RICCIARELLI, Daniele, detto Daniele da Volterra

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCIARELLI, Daniele, detto Daniele da Volterra

Vittoria Romani

RICCIARELLI, Daniele, detto Daniele (Daniello, Nello) da Volterra. – Nacque a Volterra da Antonio Ricciarelli nel 1509, come si ricava dalla biografia di Giorgio Vasari (1568, 1984, V, p. 549), che lo dice morto il 4 aprile 1566 a 57 anni circa.

Inizialmente fu attivo nella sua città come frescante: nel 1532 e nel 1534 fu pagato per lavori perduti nel palazzo dei Priori, tra i quali è l’arma del duca Alessandro de’ Medici (Bavoni, 1997, pp. 111 s.). Di maggiore rilievo fu l’incarico per la perduta decorazione a chiaroscuro della facciata del palazzo di Mario Maffei, fratello dell’umanista Raffaele e figura di rilievo nella Curia papale al tempo di Leone X e di Clemente VII, cui si riferiscono alcuni pagamenti (settembre 1534 - dicembre 1535). Il pittore, citato come ‘Nello’ (p. 111), disponeva di un garzone che si è proposto di identificare con Giovanni Paolo Rossetti.

Agli esordi è riferito un deperito frammento di affresco con una Giustizia entro un arco all’antica, recante lo stemma mediceo e l’iscrizione: «NELLUS VOL. PINGEBAT», staccato nel 1844 dalla loggia del palazzo del Capitano di giustizia (Volterra, Pinacoteca). L’opera non è individuabile nei pagamenti del biennio 1535-36 a Ricciarelli per pitture in questo stesso luogo (Bavoni, 1997, pp. 111 s.). Nel 1536, a Volterra, assolse al pagamento della tassa sul sale (Sricchia Santoro, 1967, p. 9).

La biografia di Vasari (1568, 1984, V, pp. 539-550), il quale fu in rapporto diretto con Ricciarelli, è testimonianza fondamentale per la storia del pittore, seppure deformata da uno scoperto malanimo originato in gran parte dal rapporto professionale e di amicizia che Ricciarelli ebbe con Michelangelo. Secondo la fonte, Daniele Ricciarelli imparò a disegnare dal Sodoma, ma è improbabile che tale contatto sia avvenuto durante il soggiorno del vercellese a Volterra (Giovanni Antonio Bazzi, 2012, pp. 278 s.); più significativo fu l’incontro con Baldassarre Peruzzi, di cui non sono note le circostanze.

In seguito Daniele si sarebbe spostato a Roma portando con sé quale carta di presentazione una perduta Flagellazione di Cristo, apprezzata dal cardinale milanese Agostino Trivulzio che la acquistò e inviò il pittore a lavorare nella sua villa di Salone presso Tivoli, progettata tra il 1523 e il 1525 da Peruzzi.

Mentre non sembra possibile, per ora, dimostrare la tesi di un precoce contatto con Perino del Vaga a Genova (Longhi, 1964), elementi di cultura senese tra il Sodoma e Peruzzi emergono nella citata Giustizia, opera modesta, la cui esecuzione può anticiparsi al 1531 (Ciardi, 1997, pp. 45 s.). L’ipotesi di un contatto con Siena è rafforzata dall’attribuzione dell’affresco con Augusto e la Sibilla Tiburtina in S. Maria in Portico a Fontegiusta, già riferito a Peruzzi, ma giustamente restituito a Ricciarelli (Sricchia Santoro, 1987), opera più aggiornata e complessa che mostra pure l’influenza di Rosso Fiorentino e di Beccafumi.

Della prima prova romana, la decorazione ad affresco della villa Trivulzio, che coinvolse numerose stanze, sopravvive, danneggiata, la volta dell’atrio, decorata con scene di ludi antichi entro cornici a stucco e grottesche, e ispirata al gusto antiquario del committente e agli schemi della decorazione postraffaellesca.

