RENDITA

Enciclopedia Italiana (1936)

RENDITA

Renzo FUBINI
Giulio VENZI

. L'espressione "rendita" (fr. rente; sp. renta; ted. Rente; ingl. rent) ha assunto spesso nel linguaggio tecnico degli economisti significati diversi da quello generico, che prevale nel linguaggio comune. Per quest'ultimo rendita e reddito sono espressioni equivalenti oppure, talora, rendita è il rapporto, espresso per lo più in moneta, tra il valore di un dato reddito e il valore complessivo di un corrispondente capitale impiegato in un qualsiasi investimento per un certo periodo di tempo. Il termine inglese rent, a differenza del termine italiano "rendita" significa più propriamente affitto (da parte dell'affittuario). Nettamente diverso è il significato che l'espressione ha assunto negli scritti degli economisti classici e di buona parte degli economisti posteriori.

Teoria economica della rendita.

La rendita di Quesnay è un fenomeno circoscritto, non generale; è manifestazione della singolare "munificenza" della natura, la cui opera è variamente secondata, con adeguati investimenti, dai proprietarî terrieri. Fenomeno proprio della produzione agricola o, in genere, delle produzioni "originarie", contrapposte alla produzione industriale e ai commerci; punto di partenza d'ogni spiegazione razionale dei fenomeni economici e sociali; indice, col suo variare, d'ogni progresso o regresso della società, costituisce un elemento centrale del sistema fisiocratico, in tanta parte basato sulla tendenziale identificazione degl'interessi della classe dei proprietarî terrieri con gl'interessi della collettività.

La rendita di Ricardo è l'espressione dell'"avarizia" della natura: gli ostacoli, che questa oppone agli sforzi dell'uomo, non possono essere efficacemente superati con adeguati investimenti. Non è un guadagno assoluto che spetti in condizioni normali a tutti i proprietarî terrieri; se tutte le terre fossero ugualmente fertili non vi sarebbe rendita ricardiana: è un guadagno di carattere differenziale a pro' dei proprietarî di terreni più fortunati. Deriva dalla diversa struttura dei costi delle varie imprese o anche dalla dinamica dei costi della stessa impresa considerata in diversi istanti di tempo (costi crescenti). È un fenomeno di prezzo in condizioni di libera concorrenza; nella sua essenza, collegato com'è a fenomeni d'ordine naturale, è però del tutto indipendente dai particolari caratteri dell'assetto giuridico della società: si verificherebbe anche in assenza di un'economia di scambio (ad esempio, in una economia comunista). Giova, comunque, ai fini di una chiara intelligenza del fenomeno, considerarlo in relazione alle condizioni di siffatta economia; acquistano, in tal modo, un preciso rilievo le famose tesi ricardiane: la rendita, di per sé, non è causa del prezzo, ma ne è un effetto; il prezzo dei prodotti determina la rendita e questa, a sua volta, influenza il prezzo della terra a tutto, ed esclusivo, vantaggio dei proprietarî terrieri, i cui interessi sono in contrasto con gl'interessi delle altre classi e della collettività che risulta dal loro aggregato.

