Revisione costituzionale

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

Revisione costituzionale

Angelo Antonio Cervati

Le proposte di riforma costituzionale presentate nel 2012 hanno come Leitmotiv l’esigenza di porre le istituzioni italiane al passo con i presunti principi costitutivi dell’Unione europea. L’Autore si interroga se il diritto costituzionale possa trasformarsi, da disciplina che investe i principi degli ordinamenti giuridici, in una materia esclusivamente tecnica e organizzativa che pone al centro del sistema delle garanzie l’esigenza di eliminare ogni ostacolo al libero sviluppo della concorrenza e delle attività delle imprese private. A suo avviso, va riconosciuta piuttosto la priorità della riforma delle istituzioni europee rispetto agli interventi sui principi costituzionali degli Stati europei. Andrebbe piuttosto recuperata la funzione di garanzia della revisione costituzionale e dei suoi limiti materiali nell’ordinamento italiano.

La ricognizione

L’esame dei progetti governativi in tema di riforme costituzionali presentati nel corso del 2012 suscita un serie di interrogativi pratici, procedimentali, politici e persino teorici, riguardanti l’istituto della revisione e l’idea stessa di costituzione e di garanzie costituzionali. I disegni di legge governativi e i lavori parlamentari offrono alla dottrina e alla prassi occasioni non trascurabili per riflettere sui diversi profili attinenti alla procedura da seguire per la revisione costituzionale, oltre che sui contenuti specifici delle proposte di riforma. La riflessione potrebbe condurre al risultato di considerare inadeguati gli strumenti dogmatici elaborati finora dalla dottrina del dopoguerra in tema di potere costituente, potestà di revisione e soprattutto di ermeneutica costituzionale, anche al fine di adattare il sistema tradizionale di concetti del diritto costituzionale ai mutamenti del sistema italiano ed europeo. Le proposte avanzate sembrano mettere in discussione nel loro insieme i contenuti essenziali della Costituzione repubblicana promulgata nel 1947 e le più significative acquisizioni della tradizione costituzionale europea, oltre che i valori costituzionali tuttora condivisi da gran parte dell’opinione pubblica italiana. Per aprire il discorso sulla fondatezza di tali dubbi, che investono nel loro insieme il delicato problema dei limiti della potestà di revisione costituzionale e il merito delle riforme proposte, occorrerebbe fare riferimento a elementi più sicuri sullo stato dei lavori, almeno al livello governativo, e sui parametri sovranazionali di valutazione dei mutamenti realizzatisi nella cultura politica e giuridica del nostro tempo, con riferimento ai valori fondamentali delle costituzioni europee.

Le richieste di riforma costituzionale hanno oggi come Leitmotiv la conclamata esigenza di mettere le istituzioni italiane al passo con i principi costitutivi dell’Unione europea e con le quattro libertà la cui garanzia sarebbe indispensabile per la crescita dell’economia e della finanza nazionali, europee e globali. Non si può dimenticare che la Costituzione italiana è da molto tempo oggetto di una campagna politica, che insiste particolarmente sul carattere urgente di alcuni ritocchi essenziali che farebbero parte del disegno di una “grande riforma”, proposta da vari decenni all’attenzione dell’opinione pubblica, i cui contenuti reali sono invero mutevoli e continuano a essere disegnati nei loro particolari. Oggi si parla piuttosto di riforme al plurale anche se si continua ad affermare che queste ultime avrebbero un’efficacia salvifica per l’intera collettività nazionale, solo che si riuscissero a superare le opposizioni provenienti di varie parti politiche e persino da alcuni centri del potere statuale. Resta da vedere se il risultato di mutare profondamente il contenuto della Costituzione sia perseguibile attraverso revisioni costituzionali, che, applichino le strategie del “taglia”, “incolla” e “aggiungi”, ovvero se non convenga piuttosto riaprire un discorso più approfondito e non necessariamente celebrativo sui valori costitutivi della Repubblica, sulla storia e sulla cultura giuridica e politica nazionali, non in una nuova assemblea costituente, che potrebbe non essere matura per un tale dibattito, almeno tra gli studiosi di storia e di diritto costituzionale.

