DELL'AQUILA, Riccardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELL'AQUILA (de Aquila), Riccardo

Gerhard Baaken

Appartenente a una nobile famiglia normanna imparentata con la casa reale degli Altavilla, il D. nacque da Riccardo che nel Catalogus baronum (1167-68 circa) è ricordato come titolare della contea di Fondi.

Questa comprendeva, oltre alla città di Fondi, anche le piazzeforti di Itri, di Traetto (oggi Minturno) e di Pontecorvo. La famiglia Dell'Aquila aveva inoltre possedimenti in Molise, Terra di Lavoro e Irpinia, tenuti in parte come allodio, in parte come feudi della Corona o del monastero di Montecassino. Essa contava tra le famiglie più importanti della Campania e del Regno stesso, ed è quindi naturale che l'atteggiamento dei suoi membri non potesse lasciare indifferenti i re normanni.

Nulla si sa dei primi anni del D. né si conosce il nome della madre. A probabile che egli abbia accompagnato il padre quando questi, in seguito alla sua rivolta contro re Guglielmo II, fu costretto all'esilio e perse la contea di Fondi. Essa tornò più tardi in suo possesso, ma non è noto quando. È possibile che Guglielmo II gliela restituisse nell'intenzione di garantirsi l'appoggio di uno dei più potenti feudatari ai confini settentrionali del Regno in vista della progettata campagna contro l'Impero bizantino. Nel 1176 comunque Riccardo e il D., suo figlio, conferirono al monastero di Montecassino il tenimentum di Farneta nel territorio di Fondi ed altri diritti ed entrate. Nel documento, rilasciato a Montecassino e sottoscritto da ambedue, il padre del D. si qualifica "Riccardus de Aquila dei et regia gratia Fundis comes", il che lascia pensare che la contea, ormai, gli fosse stata restituita dal re. Nel 1177 il conte Riccardo fu presente alle nozze di Guglielmo II. Da allora la contea di Fondi sarebbe rimasta in possesso incontrastato della famiglia per più di cinquant'anni.

Negli anni successivi viene più volte menzionato un conte di Fondi, ma non si precisa se si tratti del padre o del figlio. In un interrogatorio di testimoni del 1196 si parla di una donazione per S. Angelo in Gaeta fatta dal conte Riccardo "per la salute della sua anima". Anche se non si può attribuire troppo peso a tale formula, è probabile che si trattasse di uno degli ultimi atti del conte. Non sembra che siano sorti problemi per la sua successione. Nel 1186 il D. compare per la prima volta da solo in un documento, qualificandosi "secundus fundanus comes".

Nel 1189 morì Guglielmo II senza lasciare eredi diretti. Il trono spettava quindi a sua zia Costanza, figlia di Ruggero Il e moglie di Enrico di Svevia, un fatto che ebbe notevoli conseguenze anche per il conte di Fondi. Nonostante le precauzioni del defunto sovrano che aveva previsto tale evento e perciò fatto giurare ai baroni siciliani di riconoscere la successione di Costanza (non si sa se tra questi ci fosse anche il D.), nel Regno emersero presto contrasti e un partito nazionale elesse infine il conte di Lecce, Tancredi, che venne incoronato re di Sicilia a Palermo nel gennaio del 1190. L'elezione fu confermata immediatamente da Clemente III e la guerra civile divenne con ciò inevitabile. Mentre Tancredi si mosse con abilità per consolidare il suo dominio, il partito sconfitto entrò in contatto con Enrico VI per chiamarlo nel Regno. Dalle fonti non emerge con chiarezza la posizione del D. in questi momenti, ma quando Enrico, dopo l'incoronazione imperiale celebrata il 15 apr. 1191 a Roma, oltrepassò i confini del Regno, troviamo il D. al suo fianco. Compare infatti tra i testimoni del primo diploma rilasciato dall'imperatore dopo il suo ingresso nel Regno, cioè del privilegio a favore del monastero di Montecassino del 21 maggio 1191, emanato ad Acerra, la roccaforte espugnata del capo del partito normanno. La lista dei testimoni, che oltre al D. comprendeva tutti i conti dell'Abruzzo e del Molise, mostra che Enrico VI era riuscito ad evitare, almeno per il momento, ogni seria opposizione alle sue spalle. L'imperatore premiò il D. vendendogli Sessa e Teano, due piazzeforti che negli anni a venire saranno spesso teatro di aspre lotte e sulle quali già in precedenza la famiglia del D. aveva acquistato diritti. Per quanto si sa, il D. rimase un fermo sostenitore degli Svevi durante tutto il regno di Enrico VI: accompagnò il sovrano anche durante l'assedio di Napoli difesa da Riccardo di Acerra per conto di Tancredi.

