RESISTENZA dei materiali

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

RESISTENZA dei materiali (XXIX, p. 89)

Giuseppe ALBENGA

Le teorie sulla resistenza dei materiali, intesa questa locuzione in senso abbastanza lato da comprendere anche il comportamento del materiale sotto carico in periodi ancora distanti dalla rottura, si sono, in questi ultimi tempi, modificate e completate. Anche i regolamenti sulle costruzioni vanno accogliendo, seppure lentamente, quanto è risultato dulle recenti indagini teoriche e sperimentali. L'influenza del tempo sull'andamento della deformazione e sul carico di rottura (durata della prova, eventuali arresti nell'aumento dello sforzo, velocità di questo aumento) è oggi considerata con maggior cura.

Il progetto di definizione delle prove sui materiali, presentato dalla società svizzera nell'ottobre 1947, e che è tra i meglio concepiti, distingue:

Prove statiche di breve durata, eseguite con velocità costante di applicazione del carico, che cresce abbastanza lentamente per evitare fenomeni dinamici; in queste prove si determinano alcuni punti caratteristici del diagramma di deformazione, ai quali sarà accennato più avanti; se per ragioni particolari la velocità d'accrescimento del carico non fosse quella fissata dai regolamenti, s'indicherà in frazioni d'ora la durata della prova come pure si segnerà la temperatura durante di essa, se si allontana sensibilmente dal valore medio di 15° o 20°.

Prove statiche di lunga durata, che richiedono spesso parecchi giorni e nelle quali possono determinarsi tutti, o taluni, degli elementi seguenti: tempo occorrente per la rottura del saggio sotto un determinato carico; deformazione permanente dopo un tempo prefissato; velocità di deformazione in un intervallo di tempo stabilito. Le due ultime quantità si possono ricavare da una sola prova.

Prove dinamiche di breve durata, nelle quali la provetta può avere o non un intaglio, è sottoposta ad un solo urto e se ne misura la resistenza, coi noti metodi, in kg/mm2 o il lavoro specifico assorbito in kgm/mm2.

Prove dinamiche di lunga durata sotto carichi variabili da un valore minimo ad un valore massimo, i quali rimangono gli stessi per tutta la durata della prova; caratteristiche sono le variazioni tra due valori eguali e di segno contrario della sollecitazione e quelle tra il valore nullo e quello numericamente massimo. Per lo più la variazione si ha con legge lineare. Alle espressioni di resistenza a sforzi invertiti e di resistenza originaria, corrispondenti alle tensioni che nelle due condizioni di carico sopraccennate il materiale sopporta un numero indefinito di volte, si preferiscono ora le denominazioni resistenza a sforzi oscillanti-1, resistenza a sforzi oscillanti-o.

Le norme di prova sono diverse da nazione a nazione, talora addirittura variano nello stesso stato con le diverse amministrazioni: inconveniente che rende spesso non paragonabili i risultati delle prove. In Italia vigono le norme dell'UNI, pubblicate solo in parte: tra esse merita particolar rilievo la UNI 552, che dà i simboli e le definizioni correnti per le caratteristiche dei materiali metallici.

Accanto alle provette normali usate per i materiali metallici, vanno diffondendosi sempre più le microprovette (ideate da C. Fremont fin dal 1919) con volume che è nell'ordine di grandezza del millesimo di quelle normali. Esse, che sono un completamento utilissimo delle provette ordinarie, permettono di ricavare campioni da pezzi finiti senza troppo alterarli, non richiedono spese eccessive per i materiali preziosi o anche per materiali non metallici preparati in pezzi di piccole dimensioni, come accade per talune sostanze dure adottate nella protesi dentaria. Con i materiali metallici e con provette di sezione circolare non conviene discendere a diametri inferiori a mm. 1,5 e s'impiega per lo più la provetta con tratto utile di 5 diametri (cioè la provetta cosiddetta corta) lunga in totale circa mm. 15,5 con estremità filettate. Mantenendosi sopra le dimensioni indicate si evita la formazione di una crosta indurita (strato pseudoamorfo di Baitby), dove i cristalli sono assai irregolarmente orientati restando con ciò troppo modificato il comportamento sotto carico del saggio. In accordo con la teoria di Griffith sulla rottura, le resistenze estreme ricavate con queste provette sono maggiori di quelle normali. Si pensa ora alla possibilità di provette ancor più minuscole con diametro di mm. 0,1 e lunghezza dell'ordine di grandezza del millimetro, ricorrendo allo scrostamento elettrolitico della pellicola incrudita. Operando su fili tessili naturali o artificiali (nylon) si sono già usate provette lunghe solo 2 mm. La microprovetta consente l'esplorazione sistematica di materiali poco omogenei in specie delle saldature, l'esame degli scarti della legge di proporzionalità di Hooke, e, uscendo dal campo delle determinazioni puramente tecniche, permette lo studio di questioni molto importanti nel campo della plasticità dei cristalli e degli scorrimenti cristallini, eliminando molte delle difficoltà presentate dalla preparazione dei grossi monocristalli.