Per il Ricardo, come per il Quesnay, il fenomeno della rendita è limitato alla produzione agricola, o, in genere, alle produzioni originarie. L'idea da cui egli parte, generalizzata dalla teoria moderna, è che le forze naturali sono limitate e, in quanto tali, impongono un onere particolarmente gravoso alla collettività. Un'eventuale appropriazione della rendita da parte dello stato modificherebbe la distribuzione della ricchezza a dànno dei proprietarî terrieri, ma, di per sé, non potrebbe modificare le condizioni di vita della società considerata nel suo complesso. I fenomeni di rendita non possono essere eliminati. Le forze naturali, in un dato istante, non sono suscettive di variazione; non c'è che da prendere atto della loro esistenza e tentare di combinare tra loro, nel miglior modo possibile consentito dalle condizioni tutte dell'ambiente, i varî fattori di produzione; le forze umane, contrapposte alle forze naturali, si combinano con queste ultime. La terra meno fertile, o più lontana dal mercato di consumo, determina, col suo costo marginale più elevato, il prezzo: le terre più fertili, o più vicine al mercato, ricevono come rendita ricardiana la differenza fra il costo di produzione delle terre meno fertili e il loro. La teoria del Ricardo, logicamente inquadrata nel suo sistema, segna un netto distacco nei confronti della teoria del Quesnay, di fronte alla quale A. Smith, nei suoi tentativi di conciliare le vecchie tendenze dottrinali con le nuove, si era mostrato incerto. I postricardiani hanno sviluppato variamente le idee del maestro: gli stessi suoi avversarî e, in genere, i creatori di altri sistemi scientifici hanno sviluppato idee da lui svolte o adombrate, quale quella per cui la rendita non è causa del prezzo, ma ne è effetto (estesa a tutte le rimunerazioni, indipendentemente da ogni specifica considerazione sui singoli fattori di produzione); quella, anch'essa generalizzata, per cui la teoria della formazione del prezzo e della distribuzione del reddito va impostata, almeno in una certa misura, in termini marginali e quella dell'ineluttabile manifestarsi in un'economia statica della tendenza ai costi crescenti. La stessa idea della limitazione delle forze naturali, della loro scarsità, è stata talmente generalizzata da essere assunta nell'economia postjevonsiana, o postmengeriana che dir si voglia, a caratteristica essenziale del concetto di "bene economico".

Nella teoria della rendita - anticipata da James Anderson, da Edward West e da Roberto Malthus, ma assunta soltanto da Ricardo a elemento integrale d'un sistema scientifico, diretto a spiegare tutti i fenomeni di distribuzione - gli studiosi moderni distinguono una parte statica e una parte dinamica. La parte statica, su accennata nella sua formulazione più semplice, si basa su tre ipotesi relative a tre condizioni necessarie e sufficienti: 1. l'esistenza di terre di differente qualità, le quali, a parità di costo vale a dire sempre che s'impieghi in ciascuna pari quantità di lavoro e di capitale, diano quantità diverse di uno stesso prodotto; 2: la necessità di ricorrere alla coltivazione di terre di 2ª, 3ª, ... qualità, ritenendosi insufficiente, ai bisogni della popolazione, il prodotto delle terre di 1ª qualità; 3. l'esistenza su uno stesso mercato, nello stesso istante, di un prezzo unitario unico per merci d'identica qualità, qualunque sia stato il loro costo di produzione (legge d'indifferenza del Jevons). Ammesse dette ipotesi o altre ipotesi a esse equivalenti, le conseguenze discendono logicamente. L'elemento della distanza dal mercato dei fornitori e dei consumatori è stato studiato da J. H. von Thünen. Il problema dei fattori di produzione "costosi" e "non costosi", vale a dire non prodotti dall'uomo e operanti, almeno in parte, senza alcun merito da parte sua, è stato considerato, sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista morale, da molti studiosi e da molti politici: è tuttora dominante nei sistemi scientifici moderni di A. Marshall e di A. C. Pigou. Singoli problemi di economia teorica e applicata, tra i quali quello, non ben precisato in molti sistemi, del profitto, sono stati trattati, a varie riprese, sulla falsariga della dottrina della rendita ricardiana. È stata ammessa la possibilità della coesistenza, accanto alla rendita differenziale, di una rendita assoluta; quando in un singolo mercato la quantità di terra è assai scarsa, può accadere che anche le terre di qualità inferiore presentino un margine tra prezzo di vendita e spese di produzione: è impossibile il ricorso a terre più sterili di quelle coltivate. È stato variamente elaborato il concetto di "margine". Sono state studiate, sempre nell'ordine d'idee del Ricardo, diverse specie di rendita (mineraria, edilizia, idraulica, ecc.), variamente contrapposte alla rendita fondiaria. Di fronte all'immensa influenza esercitata dalla dottrina ricardiana, il semplice fatto dell'aperta aderenza, o della più o meno ampia divergenza, nei suoi confronti da parte dei varî autori assume, per lo più, un'importanza quasi trascurabile, prevalentemente formale. Molte discussioni sono basate su equivoci: non ne è immune lo stesso F. Ferrara, il quale, ha pur elaborato elementi preziosi per le trattazioni moderne più comprensive e tecnicamente più perfette.