Non è questo il luogo per fare una cronaca particolareggiata dei vari tentativi di modifica della Costituzione, né di esporre gli schemi dei diversi percorsi delle riforme mancate e neppure di procedere a una elencazione delle riforme possibili. Limitandoci ai profili procedurali, si può ricordare che in passato fu prevista l’istituzione una tantum di “commissioni bicamerali”, che avrebbero reso più agili i lavori dei riformatori, attraverso la semplificazione dell’iter di approvazione delle relative leggi di revisione. Nei più recenti tentativi di realizzare ampie revisioni della Costituzione, non più attraverso procedure in deroga alle previsioni dell’art. 138 Cost., ma attraverso le vie ordinarie, che sono quelle indicate anzitutto dagli art. 138 e 139 Cost. e poi dagli art. 71 e 72 e ss. della Costituzione. Tali disposizioni, infatti, secondo i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non vieterebbero l’approvazione di ampie riforme, ma consentirebbero anzi di articolarle meglio secondo l’ordine seguito dalle varie parti, titoli e sezioni della Costituzione vigente. La stampa e i partiti hanno persino parlato di “pacchetti” separati tra loro, recanti il contenuto delle varie riforme possibili, in modo da tenere unito l’insieme delle riforme relativo alla “libertà d’iniziativa economica”, quelle relative alla “forma di governo” ed eventualmente quelle sul potere giudiziario e sulla Corte costituzionale.

L’insieme delle proposte di revisione, sostenute, con maggiore o minore energia, dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni, suscita tuttavia delle perplessità sia con riferimento allo stesso mutamento della funzione della procedura di revisione costituzionale, sia al merito delle stesse riforme. In primo luogo, alcune di tali proposte sembrano, soprattutto nella prassi più recente, rivolte più a trasmettere messaggi politici ad interlocutori esteri – che attenderebbero di essere rassicurati sulla stabilità e compattezza delle istituzioni italiane e sulla piena partecipazione del nostro Paese al processo di integrazione europea –, che non ad assicurare chiare innovazioni istituzionali, suscettibili di un’immediata messa in opera. In secondo luogo, il contenuto effettivo di una parte delle innovazioni proposte sembra puntare sugli obiettivi principali di rafforzare i poteri governativi e contemporaneamente di attenuare il valore delle enunciazioni costituzionali che fanno riferimento alla solidarietà sociale, allo stato di diritto e alla separazione dei poteri. Secondo un vecchio orientamento, che è stato condiviso al tempo delle commissioni bicamerali, le disposizioni in cui sono enunciati i “principi fondamentali” della Costituzione non dovrebbero neppure essere toccate, nella convinzione che basti operare sulla prima e sulla seconda parte della Costituzione, per aprire la strada a un’interpretazione dei “principi fondamentali” meno rigida e più aperta alle esigenze dell’economia di mercato e della libertà delle imprese. Inserendo nel testo costituzionale una più inequivocabile affermazione della garanzia dello sviluppo delle imprese private e una più chiara limitazione dell’azione dei poteri pubblici a fini sociali e ridimensionando nello stesso tempo l’ambito dei servizi pubblici, almeno con riferimento alle attività che possono più facilmente essere affidate ad imprese private, si finirebbe con l’attenuare la portata valutativa di alcune enunciazioni contenute nei “principi fondamentali” della Costituzione, che si sarebbero rivelate inadeguate rispetto alla fase attuale del processo di integrazione europea. Vorremmo infine osservare in che la costituzione è una sola e che essa va interpretata come merita un testo unitario che testimonia, attraverso varie proposizioni normative, valori ritenuti fondamentali per la convivenza sociale.

Va anche segnalato, al fine di una più obiettiva ricognizione delle difficoltà che incontrano le proposte di riforma costituzionale, che non sono mancate voci di dissenso sull’urgenza delle revisioni proposte, e che si è affermato da più parti che occorrerebbe piuttosto mettere le istituzioni comunitarie al passo con i principi propri del diritto costituzionale dei singoli Paesi europei oltre che con i valori costitutivi dell’ordine giuridico italiano. Si è ripetutamente fatto presente che le riforme che dovrebbero investire i trattati istitutivi dell’Unione europea sono le più urgenti, perché altrimenti si corre il rischio di una definitiva eliminazione del costituzionalismo sociale e pluralistico europeo, e che solo attraverso lo studio della cultura costituzionale del vecchio continente si apre la strada alla diffusione di un pensiero politico e giuridico, che, merita ancora di essere attentamente studiato nelle sue stesse contraddizioni e nella ricchezza dei fermenti che hanno arricchito le sue dinamiche e la sua vitalità. In effetti, l’unico risultato raggiunto nel corso del 2012, è stata l’approvazione della legge che ha proposto la revisione dell’art. 81 Cost., introducendo nel testo costituzionale il principio del pareggio del bilancio (v. Pareggio di bilancio). Riteniamo tuttavia che anche una sommaria rassegna delle proposte presentate nel corso del 2012 faccia parte della prassi di quest’anno, perché tali proposte toccano, in alcuni punti fondamentali di politica costituzionale, il dibattito giuridico e politico sui valori costitutivi della nostra Repubblica. Richiamare, fin nella prima parte dell’esposizione, lo stato della discussione giuridica sul tema delle riforme costituzionali, sulla revisione e sul merito delle proposte di riforma costituzionale, può anche giovare a mettere in primo piano gli sviluppi del diritto sovranazionale e della giurisprudenza costituzionale dei singoli Paesi, rinnovando quell’interesse per la politica costituzionale che era sembrato esaurirsi con il prevalere dei formalismi del costituzionalismo normativo del Novecento.