Prove di trazione. - Il metodo migliore di ricercare le proprietà dei materiali da costruzione è sempre quello di tracciarne automaticamente il diagramma sforzo-allungamento; la registrazione, se si vogliono ingrandimenti discreti delle deformazioni, deve farsi con apparecchi ottici. Dalby ne aveva ideati di assai semplici ed opportuni, che gli Inglesi adoperano da tempo. La registrazione ottica è poi indispensabile per la microprovetta.

Il diagramma di deformazione (sforzo-allungamento) dipende dalla velocità del carico. Nadai ne rappresentò l'effetto con un diagramma spaziale assonometrico nel quale oltre ai due assi del carico e della deformazione compare il terzo asse, quello della velocità di carico. In luogo del carico limite di proporzionalità Np, di quello di snervamento superiore No, di quello inferiore Nu e di quello di rottura Nr, si preferisce indicare le relative tensioni σp, σso, σsu, σr ottenute dividendo i predetti carichi per l'area iniziale della sezione della provetta. Venne posta in dubbio la reale esistenza di questi limiti, nonché quella del limite elastico (Ne oppure σe) che dal diagramma non appare: e sarebbe il carico massimo per il quale la provetta si comporta come perfettamente elastica, con la totale scomparsa della deformazione al cessare del carico che l'ha provocata. Questo limite viene spesso confuso con quello di proporzionalità o con quello di snervamento. A concludere dell'inesistenza di alcuni degli accennati limiti inducevano il fatto che quanto più precisi erano gli apparecchi di misura, tanto più basso era il limite di proporzionalità e l'osservazione che con le macchine capaci di mantenere costante il carico, i due limiti di snervamento (superiore ed inferiore) si fondevano in uno solo, cosicché il periodo di snervamento veniva rappresentato da un segmento di parallela all'asse, la cui posizione poteva notevolmente spostarsi con particolare accorgimenti. Quanto al limite elastico esso non poteva ottenersi che da una serie di tentativi, con carichi e scarichi successivi, i quali non erano senza influenza sul comportamento del materiale. Un solo elemento rimaneva quasi invariato e indipendente dal metodo di prova ed era l'inclinazione del primo tratto rettilineo del diagramma di deformazione al disotto del limite di proporzionalità (o la tangente all'origine del diagramma, ove il periodo di proporzionalità manchi del tutto). Questa pendenza, che misureremo con la tangente trigonometrica dell'angolo che il tratto rettilineo fa con l'asse delle deformazioni, rimarrebbe l'unica vera costante elastica del materiale ed è il modulo di Young.

Si osservi tuttavia che, in prossimità di quello che suol dirsi il limite elastico, in taluni materiali si manifestano assai chiare modificazioni di struttura, p. es. variano le proprietà magnetiche degli acciai e varia il comportamento all'attacco di Fry. Tenuto conto di questo e inoltre delle incertezze sopra ricordate, si dà oggi una definizione convenzionale dei diversi carichi limite, trascurando le deformazioni inferiori ad una certa percentuale della lunghezza del tratto utile. Così per l'acciaio si definisce carico limite di proporzionalità quello per cui, nel diagramma di deformazione, per un aumento della tensione di 100 kg/cm2 lo scarto della retta è del 0,0005% e, nelle ricerche di precisione, si dice limite elastico il valore per cui la deformazione residua è 0,0002 o al massimo 0,0005% della lunghezza del tratto utile; le norme UNI 552 fissano la grandezza della deformazione permanente trascurabile al 0,001% del tratto utile; il limite di elasticità così determinato si rappresenta allora con la notazione σe(0,001), dove la cifra in parentesi rappresenta la percentuale trascurata. In ricerche più grossolane bastano anche i limiti σe(0,02) e σe(0,2). Quanto si è detto sopra vale se il carico aumenta senza soste dal valor nullo a quello di rottura. Caricando e scaricando una provetta una sola volta, la provetta può denunciare notevoli diversità di comportamento del materiale e cioè: Deformazione proporzionale (o anche non proporzionale al carico) ed elastica pura, senza deformazione residua, con reversibilità intera del fenomeno e sovrapposizione del ramo di andata a quello di ritorno del diagramma; Deformazione elastica con attrito interno, nella quale il diagramma ricavato durante il carico e quello corrispondente allo scarico non si sovrappongono, ma la deformazione residua è nulla. Il ramo di ritorno riproduce esattamente quello di andata; in a e in b sono due punti angolosi e le tangenti in essi sono parallele (fig. 1 a); Deformazione plastica permanente, nella quale la deformazione plastica non si riduce col tempo (fig. 1 b). Il ramo discendente del diagramma è parallelo alla tangente all'origine del ramo che sale. La fig. 2 dà il diagramma rilevato sopra una microprovetta di lega inossidabile con tre scarichi prima della rottura. Al primo tratto quasi rettilineo con piccole deformazioni segue un netto ginocchio; alle varie riprese di carico il diagramma sale quasi parallelamente al primo tratto (principio di Tresca) poi si raccorda rapidamente con quello che si avrebbe senza intercalare lo scarico (principio di Wiedemann). Col crescere dello sforzo la irreversibilità della deformazione allo scarico aumenta e si fa sempre maggiore l'area del ciclo descritto dal diagramma (ciclo di isteresi elastica), al quale corrisponde un lavoro dissipato in calore e che ha importanza grandissima per le sollecitazioni ripetute frequentemente.

