Rene

Universo del Corpo (2000)

Rene

Gabriella Argentin
Giulio A. Cinotti

Il rene è un organo proprio dei Vertebrati, che assicura l'eliminazione dall'organismo (attraverso un complesso meccanismo di filtrazione glomerulare e riassorbimento/secrezione tubulare) di acqua, soluti e prodotti terminali del metabolismo escreti sotto forma di urina. Il rene svolge pertanto una funzione di primo piano nel mantenimento dell'omeostasi e nell'eliminazione delle sostanze dannose (v. vol. 1°, II, cap. 8: Addome, Retroperitoneo).

Anatomofisiologia, evoluzione ed embriologia

di Gabriella Argentin


1.

Struttura e funzioni

Nell'uomo il rene è un organo pari situato nella parete posteriore dell'addome in posizione retroperitoneale, ai lati della colonna vertebrale, all'altezza delle ultime due vertebre toraciche e delle prime due lombari. È rivestito da una capsula di tessuto connettivo, a sua volta ricoperta da uno strato adiposo, ha colore rosso bruno, forma di fagiolo e una lunghezza di circa 10 cm. Il margine concavo è rivolto medialmente e presenta nel suo medio un'incisura, l'ilo del rene, in corrispondenza della quale penetrano i vasi sanguiferi renali e si diparte l'uretere, il quale convoglia l'urina alla vescica. In sezione longitudinale il rene appare costituito da due regioni, una periferica, o corticale, di aspetto più compatto, dove sono sparsi i numerosissimi glomeruli (sorta di gomitoli di capillari sanguigni) sede di filtrazione del plasma, e una interna, o midollare, formata da una serie di 8-12 formazioni a struttura striata e sezione conica (piramidi di Malpighi) che convogliano l'urina nella cavità interna del rene (pelvi renale o bacinetto). In questa cavità si trovano i calici renali, in numero pari a quello delle piramidi, i quali confluiscono in tre calici maggiori.

L'unità funzionale del rene è il nefrone, costituito da un glomerulo e da un lungo tubulo, che si diparte dalla capsula di Bowman ed è formato da una porzione prossimale e da una distale, collegate fra loro dall'ansa di Henle; il tubulo sbocca in dotti collettori di calibro maggiore che riunendosi formano le piramidi della midollare. Ciascun rene contiene circa un milione di nefroni. Il rene svolge sia la funzione di regolare il volume totale di acqua dell'organismo e la concentrazione dei soluti nei fluidi corporei, sia quella di espellere i prodotti di rifiuto. Questi compiti sono assolti mediante la combinazione di tre processi: la filtrazione del sangue, il riassorbimento del filtrato e la secrezione nel filtrato di sostanze specifiche. Il sangue entra nel rene attraverso l'arteria renale, che si suddivide in arterie sempre più piccole fino a formare arteriole, ciascuna delle quali termina in un glomerulo. Questo è posto tra due arteriole, una afferente e una efferente che si divide nei capillari peritubulari, i quali dopo aver circondato il tubulo renale si riuniscono in una piccola vena che conduce alla vena renale. All'interno del glomerulo, la vasocostrizione delle arteriole mantiene il sangue a una pressione piuttosto elevata, in conseguenza della quale circa un quinto della porzione liquida del sangue è spinto attraverso le pareti dei capillari nella capsula di Bowman, mentre vengono trattenute le cellule del sangue e le proteine plasmatiche, troppo grandi per filtrare all'esterno. Il filtrato che in questa fase passa nel tubulo contiene, oltre alle scorie metaboliche, sali e sostanze nutritive (glucosio, aminoacidi, vitamine ecc.) che essendo utili all'organismo devono essere riassorbiti.

Il riassorbimento è operato dalle cellule che tappezzano le porzioni prossimale e distale del tubulo e sono specializzate nel trasporto attivo di sostanze particolari: tali cellule pompano dal filtrato che attraversa il tubulo gli ioni e le altre sostanze reimmettendoli nel circolo sanguigno. Nel processo di secrezione le molecole rimaste nel plasma dopo la filtrazione sono selettivamente rimosse dai capillari peritubulari e secrete nel filtrato. Poiché la secrezione e il riassorbimento si svolgono per trasporto attivo, meccanismo che avviene contro il gradiente di concentrazione e necessita di energia, il rene presenta un elevato fabbisogno energetico, superiore, proporzionalmente al peso, a quello del cuore. Al termine dei processi rimane un'urina ipertonica, con una concentrazione tale da permettere l'eliminazione delle scorie con una perdita minima di acqua; il meccanismo di concentrazione ha sede nell'ansa di Henle, i cui rami discendente e ascendente presentano permeabilità diverse rispetto all'acqua e ai sali. La funzione renale è influenzata dagli ormoni, soprattutto l'ormone antidiuretico (ADH, Antidiuretic hormone) prodotto dall'ipotalamo e rilasciato dall'ipofisi, il peptide cardiaco rilasciato dagli atri del cuore, e l'aldosterone prodotto dalla corteccia surrenale.

2.

Filogenesi

Le molteplici funzioni dell'apparato renale sono tutte riconducibili a quella fondamentale di mantenere il più possibile costanti la composizione e il volume dei liquidi corporei (funzione omeostatica). La costanza dell'ambiente interno, in cui vivono le cellule di un organismo, è infatti condizione essenziale affinché le loro funzioni possano svolgersi in modo ottimale, ed è una esigenza che diviene tanto più acuta quanto più esse sono delicate e complesse. Nel corso della loro evoluzione, i vari gruppi animali hanno percorso cammini diversi e ciò ha influito anche sulla composizione del liquido interno, che comunque comprende sempre, oltre all'acqua, una serie di sali. Al fine di mantenere questa complessa situazione costante entro limiti piuttosto ristretti, gli animali hanno sviluppato strutture variamente specializzate sia per scambiare acqua e sali con l'ambiente esterno, sia per eliminare le scorie metaboliche. Alla complessità degli adattamenti che garantiscono lo svolgimento di queste funzioni, si contrappone l'unicità del modello strutturale che ne sta alla base. Fatta eccezione per alcuni animali, quali per es. le Spugne, le attinie e le stelle di mare che sono privi di organi specializzati ed effettuano l'osmoregolazione attraverso le membrane cellulari che tappezzano la superficie del corpo, nell'organismo di tutti gli altri è presente un tubulo che riceve dall'ambiente extracellulare, per filtrazione, un liquido, proveniente dal sistema circolatorio o dalla cavità generale del corpo. Il tubulo può modificare la composizione di tale filtrato, prelevando alcune sostanze e rilasciandone altre nell'ambiente.