Nel 1541 Ricciarelli s’iscrisse alla compagnia dei pittori dell’Accademia di San Luca, presso la quale rivestì in seguito diversi incarichi (Salvagni, 2012); il 1° dicembre di quell’anno firmò il contratto per gli affreschi della cappella Orsini a Trinità dei Monti (Hirst, 1967, pp. 500 s., 509), chiesa nella quale, secondo Vasari, aveva collaborato in precedenza con Perino del Vaga nella cappella di Angelo Massimo, quasi del tutto perduta. Tra il 1540 e il 1543 completò, su cartoni di Perino, la decorazione della volta della cappella del Crocifisso in S. Marcello al Corso, da Perino interrotta all’altezza del Sacco, affrescando gli apostoli Matteo e Luca (Fiocco, 1913, pp. 87-94). Il legame con l’allievo di Raffaello potrebbe aver favorito la commissione del fregio con Storie della gens Fabia in una sala del palazzo Massimo alle Colonne, progettato da Peruzzi per Pietro, fratello di Angelo, nel quale Daniele Ricciarelli si rivelò interprete originale del clima di rinascita artistica promosso da Paolo III. Nel 1545 Elena Orsini subentrò nella dotazione della cappella di Trinità dei Monti, intervenendo nelle scelte iconografiche degli affreschi delle pareti, ora dedicati alla santa eponima, e compiuti entro il 1548, quando il documento di concessione dell’indulgenza ai visitatori della cappella (1° aprile) cita con ammirazione l’impresa che impose l’artista come erede di Perino (Vasari, 1550, 1984, V, pp. 160 s.).

Nel fregio di palazzo Massimo Daniele interpretò il linguaggio decorativo del Buonaccorsi attraverso personali predilezioni per la definizione volumetrica delle figure e per una coerente costruzione dello spazio in rapporto alle condizioni della visione. Per spiegare la diversità di alcune scene si è ipotizzato un arco di esecuzione ampio (1538-44), suggerendo inoltre l’intervento di Marco Pino.

Alla fase di maggior vicinanza con Perino appartiene anche l’Elia nel deserto (Siena, collezione d’Elci), prossimo agli Evangelisti di S. Marcello. Nella Madonna con il Bambino tra i ss. Pietro e Paolo, datata 1545 (Volterra, Museo Diocesano; Chiarini, 1965, pp. 219 s.), emerge un plasticismo ispirato da modelli scultorei, ambientato entro uno spazio cubico, che introduce agli esiti della cappella Orsini. Di questa impresa sopravvivono numerosi studi preparatori (Davidson, 1967; Hirst, 1967) e la Deposizione dalla croce, destinata all’altare.

Qui il pittore fu tra i primi a confrontarsi con il Giudizio finale di Michelangelo, appoggiandosi alla maniera tarda di Raffaello: ne scaturì una pittura monumentale, severa e meditata, capace di cogliere la difficile e astratta temperatura espressiva delle ultime opere pittoriche del Buonarroti con indipendenza. Tale esito attrasse numerosi artisti già legati alla bottega di Perino, quali Marco Pino, Pellegrino Tibaldi e lo spagnolo Gaspar Becerra, che divennero poi suoi collaboratori. Grande influenza ebbe l’apparato di stucchi della cappella per la ricchezza delle invenzioni, di gusto antichizzante, trattate a tutto tondo. Questi risultati vanno letti alla luce dell’intesa artistica e umana stabilitasi con Michelangelo, testimoniata pure dalla presenza di due rilievi in stucco, in uno dei quali il maestro figurava in veste di Socrate assieme a Sebastiano del Piombo (Vasari, 1568, 1984, V, p. 542).

Una prova pittorica prossima alla Deposizione è la Madonna con il Bambino, s. Giovannino e s. Barbara (Siena, collezione d’Elci).

Il 28 novembre 1547 Paolo III affidò a Ricciarelli la decorazione della Sala regia nel Palazzo apostolico, sospesa alla morte di Perino. Per la scelta, stando al racconto di Vasari, fu determinante l’appoggio di Michelangelo. La ripresa dei lavori con riferimento agli stucchi e agli affreschi delle pareti (estate del 1548; Davidson, 1976; Pugliatti, 1984) fu interrotta dalla morte del papa (10 novembre 1549). Entro il principio del 1549 il pittore eseguì con Marco Pino il fregio con Storie di Bacco in una sala di palazzo Farnese, commissionatogli dal cardinale Alessandro e, circa nello stesso momento, dipinse le gesta di Carlo V entro partiture in stucco di Francesco Torni nel perduto scrittoio di Margherita, figlia dell’imperatore e moglie di Ottavio Farnese, nel palazzo Madama (Vasari, 1568, 1984, V, p. 543), complesso celebrato dal letterato milanese Anton Francesco Raineri (1553, n. LXXII). Alle commissioni farnesiane si affiancarono gli affreschi con le Storie della Vergine nella cappella Della Rovere a Trinità dei Monti, concessa a Lucrezia, nipote di Giulio II e vedova di Marcantonio Colonna, il 18 agosto 1548, impresa condotta con vari aiuti e conclusa, secondo Vasari (1568, 1984, V, pp. 544 s.), solo quattordici anni dopo.

