RIBAT

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1998)

RIBĀṬ

M. Bernardini

Termine arabo (pl. rubūṭ) con cui venivano indicate, durante il Medioevo islamico, le funzioni svolte da diversi tipi di edifici.Malgrado i molteplici tentativi di offrire una definizione esaustiva del termine, l'ambiguità permane se si vuole intendere con esso un'esatta tipologia architettonica (Chabbi, Rabbat, 1994): in epoche e contesti geografici differenziati, principalmente si indicano con r. degli avamposti fortificati, destinati ad accogliere i missionari musulmani, definiti anche murābiṭ, impegnati nei conflitti sulle marche di frontiera che dividevano il Dār al-Islām dal Dār al-Ḥarb. Con r. sono però indicati anche conventi per mistici (zāwiya; persiano khānqāh; turco tekke), e ciò non senza un'attinenza stringente con la funzione degli edifici per i militari-asceti, dove spesso tali complessi potevano diventare luoghi per la propaganda politica anche contro formazioni eterodosse all'interno dell'Islam, come quella ismailita. Infine erano r. alcuni caravanserragli posti in aree geografiche isolate o comunque di frontiera, caratterizzati anch'essi da una struttura fortificata.Sebbene alcuni r. fortificati fossero disposti, stando alle fonti, su tutti i confini coinvolti nel jihād ('guerra santa') - inteso non solo come fatto offensivo ma anche difensivo -, dall'area di confine centroasiatica e indiana al Maghreb, non molti tra essi sono sopravvissuti. Due esempi molto significativi sono certamente costituiti dai casi di Susa e Monastir, entrambi situati in Ifrīqiya (Tunisia). Il r. di Susa (v.) è un fortino quadrato disposto su due piani, al centro del quale è aperta una corte circondata da un portico che precede le celle coperte da volte a botte. Intorno alle mura sorgono contrafforti massicci e in un angolo a S-E della struttura si staglia una torre d'avvistamento che fu eretta in un secondo periodo rispetto alla fondazione del resto del complesso. Al primo piano sono riproposte le celle presenti al piano terreno su tre lati, ma sul lato meridionale è disposta una moschea su due navate, caratterizzata da undici volte a botte perpendicolari al muro qiblī, al centro del quale si trova un miḥrāb in corrispondenza del bastione quadrangolare che al piano inferiore funge da accesso all'intero edificio. Lézine (1956; 1971a) ha datato il primo complesso, che comunque sorgeva su edifici precedenti, probabilmente un tempio romano - diversi sono anche i reimpieghi all'interno del r. -, agli anni che vanno tra il 775 e il 788, quando fu governatore abbaside della regione Yazīd b. Ḥātim, lo stesso personaggio cui si deve la seconda ricostruzione della grande moschea di Kairouan. A una seconda fase apparterrebbe l'iscrizione sulla torre di avvistamento, in cui si fa menzione dell'aghlabide Ziyādat Allāh (821), autore quest'ultimo di un restauro che avrebbe volutamente celato le tracce indicanti la precedente fondazione. Lézine cercò anche di identificare i precedenti tipologici e costruttivi del r., notando, insieme ad altri fattori, come l'architetto, di probabile provenienza iranico-mesopotamica, avesse riprodotto forme familiari in materiali per lui ignoti quali la pietra. Lo stesso studioso cercò di individuare un modello di quella struttura nella tipologia di alcuni qaṣr abbasidi, riferendosi al caravanserraglio di ῾Atshān e al castello di Ukhayḍir, entrambi in Mesopotamia, attribuibili alla seconda metà del sec. 8° (Creswell, 1989, pp. 258-260).Una forma analoga al r. di Susa, con il quale va posto in relazione, presenta quello di Monastir, oggi conservato solo parzialmente a causa delle diverse ricostruzioni subìte e del suo inserimento all'interno della qasba della città. L'edificio, che risalirebbe al 796, stando ad al-Bakrī (Kitāb al-masālik wa'lmamālik), ovvero al periodo di regno del governatore