Il D. sopravvisse alla completa disfatta subita dall'esercito imperiale in quest'occasione, ma dovette fuggire dalle sue terre, mentre Riccardo d'Acerra poté riconquistare in breve tempo Capua, Aversa e Salerno. In conseguenza il D. perse la contea di Fondi. Una parte di questa, vale a dire Itri e Maranola, con le loro pertinenze, nel luglio 1191 passò al Comune di Gaeta, mentre Fondi fu concessa al fratello di Aligerno Cottone.

In un primo tempo sembrava profilarsi una completa vittoria di Tancredi, tanto più che questi nell'anno successivo, in base al concordato di Gravina, ottenne l'investitura del Regno di Sicilia da papa Celestino III. Questa legittimazione da parte del signore feudale del "Regnum Siciliae" inasprì ancora di più le tensioni e rese inevitabile lo scontro. Un ruolo significativo in queste lotte spettò al monastero di Montecassino con il quale la famiglia Dell'Aquila era in qualche modo collegata: l'atteggiamento filoimperiale dell'abate Roffredo, in questi anni, spianò infatti il cammino ad Enrico VI. Sotto la guida dell'abate si raccolse il partito favorevole agli Svevi, che nell'anno seguente fu rinforzato dalle truppe guidate da Bertoldo di Kunigsberg e da Corrado di Liitzelhardt, il nuovo marchese di Toscana. Con loro tornò nel Regno anche il Dell'Aquila. Insieme riuscirono a conquistare molte piazzeforti ed in breve il Molise e la Terra di Lavoro caddero in mano imperiale. Ma già nel 1193 Tancredi, passato nell'estate dalla Sicilia sul continente, poté far tornare in suo potere una buona parte del Regno.

La sua morte, avvenuta il 20 febbr. 1194, e le molteplici iniziative diplomatiche promosse dall'imperatore, portarono infine a una nuova svolta. In agosto Enrico entrò nuovamente nel Regno, accolto dall'abate di Montecassino e da altri baroni tra cui il Dell'Aquila. Le poche testimonianze documentarie che ci sono state tramandate riguardanti il periodo fino all'incoronazione di Enrico a re di Sicilia, non consentono di definire bene il ruolo del conte di Fondi. Sembra che egli abbia accompagnato Enrico a Palermo, poiche in un documento del 21 ott. 1194, rilasciato dall'imperatore a Nicastro, cioè durante la marcia verso Sud, il "comes Riccardus de Fundis", compare come il solo laico italiano nell'elenco dei testimoni. È quindi probabile che il D., ormai, fosse tornato di nuovo in possesso della sua contea, tanto più che Enrico VI aveva già condotto trattative con Aligerno Cottone per assicurarsi l'accesso alla Terra di Lavoro, anche se non è chiaro in che modo il fratello di questo sia stato compensato per la perdita della contea di Fondi. Negli anni seguenti le fonti tacciono sul D.; il che fa pensare che egli non partecipasse alle numerose rivolte del partito normanno contro l'imperatore. L'affermazione di molte fonti che Costanza, dopo la morte di Enrico VI, abbia allontanato tutti i tedeschi, non corrisponde alla realtà. Se è vero che Marquardo di Annweiler dovette abbandonare il Regno, vi rimasero invece molti altri seguaci dell'imperatore, come ad esempio Dipoldo che ottenne la contea di Acerra. Indubbiamente questi baroni tedeschi e il partito che si formò intorno a loro, al quale apparteneva anche il D., sostenevano il governo dell'imperatrice.