Tutti gli organi coinvolti in questa funzione, anche se variano considerevolmente in rapporto ai diversi ambienti nei quali gli animali vivono, sono adibiti ad affrontare il problema dello scambio di materiale con l'ambiente, tenendo conto che l'acqua si muove spontaneamente verso regioni a concentrazione di soluti più alta e che le concentrazioni di soluto all'interno e all'esterno di un organismo raramente sono uguali. Solo alcuni Invertebrati che vivono in habitat marini, come il polpo, hanno liquidi organici la cui concentrazione salina è simile a quella dell'acqua di mare circostante; essi non perdono né acquistano acqua per osmosi e, quindi, non necessitano di un complesso apparato osmoregolatore; questo stato di isotonicità presenta però alcune limitazioni, sia per quanto riguarda i valori di salinità raggiungibili, sia per quanto concerne il tempo di sopravvivenza a tali valori. I Vertebrati acquatici sono, invece, in grado di mantenere la concentrazione dei propri sali a livelli diversi da quelli del loro ambiente e lo sviluppo dei glomeruli renali è in rapporto alla necessità di un maggiore o minore filtraggio dell'acqua. I Pesci marini sono generalmente ipotonici rispetto all'ambiente in cui vivono: presentano cioè una concentrazione salina interna più bassa dell'acqua di mare. Poiché questo comporta la tendenza a perdere acqua e il rischio di disidratazione e di iperconcentrazione di sali nel corpo, la maggior parte dei Pesci marini riacquista l'acqua che perde bevendo quella di mare ed eliminando il sale in eccesso dalle branchie, non produce pressoché urina e in molti casi ha reni rudimentali con forte riduzione o scomparsa dei glomeruli.

Gli animali che vivono in acqua dolce devono affrontare il problema opposto: poiché la concentrazione di sali al loro interno è maggiore di quella ambientale, essi tendono ad assumere acqua per osmosi, il che porterebbe a una rapida e letale diluizione dei liquidi interni se i tubuli con grandi glomeruli dei reni non permettessero una notevole eliminazione dell'acqua mediante un'urina molto diluita. Sembra, inoltre, che le branchie abbiano la possibilità, in questi Vertebrati, di assorbire sali. Problemi più gravi in termini di osmoregolazione sono quelli degli organismi terrestri che vivono in un ambiente secco e perdono continuamente acqua per traspirazione attraverso la superficie corporea, con il pericolo di disidratazione e conseguente aumento della concentrazione salina dei liquidi organici.

La conservazione dell'acqua è, quindi, necessaria anche perché gli organismi terrestri non hanno le branchie attraverso le quali eliminare i sali e i prodotti di rifiuto. Nei Rettili il risparmio d'acqua avviene sia attraverso la ritenzione dell'urina in una vescica cloacale le cui pareti hanno la capacità di riassorbire acqua, sia mediante la riduzione, nei reni, del volume dei glomeruli e quindi della quantità d'acqua filtrata attraverso essi. I Rettili marini, che bevono solo acqua di mare, devono anche eliminare l'eccesso di sale: le tartarughe hanno, a tal fine, una ghiandola nell'orbita addetta alla secrezione salina.

I Mammiferi hanno sviluppato un metodo differente per trattenere l'acqua. Essi hanno glomeruli normali per cui filtrano grandi quantità di acqua nei tubuli; questa, tuttavia, viene in seguito riassorbita grazie allo sviluppo di una lunga ansa (ansa di Henle), situata tra la parte prossimale e quella distale del tubulo. Alcuni Mammiferi che vivono in habitat desertici sviluppava adattamenti fisiologici e comportamentali che mantengono a un livello estremamente basso la perdita d'acqua. Il ratto canguro, per es., che abita nei deserti dell'America Settentrionale, può vivere indefinitamente di cibo secco senza mai bere: tutta l'acqua di cui ha bisogno o è presente nell'alimento o si forma come sottoprodotto di reazioni metaboliche; la sua conservazione è assicurata dalla capacità dell'animale di produrre un'urina altamente concentrata e dall'evitare, di giorno, il calore del deserto.

Anche i Mammiferi riadattatisi alla vita nei mari, totalmente come i Cetacei o parzialmente come i Pinnipedi, producono un'urina altamente concentrata per secernere i sali in eccesso. Negli Uccelli è sviluppata l'ansa di Henle, ma non è nota la ragione di questa economia idrica soprattutto nelle specie che hanno a disposizione molta acqua. Gli Uccelli marini, come i gabbiani, ingoiano acqua salata ed eliminano gli elettroliti a livello delle ghiandole nasali, così dette perché il loro dotto escretore si apre nelle fosse nasali e il loro secreto stilla all'esterno delle narici. Queste ghiandole possono comunque essere presenti anche in alcune forme terrestri ad habitat molto secco, quali per es. lo struzzo o la pernice del deserto. Oltre alla regolazione dell'equilibrio idrosalino, gli animali acquatici e terrestri differiscono anche rispetto al tipo di prodotti di rifiuto azotato che producono. Infatti, nella storia evolutiva dei Vertebrati, la completa emancipazione dall'ambiente acquatico, che esigeva una drastica economia idrica, ha portato a una totale ristrutturazione del rene e parallelamente a una modificazione nel metabolismo azotato. Il ricambio delle sostanze azotate, aminoacidi e, quindi, proteine, porta come cataboliti ultimi ad ammoniaca, urea e acido urico. La produzione di ammoniaca è metabolicamente più economica per l'organismo in confronto a quella dell'urea o dell'acido urico. Tuttavia essa è estremamente tossica e deve essere escreta a basse concentrazioni e altamente diluita. La sua produzione è, perciò, limitata a quegli animali che hanno a disposizione molta acqua: Pesci d'acqua dolce, Anfibi larvali o adulti tornati perennemente nell'acqua e coccodrilli.