abbaside Harthama b. A῾yan, subì consistenti rifacimenti nel sec. 9°, quando vi venne disposto l'attuale miḥrāb della moschea.Altri r. o maḥras (semplici recinti nei quali era collocata una guarnigione) erano disposti in tutta l'Africa settentrionale, fino al Maghreb estremo, per es. a Nakūr, ad Arzila e a Salé, in Marocco. Stando a Ibn Ḥawqal (Amari, 1845, p. 96), nel sec. 10° sarebbero stati anche costruiti dei r. in prossimità di Palermo, e Mertens (1989) ha individuato la probabile presenza di un r. a Selinunte sull'acropoli della città antica.Al periodo almohade (seconda metà sec. 12°) risale un r. tuttora esistente nella città di Tīṭ (Marocco), destinato a proteggere la costa dalle scorrerie cristiane (Basset, Terrasse, 1927). Diversamente dagli esempi di Susa e Monastir, fortini autosufficienti, il r. di Tīṭ è costituito da un esteso recinto fortificato caratterizzato da un sistema di torri, disposte soprattutto sul lato del mare, e da tre porte fortificate, una delle quali a gomito (Bāb al-Qablī), che permettevano l'accesso al complesso. La lettura dell'interno delle mura risulta oggi difficile per le costruzioni posteriori, tuttavia la sopravvivenza di diverse strutture religiose conferma la funzione devozionale, oltre a quella difensiva, del sito. All'epoca almohade risaliva anche un r. a Tāzā (Marocco), fortificato da ῾Abd al-Mu'min intorno alla metà del 12° secolo. Da un complesso fortificato detto Ribāt al-Fatḥ deriverebbe il proprio nome la città di Rabat (v.; Marçais, 1936). In Africa settentrionale, i r. presto acquisirono anche la funzione di luoghi destinati alla devozione di celebrità religiose, andando a coincidere con le funzioni della zāwiya, come nel caso del r. al-῾Ubbād, vicino a Tlemcen (Algeria), disposto intorno alla tomba di Sīdī Bū Madyan, o di quello di Taskedelt, a S-E di Orano (Algeria), dedicato a un personaggio della famiglia locale dei Banū Iznāsen. Nell'Andalus islamico non si sono conservati edifici identificabili quali r., pur sopravvivendo la forma lessicale rápita e varianti nella toponomastica (Oliver Asín, 1928).Anche la frontiera arabo-bizantina in Anatolia doveva essere caratterizata dalla presenza di r., per indicare i quali si impiegavano spesso altri termini (dār, qal῾a, ḥisn, maslaḥa), tanto che nella toponomastica il vocabolo r. fu da essi sostituito, come nei casi di Qal῾at Jabar o Ḥisn Kayfā, ma non sono sopravvissute tracce di una precisa tipologia architettonica adibita a missionari musulmani (Bosworth, 1992).Nell'Oriente islamico, l'ampia regione a ridosso delle steppe centroasiatiche costituì indubbiamente un'altra zona di espansione e diffusione della religione islamica nella quale il r. dovette giocare un ruolo significativo, come nel caso del periodo samanide (secc. 9°-10°), durante il quale molto probabilmente esistevano diversi di questi edifici (Chabbi, 1974, p. 106). Ma dev'essere registrato il diverso significato che presto il termine assunse nell'area, coincidente più con l'idea del caravanserraglio che non con quella del fortino per missionari. La confusione di queste due funzioni non deve apparire casuale, laddove la difesa delle carovane poteva coincidere con l'espansione dell'Islam in zone di intenso traffico commerciale, tormentate dalle scorrerie dei nomadi turchi che rimasero solo parzialmente islamizzati sino a epoche relativamente recenti (secc. 10°-11°). Inoltre, la creazione di imponenti vie carovaniere lungo le linee di frontiera a ridosso delle steppe centroasiatiche era caratterizzata, già prima dell'Islam, dalla costruzione di edifici fortificati per il ricovero delle carovane che garantivano i flussi commerciali lungo i diversi itinerari della c.d. via della seta (Brentjes, 1992). Si assiste perciò in quest'area alla presenza di numerosi edifici, spesso caratterizzati da una forma che denuncia una continuità