Con l’intervento nella Sala regia, di discussa entità, e con il fregio di palazzo Farnese, Daniele s’impose come punto di riferimento nel magistero dello stucco, avviando in questa pratica il piacentino Giulio Mazzoni. Negli affreschi con Storie della Vergine della cappella Della Rovere delegò gli episodi della volta a Tibaldi e a Pino, le lunette a Becerra e a Rossetti, il quale ultimo venne liquidato nel luglio del 1550, per poi rientrare a Volterra, dove realizzò la Deposizione dalla croce per S. Dalmazio (1551-57), utilizzando disegni del Ricciarelli. L’artista riservò a sé gli episodi della Presentazione al tempio e dell’Assunzione della Vergine, conferendo all’apostolo che addita l’evento sacro il volto di Michelangelo, studiato in un celebre cartonetto (Haarlem, Teylers Museum, inv. A 21). La Strage degli innocenti fu eseguita più tardi dall’allievo Michele Alberti. Negli affreschi il pittore approfondì la ricerca di spogli, effetti scultorei e di un coordinamento tra spazio reale e spazio dipinto, ridisegnando attraverso la pittura la struttura architettonica della cappella.

Al tempo di Giulio III Ricciarelli mantenne il prestigio conquistato: fu coinvolto nella decorazione di vari ambienti del nuovo appartamento papale in Belvedere, per molta parte perduti. Tra questi è la stanza della Cleopatra, che doveva ospitare la fontana allestita con la celebre statua dell’Arianna dormiente entro una grotta simulata a stucco (incompiuta), e nella volta Storie di Mosè e di Cristo celebranti il potere salvifico dell’acqua, entro una partitura di stucchi (pagamenti 1551-52, saldo 1556; Pugliatti, 1984, p. 156). Per l’episodio del Cristo con la Samaritana fu utilizzato il disegno dello stesso tema, dedicato da Michelangelo a Vittoria Colonna. Nel 1550 Daniele intervenne nel basamento della stanza della Segnatura; l’anno seguente fu incaricato dalla confraternita fiorentina di S. Giovanni Decollato della pala d’altare dell’oratorio, eseguita poi, per ragioni che sfuggono, da Jacopino del Conte. In questi anni dovette saldarsi il legame con il letterato Giovanni della Casa, documentato a Roma tra il 1550 e il 1551, da cui scaturì la commissione di cinque dipinti eseguiti da Ricciarelli a partire da spunti grafici offerti da Michelangelo (Vasari, 1568, 1984, V, p. 545).

Frutto di questa collaborazione fu la monumentale lavagna opistografa con Davide e Golia (Parigi, Museo del Louvre), una riflessione sul tema del paragone tra pittura e scultura, al centro, in quel periodo, della disputa tra gli artisti promossa da Benedetto Varchi (1547), e degli interessi di della Casa, che pare avesse intenzione di scrivere un trattato d’arte. Nell’elenco delle opere fornito da Vasari figurano anche un S. Giovanni Battista, documentato da una versione, forse della bottega (Roma, Pinacoteca capitolina), un S. Girolamo penitente, un Compianto sul Cristo morto e una tela con Mercurio ordina a Enea di abbandonare Didone, nota da una versione su tavola (già Stoccolma, collezione privata) risalente all’ultimo soggiorno romano del prelato (giugno 1555 - febbraio 1556). Il raro tema virgiliano fu concepito quale dono diplomatico per la corte di Francia.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta l’impegno di Ricciarelli, in coerenza con il percorso compiuto sino a qui, si spostò sempre più sul terreno della scultura: il 3 marzo 1556 fu pagato per eseguire la statua di s. Michele arcangelo destinata al portale di Castel Sant’Angelo, progetto promosso da papa Paolo IV e affidato a Sallustio Peruzzi. In punto di morte chiese di porre la scultura, non più rintracciabile, sulla sua tomba in S. Maria degli Angeli. Seguì la commissione dell’arredo pittorico e plastico della cappella del cardinale Giovanni Ricci in S. Pietro in Montorio (Vasari, 1568, 1984, V, p. 546), dedicata al santo eponimo. Entro il 25 dicembre l’artista compì un sopralluogo a Carrara per la scelta dei marmi per le due imprese, e sostò a Pisa in casa di Luca Martini, letterato e uomo di fiducia di Cosimo I (p. 546). Entro l’8 maggio 1557 approdò a Firenze, da dove scrisse a Michelangelo annunciandogli l’intenzione di fermarsi nella città che aveva destato in lui grande interesse, avendovi in precedenza soggiornato solo per pochi giorni.