Le prove di trazione su provette metalliche non servono soltanto a fornire le caratteristiche essenziali del materiale considerato; ad esse si ricorre anche per determinare il modulo elastico isotermo di Young e per studiare l'effetto di trattamenti termici e meccanici. Il modulo elastico è legato al volume atomico del metallo considerato ed alla temperatura assoluta, esso è molto grande per i metalli aventi piccolo volume atomico e temperatura di fusione elevata. È difficile modificare sensibilmente il modulo elastico d'un metallo formando una lega, i trattamenti termici e meccanici sono senza influenza sul modulo di Young. Pochi materiali hanno questo modulo superiore a quello dei componenti, essi hanno il difetto d'una grande fragilità. Gli accennati trattamenti influiscono invece molto sull'attrito interno.

Le prove di trazione, ripetute più volte sulla stessa sbarretta, con ritmo lento, ci fanno conoscere l'influenza dell'invecchiamento delle leghe, la stabilità di certi materiali, denunciata dal tendere dei successivi cicli ad un ciclo determinato che può anche chiudersi su sé stesso in una curva, oppure la viscosità del materiale, dimostrata dal non sovrapporsi dei cicli successivi.

Alla scala graduata tracciata sopra una generatrice della provetta allo scopo di rilevare le deformazioni locali si sostituisce ora con vantaggio una pellicola fotografica aderente alla superficie della provetta e ricoperta da un fitto reticolo di quadratini.

Permangono disparità d'opinioni sulla miglior forma di provetta, in particolare per la provetta adoperata nelle prove dei cementi: le varie provette oggi in uso sono spesso criticate; è stata proposta (R. Ariano) quella in fig. 3, con un tratto intermedio prismatico. Si è anche molto discusso sulla consistenza della malta da assoggettare alla prova. Mentre in Italia si usano ancora malte piuttosto consistenti, presso molte nazioni viene preferita la malta plastica. Infine, sempre nel campo delle prove dei cementi, si sono fatte parecchie proposte per diminuire la durata della prova (28 giorni) e gl'inconvenienti e i disturbi che ne conseguono, ma finora non si è trovato ancora un metodo che raccolga l'approvazione universale.

Le esperienze a compressione non hanno portato a modificazioni della pratica vigente; ricorderemo solo che nei materiali molto fragili la sezione utile è talora assai più ristretta di quella geometrica del saggio. Dalle prove su microprovette sottoposte a flessione pura riesce facile cogliere il punto di passaggio dal regime quasi elastico (o elastico) a quello plastico.

Queste prove realizzano, almeno fuori del regime plastico, uno stato di tensione monoassiale (con una sola tensione principale non nulla). Le altre due sollecitazioni semplici, taglio e torsione, generano uno stato di tensione biassiale (con una sola tensione principale nulla); la prova al taglio, rara e di non facile esecuzione con le provette di dimensioni normali, è invece assai frequente con la microprovetta; è adoperata per esplorare l'eterogeneità e l'anisotropia del saggio, il quale viene sottoposto al carico d'un coltello d'acciaio temperato, col diedro di 89°. Si riesce ad ottenere una sollecitazione di taglio quasi pura e si possono provare sezioni vicinissime, facendosi un'idea molto precisa del materiale. La torsione continua della provetta riesce molto utile, in quanto di facile interpretazione, nell'esame delle grandi deformazioni permanenti e delle modificazioni fisico-chimiche che le accompagnano. Anche la flessione composta (flessione e taglio) dà luogo a stati di tensione biassiale, che rendono poco sicura l'interpretazione dei risultati, e puramente convenzionali i valori dei carichi di rottura che di regola se ne ottengono, supponendo valida fino a rottura la formula di Navier e trascurando l'effetto del taglio.

Questo metodo di calcolo è particolarmente lontano dal vero per la provetta di legno, posata agli estremi e caricata in mezzeria, che è la più diffusa. La sezione di applicazione del carico è alterata da una penetrazione non trascurabile del tondino che esercita lo sforzo, e il distacco dalla legge di Hooke si manifesta già sotto carichi bassi. Per avvicinarsi meglio alla realtà Fuji Tanaka propose di calcolare la tensione di rottura ponendo in luogo del modulo di resistenza della sezione rettangolare di larghezza b e di altezza h l'espressione b hn/6, dove, seguendo Monnin, per legnami senza difetti n varia fra 10/6 e 11/6.

Molto poco sicura è anche la determinazione della resistenza al taglio: questo si distribuisce con legge uniforme sopra la sezione- di rottura; tra le varie forme di provette in uso una delle più usate è la provetta cruciforme di fig. 4, sollecitata nel modo ivi indicato.