Quel che ci sembra fondamentale è riaffermare il carattere culturale, storico e politico dei valori costitutivi dell’ordine giuridico repubblicano, valutandone l’attualità in relazione al contesto assiologico e storico dell’Unione europea, senza cercare di stabilire soltanto priorità formali tra diritto europeo e tradizioni costituzionali dei singoli Paesi. Il diritto costituzionale non può trasformarsi in una disciplina tecnica specialistica che avrebbe perduto di colpo tutta la propria valenza di strumento per conoscere meglio la storia sociale, la cultura e la politica dei popoli europei, per divenire soltanto una tecnica argomentativa, nella quale possono orientarsi solo pochi esperti di giurisprudenza sovranazionale o di ingegneria costituzionale. La considerazione dei valori sostanziali che hanno guidato il mutare del corso della storia europea, e che rappresentano un patrimonio da non disperdere in nome di un’assolutizzazione dei principi della libera concorrenza e della libertà delle imprese, merita invece di essere valorizzata in vista di più significative riforme dell’economia e delle costituzioni, dello sviluppo sociale e delle esigenze delle diverse collettività umane.

Un noto giurista tedesco, Peter Häberle, ha ribadito che le enunciazioni contenute nei testi normativi rappresentano formulazioni che, per essere comprensibili, impongono di fare riferimento ad altri testi, non esclusivamente normativi, i quali consentono di comprendere e interpretare al meglio il significato dei fenomeni giuridici e storici del nostro tempo. Tale constatazione, che vale a smitizzare la concezione esclusivamente normativa del diritto costituzionale, può solo significare che le costituzioni e la modificabilità dei testi costituzionali non possono che essere valutate alla luce di questa cultura storica e teorica. Il successo avuto da questo Autore nella letteratura giuridica del nostro tempo, ben oltre i confini del suo Paese, sta a dimostrare come sia indispensabile avere anche oggi un’idea più aperta del diritto costituzionale, meno formalistica e meno condizionata dagli orientamenti dei governi, degli organismi sovranazionali e delle agenzie di mercato. Merita di essere sottolineata la perdurante attualità della concezione dei valori costitutivi della convivenza civile come impegno di tutti i cittadini che si richiamano alla cultura sociale, al pensiero politico, al senso di responsabilità dei giuristi e degli uomini di cultura e non solo a conoscenze professionali e tecniche. Le costituzioni sono entità viventi, create dagli uomini e mantenute da una serie di garanzie, per il cui funzionamento effettivo è fondamentale l’impegno di tutti i membri dell’ordine giuridico. Può essere persino pericoloso invertire il circuito democratico della revisione costituzionale, trasformando quest’ultima in uno strumento che consentirebbe mutamenti illimitati dei valori costitutivi degli ordini giuridici dei singoli Stati membri dell’Unione europea, al di fuori di un processo di trasformazione maturato anzitutto nella società.

Il dibattito sulla revisione costituzionale, nel corso di quest’anno, ha impegnato, oltre i membri del parlamento, intellettuali e rappresentanti della dottrina giuridica, che hanno sottolineato come non ci si deve meravigliare se, in molti casi, ci si troverebbe di fronte a veri e propri mutamenti di rotta del diritto costituzionale e della cultura ad esso corrispondente. Si dovrebbe anche evitare di trasformare la procedura di revisione in uno strumento burocratico, di cui i governi possano avvalersi tutte le volte in cui dispongano di maggioranze compatte, pronte a approvare qualsiasi riforma del testo costituzionale, seguendo suggerimenti che provengano da interlocutori internazionali, poco interessati al mantenimento dei principi dell’ordine costituzionale nazionale, o da alcuni settori dello stesso apparato dei poteri pubblici. E ci si dovrebbe guardare anche dall’utilizzazione del mito di una riforma, guidata dalle forze sane della imprenditoria e della politica manageriale, ispirata a soluzioni che eliminerebbero i mali della società e delle istituzioni italiane, aprendo piuttosto il confronto con l’opinione pubblica sui principi essenziali e irrinunciabili degli ordini costituzionali contemporanei.