La parte dinamica della dottrina ricardiana si presta, più di quanto non si presti la parte statica, a essere posta in dubbio. Permane però un'incertezza, non facilmente eliminabile: allorché il R. cardo espone considerazioni sull'ordine delle colture o sul fatale antagonismo tra proprietarî terrieri e imprenditori, o allorché sostiene, in contrasto con lo Smith, che l'aumento del risparmio diminuisce il saggio del profitto, non distinto da quello dell'interesse, soltanto allorché si deve far ricorso a terre meno fertili (onde tutta la dinamica economica appare in funzione del crescente ricorso alle terre sterili), ragiona egli in base a ipotesi fittizie, costruite a scopo di studio, o vuole egli realmente porre in luce ineluttabili tendenze storiche? Certo il suo sistema, per quanto geniale e fecondo, è troppo semplice e non si presta facilmente a illuminare gli oscuri fenomeni della dinamica economica: richiama però, pur sempre, l'attenzione su certi momenti di contrasto, di cui la politica economica deve tenere debito conto; è questo essenzialmente il suo valore, che è sfuggito al Ferrara e a molti altri ec0nomisti, ma che non è sfuggito al Marshall. È stato rivelato in varie occasioni come egli avesse particolarmente presenti le condiziom dell'Inghilterra dei suoi tempi e, ben lungi dal perseguire indagini astratte, s'interessasse assai delle applicazioni pratiche delle proprie dottrine.