In questi ultimi tempi si sono eseguite anche numerose prove realizzando uno stato di tensione triassiale, sia allo scopo di verificare alcune teorie di rottura dei solidi, sia per avere quegli elementi che servono per giudicare della sicurezza di condizioni complesse di sollecitazione. Tra le esperienze più note sono quelle di Böker e di Kármán: essi sottoposero a pressioni idrostatiche elevatissime sferette di marmo e di arenaria, riuscendo a romperle, forse unicamente perché l'assoluta omogeneità del materiale e la perfezione geometrica del saggio sono irraggiungibili e quindi la sferetta può rompersi anche se sono valide le teorie escludenti la rottura sotto carico idrostatico. Tre tensioni principali diverse fra loro si possono ottenere sottoponendo un tubo, eventualmente con scanalature a pressione idrostatica interna e poi sollecitandolo assialmente (Lode, Roš, Eichinger) o torcendolo (Siebel, Maier).

Resistenza statica con prove di lunga durata. - Questa prova ha notevole importanza per l'impiego sia dei materiali metallici sia dei conglomerati. Quattro fattori intervengono a determinare questa resistenza: l'intensità e la durata del carico, la legge di deformazione e la temperatura. La prova può farsi per trazione, per compressione, per flessione semplice o composta, per torsione.

Si carichi una provetta fino a superare il valore per cui nel diagramma si manifesta un evidente ginocchio e si scarichi in seguito; si procederà lentamente nelle due operazioni ma con continuità, poi si lascerà in riposo il saggio.

Esistono materiali che dànno il diagramma di fig. 5 a: il ramo ascendente e quello discendente si raccordano e scompare il punto angoloso della fig. 1 a; dopo un certo tempo la deformazione permanente all'atto dello scarico scompare del tutto per effetto dell'elasticità susseguente. Il materiale si dice allora viscoso elastico con reattività totale. Se invece (fig. 5 b), anche dopo lungo tempo, una parte della deformazione rilevata all'atto dello scarico persiste, si avrà un materiale plastico con reattività parziale.

Si carichi ora la provetta non più con legge continua, ma facendo una o più soste durante il carico, dopo che questo ha raggiunto un valore abbastanza elevato; si nota che: a) la deformazione non si accresce mentre il carico rimane costante; b) la provetta si deforma anche durante la sosta, il materiale fluisce.

Nel primo caso il diagramma di deformazione assume l'aspetto della fig. 6 (acciaio); raggiunto il punto a del diagramma il carico si mantiene costante per 3 giomi, poi se ne riprende l'aumento; si nota un nuovo tratto di proporzionalità dovuto all'incrudimento (effetto Bauschinger), poi un nuovo snervamento e un ulteriore periodo di grandi deformazioni. Si può provocare tutta una serie di questi gradini ed otteneie un carico di rottura superiore a quello dato dalla prova fatta nel modo ordinario, senza soste nell'aumento del carico. Nel secondo caso possiamo avere il diagramma della fig. 7; raggiunto un certo carico la deformazione continua spontaneamente; si dice che si è così determinato il carico limite di viscosità o, se vogliamo, di fluimento (fr. fluage; ingl. creep; ted. Kriechen). Di questo limite, che si cerca con prove ripetute, le quali, come si è detto, non sono sempre prive di conseguenze sul comportamento del materiale, vengono date definizioni convenzionali, diverse dai varî autori.

In genere si procede anzitutto a prove di orientamento, sottoponendo il saggio a carichi diversi e determinando la temperatura alla quale il materiale incomincia a fluire: bisogna far crescere la temperatura con legge regolare e lenta; il diagramma delle deformazioni in funzione della temperatura presenta nel punto di viscosità un ginocchio assai netto. Poi si fa la vera prova di viscosità esoterma: portata e mantenuta con precisione la provetta ad una temperatura ben determinata, si traccia il diagramma delle deformazioni in funzione del tempo, che presenta di solito tre tratti abbastanza ben distinti: un primo tratto con la concavità verso il basso, un secondo di maggior durata quasi rettilineo, un terzo con la concavità verso l'alto. In Francia la prova dura 72 ore, si misurano le velocità medie di deformazione nel periodo compreso fra la 25ª e la 35ª ora e in quello fra la 25ª e la 72ª ora; poi si scarica il saggio e si misurano le deformazioni permanenti dopo 10 minuti e dopo 6 ore dallo scarico. Si ritiene raggiunto il limite di viscosità allorché la deformazione in un'ora è di 0,0005 centesimi della lunghezza del tratto utile. La durata di 72 ore è apparsa troppo corta; gli Americani spingono la prova fino a 1000 ore e determinano il carico che dà una velocità di 0,1% o di 0,01% del tratto utile per ora. Si carica quindi fino a rottura e si rappresentano i risultati delle prove mediante diagrammi che dànno: a) la relazione tra il carico e il tempo necessario a produrre la rottura, per una determinata temperatura; b) la relazione tra il carico e la velocità della deformazione spontanea, sempre per una data temperatura e la deformazione permanente in funzione del tempo; c) la rottura e la velocità di deformazione in funzione della temperatura.