Negli altri Vertebrati, Pesci marini e Vertebrati terrestri, quasi tutta l'ammoniaca viene invece trasformata nel fegato in composti ammoniacali non tossici. Eliminano urea i Pesci marini, gli Anfibi adulti e i Mammiferi, mentre eliminano acido urico, sostanza pressoché insolubile escreta sotto forma di sospensioni concentrate di aspetto gessoso, le lucertole, qualche tartaruga e gli Uccelli. Un caso a parte è rappresentato dai Condroitti, Pesci cartilaginei, come lo squalo, che pur vivendo in ambienti marini, la cui concentrazione salina è maggiore di quella dei liquidi interni, sono tuttavia ipertonici rispetto all'acqua di mare, in quanto il loro sangue contiene un eccesso di urea, eliminata dai reni in misura inferiore a quella prodotta. Essi possiedono grandi glomeruli come i Pesci d'acqua dolce ma non eliminano acqua e secernono gli ioni in eccesso mediante un'appendice digitiforme nella regione rettale, detta ghiandola rettale. Analizzando la struttura e la funzione del rene assume interesse il problema, da lungo tempo dibattuto, se i primi Vertebrati vivessero in acque dolci o marine. Essendosi questi animali ancestrali estinti in epoche remote ed essendo il rene un organo costituito da tessuti molli, non in grado di fossilizzare e di lasciare tracce, è necessario rivolgere l'attenzione allo sviluppo dell'apparato escretore delle classi primitive di Vertebrati, Pesci e Anfibi, poiché, entro certi limiti, lo sviluppo di un individuo ricapitola l'evoluzione del gruppo di appartenenza.

La formazione del rene è, tuttavia, molto complessa, perché a seconda delle varie classi di Vertebrati si sviluppano successivamente, nel tempo e nello spazio, due o tre reni ben distinti, dei quali solo l'ultimo in ordine cronologico e in ordine anteroposteriore è quello definitivo e funzionante nell'adulto, mentre i precedenti regrediscono. In tutti i Vertebrati, l'apparato escretore deriva da tre porzioni pari di mesoderma localizzate appena al di sotto del tessuto che darà le vertebre e i muscoli del tronco. Queste porzioni vengono definite, secondo l'asse cefalocaudale, pronefro, mesonefro e metanefro. La loro successione è cronologica e la loro localizzazione segue una sequenza filogenetica, dal momento che il metanefro si differenzia a partire dai Rettili. I primi nefroni sono dunque pronefrici e si aprono direttamente nella cavità corporea, o celoma, tramite un imbuto ciliato. In prossimità di questo è presente un gomitolo di capillari sporgente nel celoma e separato soltanto dal foglietto che delimita tale cavità e può quindi farvi filtrare il plasma. Questo rene persiste nella vita adulta solamente in alcuni Pesci ossei; ben presto, durante lo sviluppo, si forma un secondo rene o mesonefro in cui il glomerulo non sporge più verso il celoma, ma resta avvolto dalla capsula di Bowman. In uno stadio successivo scompare l'imbuto ciliato e il filtraggio avviene tra il glomerulo e il foglietto viscerale della capsula. Questo tipo di nefrone è presente sia nel mesonefro definitivo di Pesci e Anfibi, sia nel mesonefro transitorio di Rettili, Uccelli e Mammiferi. L'insieme dei dati raccolti concorda con l'ipotesi che nel vertebrato primitivo il filtraggio renale servisse all'eliminazione dell'eccesso idrico e che pertanto l'ambiente originario di questi antenati fosse rappresentato dalle acque dolci. Da essi sarebbero, in seguito, derivati organismi adattati alla vita nel mare e altri alla vita subaerea.

3.

Ontogenesi

Durante lo sviluppo embrionale del rene, il mesoderma di giunzione, posto fra la massa mesodermica che si segmenta a formare i somiti e il rivestimento del celoma, forma un cordone dal quale si svilupperà la maggior parte del sistema escretore, chiamato appunto cordone nefrogenico. I segmenti craniali di tale cordone costituiscono il pronefro, gli intermedi il mesonefro e quelli caudali il metanefro o rene definitivo. L'abbozzo del pronefro può essere identificato in embrioni di circa 21 giorni e la sua regressione è completa all'inizio della 5ª settimana di gestazione. Questa struttura, che non possiede glomeruli e non ha alcuna funzione, si collega alla parte caudale dell'intestino posteriore tramite il dotto pronefrico. Gli elementi mesonefrici appaiono più tardi di quelli del pronefro, ma prima che questi ultimi siano completamente degenerati. La parte cefalica del mesonefro si divide in una serie di masse sferoidali, da cui si originano le vescicole mesonefriche; da principio vi è solo un paio di vescicole, ma, in seguito, se ne sviluppano altre. Queste formazioni subiscono una serie di modificazioni morfologiche a seguito delle quali ciascuna acquista una forma a pera con la parte tubulare unita al dotto pronefrico, che in questa fase prende il nome di dotto mesonefrico. La parte mediale di ciascuna vescicola si ingrandisce e la sua parete si invagina a opera di capillari sanguigni, formando un glomerulo.

Non vi è alcuna prova diretta di un'attività funzionale del mesonefro, tuttavia il suo aspetto citologico fa ritenere che sia effettivamente in grado di eliminare urina. Esso raggiunge il suo completo sviluppo circa al 2° mese e perde ogni possibilità funzionale alla fine del 4° mese. Il metanefro, il rene definitivo, deriva da due elementi distinti: la parte caudale del cordone nefrogenico (il blastema) e la gemma ureterica, che si origina dalla parte caudale del dotto mesonefrico. I nefroni si sviluppano dal cordone, mentre i tubuli collettori, la pelvi renale e l'uretere derivano dalla gemma. Il contatto della gemma con il cordone nefrogenico è essenziale per lo sviluppo del metanefro: se il contatto non avviene la gemma termina a fondo cieco e il tessuto metanefrico associato non si differenzia. Poco dopo la sua comparsa, la gemma si dilata al suo estremo craniale, formando un'ampolla, che subisce una serie di divisioni dicotomiche, con il risultato che ogni nuovo ramo porta alla sua estremità una nuova ampolla, in grado di indurre la formazione di una vescicola nefrogenica, che si fonde con la propria ampolla e si differenzia in un nefrone. Le vescicole, all'inizio piriformi, acquistano una forma a 'S' e presso il tratto inferiore di questa curva si sviluppano dei vasi sanguigni: in tal modo si costituisce un glomerulo. Altre curve, danno origine al tubulo prossimale e distale e all'ansa di Henle, la quale si estende gradualmente verso la pelvi renale. Nell'ultimo mese di gestazione le ampolle scompaiono e termina la formazione dei nefroni. L'accrescimento successivo è interstiziale: le anse continuano a crescere e i tubuli si fanno più lunghi. Tra la fine della 5ª e l'8ª settimana il metanefro subisce un cambiamento di posizione, passando dalla sua originale posizione pelvica a quella finale lombare: questa 'ascesa' del rene è essenzialmente dovuta al rapido accrescimento longitudinale dei segmenti lombari e sacrali e alla diminuzione della flessione lombare dell'embrione. Il rene subisce anche una rotazione, così l'ilo, che originariamente era sulla faccia ventrale, viene a trovarsi su quella mediale.