A dimostrazione che l’opinione pubblica non sia poi così schierata a favore di profonde riforme di taglio tecnologico ed autoritario dell’intero disegno costituzionale si pone la considerazione che nel 2006 il popolo negò, in un referendum costituzionale, il consenso a un vasto insieme di riforme, che era stato approvato dal parlamento a maggioranza assoluta dei membri delle due camere.

La focalizzazione

Come anticipato, l’unico risultato raggiunto nel corso del 2012, è stata l’approvazione della legge che ha proposto la revisione dell’art. 81 Cost., introducendo nel testo costituzionale il principio del pareggio del bilancio.

Giova, tuttavia, procedere ad una sommaria rassegna delle altre proposte presentate nel corso del 2012, perché tali proposte toccano, in alcuni punti fondamentali di politica costituzionale, il dibattito giuridico e politico sui valori costitutivi della nostra Repubblica.

2.1 La revisione costituzionale e l’opinione pubblica

Per valutare dal punto di vista giuridico la prassi dell’anno in corso, occorre anzitutto ricordare che la revisione costituzionale rappresenta una procedura solenne, disciplinata dalle diverse costituzioni rigide in modo da imporre tempi adeguati a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, e prima di tutto delle stesse camere, sulle ragioni delle riforme proposte e sull’esame dei testi da approvare. In alcuni ordinamenti, si prevede lo scioglimento delle assemblee che hanno approvato in prima deliberazione le modifiche costituzionali o una doppia approvazione, a intervalli di tempo fissi, tra la prima e la seconda, con maggioranze qualificate e talora con una successiva pronuncia popolare obbligatoria.

In Italia la revisione è disciplinata degli artt. 138 e 139 Cost., in connessione con i principi che valgono per l’esercizio della funzione legislativa ordinaria, disciplinata dagli art. 70 e ss. Cost., il referendum è eventuale ed è anzi escluso espressamente quando la legge costituzionale sia stata approvata con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera. L’art. 138 Cost., scritto in un’epoca in cui non si parlava di polarizzazione degli schieramenti politici e si poteva persino pensare che una maggioranza di due terzi nella seconda approvazione di una legge costituzionale giustificasse la presunzione della rispondenza del voto parlamentare agli orientamenti della maggioranza degli elettori, ha, forse incautamente, escluso il ricorso al referendum nel caso in cui la legge stessa sia stata approvata con tale maggioranza. Tale interpretazione dell’art. 138 Cost. finendo con il dare carta bianca agli accordi partitici, consentirebbe persino la realizzazione di riforme eversive, quando i leaders dei maggiori partiti si fossero messi d’accordo su un progetto di conquista del potere, superando le stesse resistenze degli organi di vertice della Repubblica oltre che dell’opinione pubblica.

La procedura solenne di revisione costituzionale è retta dalla ratio di concedere, come si diceva, tempo alle assemblee legislative, e di informare adeguatamente l’opinione pubblica sui temi oggetto di revisione; ne deriva di conseguenza l’esigenza di evitare approvazioni affrettate di leggi costituzionali. Questo è il senso della ripetizione della deliberazione sullo stesso oggetto «ad intervallo non minore di tre mesi», in ciascuna delle due camere, senza dimenticare che l’art. 138 Cost. prevede che entro tre mesi dalla loro pubblicazione le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali possano essere sottoposte a referendum costituzionale, nel caso in cui esse siano state approvate dalle camere, nella seconda approvazione, a maggioranza assoluta. La piena pubblicità della procedura di revisione assicura un’adeguata informazione dell’opinione pubblica e costituisce elemento fondamentale di tutto l’iter di approvazione delle leggi di revisione. Un testo legislativo contenente una revisione costituzionale non solo non potrebbe essere approvato in commissione in sede deliberante, perché si devono raggiungere elevate maggioranze parlamentari, ma anche perché le leggi in materia costituzionale debbono essere approvate con la procedura ordinaria (art. 72, co. 3, Cost.) e la deliberazione di esse non potrebbe essere neppure delegata al Governo, come invece può avvenire per i testi legislativi rientranti nella legislazione ordinaria.