Nei conglomerati le deformazioni viscose si sovrappongono ad altre deformazioni spontanee, cioè a quelle dovute al ritiro, fenomeno assai complicato di cui solo ora si riescono ad intravedere le ragioni e le modalità.

Prove dinamiche di breve durata o prove di fragilità. - Anche per queste prove si è cercato di impiegare la microprovetta; il problema presentò qualche difficoltà: la prova ordinaria a flessione fallisce lo scopo perché nelle provette piccolissime, e tanto più quando sono più ridotte, la fragilità diminuisce. Migliori risultati si ottengono facendo le prove con barrette speciali a forma di doppio tronco di cono e con la sezione più ristretta in mezzeria: è incerto il confronto dei risultati della lunga esperienza del passato con quelli di queste nuove esperienze. Tutte queste prove sono delicate e i loro risultati vanno corretti tenendo conto degli attriti e della forza viva posseduta dalla parte di provetta proiettata dopo la rottura. Sul valore della resistenza influiscono la struttura macrografica e quella micrografica del materiale.

Prove dinamiche di grande durata. Fatica. - Anche per queste prove si sono adottate con successo le microprovette, specialmente quelle soggette a torsione alternata; si rilevano fotograficamente i diagrammi coppia torcente-angolo di torsione, e su questi diagrammi possono rilevarsi le pendenze delle curve che li limitano e che misurano il modulo istantaneo d'elasticità trasversale di Coulomb. L'area del ciclo è proporzionale al lavoro dissipato per l'attrito interno; questo attrito può misurarsi pure seguendo lo smorzamento delle vibrazioni; si ha così un metodo assai potente d'indagine, utile soprattutto quando la isteresi del materiale sia assai piccola.

Le rotture dei metalli per fatica avvengono secondo sezioni piane o a conca poco profonda: dall'aspetto risultano chiaramente distinte la zona di rottura per fatica, lucida e d'apparenza quasi levigata, che iniziatasi con fessure piccolissime si propaga con una certa lentezza, e la zona di rottura brusca; quest'ultima si verifica quando la sezione è così ridotta da non poter più resistere alle azioni esterne. Si spiegano le rotture di fatica partendo dalla considerazione dei reticoli cristallini; la deformazione, dapprima elastica, consiste in distorsioni (modificazione delle lunghezze dei lati e degli angoli del reticolo) elastiche; poi intervengono la formazione di piani di scorrimento, tanto più numerosi quanto più numerose sono le ripetizioni degli sforzi, la dislocazione della struttura e la rottura dei grani. La rottura per fatica è per lo più conseguenza della rottura dei cristalli e non del distacco fra questi. I difetti del materiale e della sua superficie, gli intagli, specie se acuti e profondi, e le inclusioni, sono assai nocivi per quanto riguarda la resistenza a fatica, come pure le variazioni brusche di sezione o i raccordi con piccolo raggio di curvatura. Dovranno evitarsi anche le deviazioni brusche delle linee isostatiche e la loro eccessiva densità locale. La corrosione superficiale e la semplice ossidazione, l'esistenza di tensioni iniziali dello strato esterno del solido diminuiscono la resistenza a fatica, l'indurimento superficiale l'aumenta.

Durezza. - Si ricorre ora spesso anche alla cosiddetta microprova di Knoop, nella quale l'impronta, a forma di rombo allungato, viene ottenuta con una punta di diamante di forma opportuna; il carico varia da 5 a 3600 gr. Si misura la lunghezza della diagonale maggiore con l'approssimazione del micron.

Prove senza distruzione del saggio. - La più usata fra queste prove è la prova di Brinell; varie altre sono in grado di sostituirla o almeno di rivelare l'esistenza di tensioni iniziali non altrimenti scopribili o di far conoscere l'esistenza di difetti nascosti. Ricorderemo l'esame con i raggi Röntgen o con i raggi γ; il contrasto fra il grado di chiarezza de" e varie zone riprodotte sopra una pellicola rende manifesta la presenza di scorie, di vuoti e di altri difetti; la diffrazione dei raggi permette di misurare eventuali tensioni interne preesistenti al carico (tensioni iniziali). Un'altra prova assai diffusa è quella dello spettro magnetico, adatto per lo studio dell'acciaio e ottenuto con limatura o con polvere di ferro sparsa sulla superficie. Col loro disporsi e concentrarsi esse manifestano le variazioni locali della permeabilità magnetica dovute a fessure, inclusioni, vani, zone incrudite ed analoghe deficienze non apparenti all'esterno.

Può citarsi ancora, per quanto non sia una vera prova di materiale, quella consistente nel ricoprire un pezzo di costruzione o di macchina con una vernice fragile e nell'assoggettarlo a quegli stessi carichi che esso dovrà reggere in pratica. Le vernici si fessurano secondo le isostatiche di compressione: dall'andamento di queste e dal loro addensarsi possiamo dedurre le concentrazioni di tensioni ed evitare calcoli statici lunghi ed incerti; con qualche artifizio si ha pure il mezzo di determinare la grandezza delle tensioni interne.

