la corona. La madre di Renato, infatti, apparteneva all’estinta casata barcellonese, essendo Iolanda figlia del re Giovanni I d’Aragona, predecessore di Martino I, morto senza eredi. Renato accettò la proposta e l’anno seguente inviò in Catalogna una spedizione, il cui comando fu affidato ancora una volta al figlio Giovanni, in qualità di luogotenente generale. D’altra parte, Renato era personalmente impegnato negli affari interni della Francia, dal momento che Luigi XI, in lotta con il duca di Bretagna, lo aveva nominato luogotenente generale in vari territori, fino a quando nel settembre del 1468 fu stipulata la pace. Nel 1469 ottenne dai suoi sudditi un donativo di 70.000 fiorini che fu trasferito al figlio Giovanni, recatosi in Provenza durante una tregua, nel corso della quale la luogotenenza nella penisola iberica fu lasciata al conte d’Harcourt. In Spagna Giovanni ottenne notevoli successi militari, ma il 16 dicembre 1470 morì improvvisamente a Barcellona, probabilmente avvelenato. La maggior parte dei territori acquisiti fino a quel momento dalle forze angioine andò perduta nel corso dell’anno seguente e nell’ottobre del 1472 Barcellona si arrese definitivamente al re d’Aragona.

L’ultimo decennio di vita segnò il definitivo tramonto politico di Renato, i cui rapporti con la monarchia francese peggiorarono progressivamente. Luigi XI approfittò dell’indebolimento di Renato negli ultimi anni della sua vita per impadronirsi di fatto dei ducati d’Angiò e di Bar fin dal 1474. Tra l’altro il monarca francese sospettava Renato di tradimento, dal momento che il nipote Nicola, figlio di Giovanni, defunto, aveva stipulato un’alleanza con il duca di Borgogna Carlo il Temerario. Anche la Provenza andò alla Corona francese, sebbene il conte del Maine, Carlo d’Angiò, nipote (figlio di un fratello) ed erede principale di Renato, ne mantenesse l’usufrutto. Alla morte di questi, avvenuta nel dicembre del 1481, Luigi XI acquisì sia la Provenza sia il Maine.

Negli ultimi anni della vita, Renato (che – appassionato di tornei – non aveva mancato di fondare, sin dal 1448, l’Ordine militare del crescente o Croissant) si dedicò in modo particolare alle arti e alla cultura, circondandosi di artisti e letterati nel castello di Tarascona. Morì ad Aix-en-Provence il 10 luglio 1480.

Contro le pretese del priore di Saint-Maximin che la salma (in virtù di una volontà che Renato avrebbe espresso oralmente) fosse conservata in Provenza, Jeanne de Laval riuscì a portare il cadavere nell’Angiò nascondendolo nel suo guardaroba. Renato aveva infatti deciso per testamento di farsi seppellire nella cattedrale di S. Maurice d’Angers, dove era già sepolta la prima moglie, Isabella; il cuore, secondo una disposizione del giugno del 1453, doveva invece essere conservato nella cappella della chiesa dei Minori osservanti della medesima città, che egli stesso aveva fatto intitolare a Bernardino da Siena. Le viscera invece furono destinate a essere custodite in Provenza, nella cappella Notre-Dame della chiesa dei Carmelitani di Aix.

Dei suoi nove figli, sopravvisse a Renato soltanto Iolanda di Vaudémont. La monarchia francese acquisì i suoi domini, compresa la Lorena (ricongiuntasi al Ducato di Bar), e i diritti sul Regno di Napoli.

Vittima più che artefice dei principali eventi della sua vita Renato d’Angiò fu un principe travolto dall’inesorabile processo di crescita delle grandi monarchie nazionali europee. In Italia non fu in grado di competere con i sovrani aragonesi di Napoli, anche per la scarsa capacità di stabilire relazioni politiche durature. Alla sua carriera politica sostanzialmente fallimentare va contrapposta la sua importanza in ambito culturale, come autore e mecenate. Amante delle arti e della cultura, Renato possedette una biblioteca costituita da più di 200 manoscritti, di cui non meno di 80 di carattere religioso. Egli stesso scrisse varie opere letterarie, quali un trattato di contenuto moraleggiante (Mortifiement de vaine plaisance), due romanzi allegorici (Livre du coeur d’amour épris, Abbusé en court), un romanzo cavalleresco (Livre des tournois) e diversi poemi, tra cui il Regnault et Jeanneton, che tratta del suo corteggiamento a Jeanne de Laval.

Liberale verso le chiese e i monasteri situati tanto nell’Angiò quanto in Provenza e nella Lorena, al punto da guadagnarsi la denominazione di «le Bon Roi René», finanziò direttamente la costruzione o la ristrutturazione di strutture ecclesiastiche, quali il convento carmelitano d’Angers e la chiesa di Santa Marta di Tarascona. Contribuì inoltre al completamento della facciata del convento domenicano di Marsiglia e alla realizzazione di lavori nel convento di Saint-Maximin ad Aix-en-Provence. Commissionò infine la realizzazione di diverse opere artistiche: gruppi scultorei, come quello in cui si fece rappresentare insieme alla moglie Jeanne de Laval nell’ambito di una scena tratta dagli Atti degli Apostoli; dipinti murali, quali quelli della cappella di S. Sebastiano nella Chiesa di S. Pietro di Bar-le-Duc; retabli dipinti, come il Buisson ardent, offerto ai Carmelitani di Aix, il Portement de Croix, assegnato all’Ordine dei celestini d’Avignone e la Crucifixion, concessa ai frati minori di Laval; nonché due vetrate della cattedrale d’Angers e una grande vetrata nell’abbazia di Loroux.

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