Patologia

di Giulio A. Cinotti


1.

Inquadramento clinico delle nefropatie

Nell'inquadramento delle malattie del rene occorre tenere conto che ogni componente costitutiva del parenchima renale (glomeruli, tubuli, tessuto interstiziale e vasi) può essere suscettibile di una patologia che può dar luogo a nefropatie glomerulari, tubulari, interstiziali e vascolari. I meccanismi che possono alterare queste strutture, e di conseguenza compromettere la funzione del rene, sono molteplici e si rifanno a difetti genetici, ad anomalie congenite, a cause immunologiche, tossiche, immunoallergiche, ovvero possono conseguire a infezioni, a motivi circolatori o a un ostacolato deflusso delle urine. Le manifestazioni più comuni di una patologia del rene o delle vie urinarie includono l'edema, l'ipertensione, modificazioni del colore (l'ematuria macroscopica è descritta dal paziente come emissione di urine di colore scuro 'a lavatura di carne', 'tè' o 'coca cola') e del volume delle urine, ovvero disturbi della minzione: aumentata frequenza (pollachiuria), difficoltà (disuria), dolore (stranguria). Può essere presente dolore sordo a un fianco o una vera colica. Alcuni sintomi possono indurre il paziente alla consultazione del medico ma una malattia renale può decorrere per lungo tempo in maniera asintomatica ed essere oggetto di scoperta casuale, eventualmente quando il danno renale è già pronunciato.

Le indagini che dovranno essere eseguite hanno significati diversi: alcune servono a valutare l'esistenza di una lesione attiva del parenchima renale oppure delle vie escretrici, che si riflette nell'analisi delle urine appena emesse: proteinuria, ematuria, esame del sedimento. è necessario sottolineare che l'esame delle urine è un'indagine comunemente praticata e spesso valutata superficialmente, la quale fornisce da sola un grande numero di informazioni. L'urinocoltura potrà evidenziare l'esistenza di un'infezione del rene o delle vie urinarie. Altri esami sono rivolti a valutare la funzione renale: azotemia e creatinina sierica, misura della filtrazione glomerulare (clearance della creatinina), capacità di concentrazione e di acidificazione. Lo studio ulteriore sarà rivolto a precisare il tipo di nefropatia e se possibile la sua causa, e integrato da una valutazione delle ripercussioni della nefropatia sullo stato generale. L'esplorazione immunologica ha lo scopo di identificare caratteristiche proprie di singole nefropatie e meccanismi patogenetici. Ulteriori informazioni riguardo alla morfologia e alla funzione dei due reni e delle vie escretrici potranno essere acquisite con esami radiologici, ecografici ed eventualmente mediante l'uso di radioisotopi.

La biopsia renale percutanea è divenuta un'indagine usuale nella diagnostica delle malattie glomerulari e in altre situazioni particolari. Le più usuali manifestazioni di una nefropatia (proteinuria, ematuria, diminuzione della funzione renale, edema e ipertensione) si presentano frequentemente raggruppate in varia combinazione, consentendo l'inquadramento in sindromi che caratterizzano il problema del singolo paziente e che orienteranno i successivi approfondimenti diagnostici. Per es., numerose patologie del rene e delle vie escretrici (dal glomerulo all'uretra) possono dare luogo alla comparsa di ematuria. Tuttavia la contemporanea presenza ed entità della proteinuria e/o alcune caratteristiche del sedimento urinario (morfologia delle emazie, presenza e tipo di cilindri), oltre all'eventuale compromissione della funzione renale, restringono il campo diagnostico e aiutano a identificare il tipo di lesione. Il quadro clinico può presentarsi nel contesto di una malattia primitiva del rene, ovvero in associazione con patologie sistemiche o ereditarie, infettive o da farmaci; pertanto una varietà di dati clinici e di laboratorio potranno affiancarsi a quelli più specificamente caratterizzanti la sindrome renale per l'inquadramento diagnostico complessivo.

Una malattia renale può essere occasionalmente scoperta per la persistente presenza di microematuria (presenza di emazie nel sedimento urinario), accompagnata o meno da ricorrenti episodi di ematuria macroscopica, associata a proteinuria modesta. La sindrome clinica caratterizzata da ematuria isolata e dall'assenza di altri sintomi comprende un gruppo eterogeneo di malattie del rene e delle vie urinarie. Nel contesto di una patologia del parenchima renale con questo quadro si presentano malattie glomerulari, primitive o secondarie, che con maggiore frequenza colpiscono bambini e giovani; gli esami ematochimici e sierologici risultano generalmente negativi; nel 30-50% dei casi lo stesso quadro è espressione della malattia di Berger, una glomerulonefrite focale con depositi di immunoglobulina A (IgA). Anche malattie ereditarie o multisistemiche possono presentarsi con lo stesso quadro. Altri pazienti presentano una proteinuria isolata di modesta entità, associata a normale funzione renale e normale pressione arteriosa. Una proteinuria transitoria può essere dovuta alla posizione (proteinuria ortostatica) o allo sforzo, a una malattia intercorrente febbrile o allo scompenso cardiaco. Una proteinuria persistente, anche modesta, può essere il segno iniziale di una malattia renale evolutiva.

Di contro, la sindrome nefritica è contraddistinta dalla presenza di ematuria macroscopica o microscopica e proteinuria, associate a riduzione della funzione renale, ritenzione di liquidi, oliguria ed espansione del volume extracellulare che potrà causare edema facciale e periferico, ipertensione arteriosa. L'esame delle urine si caratterizza per la particolare ricchezza di eritrociti, leucociti e cilindri. La sindrome nefritica è quasi esclusiva espressione di una glomerulonefrite primitiva oppure secondaria, e ha come prototipo la glomerulonefrite acuta poststreptococcica. Tuttavia una nefrite tubulointerstiziale acuta, come pure le radiazioni e la chemioterapia per tumori renali possono produrre un quadro simile. Altre volte il quadro è dominato da un'ingravescente perdita della funzione renale, assumendo l'aspetto di una glomerulonefrite rapidamente progressiva che corrisponde, dal punto di vista istologico, alla proliferazione dell'epitelio della capsula di Bowman con formazione di semilune (glomerulonefrite extracapillare).