Macchine per la prova dei materiali. - Alle ordinarie macchine di prova, che hanno avuto molti miglioramenti nei particolari ma che in sostanza rimangono quelle già note e costruite da qualche decina di anni, si sono aggiunte quelle ingegnosissime dello Chevenard: micromacchine per prove di trazione, di taglio e di flessione su microprovette e per prove del limite di viscosità; macchine per prove di trazione su nastri, fili metallici e fibre tessili; macchine di torsione continua ed alternata; micropendolo di Coulomb per la determinazione dell'attrito interno; maglietto di urto. Sono macchine semplici, spesso registratrici del diagramma carico-deformazione: le forze sono misurate con la flessione d'una molla dinamometrica, le deformazioni con un amplificatore ottico. La registrazione ottica delle deformazioni si fa anche in macchine di ordinarie dimensioni ed è in ogni caso preferibile.

Criterî di resistenza e teorie della rottura. - La teoria sulla rottura dei solidi ed i criterî per giudicare la sicurezza delle costruzioni sono stati, in questi ultimi tempi, oggetto d'importanti studî e di lunghissime e precise esperienze; le nostre idee in questo campo assai complesso vanno orientandosi.

La maggior parte delle teorie oggi seguìte continua ad accettare la concezione classica del corpo continuo, fondamento della teoria matematica dell'elasticità. Il modo più evidente di esporre i risultati di queste teorie è quello di rappresentare graficamente lo stato di tensione nell'intorno del punto generico P. Sappiamo che a definire questo stato basta conoscere la grandezza e l'orientamento delle 3 tensioni principali σξ, ση, σζ, che sono fra loro perpendicolari, saranno per noi positive le tensioni che corrispondono a trazione, negative le tensioni di compressione: σξ sarà la tensione minore, in senso algebrico, σζ la più grande. Per il problema qui considerato, nei corpi isotropi, l'orientamento del triedro trirettangolo delle tensioni principali non ha interesse; in questo caso una rappresentazione assai elegante dello stato di tensione si ottiene con i circoli di Mohr (fig. 8), ricavati nel modo seguente. Riferiamoci a due assi ortogonali σ e τ, dove σ è la tensione normale, τ il valore assoluto (modulo) della tensione tangenziale sull'elemento considerato. Tracciamo i circoli aventi il centro sull'asse σa e passanti rispettivamente per le coppie di punti σξ e ση, ση e σζ, σξ e σξ. Tutte le coppie di punti (σ, τ) corrispondenti alle tensioni agenti nel punto considerato sono quelle comprese nei triangoli curvilinei determinati da questi circoli; e vi ha la possibilità di trovare l'orientamento, rispetto alla terna delle tensioni principali, dell'elemento sottoposto alla tensione di componenti σ e τ.

Un altro metodo di rappresentazione è quello di Becker e Westergaard; lo stato di tensione nel punto P si determina fissando il punto P* di coordinate σξ, ση, σζ, o, ciò che fa lo stesso, il vettore O P* che congiunge P* con l'origine delle coordinate.

Le rotture avvengono in modo assai vario e con aspetti diversi secondo che si tratti di corpi vetrosi o di corpi duttili. Nei primi la causa è da ricercarsi piuttosto nel superamento delle tensioni σ (rottura per strappo); essa avviene ad esempio secondo una sezione normale all'asse nelle provette tese, secondo una superficie elicoidale in quelle torte. Nei corpi molti duttili sono invece le tensioni tangenziali τ a determinare la rottura per scorrimento; nelle provette tese si forma un cono di distacco, in quelle circolari torte la rottura avviene secondo una sezione piana normale all'asse di torsione. Per lo più la rottura è mista: di strappo e di scorrimento. Ai varî materiali si addicono quindi criterî di rottura assai diversi e, nei materiali costituiti da un aggregato di cristalli o di cristalliti, la rottura può essere in prevalenza intracristallina o invece intercristallina; la temperatura e il tipo di sollecitazione (statica o dinamica o ripetuta) possono favorire il formarsi dell'una o dell'altra rottura.

Nei corpi vetrosi la teoria della tensione normale principale massima pare corrisponda bene al vero; la plasticità non interviene sensibilmente e il processo di rottura è quindi relativamente semplice.

Nei corpi duttili, acciai e leghe risultati soddisfacenti si ottengono applicando il criterio di Mohr, che si può riassumere così: la tensione intermedia ση non influisce sensibilmente sul prodursi della rottura, il circolo sul quale si troverà la tensione pericolosa sarà quindi quello esterno σξ σζ e si avrà rottura quando questo circolo uscirà, sia pure di pochissimo, dall'area limitata dalla curva di Mohr (fig. 9). I Francesi dànno a questa curva il nome di curva intrinseca di Caquot e la ritengono una parabola semicubica, col punto all'infinito coincidente con quello dell'asse σ. Non è detto però che la curva sia proprio aperta come del resto vogliono teorie della rottura, che negano la possibilità di rottura sotto una pressione idrostatica per quanto elevata.

