Rielezione del Capo dello Stato

Libro dell'anno del Diritto 2014

Rielezione del Capo dello Stato

Chiara Meoli

La rielezione – il 20.4.2013 – del Presidente Napolitano rappresenta un fatto senza precedenti nella storia della Repubblica. Al riguardo, l’art. 85 Cost. si limita a disporre che «Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni», senza contenere alcun limite alla possibilità che il Capo dello Stato, alla fine del suo mandato, venga rieletto alla carica. Sebbene non siano mancate, sia in ambito scientifico che in ambito politico, proposte di introdurre il divieto di rielezione, la questione sembra doversi affrontare nel concreto svolgersi dell’esperienza costituzionale italiana. In questo senso, la rielezione del Presidente della Repubblica è parsa un’eventualità legata a circostanze eccezionali: difatti, sino a quella di Napolitano, non ci sono stati casi di rielezione.

La focalizzazione. La rielezione di Giorgio Napolitano

Il 20.4.2013 Giorgio Napolitano è stato rieletto Presidente della Repubblica con un’ampia maggioranza (738 voti su 1008 aventi diritto).

La trattativa sul Quirinale si inseriva in un contesto storico e politico certo non semplice, intrecciandosi con il negoziato sulla formazione del nuovo Governo e producendo un’ampia dislocazione delle forze e degli interessi politici.

Il Partito democratico (PD) aveva tentato dapprima l’accordo con il Popolo della libertà (PDL), lasciando cadere la proposta del Movimento 5 stelle (M5S) di votare Stefano Rodotà e candidando Franco Marini. Ma nella prima votazione l’ex Presidente del Senato riportava soltanto 521 voti (molti meno di quelli di cui avrebbe dovuto disporre sommando i voti dei due partiti che avevano raggiunto l’accordo) e la sua candidatura veniva perciò abbandonata.

Dopo due scrutini interlocutori, veniva proposto dal PD Romano Prodi, il quale riportava al quarto scrutinio 395 voti, ben 109 in meno di quelli necessari per raggiungere la maggioranza assoluta ed essere eletto.

Esclusi così due fra i candidati più autorevoli, il PD si trovava nella (difficile) situazione di non poter appoggiare la candidatura di Rodotà senza perdere la sua ala moderata, né ritornare a trattare con il PDL su un nuovo candidato gradito al centro-destra.

L’unica soluzione possibile pareva una scelta interlocutoria. In quest’ottica, solo la riconferma di Napolitano avrebbe evitato ulteriori lacerazioni in un partito sfibrato da rivalità interne e diviso sulle politiche di alleanza e, di conseguenza, sui singoli candidati al Quirinale che incarnavano le diverse possibili opzioni di Governo.

La scelta di confermare Napolitano – nonostante il limite oggettivo dell’età del Presidente (87 anni) – preludeva a un Governo di larghe intese (Governo Letta – XVII legislatura) che sanciva la crisi profonda del sistema politico e dei partiti.

I profili problematici. La rielezione è un caso eccezionale?

La questione della rieleggibilità del Presidente della Repubblica può in astratto prestarsi a interpretazioni opposte3.

Il divieto potrebbe essere giustificato dall’esigenza di uno svolgimento più corretto e imparziale delle funzioni, ma allo stesso tempo, sottolineando l’alterità del Presidente rispetto al sistema delle forze politiche, potrebbe produrre un notevole rafforzamento del suo ruolo. Per ragioni inverse, ammettere la rieleggibilità potrebbe essere considerato un mezzo per sottomettere il Presidente alla volontà delle forze politiche ovvero potrebbe significare il riconoscimento di una sua responsabilità politica e, dunque, della titolarità di poteri politici autonomi.

Sebbene non siano mancate circostanze in cui l’ipotesi della rielezione sia stata effettivamente posta nel dibattito politico, la prospettiva di una rielezione del Presidente della Repubblica è comunque parsa un’eventualità piuttosto remota, legata a circostanza di carattere eccezionale (difatti, sino a quella di Giorgio Napolitano, nella prassi costituzionale italiana non ci sono stati casi di rielezione).

Contro questa ipotesi gioca, del resto, anche la lunga durata della carica: in caso di rielezione, infatti, il Presidente resterebbe in carica per ben quattordici anni, un periodo di tempo che nella vita istituzionale può essere considerato come effettivamente molto lungo.

Sebbene negli anni non sono mancate, sia in ambito scientifico che in ambito politico, proposte di introdurre il divieto di rielezione, la questione sembra doversi affrontare nel concreto svolgersi dell’esperienza costituzionale del nostro Paese. Considerando che il Presidente ha indubbiamente assunto, soprattutto in alcuni decisi passaggi istituzionali, un ruolo politico non secondario, stabilire la sua non rieleggibilità potrebbe difatti suscitare qualche preoccupazione. Da un lato infatti, si correrebbe il rischio «di irrigidire inopportunamente la vita politica, impedendo la rielezione magari di quell’unico soggetto che sulla base dell’esperienza passata, ha guadagnato la fiducia di tutte le principali forze politiche»; dall’altro potrebbe significare sancire la totale irresponsabilità politica del Presidente «eliminando anche quel possibile ed eventuale giudizio di responsabilità connesso alla rielezione o mancata rielezione»4.

Note

1 Cfr. Petrangeli, F., Art. 85, in Celotto, A.-Bifulco, R.-Olivetti, M., Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, ad vocem.

2 Cfr. Paladin , L., voce Presidente della Repubblica, in Enc. dir., Milano, 1985, ad vocem.

3 Cfr. Volpi, M., Considerazioni sulla rieleggibilità del Presidente della Repubblica, in Silvestri, G., a cura di, La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1985, 502 ss.

4 Così Rescigno, G.U., Art. 85, in Branca, G., a cura di, Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1979, 64 ss.

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