La sindrome nefrosica è caratterizzata dalla presenza di proteinuria intensa (>3,5 g/die), diminuzione delle proteine plasmatiche, edema e iperlipidemia. Frequentemente l'edema rappresenta il motivo per il quale il paziente si rivolge al medico; esso è in genere più evidente agli arti inferiori, ma può estendersi alle cavità pleuriche, alla cavità peritoneale o pericardica (anasarca). La riduzione della protidemia, i livelli di albumina sierica e l'iperlipidemia mostrano un'approssimativa correlazione con l'entità della proteinuria. Si manifestano una spiccata tendenza alle infezioni, un'accresciuta incidenza di trombosi arteriose e venose e un aumentato rischio di complicazioni vascolari, di aterosclerosi coronarica e di infarto del miocardio. è singolare come, non raramente e per qualche tempo, il quadro venga interpretato come manifestazione secondaria a patologie cardiache e/o vascolari, trascurando di eseguire un esame delle urine.

La sindrome nefrosica è sempre dovuta a una patologia glomerulare primitiva o secondaria (lupus eritematoso sistemico, glomerulosclerosi diabetica, amiloidosi, infezioni, neoplasie, pre-eclampsia, cause tossiche, farmaci), la quale comporta un'alterata permeabilità della parete del capillare glomerulare alle proteine plasmatiche. L'identificazione della patologia causale può richiedere l'esecuzione di una biopsia renale, particolarmente nell'adulto.

La patologia tubulointerstiziale è la conseguenza di disordini ereditari o acquisiti, che si esprimono a livello molecolare o con alterazioni delle strutture anatomiche. Le funzioni di trasporto tubulare (secrezione e/o riassorbimento) risultano variamente compromesse, così pure la capacità di concentrare e diluire le urine, con la conseguenza di determinare alterazioni del bilancio idroelettrolitico e calciofosforico, dell'equilibrio acido-base e di altri sistemi dell'organismo. Il quadro clinico dell'insufficienza renale acuta è caratterizzato da un brusco deterioramento della funzione renale con aumento, di varia gravità, della creatininemia e dell'azotemia; generalmente si manifesta oliguria (diuresi 〈400 ml/die) o anuria (diuresi 〈100 ml/die), ma non costantemente (forme non-oliguriche). Sono spesso presenti edemi, ipertensione arteriosa, ematuria, proteinuria e alterazioni significative del sedimento urinario. L'insufficienza renale acuta può conseguire a cause prerenali che compromettono la perfusione del rene (per es. una riduzione importante del volume circolante, come nello shock), a una patologia intrinseca del rene (per es., una glomerulonefrite acuta, una vasculite, una nefrite interstiziale acuta), oppure a un'ostruzione delle vie escretrici (imputabile, per es., a patologia prostatica, tumori vescicali o pelvici).

L'insufficienza renale cronica è la conseguenza della progressiva e irreversibile distruzione dei nefroni e rappresenta l'esito comune di ogni tipo di patologia renale evolutiva, sicché in uno stadio avanzato perlopiù non è possibile stabilire se la malattia iniziale sia stata una glomerulonefrite, una nefropatia interstiziale oppure vascolare. Si definisce per una più o meno lenta e progressiva perdita della funzione renale, accompagnata a vari gradi di ematuria microscopica, proteinuria e ipertensione. Il quadro clinico varia nei sintomi e nei segni in modo estremamente ampio da paziente a paziente e dipende dall'entità della riduzione della funzione renale e dalla velocità con la quale questa si instaura, cosicché la scoperta dell'insufficienza renale può essere occasionale. L'estrema riduzione della funzione renale si associa al quadro dell'uremia, altrimenti definita come insufficienza renale sintomatica; sono infatti presenti i sintomi riferibili al coinvolgimento, in maniera più o meno clinicamente evidente, di quasi tutti gli organi e apparati.

Alcuni quadri clinici si riferiscono a patologie delle vie escretrici, che possono eventualmente coinvolgere il parenchima renale. Le infezioni del tratto urinario sono definite dalla dimostrazione di organismi patogeni (batteri o miceti) nelle urine raccolte con modalità che ne garantiscano la sterilità e si accompagnano a leucocituria. Si tratta di una patologia frequente, generalmente limitata alle basse vie urinarie ma che in condizioni favorevoli (anomalie anatomiche, reflusso vescicoureterale) può coinvolgere in maniera acuta o cronica il parenchima renale (pielonefrite). Può decorrere asintomatica ovvero dare luogo a manifestazioni cliniche che dipendono dalla sede coinvolta. Disuria, pollachiuria e minzione impellente sono comuni nelle infezioni uretrali, prostatiche e vescicali. Le infezioni urinarie recidivanti richiedono un'esplorazione radiologica dell'apparato urinario. La calcolosi renale si caratterizza, nella sua espressione tipica, per la colica renale e l'emissione di calcoli. Può essere causa di ematuria (macroscopica e/o microscopica), di persistenti infezioni delle vie urinarie o di ostacolato deflusso delle urine. Un'ostruzione del tratto urinario consegue a cause diverse e si accompagna a una sintomatologia variabile a seconda del livello in cui l'ostruzione si realizza. Un ostacolo allo svuotamento della vescica dà luogo ad alterazione della minzione (nicturia, stimolo urgente, rallentamento o incertezza) con ritenzione urinaria fino all'anuria completa ovvero a urinazione per rigurgito con mantenimento della diuresi. Le ostruzioni alte, che pertanto coinvolgono generalmente un solo rene, spesso non modificano il volume urinario. La stasi predispone alle infezioni e l'ostruzione cronica alla perdita della funzione renale.

Sebbene sia una malattia frequente e nella larga maggioranza dei casi riferibile all'ipertensione essenziale, l'ipertensione arteriosa può essere il sintomo rivelatore di una malattia renale, specialmente se riscontrata in un soggetto giovane. Infatti l'ipertensione si accompagna frequentemente e precocemente alle nefropatie glomerulari, è più incostante e tardiva nelle nefropatie interstiziali ed è quasi sempre presente negli stati avanzati di insufficienza renale.

2.

Principali malattie glomerulari

Le malattie glomerulari comprendono patologie eterogenee di tipo infiammatorio (glomerulonefriti in senso proprio) o non infiammatorio; limitate al rene (primitive) ovvero nel contesto di malattie sistemiche (secondarie). La sintomatologia spesso si identifica con una delle sindromi descritte in precedenza, tuttavia differenti glomerulopatie possono avere una presentazione clinica analoga. Di fatto la terminologia che viene utilizzata per caratterizzare le malattie glomerulari fa riferimento al quadro istologico e agli elementi che costituiscono la normale struttura del glomerulo, eventualmente integrato dai risultati di indagini più specifiche quali lo studio immunoistochimico. La larga applicazione della agobiopsia renale percutanea ha permesso di valutare meglio i rapporti tra presentazione clinica e sottostante patologia, la storia naturale e la risposta a eventuali trattamenti; parallelamente le indagini immunologiche hanno fornito informazioni sostanziali sui meccanismi che operano in molte malattie renali.