L'aspetto statico e l'aspetto dinamico, fusi nella trattazione del Ricardo, si prestano agevolmente a essere separati tra loro. Il concetto di statica non è esplicitamente formulato dal Ricardo, ma è implicito in molte sue costruzioni, specie nella teoria generale del valore, di cui la teoria della rendita vorrebbe costituire un lato particolare; così si dica del concetto di libera concorrenza, che, pur ammettendo la durevole coesistenza di produttori marginali e di produttori privilegiati, implica un agevole trasferimento, nell'ambito della nazione, degl'imprenditori da un ramo all'altro di produzione. Siffatti concetti sono stati rielaborati, ai fini della costruzione del loro grandioso sistema dell'equilibrio generale, da L. Walras e da V. Pareto. Tra gli svolgimenti particolari dovuti a quest'ultimo, occupa un posto notevole la teoria della rendita, la quale, in un certo senso, segna un superamento nei confronti della teoria ricardiana. La statica, quale è intesa da questi autori, implica la possibilità astratta del conseguimento di una posizione di equilibrio, vale a dire di perfetta immobilità, per tutti gl'individui in un dato unico istante di tempo. La libera concorrenza, intesa con maggior rigore di quanto fosse dagli economisti precedenti, implica, non semplicemente, come per il Ricardo, un agevole passaggio da un ramo all'altro di produzione, bensì un passaggio pronto e a costo zero: per quanto concerne specificamente i fenomeni di capitalizzazione occorre a tal fine che il risparmio sia perfettamente libero di trasformarsi prontamente in quei capitali che dànno un frutto netto più elevato e di ritrarsi, altrettanto prontamente, da quelli che dànno un frutto netto meno elevato. Tale possibilità è spesso preclusa da varie circostanze: basti pensare a certe terre, a certe aree edilizie o a certi impianti; il nuovo risparmio non si può trasformare in terre, aree e impianti analoghi, sì da muovere concorrenza agli attuali proprietarî di tali beni, i quali vengono a godere di un particolare reddito di monopolio, costituito appunto dalla rendita. La natura essenzialmente dinamica di siffatta rendita emerge ove si consideri l'ipotesi del passaggio da una posizione di equilibrio (in cui non esistono fenomeni di rendita e i frutti netti dei varî impieghi sono uguali tra di loro) a una seconda posizione di equilibrio, in cui l'uguaglianza dei frutti netti non si può più realizzare per certi beni. I risparmî, ove occorra, si possono trasformare prontamente in certi beni, ma non si possono trasformare (o si possono trasformare soltanto difficilmente e lentamente) in certi altri: si verificano fenomeni di rendita positiva. Fenomeni analoghi (rendita negativa) si verificano per l'impossibilità (o difficoltà) di disinvestire, ove occorra, i risparmî da certi impieghi. Fenomeni di rendita, sia positiva sia negativa, si susseguono e interferiscono di continuo. La teoria ricardiana appare non solo generalizzata, ma anche considerata da nuovi punti di vista, in funzione dei quali molti corollarî del Ricardo assumono un aspetto nuovo. La valutazione, non sempre equanime, delle vecchie dottrine avviene in relazione alla teoria dell'equilibrio generale, in relazione cioè a una teoria, che poggia su una base del tutto diversa da quella del Ricardo. Uno dei suoi canoni fondamentali riflette la mutua dipendenza di tutti i fenomeni economici, onde, ad esempio, perde di significato la tesi ricardiana per cui la rendita è effetto, non causa del prezzo: per il Pareto ciascun fenomeno, sia economico sia sociale, è contemporaneamente causa ed effetto di tutti gli altri fenomeni con cui coesiste. In un certo senso, quindi, il superamento può apparire completo. Chi rifletta però al carattere sommamente astratto della costruzione paretiana e alla difficoltà di applicarla all'interpretazione dei fenomeni concreti (fine ultimo di ogni indagine scientifica) si avvede che il superamento è parziale e che la costruzione del Ricardo, nonostante la sua estrema semplicità e tutte le imperfezioni rilevate dai critici, è pur sempre uno strumento prezioso ai fini dell'interpretazione dei determinati fatti concreti. Ma, come per ogni altro strumento, l'opera sua può essere completata da quella di altri strumenti, con cui può coesistere, ciascuno degli strumenti (ogni sistema scientifico è in certa guisa uno strumento) avendo una ragione propria, autonoma di vita. Il valore dell'affermazione ricardiana per cui la rendita non entra nel costo di produzione e i limiti con cui la tesi può essere accolta sono posti in rilievo dal Marshall, laddove altri autori moderni preferiscono, per ragioni metodologiche, evitare questi aspetti del problema.

Accanto ai surricordati fenomeni di rendita oggettiva, varî autori postclassici hanno considerato pure fenomeni di rendita soggettiva, che vanno tenuti nettamente distinti dai primi. Sono questi essenzialmente i concetti di rendita del consumatore e di rendita del produttore, generalizzati dal Marshall, che giovano a porre in rilievo i vantaggi d'ordine soggettivo che i singoli ricavano, nel corso della loro attività, dal fatto di essere, comunque, stati in grado di pagare per i servizî acquistati sul mercato un prezzo inferiore a quello che, a parità di circostanze, sarebbero stati disposti all'occorrenza a corrispondere. Siffatti vantaggi con qualche cautela sono valutabili in moneta: la loro essenza è però essenzialmente soggettiva, conforme alla natura dei fini teorici per cui detti concetti sono stati posti innanzi e delle applicazioni pratiche per cui da taluno si vogliono adibire. Caso particolare della rendita del produttore è la rendita del risparmiatore, derivante dal fatto dell'esistenza sul mercato di un saggio d'interesse positivo maggiore di quello di cui certi risparmiatori al margine si accontenterebbero: è stato posto in rilievo che molti risparmiatori accumolerebbero parte del loro reddito anche in assenza di una remunerazione e molti altri anche se la remunerazione conseguita fosse di molto inferiore a quella che di fatto conseguono.