sorprendente con edifici preislamici o protoislamici, soprattutto di matrice iranica, come erano gli esempi dei forti di Darzīn, nella regione di Kirmān (Iran), che risalirebbero agli inizi dell'Islam (Shokoohy, 1980), o ancora quello del forte di Pūskān, nel Fārs, ancora non chiaramente databile per i suoi forti elementi sasanidi (Vanden Berghe, 1990).Tale modello - che coincide anche in linea molto generale sia con la forma di numerosi qaṣr omayyadi e abbasidi sia proprio con quelle adottate dai r. di Susa e Monastir, dove va però notato l'uso di materiali costruttivi diversi - sembra costituire il precedente per numerosi r. di epoca successiva, come quelli localizzati nella piana dell'Ustjurt (Uzbekistan), risalenti nei loro primi esempi (per es. il complesso di Karaumbet) ai secc. 9°-10° (Brentjes, 1993). Un r. monumentale ad Akyr-Tash, nei pressi di Zhambul (Kazakistan) - probabilmente del sec. 8°, anche se è stata proposta una datazione più recente (secc. 10°-11°) -, rivela diverse affinità costruttive con la tipologia dei castelli omayyadi del deserto, per es. con Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī in Siria, pur anticipando la struttura a quattro īvān che divenne predominante in epoca successiva (Lavrov, 1950, fig. 111; Brentjes, 1988, pp. 213-214). Al 1078-1079 va fatto risalire il r. Malik, un caravanserraglio qarakhanide non lontano da Bukhara (Uzbekistan), che riflette nelle sue imponenti mura bastionate la forma presente in diversi edifici della regione quali il Dār al-Imāra di Marv (Chmel'nickij, 1992, pp. 187-197).A questi modelli vanno accostati successivi casi di r. con evidenti funzioni di caravanserraglio, i cui esempi più significativi si possono far risalire al periodo selgiuqide, quando questa tipologia assunse le sue forme più monumentali. Nel Khorasan e in Transoxiana si segnalano gli esempi più monumentali, disposti lungo le grandi vie di comunicazione inaugurate dai Selgiuqidi, come nel caso del r. Sharaf non lontano da Sarakhs (Iran), datato al 549 a.E./1154-1155, caratterizzato dall'affiancamento di due corpi costruttivi, una forma che si ritrova in seguito in altri edifici analoghi. Sulla corte dell'edificio a N si aprono quattro īvān, riflesso ormai dell'architettura persiana del tempo ed elemento costitutivo di tutti gli edifici principali dell'impero (Kiyani, 1981). Lo stesso impianto ricorre in numerosi altri complessi, come nel r. di Daja Chatyn sull'Amū Daryā (Uzbekistan), del sec. 11° (Brentjes, 1988, p. 211; Chmel'nickij, 1992, pp. 182-187), o in quello sul fiume Manakel'dy, nella stessa regione, del sec. 11°-12° (Brentjes, 1988, p. 213).A questa tipologia monumentale si rifanno diversi r. iranici di epoca selgiuqide con funzione di caravanserraglio, come nel caso del r. Turk sulla via che conduce da Kashan a Isfahan (Siroux, 1971, p. 77) o del r. di Ḥājjīābād, nei pressi di Sāva, entrambi di epoca selgiuqide (Kiyani, Kleiss, 1983-1989, I, p. 243).Un discorso a sé stante dev'essere fatto per alcuni r. destinati, nell'Oriente islamico, a funzioni politico-devozionali: le fonti riferiscono di r. a Baghdad nel corso del sec. 10° (Jawād, 1954; Chabbi, 1974, p. 103), come nel caso del r. fondato dal khorasanico Abū'l-Ḥasan al-Zawzanī, ma poco è dato sapere di questi edifici, di cui non è rimasta traccia. In area iranica vanno segnalati il r. Ziyārat, nel Khorasan, di epoca ghaznavide (Lebaf Khaniki, 1989), e quello più accuratamente indagato di ῾Alī b. Karmākh, sito nei pressi di Karbiwala a N di Multan (Pakistan), che risale al periodo ghuride (fine sec. 12°). L'edificio, caratterizzato da un recinto rettangolare con sette bastioni semicircolari, di cui quattro disposti sugli angoli, conserva al suo interno la tomba del pio uomo e funge anche da moschea, come indica un miḥrāb collocato sul muro occidentale della struttura (Edwards, 1991).