Le lesioni elementari del glomerulo, cui fa riferimento la classificazione delle glomerulopatie, sono di volta in volta rappresentate da: proliferazione delle cellule del mesangio, ispessimento o alterazioni strutturali della membrana basale del capillare glomerulare, modificazioni delle cellule epiteliali (podociti), infiltrati cellulari, proliferazione dell'epitelio di rivestimento della capsula di Bowman con formazione di semilune, aree di sclerosi più o meno estese, obsolescenza del glomerulo come esito di alterazioni differenti. Alcune glomerulopatie sono caratterizzate dalla sovrapposizione di diverse lesioni elementari. Il glomerulo può anche essere il sito dove si deposita materiale prodotto in altre sedi dell'organismo. Un esempio di vera e propria patologia da accumulo è quella che si osserva in corso di amiloidosi.

Si crede che il 60-80% di tutte le glomerulonefriti umane (e delle nefropatie tubulointerstiziali) siano il risultato di processi immunologici mediati da una risposta umorale (anticorpi), da una risposta immune cellulare o da entrambe, in conseguenza delle interazioni tra linfociti T e B: immunoglobuline e complemento sono rilevabili nel tessuto renale con la metodica dell'immunofluorescenza; depositi elettrondensi, dimostrabili con la microscopia elettronica, caratterizzano le malattie glomerulari mediate da complessi antigene-anticorpo (immunocomplessi). Si ritiene che due distinti meccanismi possano operare nel determinare le glomerulonefriti immunologicamente mediate: 1) legame di anticorpi a determinanti antigenici presenti nelle strutture del glomerulo; 2) intrappolamento passivo di immunocomplessi circolanti, ovvero legame di anticorpi ad antigeni eterologhi o autologhi precedentemente impiantatisi nel glomerulo (formazione di immunocomplessi in situ). In seguito alla deposizione di anticorpi, viene stimolata la liberazione di vari mediatori dell'infiammazione che determinano il danno glomerulare; tra questi l'attivazione del complemento è un meccanismo ben documentato. La glomerulonefrite post-streptococcica è stata la prima malattia renale per la quale si è ipotizzato un meccanismo immunologico, in base all'ipocomplementemia, al periodo di latenza, alla presenza di immunocomplessi in circolo e alla dimostrazione di depositi immuni nel glomerulo. In altre circostanze i depositi immuni sono assenti, come in alcune glomerulonefriti rapidamente progressive e vasculiti; tuttavia alcune osservazioni suggeriscono un ruolo per l'immunità di tipo ritardato. Infine nella glomerulopatia a lesioni minime l'occasionale associazione con disordini proliferativi dei linfociti T, come i linfomi tipo Hodgkin, suggerisce un rapporto causale con una funzione immunologica alterata.

La glomerulonefrite acuta può essere collegata a infezioni batteriche o virali, ovvero presentarsi nel contesto di malattie glomerulari primitive o malattie sistemiche (lupus eritematoso, vasculiti), nel qual caso l'acutezza del quadro clinico si sovrappone alla cronicità della malattia. La glomerulonefrite postinfettiva ha come prototipo la forma post-streptococcica; è più frequente nei bambini e negli adolescenti, mentre è più rara e grave negli adulti. Insorge dopo 2-3 settimane da una faringite o da un'infezione cutanea di origine streptococcica (periodo di latenza), si presenta con il quadro tipico della sindrome nefritica acuta ed è caratterizzata da una transitoria riduzione delle frazioni del complemento. Il titolo antistreptolisinico (TAS) risulta aumentato, ma ha solo il significato di esprimere la risposta all'infezione streptococcica e non è un indice di glomerulonefrite. All'acme della malattia l'insufficienza renale può essere così grave da richiedere un temporaneo trattamento emodialitico; si tratta tuttavia di una malattia a evoluzione benigna: infatti la guarigione nel bambino si ha nel 95-97% dei casi e la cronicizzazione nell'1-2%; nell'adulto, invece, si ha rispettivamente nel 75% e nel 20% dei casi. La lesione che dà ragione del quadro clinico è una diffusa proliferazione delle cellule mesangiali, associata ad abbondanti infiltrati granulocitari e macrofagici che determinano l'occlusione dei lumi dei capillari glomerulari; sono evidenti grossolani depositi di immunocomplessi. La terapia antibatterica serve solo a combattere l'infezione streptococcica, peraltro generalmente superata; la terapia cortisonica può essere giustificata solo nei rari casi di un'evoluzione sfavorevole.

La glomerulonefrite con depositi di IgA, conosciuta anche come malattia di Berger, è probabilmente la forma più frequente. Può essere individuata in seguito alla comparsa di un episodio di ematuria macroscopica, ovvero per l'occasionale riscontro di una microematuria che si rivela persistente in controlli successivi. L'episodio di macroematuria, che peraltro non interviene costantemente nel corso della malattia, ha la durata di poche ore o giorni, compare caratteristicamente in coincidenza di un'infezione delle prime vie respiratorie o di un vigoroso sforzo fisico e può essere ricorrente. Pur essendo eventualmente contrassegnata da questi eventi acuti, si tratta di una glomerulonefrite cronica. La funzione renale e la pressione arteriosa sono normali in relazione al fatto che la lesione renale, caratterizzata da proliferazione delle cellule del mesangio con deposizione di IgA, è presente in aree limitate. Le frazioni del complemento sono normali e le immunoglobuline della classe A sono aumentate nel siero nel 30-40% dei casi. Si tratta di una patologia solo relativamente benigna, poiché nella metà dei casi mostra una lenta evoluzione verso l'insufficienza renale.

La glomerulopatia a lesioni minime (nefrosi lipoidea), così denominata per l'assenza di lesioni glomerulari identificabili al microscopio ottico mentre la microscopia elettronica rivela un'alterazione strutturale dei podociti, rappresenta la causa più frequente di sindrome nefrosica nel bambino ed è la causa del 30% delle sindromi nefrosiche dell'adulto. Sono assenti i depositi di immunocomplessi e non vi sono prove di una genesi immunologica; viene invece ipotizzato un disordine dei linfociti T che attraverso la produzione di citochine determinerebbero il danno della cellula epiteliale; è stato anche ipotizzato un fattore circolante tossico per l'epitelio glomerulare. L'evoluzione della malattia può essere segnata dalle complicazioni comuni a tutte le sindromi nefrosiche (facilità alle infezioni, episodi tromboembolici). La prognosi è del tutto favorevole con remissione spontanea o indotta dalla terapia steroidea; sono possibili le ricadute che si fanno più rare con gli anni.