I tempi lunghi e l’adeguata pubblicità della procedura di revisione dovrebbero servire anche al fine di assicurare quella sostanziale condivisione dei principi e delle regole costituzionali da parte della collettività, che sono a fondamento e a garanzia dell’effettiva vigenza e della conoscenza delle regole costituzionali da parte dei membri della società. La previsione della procedura di revisione ha un’evidente funzione di garanzia, che non meriterebbe neppure di essere sottolineata, se non fosse stata messa in dubbio da quanti considerano una svista del costituente l’aver collocato la seconda sezione del titolo VI, contenente la previsione di tale procedura, sotto il titolo di «Garanzie costituzionali». In nome di un malinteso formalismo dogmatico, è stato considerato improprio considerare una garanzia del mantenimento della Costituzione proprio lo strumento indicato dalla stessa per rivedere i contenuti del proprio testo.

2.2 Le riforme proposte

Le riforme del 2012 vertono sui temi dell’organizzazione dello Stato, sui diritti di libertà delle imprese, sul principio del pareggio del bilancio, non senza toccare il sistema delle garanzie, la giurisdizione costituzionale e la tanto controversa indipendenza della magistratura. Alcuni progetti di revisione del testo costituzionale, esaminati dal Parlamento nel corso del 2012, riguardano in particolare le disposizioni relative alla separazione della sfera pubblica da quella privata, uno dei nodi centrali e qualificanti di ogni ordine costituzionale. In esse si propone un ridimensionamento dei possibili interventi dei poteri pubblici nei confronti dei diritti dei privati, una ridefinizione delle disposizioni in tema di competenze delle amministrazioni pubbliche, di andamento e limiti dell’azione di queste ultime, un ampliamento dei diritti delle imprese private (che possono essere sia nazionali che sovranazionali).

2.3 Revisione della forma di governo

Si segnalano le proposte in tema di forma di governo che sono anch’esse di larga portata e contengono opzioni anche molto diverse, intese comunque a predisporre congegni di “ingegneria costituzionale”, in grado di rendere sempre più stabili i governi, ponendo nelle mani dell’esecutivo strumenti ispirati al diritto costituzionale di varie parti d’Europa. Tali congegni tendono a limitare i poteri decisionali dei parlamenti, secondo schemi e costruzioni che sembrano allontanarsi dal principio della separazione dei poteri e da quello dell’indipendenza delle camere rappresentative. Sulla base di un uso anomalo della comparazione giuridica e della analisi politica comparata, si tende ad individuare elementi che caratterizzerebbero alcuni “modelli” nazionali di rafforzamento del potere degli esecutivi, proponendone un parziale inserimento nel nostro testo costituzionale. Si tratterebbe di innestare frammenti di congegni che assicurano una maggiore efficienza dei lavori parlamentari, producendo un’accelerazione dei tempi di esame nel procedimento legislativo o comunque determinano un potenziamento delle sedi di vertice delle istituzioni. Per fare solo qualche esempio, si propone di ricavare dal sistema costituzionale tedesco gli strumenti diretti a rafforzare il cancellierato, a partire dall’istituto della “sfiducia costruttiva” e dai limiti alla partecipazione delle minoranze politiche, fino ad una netta separazione delle funzioni delle due camere, con distinzione dei loro ruoli politici e legislativi. Si propone, in particolare, di riprendere dalla Costituzione francese alcuni rimedi per porre nelle mani dei ministri e del presidente del consiglio la guida dei lavori parlamentari, consentendo al governo di porre il parlamento di fronte a decisioni perentorie, del tipo di un aut-aut (vote bloqué), oppure di trarre spunti di ispirazione dalle più recenti riforme costituzionali francesi al fine di ridurre l’autonomia del potere giudiziario. In effetti, non ha molto senso procedere in questa sede ad un elenco dettagliato degli strumenti proposti nei diversi progetti e accolti nella nota “bozza di riforma” pubblicata sui giornali nel corso del 2012 e che sarebbe stata presentata come testo base della Commissione referente, che ha assunto il nome di bozza ABC (Alfano, Bersani, Casini), perché il testo in questione non è neppure giunto all’esame delle camere. Nel momento in cui l’accordo sembrava raggiunto, è stato infatti dichiarato, da uno dei capi di partito più popolari in Italia, che la riforma costituzionale avrebbe dovuto comportare l’introduzione dell’elezione diretta del presidente della Repubblica da parte del popolo, smentendo così l’accordo sulle “riforme” che la stampa aveva annunciato come raggiunto.