Bibl.:

Fonti. - al-Bakrī, Kitāb al-masālik wa'l-mamālik, a cura di A.P. Van Leeuwen, Tunis 1992, II, p. 692, nrr. 1161-1162; M. Amari, Description de Palerme à la moitié de l'ère vulgaire, par Ebn Haucal, Journal asiatique, s. IV, 4, 1845, pp. 83-114.

Letteratura critica. - G. Marçais, Note sur les ribat en Berbérie, in Mélanges René Basset, II, Paris 1925, pp. 395-430; H. Basset, H. Terrasse, Sanctuaires et forteresses almohades. Le ribâṭ de Tîṭ, Hespéris 7, 1927, pp. 117-287; J. Oliver Asín, Origen árabe de 'Rebato', 'Arrobda' y sus homónimos. Contribución al estudio de la historia medieval de la táctica militar y de su léxico peninsular, Boletín de la R. Academia española 15, 1928, pp. 540-542; G. Marçais, s.v. Ribāṭ, in Enc. Islam, III, 1936, pp. 1230-1233; V.A. Lavrov, Gradostroitel'stvaya Kul'tura Srednei Azii [La cultura urbanistica dell'Asia Centrale], Moskva 1950; M. Jawād, al-Rubūṭ al baghdādiyya [I r. di Baghdad], Sumer 10, 1954, 2, pp. 218-249; A. Lézine, Le ribat de Sousse suivi de notes sur le ribat de Monastir, Tunis 1956; A. Noth, Heiliger Krieg und Heiliger Kampf in Islam und Christentum, Bonner Historische Forschungen 28, 1966, pp. 67-69, 72-76, 80-81; A. Lézine, Sur deux châteaux musulmans d'Ifrīqiya, REI 39, 1971a, pp. 87-101; id., Deux villes d'Ifrīqiya, Sousse, Tunis, Paris 1971b; M. Siroux, Anciennes voies et monuments routiers de la région d'Isfahan (Mémoires de l'Institut français d'archéologie orientale du Caire, 82), Caire 1971; J. Chabbi, La fonction du ribāṭ à Bagdad du Ve siècle au début du VIIe siècle, REI 42, 1974, pp. 101-121; L. Golvin, Essai sur l'architecture religieuse musulmane, III, L'architecture religieuse des ''Grandes Abbasides'', la mosquée de Ibn Tûlûn, l'architecture religieuse des Aghlabides, Paris 1974; G. Bisheh, Excavations at Qasr al-Hallabat, 1979, Annual of Department of Antiquity of Jordan 24, 1980, pp. 69-77; M. Shokoohy, Monuments of the Early Caliphate at Dārzīn in the Kirmān Region (Iran), Journal of the Royal Asiatic Society, 1980, pp. 3-20; M. Kiyani, Rubāṭ-i Sharaf, Teheran 1981; E. Lourie, The Confraternity of Belchite, the Ribāṭ, and the Temple, Viator 13, 1982, pp. 159-176; M. Kiyani, W. Kleiss, Fihrist-i Kārvānsarāyi Īrān [Elenco dei caravanserragli dell'Iran], 2 voll., Teheran 1983-1989; B. Brentjes, Karawanserail und Ribat in Mittelasien, Archäologische Mitteilungen aus Iran 21, 1988, pp. 209-221; L. Fernandes, The Evolution of a Sufi Institution in Mamluk Egypt: the Khangah, Berlin 1988; K.A.C. Creswell, A Short Account of Early Muslim Architecture, a cura di J. W. Allan, Aldershot 1989; R. Lebaf Khaniki, Masjid-i Rubāṭ-i Ziyārat [La moschea del r. Ziyārat], Athar 15-16, 1989, pp. 164-172; D. Mertens, Castellum oder Ribat? Das Küstenfort in Selinunt, MDAIIst 39, 1989, pp. 391-398; L. Vanden Berghe, Pūskān (Fārs). La découverte d'un château-fort du début de l'époque islamique. Survivance d'éléments architecturaux sasanides, "Proceedings of the First European Conference of Iranian Studies, Torino 1987", I, Roma 1990, pp. 297-303; H. Edwards, The Ribāṭ of 'Alī B. Karmākh, Iran 29, 1991, pp. 85-94; C. E. Bosworth, The City of Tarsus and the Arab-Byzantine Frontiers, Oriens 33, 1992, pp. 284-286; S. Chmel'nickij, Meždu Arabami i Tjurkami, Ranneislamskaja architektura Srednej Azii [Tra arabi e turchi, architettura protoislamica dell'Asia Centrale], Berlin-Riga 1992; P. Cressier, Archéologie de la dévotion soufi, Journal des africanistes 62, 1992, pp. 69-90; B. Brentjes, Karawanswege durch Mittelasien, Archäologische Mitteilungen aus Iran 25, 1992, pp. 247-276; id., Signaltürme und Ribats am Ostrand des Ustiurtplateaus, ivi, 26, 1993, pp. 227-234; J. Chabbi, N. Rabbat, s.v. Ribāṭ, in Enc. Islam2, VIII, 1994, pp. 510-524; S. Chmel'nickij, Meždu Samanidami i Mongolami, Architektura Srednej Azii XI-načala XIII vv. [Tra Samanidi e Mongoli, architettura dell'Asia Centrale tra i secc. 11° e 13°], 2 voll., Berlin-Riga 1996-1997.M. Bernardini

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