La glomerulonefrite membranosa costituisce una causa rara di sindrome nefrosica nel bambino e nell'adolescente, ma rappresenta il 25-30% delle sindromi nefrosiche dell'adulto. Si contraddistingue per un diffuso ispessimento della membrana basale del capillare glomerulare che contiene depositi di immunocomplessi. In circa il 20% dei casi si assiste spontaneamente a una remissione clinica completa, nei rimanenti casi l'andamento è cronico, con remissioni anche di lunga durata e una lenta evoluzione verso l'insufficienza renale. Può anche comparire nel contesto di malattie sistemiche (lupus eritematoso) ovvero l'antigene essere costituito dal virus dell'epatite B, da parassiti, da sostanze tossiche o neoplasie. Malattie glomerulari secondarie possono comparire associate a epatopatie, neoplasie, malattie infettive, come pure nel corso di endocarditi, di malattie sistemiche quali il lupus eritematoso e le vasculiti, nel diabete, nell'amiloidosi o essere indotte da farmaci. Una glomerulonefrite è presente quasi costantemente nei pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico e clinicamente manifesta in circa il 60% dei casi, con aspetti istologici che variano per tipo di lesione e gravità. Un danno renale è frequente nel diabete sia di tipo 1 sia di tipo 2 e include lesioni infiammatorie tubulointerstiziali (pielonefrite) e vascolari. Specifica della nefropatia diabetica è la lesione glomerulare (glomerulosclerosi nodulare), che clinicamente si rende manifesta dopo 15-20 anni dall'esordio del diabete. Si presenta con il quadro della sindrome nefrosica associata a ipertensione e mostra una relativamente rapida evoluzione verso l'insufficienza renale. L'alterazione del metabolismo glucidico rappresenta certamente il fattore determinante, tuttavia poiché solo il 40% dei soggetti diabetici sviluppa la nefropatia, appare necessario postulare l'esistenza di una predisposizione genetica.

Fra le malattie glomerulari ereditarie, la nefrite ereditaria (o sindrome di Alport) è caratterizzata da un'alterazione strutturale della membrana basale del capillare glomerulare, dovuta a una mutazione del gene che ne codifica la sintesi e che è localizzato nel cromosoma X. Si manifesta con microematuria persistente ed eventuali episodi di ematuria macroscopica; spesso si associano manifestazioni extrarenali (diminuzione dell'udito, alterazioni oculari). Assume un'evoluzione grave nel maschio, con una progressione relativamente rapida verso l'insufficienza renale; le femmine sono portatrici e alcune di esse presentano una microematuria, mentre la funzione renale rimane generalmente conservata. La diagnosi viene suggerita dalla storia familiare di nefropatie con insufficienza renale e sordità; viene confermata dalla biopsia renale con l'utilizzazione di particolari metodologie. La glomerulopatia contraddistinta dal ridotto spessore della membrana basale è un disordine relativamente comune, che si trasmette con ereditarietà autosomica dominante e dà ragione di molti casi di ematuria familiare benigna. L'alterazione decorre generalmente in modo asintomatico, rivelata dalla persistente microematuria (talvolta ematuria macroscopica), e ha una prognosi eccellente. Il difetto genetico è simile a quello della nefrite ereditaria, da cui la glomerulopatia si distingue per la modalità della trasmissione ereditaria e per la natura benigna.

3.

Nefriti tubulointerstiziali

La locuzione nefriti tubulointerstiziali classifica un gruppo eterogeneo di disordini che primariamente interessano l'interstizio e i tubuli e solo secondariamente le altre componenti strutturali del rene. Il quadro clinico si caratterizza per le alterazioni funzionali conseguenti alla sofferenza tubulare in relazione al tratto del tubulo che risulta maggiormente interessato: acidosi tubulare prossimale o distale, glicosuria renale, aminoaciduria, fosfaturia, uricosuria, diabete insipido renale. Mancano invece i segni distintivi che accompagnano il danno glomerulare (proteinuria significativa, ritenzione sodica, edema); l'ipertensione è un evento tardivo. Il decorso clinico è determinato dalle cause e dall'entità del danno. Nella forma acuta sono preminenti l'edema e gli infiltrati interstiziali, i tubuli risultano alterati e dilatati; l'insorgenza brusca e il declino della funzione renale rapido sono temporalmente correlati all'assunzione di farmaci o a un'infezione.

La nefrite tubulointerstiziale da ipersensibilità a farmaci (antibiotici e farmaci antinfiammatori), cioè indipendentemente dalla dose somministrata, è di riscontro sempre più frequente; sono spesso presenti febbre ed eruzione cutanea, nel sangue eosinofilia, nelle urine proteinuria modesta, leucocituria ed eosinofili, ematuria. In generale regredisce rapidamente, tuttavia l'uso di steroidi è indicato nelle forme con insufficienza renale che persistono dopo la sospensione delle terapie incriminate. Ricorre con la riassunzione della stessa sostanza. Le infezioni (batteriche, virali, fungine) sono una causa frequente di nefriti tubulointerstiziali specie in soggetti immunocompromessi o trapiantati, per insediamento diretto nel rene dell'agente infettivo, ovvero come risposta reattiva a fattori liberati in via sistemica che vengono filtrati e riassorbiti dal rene. Un quadro clinico-patologico simile può aversi in una varietà di malattie sistemiche per alterazioni metaboliche, immunologiche o la natura infiltrante della malattia. Nella forma cronica, tali patologie presentano atrofia tubulare e fibrosi interstiziale; l'insorgenza è subdola e il deterioramento della funzione renale avviene lentamente. Cause comuni sono le infezioni batteriche (tubercolosi, nefropatia da reflusso, ostruzioni), disordini metabolici (ipercalcemia), malattie neoplastiche (mieloma) ed ereditarie, tossicità da litio o abuso di analgesici. Va rilevato che un danno interstiziale cronico accompagna l'evoluzione della patologia glomerulare ed è, a lungo termine, il fattore prognostico più significativo in tutte le malattie renali croniche progressive.