Anche se il loro esame sembra “insabbiato”, queste proposte meritano comunque di essere considerate da chi sia interessato a uno sviluppo aperto e pluralistico delle istituzioni, perché esse minacciano gli stessi principi del parlamentarismo liberale e della democrazia sociale, quelli che costituiscono la base di gran parte delle costituzioni del secondo dopoguerra. Vanno anche segnalate le tecniche utilizzate dai “riformatori” per tenere l’opinione pubblica sistematicamente all’oscuro dell’oggetto degli accordi partitici, elaborati con la partecipazione di esperti di modellistica comparata o di economia, più che con quella di giuristi e studiosi di storia costituzionale europea. L’uso anomalo che i nostri politici fanno della comparazione giuridica a fini empirici, prescindendo totalmente da valutazioni storiche e critiche sulle esperienze costituzionali estere, potrebbe avere persino un’influenza negativa sui metodi di studio del diritto comparato nelle università. Lo studio di tale disciplina sembra allontanarsi sempre di più dalla riflessione storica e teorica, per mostrarsi disposto a prestare appoggio a iniziative estemporanee dei governi o dei partiti politici. Ricordiamo soltanto che prima della riunione dell’Assemblea costituente italiana, il Ministero per la Costituente curò la pubblicazione di una serie di studi storici e giuridici estremamente utili per i lavori della Costituente, che tuttora arricchiscono il patrimonio culturale della disciplina che va sotto il nome di diritto costituzionale. Non possiamo comunque esimerci dal ricordare un importante scritto di Costantino Mortati, che accompagnava la pubblicazione del testo della Costituzione di Weimar, e uno studio di Sestan sulla Costituzione di Francoforte, che presentava, in una prospettiva storica, una riflessione sul dibattito della Chiesa di S. Paolo in tema di garanzia dei diritti fondamentali.

È appena il caso di ricordare l’insegnamento di Vincenzo Cuoco che, all’inizio dell’Ottocento, osservava in sostanza, pensando a tutti gli italiani del Mezzogiorno, che non ha senso andare a caccia di frammenti di istituti giuridici solo per scrivere disposizioni costituzionali, copiate da una o da un’altra costituzione o legge di un altro Paese, perché non è mai prevedibile quale possa essere l’esito dell’innesto di istituti provenienti da esperienze costituzionali lontane dalla nostra prassi politica. Oggi la tecnica di scrittura delle costituzioni è profondamente mutata rispetto ai tempi di Cuoco, ma è tuttora attuale l’affermazione che l’imitazione di congegni che hanno funzionato in un certo modo in presenza di coordinate sociali e partitiche del tutto diverse dalle nostre, non si può considerare la strada maestra per procedere al rafforzamento degli esecutivi. È opportuno ricordare che lo studio e la prassi del diritto costituzionale richiedono spirito critico ed esame dei fatti reali e non possono essere svolti nella prospettiva specialistica di chi pensi di redigere cataloghi di strumenti di vario tipo diretti a limitare i principi della democrazia.

2.4 La legge di revisione dell’art. 81 Cost.

Vi è poi il caso della legge di revisione che ha introdotto il principio costituzionale del pareggio del bilancio, che sembra diretta soprattutto a comunicare all’estero la disponibilità del Paese a ridurre il proprio impegno sul piano sociale, in adesione a dottrine economiche sulle quali non si è aperto se non un limitato dibattito tra i partiti e tra i rappresentanti dell’opinione pubblica. La legge costituzionale 20.4.2012, n. 1 pone una serie di problemi che vanno dall’ammissibilità del ricorso agli strumenti di accelerazione nelle procedure di esame e approvazione dei testi che prevedono una revisione costituzionale, a quelli della efficacia reale della scrittura di norme praticamente prive di chiare sanzioni e di precisi strumenti di controllo Si segnala infatti che la nuova formulazione dell’art. 81 Cost. fa riferimento, per la sua attuazione, a una successiva legge di grado costituzionale, con il probabile risultato di escluderla dall’eventuale controllo di costituzionalità delle leggi ordinarie. La larghissima maggioranza parlamentare con la quale tale legge di revisione è stata approvata, senza che vi sia stata nell’opinione pubblica un’eco in grado di testimoniare quell’interesse dei cittadini per il contenuto della legge di revisione costituzionale che conferma l’impressione che il contenuto della legge di revisione sia stato avvertito dall’opinione pubblica come prevalentemente tecnico, e diretto piuttosto a rispondere ad aspettative internazionali che non ad effettive esigenze politiche del Paese.