Altre volte appare più adatta la teoria che Huber von Mises ed Henky dedussero correggendo il criterio di Beltrami. Non è più tutto il lavoro di deformazione dell'elemento che si rompe a dover essere considerato, bensì la sola parte corrispondente alla variazione di forma (o come si dice, non senza dar modo a qualche equivoco, alla distorsione dell'elemento), che si ottiene sottraendo dal lavoro complessivo quello dovuto alla variazione di volume. Le esperienze di Roš ed Eichinger hanno provato che questo criterio è soddisfacente per parecchi materiali.

Alcune vedute assai interessanti riguardo ai fondamenti delle prove dei materiali e alla resistenza di questi sono contenute in una serie di memorie recentissime del Brandenberg; esse porterebbero a riesumare, naturalmente con qualche ritocco, il criterio della massima dilatazione di Barré de Saint Venant.

Vi sono pure teorie della rottura fondate sulla costituzione atomica della materia e sul comportamento dei reticoli cristallini. Il reticolo, assai regolare nei cristalli completi, non lo è più ai limiti delle cristalliti e là dove parecchi grani si incontrano, dando luogo a modificazioni e ad irregolarità, alle quali corrispondono stati di tensione molto complicati e per lo più sfavorevoli. Sotto i primi carichi, finché sl rimane nel regime elastico, il reticolo si distorce: i suoi angoli e la lunghezza dei lati delle sue maglie si modificano, ma con il cessare della causa deformante, tutto ritorna nella posizione primitiva. Il reticolo cristallino non è tuttavia perfetto, come si suppose; azioni perturbatrici sono: il movimento di oscillazione degli atomi intorno ad una posizione media, irregolarità locali per la mancanza di atomi (lacune) o per l'inserzione nelle maglie di atomi estranei, difetti che i raggi X mettono in evidenza. Oltrepassato un certo carico, compaiono la plasticità, le deformazioni irreversibili e tutti quei fenomeni che abbiamo già studiato. I fenomeni elastici si seguono molto bene nel monocristallo, che per certi metalli si ottiene anche con notevoli dimensioni. Nel dominio quasi elastico la deformazione avviene dapprima con velocità piccolissima (microplasticità), poi la velocità di deformazione cresce e si può giungere alla rottura.

I fondamenti delle dottrine su questo argomento vennero posti da Schmid e Boas (1935) e successivamente svolti in numerosi studî. Nella deformazione plastica del cristallo si possono distinguere: la traslazione (scorrimento) e la geminazione; un terzo tipo di deformazione, segnalata dall'Orowan, è ancora mal conosciuto. I piani di scorrimento, che hanno una ben determinata posizione rispetto agli assi del cristallo, e sono paralleli, appaiono sulla superficie del monocristallo con una serie di strie parallele da non confondere con altre linee (linee parassite) dovute a difetti, nettamente distinte dalle prime per il diverso modo di comportarsi per un aumento del carico. I diagrammi di von Laue permettono di rilevare bene il prodursi delle due specie di deformazione. Di esse la geminazione è ancora poco studiata, assai meglio conosciuta la traslazione. Superato un certo limite si riscontrano nel monoscristallo due fenomeni contrastanti: un indebolimento apparente del metallo che tende a cedere sempre più con l'aumento del carico, un consolidamento o incrudimento per cui la resistenza allo scorrimento va man mano aumentando; il prevalere dell'uno o dell'altro fenomeno conduce a comportamento ben diverso del materiale. Il consolidamento vien posto in luce da alcune evidenti modificazioni del diagramma di Laue: le macchie di questo si allungano, a causa di variazioni dell'orientamento del reticolo cristallino, si allargano per varie ragioni, secondo alcuni essenzialmente per curvature locali del reticolato. L'incrudimento è indipendente dalla temperatura e tende a svanire, perché non è uno stato termodinamicamente molto stabile; questa sua riduzione o scomparsa prende il nome di restaurazione e dipende dalla temperatura e dalla velocità della prova; essa è legata anche al fluimento. Nelle prove di lunga durata, dopo questa restaurazione si nota ancora una recristallizzazione, per cui il materiale riacquista le primitive proprietà, si formano nuovi cristalli che si vanno ingrandendo, scompaiono le primitive macchie del diagramma di Laue e altre nuove compaiono. I fenomeni che dominano la recristallizzazione e che hanno grande importanza non sono ancora ben spiegati, ma è certo che vi contribuisce l'agitazione termica.