La situazione tuttavia si ingarbugliò quando Costanza, nel suo testamento del novembre 1198, pose sotto la tutela di papa Innocenzo III il figlio Federico, ancora minorenne, il quale era stato già incoronato re di Sicilia, affidando in tal modo al pontefice la reggenza. Tale provvedimento rientrava perfettamente nell'ordine giuridico feudale del Regno, ma allo stesso tempo allentava notevolmente i legami con l'Impero, provocando di conseguenza notevole insoddisfazione nel partito tedesco. Resta un problema insoluto se Marquardo di Annweiler, il fidato consigliere di Enrico VI, avesse effettivamente un diritto alla reggenza. Risulta comunque che egli si mise subito in contatto con Filippo di Svevia. La duplice elezione in Germania complicò, però, talmente la situazione che diventava difficile distinguere i fronti. In una lettera del 15 dic. 1198 Innocenzo III annunciò al D. la morte dell'imperatrice Costanza e di aver assunto la reggenza; lodò il D. per la fedeltà dimostrata sempre nei suoi confronti, ma lo esortò contemporaneamente a riconoscere anche le ultime volontà della defunta. Dal tono piuttosto supplichevole di questa lettera traspare lapreoccupazione del pontefice per l'atteggiamento che il D. avrebbe assunto nelle future, inevitabili contese. Alla notizia della morte di Costanza, Marquardo si mise in marcia verso Sud, e, unitosi a numerosi baroni tedeschi, tra cui Dipoldo di Acerra, riuscì a conquistare parecchie roccaforti e infine si spinse davanti a San Germano e assediò Montecassino. Il D., nel frattempo, era passato dalla parte di Dipoldo di Acerra e la nuova alleanza era stata consolidata da un matrimonio: la figlia del D. sposò Sigfrido, fratello di Dipoldo. Il cronista Riccardo di San Germano sostiene che il D. strinse tale alleanza soltanto per difendere i propri possedimenti dalle mire di Marquardo di Annweiler, ma ciò appare discutibile. I confini tra i vari schieramenti restano comunque incerti.

Le contese tra i sostenitori di Marquardo, che nel frattempo era arrivato in Sicilia, ed i partigiani del pontefice, tra i quali primeggiava il conte Pietro di Celano, si trascinarono ancora a lungo. Il papa non fu in grado di raccogliere un esercito abbastanza forte e nessuno dei baroni, così sembra, trovò confacente ai propri interessi schierarsi decisamente dalla parte di Federico II.

Era questa la situazione quando si presentò alla Curia pontificia Gualtieri di Brienne. Questi aveva sposato, dopo la morte di Enrico VI, una figlia di Tancredi, sfuggita alla prigionia dell'imperatore, ed intendeva ora sostenere, presso il pontefice, i diritti della sposa sul principato di Taranto e la contea di Lecce. L'intesa raggiunta tra il pontefice e Gualtieri risultò sgradita ad una parte del Consiglio di reggenza, ed in particolare al cancelliere Gualtieri di Palearia, tanto da provocarne la spaccatura. Nell'ottobre del 1200 Marquardo riuscì ad entrare nel Consiglio dei familiari indebolendo in tal modo la posizione del pontefice. Questi, d'altra parte, se aveva acquisito in Gualtieri di Brienne un abile condottiero, aveva però dovuto subire altri insuccessi: Dipoldo aveva rafforzato la propria influenza in Terra di Lavoro, l'arcivescovo di Salerno non era riuscito a rientrare in possesso della sua diocesi dopo essere stato rilasciato da Filippo di Svevia ed infine Pietro di Celano, che durante l'estate aveva combattuto contro Dipoldo a Venafro, aveva dovuto subire la cattura del figlio. Fu quindi un vero successo per Innocenzo III la prima dura sconfitta inflitta da Gualtieri ai suoi avversari il 10 giugno 1201 presso Capua.

Non sappiamo se questi eventi abbiano coinvolto anche il D., schierato dalla parte di Dipoldo. Suo genero, il fratello di Dipoldo, cadde prigioniero quando Dipoldo subì una nuova, pesante sconfitta il 26 ott. 1201 presso Canne in Puglia. Nonostante ciò la guerra continuò con alterna fortuna. Dipoldo poté riconquistare alcune piazzeforti e il D. poté ritornare a Sessa; ma la loro situazione peggiorò di nuovo quando, nel 1204, Pietro di Celano tornò dalla parte del pontefice. Nel 1204 Dipoldo perse Salerno. e gia si sperava di domare l'opposizione contro il papa quando Dipoldo riuscì, non si sa se con l'appoggio del D., a fare prigioniero il Brienne il quale, ferito, morì di lì a poco il 14 giugno 1205.