Il 14 luglio morì Orazio Piatesi, giovane romano molto caro a Daniele, che scolpì in sua memoria un busto in marmo già in S. Michele Berteldi (oggi Ss. Michele e Gaetano) con un epitaffio datato 1557 che ne ricorda gli interessi letterari e pittorici. È questa la prima scultura nota dell’artista. Tra il luglio e il dicembre del 1557 Ricciarelli sostò a Volterra, dove dipinse la Strage degli innocenti (Firenze, Galleria degli Uffizi) per l’altare omonimo della chiesa di S. Pietro in Selci (saldo tra ottobre e dicembre; Bavoni, 1997, p. 112), che presenta molti punti di contatto con l’affresco di tema analogo nella cappella Della Rovere. Stando al Vasari, avrebbe anche venduto i suoi beni al nipote Leonardo Ricciarelli, che imparò con lui l’arte dello stucco, e sarebbe stato reclutato subito dopo per i lavori di Palazzo Vecchio da Vasari stesso. I marmi per la cappella Ricci giunsero a Roma il 1° luglio 1559 e furono ritirati da Michele Alberti, che, assieme a Giacomo Rocca e a Leonardo Sormani, affiancò Daniele nella commissione, conclusa dopo la sua morte nel 1568, data indicata in facciata.

Per volontà del cardinale fu presa a modello la struttura della cappella di Giulio III, realizzata da Vasari con la supervisione di Michelangelo nella stessa chiesa, mentre alcuni disegni testimoniano che Daniele fu responsabile di gran parte dell’ideazione del complesso. Un sunto ottocentesco di un documento non rintracciato (Pugliatti, 1984, pp. 169-171, 269) riferisce le pitture e gli stucchi ad Alberti – probabile autore della pala su lavagna con il Battesimo di Cristo – e a Rocca. Le statue dei santi Pietro e Paolo sono assegnate da Vasari (1568, 1987, VI, p. 208) a Leonardo Sormani.

A seguito della morte del re francese Enrico II di Valois (1559), Caterina de’ Medici chiese a Michelangelo di assumere l’incarico del monumento equestre in memoria del re, o di fornirne il disegno, indicando un artista di sua fiducia per l’esecuzione. Tra l’estate e l’autunno del 1560 Daniele sottoscrisse la convenzione con Ruberto Strozzi, mediatore dell’impresa. Il cavallo doveva essere «della grandezza che ha decto M. Michelagniolo, ciò è alquanto maggiore di quello di Campidoglio similmente di bronzo come quello» (Boström, 1995, p. 818). L’andamento dell’ambiziosa commissione, segnata da varie difficoltà, è documentato da un carteggio a più mani (gennaio 1561- dicembre 1562; Boström, 1995; Starn, 1999) che integra quello di Michelangelo; essa fu accompagnata dalla polemica innescata da uno scritto di Guglielmo della Porta, impegnato in un monumento equestre in memoria di Carlo V. Guglielmo accusò Daniele di incompetenza e Michelangelo di alimentare la presunzione dell’artista di poter essere bravo scultore e fonditore (Gramberg, 1964, I, pp. 16, 117 s.). Intanto, nel 1561, per volontà di Pio IV, ripresero i lavori nella Sala regia e Daniele ne fu incaricato non senza tensioni amplificate dal racconto di Vasari (1568, 1984, V, pp. 529 s., 548): in un primo tempo l’artista si sarebbe schermito, opponendo l’impegno del monumento di Enrico II, ma la sua candidatura s’impose, con l’appoggio del Buonarroti e del cardinale Rodolfo Pio da Carpi, di contro a quella di Francesco Salviati, favorita da Vasari e dal cardinale Alessandro Farnese. A giugno vari pagamenti per lavori di stucco e doratura furono elargiti a Ricciarelli e aiuti, nonché a Giulio Mazzoni. Nel 1563, con lo stesso Mazzoni e con Guglielmo della Porta, l’artista collaudò i lavori del casino di Pio IV e ricevette l’incarico del progetto di copertura a lacunari di cartapesta lumeggiata d’oro per la volta della chiesa di S. Giovanni in Laterano. Ne eseguì una parte assieme a Luzio Romano, ma fu poi sostituito da Leonardo Cungi.