I profili problematici

Come risulta dall’esposizione, il primo profilo problematico che pone l’esame della prassi più recente in tema di revisione costituzionale riguarda l’adeguatezza di tale strumento rispetto al contenuto eccessivamente ampio di riforme che sembrano investire gli stessi principi costitutivi del nostro ordine giuridico. L’espressione revisione costituzionale non equivale a mutamento totale, a rottura della continuità di un’intera esperienza costituzionale e il giurista deve saper individuare, anche in assenza di chiare indicazioni testuali del testo costituzionale, i limiti materiali della revisione. Non è possibile definire in termini astratti una netta distinzione tra potestà di revisione costituzionale e potere costituente, tra puro aggiustamento del testo e scrittura di una nuova costituzione, perché gli equilibri costituzionali richiedono il riferimento a elementi di fatto reali e evidenti che non devono sfuggire ad una valutazione. Il problema di fondo dei limiti materiali alla potestà di revisione sembra piuttosto quello di porre un argine a proposte che investano davvero punti essenziali e caratterizzanti della Costituzione vigente, che potrebbero anche trovare più o meno limitata espressione in un solo articolo o comunque in una sola proposizione normativa1. Di fronte alla complessità dei problemi che pone attualmente la riforma della Costituzione italiana, non si può non considerare che il rapporto esistente tra le diverse enunciazioni testuali e i valori costitutivi dell’ordine repubblicano non risponde a logiche astratte o formali, ma richiede un impegno valutativo, storico ed ermeneutico che non perda di vista le linee portanti della cultura costituzionale europea e di quella nazionale.

Di fronte alle più eversive proposte di revisione dei contenuti essenziali della costituzione repubblicana e persino delle acquisizioni più significative della tradizione costituzionale europea, si potrebbe porre il problema della inammissibilità di quelle proposte di revisione che si dirigano direttamente contro alcuni dei valori costitutivi dell’ordinamento. Mortati dice che «è connaturale alla stessa procedura di revisione la limitatezza del potere» esercitatile dal legislatore ed aggiunge subito che «l’efficacia vincolante dei limiti» non è determinabile «in modo astratto, ossia in via di pura deduzione logica senza riferimento a un concreto sistema positivo»2. Sulla base di criteri storici, di parametri sostanziali di riferimento sarà tuttavia possibile individuare contenuti il cui inserimento o la cui eliminazione nel testo costituzionale potrebbe alterare così profondamente il nucleo dei valori costituzionali da rendere le relative proposte inammissibili, almeno nella logica di una revisione costituzionale. Nello scrivere o emendare dei testi costituzionali, è fondamentale non uscire dai contesti storici, non sviluppare discorsi solo interni a specifici gruppi d’interesse o a circoli culturali ristretti, restituendo alla cultura politica e alla storia e alla filosofia gli spazi che sono sempre spettati loro nella storia costituzionale, in ogni contesto giuridico, politico e economico. Le proposte di revisione delle costituzioni dovrebbero riflettere aspettative e convinzioni condivise da gran parte dei cittadini, non seguire la polarizzazione degli schieramenti politici, il mutare dei governi e quello delle maggioranze parlamentari. Forse si potrebbero persino configurare ipotesi di abuso della procedura di revisione e potrebbero essere giustificati interventi degli organi di vertice dell’ordinamento costituzionale diretti a impedire vere e proprie violazioni dei principi fondamentali della Costituzione, che non è necessario che siano elencati in un testo. Solo successivamente ci si può porre l’ulteriore e diverso interrogativo fino a che punto sia possibile, secondo la nostra Costituzione, proporre revisioni di più ampia portata rispetto a quelle che abbiano ad oggetto un singolo articolo o se il necessario riferimento ad un elemento testuale non consentirebbe di mettere insieme temi o istituti giuridici totalmente diversi. Il problema dell’ampiezza del contento delle leggi di revisione, dovrebbe, secondo una diffusa dottrina essere valutato in relazione all’eventuale richiesta di referendum popolare, proponibile, secondo l’art. 138 Cost., nel caso in cui la legge di revisione sia stata approvata, nella seconda approvazione, a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna delle camere. Si afferma che una pronuncia referendaria diretta ad approvare contenuti del tutto eterogenei tra loro metterebbe in dubbio la chiarezza e l’esito stesso della decisione popolare3. La pronuncia referendaria finale nella nostra Costituzione, resta però un’evenienza solo eventuale e che anzi è addirittura esclusa espressamente per le leggi costituzionali approvate con la maggioranza dei due terzi dei membri di ciascuna camera.

