RICCHI, Pietro, detto il Lucchese

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCHI, Pietro, detto il Lucchese

Fiorenzo Fisogni

RICCHI (Richi, Righi), Pietro, detto il Lucchese. – Nacque a Lucca il 6 gennaio 1606 da Antonio e da Margherita Paladini (Lucca, Archivio arcivescovile, Battistero di San Giovanni, Libro de’ battezzati, n. 37 (1603-06), c. 127v). Dal testamento della madre risulta che ebbe un fratello minore, di nome Riccardo, pittore anch’egli.

Buona parte delle notizie circa i primi decenni di vita di Ricchi è fornita da Filippo Baldinucci, secondo il quale Ricchi fu indirizzato dal padre agli studi letterari e messo a bottega presso un modesto pittore locale di cui il biografo tace il nome, salvo passare poi presso il più quotato Ippolito Sani. E tra i suoi allievi dovette distinguersi se, negli anni compresi tra il 1620 e il 1623, la storiografia ricorda il giovane Ricchi a Firenze, nella bottega del Passignano.

Qui, a contatto con le grandi collezioni toscane, iniziò forse a praticare una pittura di genere fatta di Lucrezie, Sofonisbe, Agar e Giuditte, che avrebbe avuto tanta parte nella sua produzione e che molto dovette all’arte morbida e languida di Francesco Furini, ma anche alla maniera dei caravaggisti francesi.

Tra il 1624 e il 1627 fu a Bologna come allievo di Guido Reni; l’attenzione del Lucchese fu catalizzata qui soprattutto da altri pittori, come Giovanni Andrea Donducci, detto il Mastelletta (E.M. Guzzo, Il soggiorno bresciano del Lucchese, in Pietro Ricchi, 1606-1675, 1996).

Al termine del soggiorno bolognese si trasferì a Roma, dove sarebbe rimasto almeno due anni, in uno dei momenti meno documentati della sua carriera. Quello che pare certo è che proprio negli ambienti internazionali di Roma il Lucchese conobbe quei nobili viaggiatori o residenti francesi che lo indirizzarono nel loro Paese; per diversi anni, infatti, si spostò tra Aix-en-Provence, Arles, Lione e Parigi. Sono riemersi due importanti cicli pittorici ancora esistenti nei due castelli di Fléchères a Fareins e di Bagnols a Bagnols-en-Beaujolais.

La fluidità e la felicità delle Scene di caccia dipinte ad affresco per le due residenze sono un bel retaggio del giovanile soggiorno a Firenze, dove il Lucchese fu impressionato dalle veloci figure e dal respiro ampio dei dipinti di Giovanni Stradano.

Da una storica collezione privata di Lione proviene, inoltre, Ester davanti ad Assuero della galleria Canesso di Parigi, probabile frutto degli anni francesi, nel quale si sente l’influsso di Claude Vignon e Jean Tassel.

Il rientro in Italia è riferibile al 1634, anno in cui Ricchi è documentato a Milano; Baldinucci racconta come il cardinale infante don Fernando d’Austria fosse bene impressionato da un dipinto – di cui non conosciamo il soggetto – esposto durante la processione del Corpus Domini. Seguì tuttavia un repentino trasferimento a Brescia, già nel 1635, per motivazioni che tradizionalmente vengono imputate a una storia d’amore tra l’artista e una donna forse bresciana.

Da questa data e fino al 1652 abitò stabilmente a Brescia. La posizione della città gli consentì di inviare dipinti nei territori di Bergamo, Verona e Trento, ma anche di spostarsi e di realizzare importanti cicli pittorici (Bienno, Pontoglio, Riva del Garda). A Brescia, risultò subito ben inserito nel mercato artistico, collaborando spesso con il pittore cremasco Gian Giacomo Barbello. Residente nella parrocchia dei Ss. Faustino e Giovita nel 1641, ebbe l’avvedutezza di legarsi ai fratelli Ottavio e Stefano Viviani, titolari della bottega che, assieme a quella di Bernardino Gandino, deteneva l’effettivo controllo delle maggiori committenze. Non risultano notizie su un suo matrimonio, né il nome del primogenito, ma nel 1646 la secondogenita Anna Maria ebbe come padrino di battesimo proprio Stefano Viviani. L’11 luglio 1649, inoltre, Ricchi compare come testimone al battesimo di Ludovico, figlio di Carlo Carra, membro della più importante famiglia di scultori nella Lombardia orientale del XVII secolo. Il 15 febbraio 1646 il Lucchese figura negli elenchi del «sindacato» bresciano dei pittori, vendicolori e «battioro» (E. Rollandini - M.C. Terzaghi, in Pietro Ricchi, 1606-1675, 1996).

