RICCARDO di Mandra

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCARDO di Mandra

Rosanna Alaggio

RICCARDO di Mandra (de Mandra). – Nominato nel 1161 connestabile regio da Guglielmo I, conte di Molise dal 1166 al 1170, deriva il cognomen toponomasticum da Mandra, località situata tra le province di Avellino e Foggia (Catalogus Baronum, a cura di E. Jamison, 1972, p. 48). Si ignora l’anno di nascita e nessuna testimonianza certa è disponibile sulle origini della famiglia.

È infondata l’opinione di Carlo Alberto Garufi che identificò Riccardo con uno dei figli del conte Roberto de Molisio (R. Guarna, Chronicon, a cura di C.A. Garufi, 1935, p. 241, n. 3). Riccardo aveva sposato una Gaitelgrima ricordata in un atto del Cartulario di Santa Maria del Gualdo, in Capitanata (Jamison, 1933, p. 159; Martin, 1987, I, pp. 42 s., n. 23). L’ipotesi di Evelyn Jamison che il Ruggero conte di Molise, documentato tra il 1189 e il 1195, fosse figlio della coppia è oggi messa in dubbio. Ruggero sarebbe piuttosto figlio di Ugo II de Molisio, esponente, pertanto, della prima dinastia comitale del Molise cui sarebbe stata restituita la titolarità del feudo dopo la morte della vedova di Riccardo (Cuozzo - Martin, 1998, p. 47).

Le prime notizie su Riccardo rimandano agli ultimi anni del regno di Guglielmo I, mentre si consumava il drammatico scontro tra feudalità e Corona culminato, nel novembre del 1160, con l’assassinio di Maione di Bari. Nell’estate del 1156 Riccardo militava tra le fila dei ribelli, al comando dell’armata del conte di Loritello, Roberto III di Basunvilla. Sconfitto e imprigionato a Palermo, Riccardo ebbe però l’opportunità di conquistare la fiducia del sovrano. Liberato nel marzo del 1161 (R. Guarna, Chronicon, cit., p. 246), in occasione di un duro confronto tra il sovrano e il gruppo di aristocratici ribelli che si opponeva alla politica di accentramento regia, impedì infatti che il re fosse ucciso, e in seguito a questo episodio fu nominato comandante della guardia regia (Pseudo Falcando, De rebus, a cura di E. D’Angelo, 2015, pp. 144, 162), entrando a far parte della ristretta cerchia di familiares di cui Guglielmo I si circondò negli ultimi anni del suo regno (Garufi, 1902, pp. 161-163, n. I).

Nel periodo della reggenza di Margherita, il potere dei funzionari di corte, invisi alla feudalità, conobbe un’ulteriore amplificazione, e particolarmente importante divenne proprio il ruolo di Riccardo, comandante delle forze armate della capitale. Ma quando Gilberto da Gravina, cugino della sovrana e nuovo portavoce delle istanze feudali, si oppose duramente al gaito Pietro – il camerario regio di origini servili e musulmane cui la regina aveva affidato la guida del regno – la designazione di Riccardo a conte del Molise, suggerita dallo stesso Pietro, apparve in un primo momento la migliore soluzione per far fronte alle pressioni della ‘periferia’ feudale che poteva finalmente vedersi rappresentata a corte come reclamava.

Nel 1166, «non sine multorum indignatione», Riccardo prese dunque personalmente possesso dei castelli di Boiano e Venafro, continuando a mantenere la carica di connestabile regio (Pseudo Falcando, De rebus, cit., p. 210). Riuscì a recuperare anche i suoi beni feudali in Puglia, probabilmente concessigli a suo tempo dal conte di Loritello, come dimostra un atto del suo baiulo Anucio, risalente al giugno del 1167, che lo ricorda come signore di Terlizzi, presso Bari (Carabellese, 1899, pp. 136 s., n. XC; Jamison, 1933, p. 99, n. 2).

In una successiva drammatica riunione della Curia regia, svoltasi nello stesso anno, Riccardo difese energicamente, contro le reiterate accuse di Giberto da Gravina, la regina e l’operato del gaito Pietro, quest’ultimo costretto poi a lasciare di nascosto Palermo. Le reciproche accuse formulate in quell’occasione tra il conte di Molise e Gilberto di Gravina furono causa di un rancore insanabile (Pseudo Falcando, De rebus, cit., p. 214). Prevalsero, nella circostanza, le ragioni di Riccardo, e il conte di Gravina fu allontanato dalla corte con la scusa di dover organizzare in continente la difesa del regno da un possibile attacco di Federico I. Una volta eliminato il suo rivale, Riccardo divenne la personalità più influente a corte, temuto per il suo potere e per il temperamento impulsivo («ob precipitem eam audaciam», p. 216).

Non molto tempo dopo, tuttavia, Margherita nominò cancelliere il francese Stefano di Perche, suo cugino, una figura del tutto estranea al contesto regnicolo, divenuto in breve anche arcivescovo di Palermo (1167). Inizialmente, Riccardo conservò la sua posizione tra i familiares più vicini ai sovrani (Pseudo Falcando, De rebus, cit., p. 248). Molto presto però cadde vittima anche lui delle macchinazioni del partito feudale che gli oppose Enrico di Montescaglioso, fratello della regina, «véritable fantoche», come lo definì Ferdinand Chalandon (1907, p. 329), nelle mani dei baroni più potenti del Mezzogiorno. Questi tentò di screditarlo agli occhi del cancelliere, anche se fu con facilità persuaso a rinunciare alle sue pretese e costretto a riconciliarsi con il conte di Molise (Pseudo Falcando, De rebus, cit., pp. 253-255).