Estenuati dalla lunga lotta, gli avversari cominciarono allora a riavvicinarsi. Il D. riconobbe (in quali termini non è noto) la reggenza pontificia e stipulò nel maggio del 1206 un accordo con i nobili Iacopo e Deodato Frangipane, impegnandosi a ridurre all'obbedienza del papa e dei Frangipane la città di Terracina. Anche Dipoldo, che aveva volto le spalle a Filippo di Svevia, venne assolto da Innocenzo III che gli affidò addirittura il proseguimento della sua politica. Insieme con numerosi grandi del Regno, tra cui è lecito supporre vi fosse anche il D., Dipoldo si recò a Palermo e poté consegnare al cancelliere Gualtieri, che nel frattempo si era riconciliato col papa, ed al cardinal legato Gherardo, il giovane re Federico II.

La pace fu tuttavia di nuovo messa in pericolo quando Gualtieri di Palearia imprigionò sconsideratamente Dipoldo e suo figlio. La battaglia tornò a divampare soprattutto nella Terra di Lavoro. Sora, Sorella e Rocca d'Arce, tenuti da castellani tedeschi, caddero nelle mani di Innocenzo III. Il 3 giugno 1208 il papa in persona giunse a San Germano, dove si era radunata una folta schiera di Prelati e baroni, al fine di adottare, allo scadere della sua reggenza, misure per la pacificazione del Regno e per il sostegno di Federico II che presto avrebbe raggiunto la maggiore età. In quest'occasione il pontefice nominò Pietro di Celano e il D. magistri capitanei con l'incarico di dirimere i conflitti in base alle consuetudini del Regno. Venne loro conferita l'autorità suprema nel territorio da Salerno fino a Ceprano, esclusa Napoli, che per mandato del re fu conferita al D. in qualità di rector specialis della città. I magistri capitanei dovevano inoltre mantenere al loro servizio un esercito di duecento cavalieri a sostegno del re. È possibile che già allora il D. fosse nominato anche magister iusticiari us Apuliae et Terre Laboris. Come tale, infatti, appare al servizio di Federico II il 14 apr. 1208. La nomina a cariche così importanti dimostra quanto fosse forte in quel momento la posizione del conte di Fondi. Innocenzo III non poté far a meno di lui benché negli anni passati non fosse sempre stato un fedele sostenitore della politica pontificia.

Nuovi contrasti sorsero infatti ben presto, quando il D. tentò di impadronirsi della città di Capua con l'appoggio dei cittadini. Il tentativo fu sventato dall'arcivescovo Rainaldo che riuscì a promuovere un'alleanza tra il conte Pietro di Celano, suo padre, e Dipoldo di Acerra, grazie alla quale il castello di Capua fu infine consegnato a quest'ultimo. Nell'episodio si coglie per la prima volta il conflitto apertosi tra il D. e Dipoldo di Acerra che caratterizzò gli ultimi anni del conte di Fondi. Non si sa se fosse provocato dalla situazione determinatasi dopo la morte di Filippo di Svevia e dalla crescente influenza di Ottone IV. Infatti, mentre Dipoldo, nominato duca di Spoleto da Ottone IV (appare in tale veste per la prima volta nel marzo del 1210), e Pietro di Celano appianarono al Guelfo la strada del Regno, il D. rimase dalla parte di Federico II e del pontefice. Nel marzo del 1211 Ottone IV attaccò prima Teano e poi Sessa, dove, a quanto pare, si trovava lo stesso Dell'Aquila. L'imperatore non riuscì ad impadronirsi delle due piazzeforti, ma le ebbe poco più tardi, quando Ruggero, il figlio del D., passò dalla sua parte e gli consegnò le due città insieme con Traetto, Maranola ed altre località. Il D. allora si ritirò a Fondi. posta al confine settentrionale dei suoi possedimenti, dove nel luglio 1211 rinnovò al vescovo Roberto di Fondi un privilegio concesso da suo padre al vescovo Giovanni, in cui erano state regolate numerose questioni giuridiche. Innocenzo III confermò quest'atto poco dopo, l'8 ag. 1211. È probabile che questo privilegio sia in rapporto con le disposizioni testamentarie del conte, il quale il 31 genn. 1212 istituì erede, salvo determinate riserve, la Chiesa romana dei suoi diritti su Fondi e dei suoi castelli di Vallecrosa, Pico, Ambrusia, Aquaviva e Campodimele. Durante il soggiorno di Federico II nel marzo del 1212 a Gaeta il D. fu presente alla sua corte. È questa l'ultima notizia che lo riguardi. La data della sua morte non è tramandata, ma si dovrebbe collocare tra il 1213 e il 1214.

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