La pielonefrite acuta identifica un'infezione batterica non specifica, in cui l'infiammazione della pelvi e dei calici è l'evento primario che si estende al parenchima. La malattia è brusca nel suo esordio con brividi, febbre, dolore al fianco, associati a sintomatologia generale quale malessere, cefalea, nausea e vomito, ipotensione; i sintomi a carico delle basse vie urinarie possono essere assenti. L'esame delle urine dimostra leucociti e cilindri leucocitari; l'esame batteriologico (urinocoltura) dimostra la presenza di microrganismi in concentrazione elevata; il patogeno più comune è l'Escherichia coli, ma in situazioni complicate predominano altri batteri (Klebsiella, Enterobacter, Proteus). La funzione renale può essere temporaneamente alterata e occasionalmente compare un'insufficienza renale acuta. Nel bambino può essere associata a reflusso vescico-ureterale e nel maschio adulto è quasi sempre associata ad anomalie anatomiche (patologia prostatica, ostruzioni). Molti casi nella donna sono non complicati e rispondono favorevolmente a un'appropriata terapia, con un'evoluzione eccellente; solo situazioni particolari richiedono una valutazione più approfondita, per es. la batteriuria in corso di gravidanza di frequente si complica con una pielonefrite acuta.

La pielonefrite cronica può essere tale fin dall'inizio, oppure costituire l'esito di pielonefriti acute recidivanti. Nella maggioranza dei casi costituisce la complicanza di un'anomalia strutturale delle vie escretrici.

4.

Patologia cistica del rene

Le cisti renali semplici rappresentano la causa più comune di masse renali la cui incidenza aumenta con l'avanzare dell'età. Si riscontrano solo occasionalmente, perlopiù con un esame ecografico, in oltre il 20% dei soggetti di età superiore a 50 anni; possono talora infettarsi, ma nel complesso richiedono solo di essere differenziate da disordini di natura più seria.

La malattia policistica del rene comprende due tipi di patologia cistica ereditaria: il rene policistico autosomico dominante, conseguenza nella maggioranza dei casi di una mutazione nel cromosoma 16, rappresenta il classico rene policistico dell'adulto; nel rene policistico autosomico recessivo, caratteristico del bambino e dell'adolescente, il difetto genetico è localizzato nel cromosoma 6 e si associa a coinvolgimento del fegato (fibrosi epatica congenita). Il rene policistico infantile, nelle forme più gravi, può essere identificato prima della nascita con l'esame ecografico che mostra reni di volume aumentato. Vi è un progressivo declino della funzione renale che inizia con i segni della disfunzione tubulare e precocemente si accompagna a ipertensione; l'insufficienza renale terminale compare di norma verso i 15 anni. Il rene policistico dell'adulto è una malattia abbastanza comune (1 caso su 400-1000 nascite). Il paziente presenta tipicamente una storia familiare positiva, senso di peso e dolore al fianco, eventualmente ematuria o insufficienza renale. L'ecografia, l'urografia o la tomografia assiale computerizzata (TAC) dimostrano reni aumentati di volume con multiple cisti bilaterali. Cisti sono anche presenti nel fegato, nel pancreas e nella milza. Una diagnosi precoce può presentare numerose difficoltà e un'ecografia negativa in soggetti di età inferiore a 30 anni non esclude la malattia; in questi casi è necessario il ricorso a particolari tecniche di indagine genetica. La malattia progredisce lentamente e raggiunge lo stadio terminale nella quinta decade, ma molti pazienti rimangono asintomatici per tutta la vita, a parte l'ipertensione.

Attualmente l'ipotesi che l'insufficienza renale intervenga come conseguenza della compressione, determinata dalla crescita delle cisti, sul parenchima normale adiacente viene ritenuta insoddisfacente; è probabile che giochino un ruolo importante altri fattori, quali la sclerosi vascolare, la fibrosi interstiziale e l'apoptosi delle strutture del parenchima normale. Non vi è evidenza che il drenaggio delle cisti possa migliorare la funzione renale o ritardare la progressione della malattia. Patologie cistiche ereditarie sono il rene cistico midollare e le sue varianti, che conducono all'insufficienza renale entro la quarta decade, e il rene a spugna midollare, che decorre generalmente asintomatico, con funzione renale conservata.

5.

Patologia vascolare del rene

La componente vascolare del rene è intimamente connessa con le altre strutture: glomeruli, tubuli e interstizio. Le lesioni vascolari del rene possono essere di tipo infiammatorio (vasculiti) oppure di tipo degenerativo; per es. l'aterosclerosi, così come interessa le arterie di molti organi e influenza l'emodinamica locale, può anche alterare la struttura vascolare del rene, comprometterne la funzione e accelerare la velocità di sviluppo di altra patologia dell'organo. La nefroangiosclerosi benigna è un disordine che si rende manifesto con l'avanzare dell'età, caratterizzato istologicamente da lesioni vascolari, glomerulari e tubulointerstiziali. I pazienti generalmente presentano una storia di ipertensione lieve-moderata e un esame delle urine sostanzialmente negativo. Sebbene la diagnosi di nefroangiosclerosi ipertensiva sia frequentemente posta in pazienti che presentano in età avanzata un'insufficienza renale più o meno grave, in realtà sono pochi gli ipertesi essenziali che sviluppano una malattia renale progressiva; è quindi probabile che la diagnosi non sia corretta se i dati clinici non sono significativi: lunga storia di ipertensione che precede lo sviluppo del danno renale, esame delle urine sostanzialmente normale, retinopatia ipertensiva e ipertrofia ventricolare sinistra.

Un ostacolo al flusso ematico al rene è responsabile di due sindromi maggiori: la prima è l'ipertensione renovascolare, dovuta generalmente a una stenosi unilaterale emodinamicamente significativa dell'arteria renale causata da una displasia fibromuscolare della parete arteriosa (nei soggetti giovani) o da lesioni aterosclerotiche (nell'anziano). Questa patologia non comporta di per sé un'importante riduzione della funzione renale, perché il rene controlaterale compensa la riduzione della capacità filtrante nel rene stenotico. La seconda sindrome associata a ostruzione vascolare è la malattia ischemica del rene, che si caratterizza per il restringimento critico o l'occlusione di una o di entrambe le arterie renali, dovuti alle medesime cause ovvero ad altre condizioni patologiche più rare, quali, per es., la dissezione dell'aorta e le vasculiti o fenomeni embolici (tromboembolismo ed embolismo da colesterolo) ed enfatizza la progressiva perdita di funzione di uno o entrambi i reni in conseguenza del ridotto apporto di sangue.

La malattia renovascolare aterosclerotica può o meno accompagnarsi a ipertensione arteriosa, tuttavia, ove si consideri l'invecchiamento generale della popolazione e l'elevata prevalenza di questa patologia nei soggetti di età superiore a 50 anni, la frequente bilateralità della lesione e la sua progressività, non è sorprendente che possa evolvere in un'insufficienza renale terminale che richiede il trattamento dialitico. L'identificazione e la correzione della lesione anatomica assumono quindi un'importanza che non può essere sottovalutata.

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