Esistono pochi punti fermi per il primo periodo del soggiorno bresciano. Alcuni dipinti sembrano antecedenti al 1640 e si rivelano già di complessa lettura, unendo o alternando i molteplici influssi assimilati dal Lucchese nel corso dei suoi viaggi: nel S. Nicola da Tolentino della parrocchiale di Gavardo – commissionato nel 1636 e a oggi prima opera documentata dopo il rientro in Italia – il forte pathos della figura centrale è un esplicito omaggio alle figure di Francesco del Cairo ‘milanese’; nella Madonna con il Bambino e santi del Duomo nuovo l’artista tentò di adeguarsi allo stile palmesco-lombardo di Bernardino Gandino, favorito dai committenti bresciani; nella Madonna e santi del Museo diocesano di Brescia, l’omaggio alla tradizione locale non soffoca dettagli e figure che riecheggiano direttamente la grazia francese di un Vignon; nell’Adorazione dei pastori di Agnosine, invece, il gioco luministico e le figure dal tenore rustico e robusto sono il ricordo ancora vivissimo del naturalismo lombardo conosciuto a Milano e corroborato dalla tradizione cinquecentesca bresciana.

Furono precoci i contatti con il territorio bergamasco: la pala di Ciserano, memore di Pier Francesco Mazzucchelli, meglio noto come il Morazzone; il S. Raimondo da Peñafort nella chiesa di S. Bartolomeo a Bergamo, di sentimento tutto lombardo, ma derivante da una stampa palmesca che molto circolava nell’ambiente dei Viviani; e, soprattutto, il ciclo di affreschi per il castello Martinengo Colleoni a Malpaga (1642).

Ricchi squaderna una cultura vasta e versatile ma sempre riconoscibile nei colori brillanti, nell’uso elegante di tinte pastello accordate a scuri profondi, ai quali non sembra estraneo il ricordo del caravaggismo francese, e nel pathos sempre vivo, che parte dal sentimento lombardo per diventare progressivamente barocco.

La sua produzione, poi, si muove tra dipinti d’impianto monumentale e classicheggiante, di matrice bolognese-reniana (la Pala di S. Domenico ora nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, 1648 circa; l’Assunta in S. Maria Maggiore a Trento, 1644; la Cacciata dei progenitori di Verolanuova, Parrocchiale, 1647; la Consegna delle chiavi di Rimini, 1649, Chiesa di S. Giuliano; Cristo e l’adultera agli Eremitani di Padova, 1667 circa), composizioni dal tenore più drammatico e lombardo (il Purgatorio Brunelli, nella chiesa di S. Francesco, a Brescia, dei primi anni Quaranta; la Deposizione di Ghedi, 1647, Parrocchiale) e tele più fluidamente narrative (il Martirio di s. Bartolomeo ad Almenno San Bartolomeo, 1642-44) o di grande intimismo (l’Ultima Cena del Museo di Riva del Garda, 1640 circa).

In questo contesto risulta di difficile datazione la decorazione della chiesa dell’Inviolata a Riva del Garda, lasciata interrotta da Antonio Gandino e Martino Teofilo Polacco; forse eseguita in più tempi, nel corso del quinto decennio del secolo, una recente rilettura la vorrebbe terminata entro il 1636, anno della consacrazione del santuario (M. Botteri, in Pietro Ricchi, 2013).

Nel 1652 Ricchi si trasferì a Venezia, come si evince da un documento del 1662 (Venezia, Archivio della Curia patriarcale, Matrimonia forensium, anni 1661-1662, cc. 242v-243r). La sua prima commissione sembrerebbe essere stata un perduto ciclo di affreschi nel secondo chiostro del convento di S. Domenico, documentato da Marco Boschini (C. Rigoni, in Pietro Ricchi, 1606-1675, 1996), che nutrì molta stima per il Lucchese, chiamandolo a realizzare il disegno per l’incisione del Vento ottavo nella sua Carta del navegar pitoresco (1664). Anche durante il soggiorno in laguna il pittore continuò a inviare opere in Trentino (Cles), a Verona, a Padova, a Rovigo e nella nativa Lucca, con cui il legame rimase sempre costante (R. Contini, in Pietro Ricchi, 1606-1675, 1996). Si fece pressante il confronto con la tradizione cinquecentesca locale, soprattutto con l’arte di Tintoretto (il S. Gerolamo, già in S. Caterina, 1655) o di Veronese (il suo capolavoro veneziano, l’Adorazione dei Magi in S. Pietro di Castello, 1659; la Natività di Maria, chiesa delle Zitelle, 1670 circa), grazie alla quale il Lucchese attenuò un certo realismo di marca lombarda in favore di composizioni spesso più ampie e di stampo finalmente barocco.

Morì a Udine il 15 agosto 1675 e fu sepolto in S. Maria Maddalena dei Filippini.

Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno, da Cimabue in qua, V, Firenze 1728, pp. 99-105; P. R., 1606-1675 (catal., Riva del Garda), a cura di M. Botteri Ottaviani, Milano 1996; J.-Ch. Stuccilli, P. R. à Lyon: les fresques du château de Fléchères, in Revue de l’Art, 2002, n. 138, pp. 63-70; P. R. a lume di candela. L’Inviolata e i suoi artefici (catal.), a cura di M. Botteri - C. D’Agostino, Riva del Garda 2013 (con ampia bibliografia precedente).

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