Bibl.: Oltre ai trattati di economia politica di J. Stuart Mill, M. Pantaleoni, A. Marshall, V. Pareto, v.: A. Loria, La rendita e la sua elisione naturale, Milano 1880; E. Nazzani, La rendita fondiaria, in Saggi, ivi 1881; K. Wicksell, Über Wert, Kapital und Rente, Jena 1893, rist. Londra 1933; G. Sensini, La teoria della "rendita", Roma 1912; B. Samsonoff, Esquisse d'une théorie générale de la rente, Losanna 1912.

Costituzione di rendita.

Il contratto di costituzione di rendita è quello col quale una persona si obbliga a corrispondere a un'altra un'annua prestazione in denaro o in derrate, contro la cessione di un immobile o il pagamento di un capitale che non è più ripetibile (art. 1778 cod. civ.). Questo contratto si può stipulare per durare in perpetuo, oppure per la vita di una persona, oppure per un tempo determinato. Il codice civile si occupa della prima specie negli articoli 1780-1788; della seconda specie negli articoli 1789-1801; non si occupa della terza specie, che non offre nulla di particolare importanza ed è regolata dai principî generali di diritto.

Rendita perpetua. - La costituzione di rendita perpetua fu molto in uso nei tempi passati, quando il credito fondiario era poco o nulla sviluppato, ed era vietato l'interesse delle somme di danaro date in prestito; di modo che la consegna di un fondo, o di un capitale assicurato sopra un fondo, appariva un buon mezzo per un fruttuoso impiego di capitali. Ma oggi, tolto il divieto dell'usura, e sviluppato e perfezionato il congegno del credito fondiario, questo contratto è caduto in disuso. La rendita perpetua si distingue in fondiaria e semplice. La rendita fondiaria si costituisce quale prezzo di alienazione di un immobile, se è fatta a titolo oneroso, o come condizione dell'alienazione se è fatta a titolo gratuito; nel primo caso la forma da osservare è quella della vendita, nel secondo quella della donazione; in entrambi i casi la proprietà dell'immobile passa al cessionario (articoli 1780, 1781). Questa figura nei tempi anteriori era chiamata censo riservativo o retentivo o rendita fondiaria. La rendita semplice, o censo, si costituisce mediante la cessione di un capitale assicurato con una speciale ipoteca sopra un fondo (art. 1782); e a questo tipo corrispondeva, in passato, il censo consegnativo o costitutivo, detto anche bollare (perché regolato da una bolla di Pio V nel 1568).

La rendita moderna differisce essenzialmente dall'antica per la redimibilità, cioè per la facoltà che la legge accorda al debitore di riscattarla quando ereda, nonostante qualunque patto contrario (art. 1783 pr.). In deroga ai principî comuni di diritto transitorio, per favorire la libertà dei fondi, la facoltà del riscatto è accordata anche per le rendite costituite sotto le leggi antecedenti, che tale facoltà non consentivano (articoli 29, 30 delle disposizioni transitorie dal cod. civ.); nel resto, queste rendite sono regolate dalla legge sotto la quale furono costituite. Il riscatto si opera rimborsando, nella rendita semplice, il capitale pagato per la sua costituzione; nella rendita fondiaria, pagando un capitale in danaro corrispondente alla rendita sulla base dell'interesse legale; se la rendita è in derrate, si calcola il prezzo medio di queste negli ultimi dieci anni (art. 1784). Un patto che proibisse il riscatto, non avrebbe valore, come già è stato accennato; ma si può stipulare che il riscatto non si possa eseguire durante la vita del cedente, o prima di un certo termine, che nella rendita fondiaria non può eccedere i trent'anni e nella rendita semplice i dieci (art. 1783). In alcuni casi il debitore può esser obbligato al riscatto, e cioè, quando non paghi per due anni consecutivi la rendita, quando manchi di dare le cautele promesse, quando il fondo su cui è costituita o assicurata la rendita sia diviso tra più di tre persone per effetto di eredità o di alienazione, quando il debitore cada in fallimento o diventi altrimenti non solvente (art. 1785, 1786).