Il giurista deve poter distinguere la portata e il contenuto delle enunciazioni costituzionali secondo rigorosi criteri ermeneutici che tengano conto anche del diverso fondamento giuridico e valutativo dei principi costituzionali. È ben individuabile infatti nel nostro ordine costituzionale un nucleo essenziale di valori costitutivi la cui eliminazione potrebbe scardinare equilibri storici e sociali particolarmente delicati. Si ricorda che il Presidente della Commissione bicamerale Violante nel 1997 ritenne inammissibile una proposta di revisione che recava le firme di un solo gruppo politico e proponeva l’inserimento di un testo che avrebbe contemplato l’ipotesi di un referendum di “secessione” di una parte del Paese.

La funzione della revisione costituzionale riguarda categorie che possono ben aiutare a chiarire il significato dei processi reali di riforma delle costituzioni e facilitare la dialettica tra le diverse posizioni, purché ci si guardi dal fare assumere ad esse un valore assoluto, fuori della storia e delle situazioni politiche in cui esse sono utilizzate. Non si tratta di negare che le costituzioni dei singoli Paesi europei possano invecchiare, ma di affermare che la revisione di esse in vista della partecipazione all’Unione europea deve procedere secondo tempi e modalità adeguati, senza che l’istituto della revisione costituzionale si trasformi nel mezzo per fare cadere, pezzo dopo pezzo, principi che hanno caratterizzano finora la tradizione giuridica e politica dei Paesi membri dell’Unione. Un altro importante problema è se le enunciazioni di principio che si ricollegano ai valori costitutivi dell’ordine costituzionale nazionale possano considerarsi subordinate a quei principi che sono al fondamento della costituzione dell’Unione europea, per cui si possa oggi pretendere che le enunciazioni di principio della nostra Costituzione debbano essere modificate, se non tacitamente, almeno secondo la procedura di revisione costituzionale. Suscita però gravi dubbi la tesi secondo cui l’ingresso di uno Stato membro nell’Unione europea avrebbe come conseguenza di travolgere i valori o principi costitutivi del proprio ordinamento nazionale e che esso potrebbe aprire persino la strada a procedure semplificate dirette a realizzare profonde riforme costituzionali. In particolare lascia molto perplessi l’idea che l’entrata del nostro Paese nell’Unione europea imponga di rivedere la disciplina costituzionale di principi come l’indipendenza della magistratura, il sistema di nomina dei giudici della Corte costituzionale, il principio della solidarietà sociale e ci obblighi a rivedere le enunciazioni costituzionali di distinzione tra sfera pubblica e sfera delle imprese private, di rapporti tra parlamento e governo, fino a mettere in discussione gli stessi principi della separazione dei poteri, dello Stato di diritto e persino quello democratico. Inoltre, se si confrontano i preamboli e alcune disposizioni di principio degli stessi trattati, e ci si interroga su alcuni orientamenti giurisprudenziali delle Corti europee, che sembrano far riferimento a tradizioni comuni in tema di tutela dei diritti, non si può che dubitare della stessa esistenza di un diritto costituzionale europeo così nettamente concentrato sui valori del mercato e sulla libertà delle imprese private da imporre la rinuncia ai valori tradizionali del costituzionalismo europeo.

Di fronte al pericolo che i ritocchi alla costituzione italiana finiscano col minacciare i principi costitutivi dell’ordine repubblicano, occorre insistere, a mio avviso, nell’osservazione che la revisione della costituzione non può essere considerata come lo strumento tecnico migliore per il passaggio da un ordine costituzionale ad un altro, perché a tal fine sarebbe necessaria una nuova assemblea costituente. Il processo di integrazione economica e politica europeo potrebbe anzi costituire un’occasione irripetibile per lo Stato e per la collettività nazionale di interrogarsi sui principi costitutivi del proprio ordinamento, per rendersi meglio conto del valori storici di quei principi la cui enunciazione rappresenta una fondamentale testimonianza della nostra storia. La sola via per riaffermare un’idea di costituzione nazionale sana e vitale, nel rispetto del pensiero dei classici del costituzionalismo e delle tradizioni democratiche, è quella di moltiplicare le iniziative per la diffusione della cultura costituzionale.

Note

1 Cervati, A.A.-Panunzio, S.-Ridola, P., Studi sulla riforma costituzionale, Torino, 2001.

2 Mortati, C., Concetto, limiti, procedimento della revisione costituzionale, in Riv. dir. pubbl., 1952, 41 s.

3 Cerri, A., Revisione costituzionale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991.

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