Varie testimonianze indicano una crescente intimità con Michelangelo: nel 1563 Ricciarelli funse da intermediario nei rapporti con il nipote di lui, Leonardo, e con i deputati alla fabbrica di S. Pietro a proposito di una controversia sulla nomina del capo operaio. Il maestro intendeva opporre la candidatura di Daniele a quella di Nanni di Baccio Bigio (Vasari, 1568, 1987, VI, pp. 105 s.). Da uno scambio di missive tra Diomede Leoni e Leonardo Buonarroti (14 febbraio 1564, Il carteggio di Michelangelo, V, 1983, pp. 312-315; 18 febbraio 1564, Il carteggio indiretto di Michelangelo, 1995, II, pp. 171-173) risulta che in punto di morte Michelangelo volle Daniele accanto a sé. Il giorno dopo la scomparsa dell’artista, Ricciarelli presenziò con Tommaso dei Cavalieri alla stesura dell’inventario dello studio di Macel de’ Corvi (G. Gaye, Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV, XVI, III, 1840, pp. 127 s.). Una versione più dettagliata degli ultimi giorni di vita di Michelangelo emerge da una commovente lettera di Ricciarelli a Vasari, interessato ad acquisire prove del maestro per conto di Cosimo I (Frey, 1930, pp. 53-58), dove si descrivono le poche opere rimaste in studio. Dal primo maggio, dietro pagamento di un modesto canone, Daniele ottenne da Leonardo la disponibilità della casa di Michelangelo, impegnandosi a migliorarne lo stato (Gasparoni, 1866, p. 158).

Nell’estate del 1564, a seguito delle disposizioni del Concilio Tridentino (21 gennaio 1564), fu eretto il ponteggio per emendare il Giudizio universale. L’intervento toccò a Ricciarelli, meritandogli le critiche poco generose di Vincenzio Borghini e il noto appellativo di ‘braghettone’; la scelta dell’artista fu in realtà dettata da rispetto verso Michelangelo. Intanto Leonardo Buonarroti incaricò Ricciarelli di eseguire due ritratti in bronzo del maestro (11 giugno 1564; Il carteggio indiretto di Michelangelo, 1995, II, pp. 198-200), la cui vicenda si intreccia con la fusione del cavallo del monumento a Enrico II (1564-65; Il carteggio indiretto di Michelangelo, 1995, II, pp. 222 s., 232-236). Uno dei ritratti è identificabile nella testa ora in Casa Buonarroti (inv. 61). A marzo Leonardo gli affidò pure, affiancandogli Giacomo del Duca e Giacomo Rocca, l’ideazione di un monumento funebre per lo zio, che prevedeva il reimpiego delle statue rimaste nello studio fiorentino dell’artista (Vasari, 1568, 1882, VIII, pp. 374-379). Con un’abile e strumentale strategia Vasari e Borghini estromisero Ricciarelli dal progetto, traghettandolo in seno alle iniziative della nascente Accademia del Disegno. Pur poco interessato alla pittura, Ricciarelli doveva ancora apparire una scelta prestigiosa in questo campo se il 14 gennaio 1565 gli operai della cattedrale di Orvieto lo indicarono con Bronzino e Vasari tra i maestri da contattare per la commissione delle pale per cappelle laterali del Duomo (Fumi, 1891, p. 413).

Provato dalle difficoltà incontrate nella fusione del cavallo, Ricciarelli morì a Roma il 4 aprile 1566 di «catarro crudele» (Vasari, 1568, 1984, V, p. 549). Il testamento rogato il giorno precedente è documento importante per ricostruire la rete dei collaboratori e la dotazione della bottega (Redín, 2010).

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