Entrambe le rendite, fondiaria e semplice, sono diritti mobiliari (come espressamente dichiara l'art. 418 capov. cod. civ.), essendo, in sostanza, semplici diritti di credito. Non è dubbio che la rendita semplice sia un diritto personale perché nessun diritto essa attribuisce al creditore sul fondo, salvo l'ipoteca che la garantisce; è dubbio, invece, se la rendita fondiaria attribuisca al creditore un diritto personale o reale. Nel diritto anteriore il diritto era certamente reale (onere reale), oggi l'opinione dominante considera anche questo come un diritto personale di credito, che non passa a carico dei successivi acquirenti del fondo. Tuttavia qualche residuo dell'antico carattere reale è rimasto, perché l'usufruttuario di un fondo soggetto a rendita fondiaria, è tenuto a pagare le annualità che lo gravano (articoli 506-509) e così anche il legatario (art. 878).

Rendita vitalizia. - Si ha quando viene stipulata la costituzione di una rendita, in danaro o in derrate, per la durata della vita di una persona. La rendita vitalizia può essere costituita a titolo oneroso, mediante la corresponsione di una somma di danaro o di altra cosa mobile o immobile (art. 1789); oppure a titolo gratuito, per donazione o per testamento (art. 1790). Durante la formazione del codice Napoleone fu molto discusso se questo istituto dovesse essere ammesso; l'opposizione si rivolgeva specialmente contro il contratto vitalizio a titolo oneroso, e si diceva che era illecito, al pari delle convenzioni sulla successione di una persona vivente, perché, come in queste, l'obbligato era spinto dal sentimento del proprio interesse a desiderare la morte dell'avente diritto; si diceva pure che non si doveva incoraggiare l'egoismo di chi pensa soltanto ad assicurarsi l'agiatezza durante le vita, senza darsi pensiero della sua famiglia, alla quale sottrae il capitale che dà in corrispettivo della rendita. Da questa e simili argomentazioni, il legislatore francese non si lasciò convincere, e il legislatore italiano ha seguito il suo esempio. In prosieguo di tempo, i pregiudizî contro le convenzioni con le quali le persone assennate cercano di assicurarsi i mezzi di sussistenza negli ultimi anni della vita, quando la capacità produttiva è cessata o almeno diminuita, caddero completamente; e, al contrario, tali convenzioni hanno sempre più acquistato favore, e sono state considerate giustamente come atti di doverosa previdenza. Anzi, dal campo del diritto civile sono passate a quello del diritto commerciale, e sono sorte molte società o compagnie d'assicurazione sulla vita, che fanno contratti con i quali si obbligano a pagare annualità a una persona, quando questa raggiunge una certa età, per tutto il resto della sua vita, contro il correspettivo di premî o annualità pagate dalla persona stessa anteriormente. Il codice di commercio regola questi contratti negli articoli 449-453 (v. assicurazione). Il contratto vitalizio regolato dal codice civile ha perduto gran parte della sua importanza pratica per il diffondersi di questi contratti di assicurazione sulla vita, che meglio corrispondono allo scopo.