Esistono numerose teorie della plasticità cristallina: alcune tentano di determinare il carico di rottura dei materiali, ma conducono a valori enormemente superiori, spesso mille volte più grandi di quelli effettivi. La rottura corrisponde alla distruzione dei legami fra due atomi e questa si ottiene allorché la loro mutua distanza diventa così grande da elidere l'azione mutua fra di essi. Per rompere il legame occorre fornire una energia, che unita a quella termica d'oscillazione degli atomi, raggiunga un certo valore; all'atto della rottura il modulo elastico del cristallo deve annullarsi. Queste due considerazioni bastano per calcolare la tensione di rottura. Si sono ideate varie teorie per togliere la discordanza con l'esperienza. Smekal attribuì la rottura prematura alla presenza di microfessure, analogamente a quanto aveva supposto il Griffith per gli elementi macroscopici; poi in luogo di fessure considerò difetti (lacune o atomi interposti) distribuiti lungo piani privilegiati: un atomo su 10.000 circa sarebbe interessato da questi difetti. Si riescono così a spiegare qualitativamente diversi fenomeni: l'esistenza dei difetti postulati pare sia verificata dall'esperienza, ma rimane un insanabile contrasto tra i valori della tensione di rottura trovata da Smekal, che è circa 1/3 di quella teorica e quella reale che vedemmo esserne invece anche solo 1/1000. Taylor attribuì invece il divario tra le due resistenze alla posizione anormale occupata da alcuni atomi, ma neanche questa teoria è sufficiente a giustificare i fenomeni che accompagnano il prodursi della plasticità e della rottura. Becker attribuì il basso valore della tensione di rottura ad eterogeneità delle energie vibratorie degli atomi, la quale teoria venne modificata da Orowan, che, ricollegandola con quella degli autori precedenti, ottenne risultati assai migliori.

Anche del consolidamento vennero date parecchie teorie: alcune di esse (Smekal, Taylor) fanno appello alla riduzione di lunghezza ed alla modificazione di orientamento delle microfessure, altre fanno intervenire una modificazione del reticolo (Beilby, Ludwik, Polanyi), Tamman pensò ad una variazione dell'atmosfera elettronica dell'atomo. Una sintesi di queste varie teorie venne data dai Burgers e da Kochendorfer ed è soddisfacente sotto molti, ma non sotto tutti gli aspetti.

Le cose che vedemmo si sono estese poi al bicristallo (due cristalli saldati sopra una certa lunghezza), nei quali la rottura può avvenire con allungamenti molto minori di quelli necessarî col monocristallo. Le conclusioni valide per questi casi particolarmente semplici si sono estese poi ai policristalli cioè ai materiali metallici della pratica.

Determinato il carico di rottura, occorre fissare il coefficiente di sicurezza (che qualche volta si riferisce invece al limite elastico convenzionale), per il quale va diviso il carico di rottura per ottenere il carico di sicurezza cioè quel valore della tensione di lavoro che non si deve superare (o vanno divise le ordinate della curva limite di Mohr, o nella cui proporzione va ridotta la superficie limite di Westergaard). La considerazione di grado di probabilità della combinazione di più carichi esterni e dei loro valori massimi, introdotta esplicitamente nelle costruzioni aeronautiche, va man mano diffondendosi anche alle altre costruzioni e sostituisce le imperfette e quasi inconsapevoli applicazioni di questo principio, di cui è traccia in qualche disposizione di regolamenti. Molti materiali (conglomerati cementizî, cavi metallici) dànno luogo a grandi dispersioni di risultati nelle prove di rottura.

Quando le prove sono molte, le frequenze dei valori ricavati dall'esperienza, ove manchino cause sistematiche di errore, sono disposte all'incirca secondo la curva a campana di Gauss, intorno ad un valore massimo. Può darsi che un materiale che dia valori massimi meno alti, ma meno dispersi, riesca assai più adatto di altri aventi caratteristiche opposte. Si determinano da queste esperienze il valor medio Km dei risultati delle esperienze e il relativo scarto quadratico Δ: se ne deducono poi formule del tipo di quella che, per dare un esempio, indica, secondo R. L'Hermite, il valore probabile del carico di rottura Kc per un calcestruzzo di cantiere in base alle esperienze di laboratorio

dove c è un coefficiente di riduzione (0,7÷0,9) che dà la riduzione di resistenza del conglomerato preparato a piè d'opera rispetto a quello preparato in laboratorio, avente carico di rotta Km.

Bibl.: E. Siebel, Handbuch der Werkstoffprüfung, I-III, Berlino 1939-41; K. Daeves, Werkstoff-Handbuch. Stahl und Eisen, Düsseldorf 1940; G. Massing, W. Wunder, M. Groeck, Werkstoffhandbuch Nichteisenmetalle, Berlino 1938 segg.; Staatl, Materialprüfungsamt Berlin-Dahlem, Leitgedanken einer neuzeitlichen Werkstof-Forschung, Berlino, 1947; id., Querschmitt durch das Gebiet der Werkstoff-Prüfung und- Forschung, Berlino 1947; P. Laurent, J. Valeur, S. Bogroff, Les bases de la résistance mécanique des métaux et alliages, Parigi 1947; Schmid-Boas, Kristallplastizität, L. Guillet, Les méthodes d'études des alliages métalliques, Parigi 1933; Houwink, Elasticity, plasticity and structure of matter, Cambridge 1937; R. L'Hermite, La structure et la déformation des solides, Parigi 1943; id., L'expérience et les théories nouvelles en Résistence des matériaux, Parigi 1945; W. Spath, Technische Physik der Werkstoffe, Berlino 1942; V. Iterson, Traité de plasticité pour l'ingénieur, Parigi 1944.

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