Nel dicembre del 1167, dopo che la corte si era trasferita a Palermo, una nuova congiura, questa volta ordita ai danni dello stesso cancelliere, consentì a Gilberto di Gravina, nel frattempo tornato a corte, di vendicarsi finalmente del conte di Molise. Agli inizi del 1168 Riccardo fu accusato di complicità con gli oppositori di Stefano di Perche e, in maniera strumentale, di aver usurpato al demanio regio i beni che possedeva in Puglia. Alla condanna della Curia regia seguì quella del tribunale ecclesiastico, irrogata a seguito delle proteste di Riccardo, giudicate sacrileghe, contro la sentenza emanata dalla corte. Riccardo fu immediatamente trasferito nelle prigioni di Taormina (Pseudo Falcando, De rebus, cit., pp. 278-283). In primavera la corte tornò a Palermo. Subito dopo a Messina si scatenò una rivolta contro gli uomini che Stefano di Perche aveva lasciato al governo della città. L’eco dei disordini si espanse fino a Taormina, dove a Riccardo di Mandra fu possibile evadere per giocarsi, in accordo con il conte di Montescaglioso, la chance di un audace ritorno a Palermo con 24 galee piene di messinesi a lui fedeli (R. Guarna, Chronicon, cit., p. 257; Pseudo Falcando, De rebus, cit., p. 316). Intanto anche nella capitale la fazione avversa al cancelliere fomentò una sommossa popolare costringendo Stefano di Perche alla fuga. Una volta arrivato a Palermo il conte di Molise ricostituì la corte designandosene membro insieme ad altri nove consiglieri, e deliberò immediatamente l’esilio di Gilberto di Gravina.

Nel febbraio e nel maggio del 1169 Riccardo sottoscrisse due diplomi di Margherita e Guglielmo II con il titolo di comes Molisii (Garufi, 1899, pp. 109-111, n. XLVII, pp. 111 s., n. XLVIII). Nel gennaio del 1170 il «gloriosissimo signor conte Riccardo» è ricordato in un atto di permuta di un abitante di Terlizzi (Carabellese, 1933, n. CI, pp. 128 s.). Nel febbraio dello stesso anno si trovava nelle sue terre molisane ad amministrare la giustizia, circondato da vescovi, ufficiali e vassalli, e sottoscrivendo gli atti emanati dal notaio comitale ancora come regis familiaris (Gattola, 1733, p. 243). Risalirebbe allo stesso anno l’incontro con l’eremita Giovanni da Tufara (Campobasso), fondatore del monastero di S. Maria del Gualdo in Mazzocca, presso Foiano Valfortore (Benevento).

Non si hanno notizie successive su Riccardo di Mandra: probabilmente si deve dar credito alla cronaca dell’abbazia della Ferraria che proprio nel corso del 1170 colloca la sua morte (Chronicon Sanctae Mariae de Ferraria, a cura di A. Gaudenzi, 1888, p. 148).

Fonti e Bibl.: E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis, Venetiis 1733; Chronicon Sanctae Mariae de Ferraria, a cura di A. Gaudenzi, Napoli 1888; F. Carabellese, Le pergamene della Cattedrale di Terlizzi (971-1300), in Codice diplomatico barese, III, Bari 1899; C.A. Garufi, Documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, s. 1, XVIII, Palermo 1899; Id., Catalogo illustrato del Tabulario di S. Maria Nuova in Monreale, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, s. 1, XIX, Palermo 1902; R. Guarna (Romualdus Salernitanus), Chronicon, a cura di C.A. Garufi, in RIS2, VII, Città di Castello 1935; Catalogus Baronum, a cura di E. Jamison, in Fonti per la storia d’Italia, 101*, Roma 1972; J.-M. Martin, Le cartulaire de S. Matteo di Sculgola en Capitanate. (Registro d’istrumenti di S. Maria del Gualdo) 1177-1239, I, Bari 1987; E. Cuozzo - J.-M. Martin, Le pergamene di S. Cristina di Sepino, Napoli-Roma 1998; Pseudo Ugo Falcando, De rebus circa Regni Siciliae curiam gestis - Epistola ad Petrum de desolatione Siciliae, a cura di E. D’Angelo, in Fonti per la Storia d’Italia - RIS3, XI, Roma 2015.

F. Chalandon, Histoire de la domination normande in Italie et en Sicilie, Paris 1907, pp. 251, 311, 316 s., 329; E. Jamison, I conti di Molise e di Marsia nei secoli XII e XIII, in Convegno storico abruzzese molisano... 1931, I, Casalbordino 1933, pp. 73-178; S. Tramontana, Gestione del potere, rivolte e ceti al tempo di Stefano di Perche, in Potere, società e popolo nell’età dei due Guglielmi. Atti delle quarte giornate normanno-sveve, Bari-Gioia del Colle... 1979, Bari 1981, pp. 79-101; G.M. Cantarella, La Sicilia e i Normanni. Le fonti del mito, Bologna 1988; E. Cuozzo, L’unificazione normanna e il regno normanno-svevo, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso - R. Romeo, II, 2, Il Medioevo, Napoli 1989, pp. 593-825; B. Pio, Guglielmo d’Altavilla. Gestione del potere e lotta politica nell’Italia normanna (1154-1169), Bologna 1996; S. Tramontana, Il Mezzogiorno medievale, Roma 2000, pp. 50-52; B. Pio, Maione da Bari, in Dizionario biografico degli Italiani, LXVII, Roma 2006, pp. 632-635.

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