Il codice civile pone nel titolo XIV (articoli 1789-1801) le basi fondamentali della rendita vitalizia. Quando essa è costituita con contratto a titolo oneroso, è un contratto aleatorio, com'è detto esplicitamente nell'art. 1102; è evidente che quando è, invece, costituito con atto di donazione o con testamento, non si può più parlare di alea, ma di liberalità maggiore o minore a seconda della durata della vita del beneficato. La forma dell'atto di costituzione della rendita vitalizia dipende naturalmente dal modo com'è costituita; sarà quindi quella del contratto, o della donazione, o del testamento a seconda dei casi. Ordinariamente la rendita vitalizia contrattuale è costituita a vantaggio della persona che l'ha stipulata e ne ha pagato il prezzo; può però essere costituita anche a vantaggio di un'altra persona (art. 1794). In tal caso lo stipulante compie un atto di liberalità a favore dell'altra persona, e dovrebbe osservare la forma stabilita per gli atti di liberalità (atto pubblico). Tuttavia la legge (art. 1794 capov.) non richiede questa forma, in considerazione che l'atto contiene anche, anzi principalmente, la costituzione della rendita a titolo oneroso nei riguardi dei contraenti, per la quale non è necessaria la forma dell'atto pubblico. La rendita vitalizia, oltre che sulla vita di colui che la costituisce (e questo è il caso ordinario), può pure essere costituita sulla vita di una terza persona; e anche sulla vita di più terze persone, che non sono minimamente interessate all'atto (articoli 1792-1793). La legge, che così dispone, è chiara; ma non è altrettanto chiara la ragione della legge. Lo scopo dell'istituto è di fornire a una persona i mezzi di sussistenza durante la sua vita; ora, se il terzo, sulla vita del quale la rendita è stata costituita, muore prima, lo scopo non è raggiunto; se muore dopo; ne avranno beneficio gli eredi, ma il beneficare gli eredi non rientra nello scopo dell'istituto. Si tratta di una disposizione tradizionale, passata dal codice francese nell'italiano; essa ha poca importanza pratica.

Mentre la rendita fondiaria o semplice è redimibile, la rendita vitalizia non lo è; ciò dipende dal carattere aleatorio del contratto. Pertanto il debitore è obbligato a pagare la prestazione anche se col decorso del tempo sia diventata gravosa, e non si può liberare da quest'obbligo, neppure restituendo ciò che ha ricevuto e rinunziando alle prestazioni già pagate (art. 1798). Il carattere aleatorio del contratto produce altresì la conseguenza che, qualora il debitore manchi all'obbligo di pagare la prestazione il creditore non ha diritto alla risoluzione del contratto e al conseguente ricupero della somma di denaro o della cosa data, ma ha soltanto il diritto di far sequestrare i beni del debitore e di pretendere che col ricavato della vendita si faccia l'impiego di una somma bastante a soddisfarlo (art. 1797). La misura della rendita è lasciata al volere delle parti, o può anche essere superiore a quella che risulterebbe dal calcolo dell'interesse legale; ciò è conseguenza della nessuna limitazione posta dalla legge civile alla pattuizione d'interessi.

Nell'uso comune si chiama contratto vitalizio o semplicemente vitalizio il contratto con cui una persona trasferisce ad altra persona un capitale in danaro o determinati beni, contro l'obbligo assunto da questa di procacciarle il mantenimento e l'assistenza durante la sua vita. Il codice civile italiano non si occupa di questo contratto, che è governato dai principî generali e dalle norme d'istituti analoghi, fra i quali è da porsi naturalmente, in prima linea, il contratto di rendita vitalizia. Il codice civile svizzero delle obbligazioni contiene una speciale trattazione di questo contratto. Secondo questo codice, il debitore è tenuto a fornire al creditore alloggio e vitto in modo conveniente, e in caso di malattia gli deve assistenza e cura medica. Il creditore entra a far parte della comunione domestica del debitore, e questi è obbligato a quelle prestazioni che si possono equamente attendere secondo il valore di quanto ha ricevuto in corrispettivo. Esistono anche istituti o convitti che hanno appunto lo scopo di prestare il vitalizio contro il pagamento di una somma di danaro o la cessione di un immobile.

Bibl.: Oltre i trattati generali di diritto civile, v. R. Pothier, Traité du contrat de constitution de rente, Bruxelles 1829; Henrion, Traité de rente foncière, Parigi 1829; A. Scotti, Della costituzione di rendita, in Monitore tribunali, 1865, p. 466 segg.; M. D'Arià, Sulla costituzione di rendita, in Notaio ital., 1884, i; R. Mensi, Contratti speciali, Torino 1895; G. Mirabelli, Contratti speciali, in Il diritto civile ital. diretto da P. Fiore, 2ª ed., Torino 1924; id., Delle rendite vecchie e nuove e della rendita vitalizia, in Diritto e giurisp., VII, p. 265; L. De Filippis, Dei contratti civili, Napoli 1933.

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