Ribaldo

Enciclopedia Dantesca (1970)

ribaldo

Alessandro Niccoli

L'unica occorrenza, nel D. canonico, si ha nelle notizie fornite da Ciampolo di Navarra sulla sua nascita: If XXII 50 Mia madre... / m'avea generato d'un ribaldo, / distruggitor di sé e di sue cose.

Quasi nessuno, fra i commentatori trecenteschi, si pose il problema di definire con esattezza il valore del termine. Uno spunto interpretativo è ricavabile da Guido da Pisa (" Hic tacite demonstrat quae differentia sit inter barattatorem et ribaldum. ‛ Barattator '... est qui dolo vel fraude contra rem publicam vel yconomicam per pecuniam aliquid operatur. ‛ Ribaldus ' vero est qui, ludendo, dispergendo vel commessando res et bona sua... Demonstratur itaque quis et qualis iste fuerat Navarrensis, quia vita barattator, natione vero ribaldus "). Al ben noto " nomina sunt consequentia rerum " è ispirata la chiosa del Buti: " Ribaldo tanto è a dire quanto rio baldo ', cioè: ardito, rio uomo ". Da queste chiose, e dal silenzio degli altri commentatori più antichi, si può dedurre che il vocabolo non presentava alcuna oscurità per un lettore del tempo.

In realtà, già ribaud in francese e ribaldus nel latino medievale erano stati usati in accezioni molto diverse, tutte ampiamente documentate dagli esempi che ne offre il Du Cange; la stessa latitudine di valori è attestata per l'italiano due-trecentesco. R. erano innanzi tutto detti i soldati di vile condizione, ai quali era affidato il compito di accendere battaglia, o che andavano saccheggiando al seguito dei cavalieri (infatti " membro di una soldataglia " nel Malispini, nel Villani e nel Cavalca; semplicemente " miserabile " ancora nel Cavalca). Per estensione, furono detti r. anche coloro che " senza arte onesta vivessero alla giornata di giuoco, di rapina e di mestieri vili e turpi " (Bongi, Bandi lucchesi, p. 289). Il vocabolo finì per essere usato per indicare chiunque " menasse un'esistenza viziosa e dissipata, frequentando assiduamente bische, taverne e postriboli " (Sapegno).

È merito di M. Barbi (Problemi I 212-213, 242, II 165) aver definitivamente chiarito, anche con il sussidio di un'ampia documentazione tratta da testi del tempo, che il padre di Ciampolo è qui detto r. " non perché tale di condizione sociale (ha un patrimonio da distruggere), ma perché menava vita da ribaldo, in ciò che aveva di meno umiliante, ma di più vizioso, cioè giocare, gozzovigliare e stare in bordello ".

Sulla scorta del chiarimento del Barbi, che per altro aveva avuto un acuto precedente nel commento dell'Andreoli, devono essere considerate inaccettabili altre interpretazioni di critici del secolo scorso o anche più recenti, quali quella del Tommaseo (" Un ribaldo, uomo devoto a signore; e perché costoro eran anco devoti al delitto, però ribaldo prese col tempo mal senso ") e del Torraca (" Ribaldo fu sinonimo di barattiere, e qui potrebbe avere questo significato; barattiere Ciampolo come suo padre "), che pure è piaciuta al Momigliano.

Infatti, anche a non voler tener conto della citata chiosa di Guido da Pisa, il Barbi esattamente obiettò al Torraca che r. e ‛ barattiere ' furono sì sinonimi, ma solo nel senso traslato di uomini che conducessero vita viziosa, non già in quello proprio che ‛ barattiere ' ha, di ufficiale infedele e frodolento.

Al valore già lumeggiato richiamano anche i tre esempi del Fiore (CLII 5, CLIV 1, CXCII 6), tutti appartenenti alla corona di sonetti dedicati agli spregiudicati consigli della Vecchia. Per questi esempi, ma specie per l'ultimo (I' era di ciascun molto prendente, / e tutto quanto a un ribaldo il dava, / che puttana comune mi chiamava), il più puntuale commento sembra anzi essere la più estensiva delle definizioni date dal Du Cange: " Ribaldi... libidinosi et scortatores dicuntur quod scilicet Ribaldi pro hominibus perditis, et scorta publica sectantibus haberentur ".