Riforme scolastiche

Lessico del XXI Secolo (2013)

riforme scolastiche


rifórme scolàstiche locuz. sost. f. pl. – Alle soglie del nuovo millennio la scuola italiana è stata investita da un insieme di interventi che hanno posto termine al periodo (protrattosi per più di un quarantennio) delle riforme inerenti l’ordinamento di singoli aspetti. Si pensi all’istituzione della scuola media (1962), della materna statale (1968) e alla riorganizzazione della scuola elementare (1990). Possiamo quindi dire che il profilo della scuola nel 20° sec. recava ancora tracce delle normative quadro che avevano accompagnato l’unificazione italiana (legge Casati 1859) e l’avvento del fascismo (riforma Gentile 1923). Il panorama entro cui collocare le proposte di mutamento dell’ultimo decennio del Novecento è caratterizzato da due fattori: l’uno internazionale, cioè l’accresciuta influenza che il processo d'integrazione europea ha esercitato sugli stati, anche in materia di formazione, e l’altro nazionale, con la profonda trasformazione socioeconomica della penisola combinatasi alla crisi delle forze politiche sulla scena dal secondo dopoguerra.

L'influenza del processo d'integrazione europea. – Tra gli effetti dell'unione politica conseguente alla sottoscrizione, nel gennaio 1992, del Trattato di Maastricht, si è registrata una marcata convergenza volta ad «assicurare un insegnamento di elevata qualità e introdurre la dimensione europea nell’insegnamento superiore», con la costruzione dello Spazio europeo dell’istruzione superiore (European higher education area, EHEA). Emblematica è in proposito la dichiarazione congiunta dei ministri europei dell’Istruzione del 19 giugno 1999, nota come Dichiarazione di Bologna, avente lo scopo di agevolare la mobilità di studenti, insegnanti e ricercatori attraverso l’introduzione di titoli accademici facilmente riconoscibili e comparabili. Parallelamente a questi orientamenti, nel marzo del 2000 i capi di Stato e di governo dell'Unione Europea,  si sono accordati a Lisbona per fare dell'UE, entro il 2010, la più competitiva e dinamica economia della conoscenza. Le priorità, foriere di precisi indirizzi di politica scolastica, sono state così definite: Internet; Ricerca; Sostegno all'avviamento di imprese, in particolare quelle ad alto contenuto tecnologico; Politiche sociali. In generale nel corso degli anni Duemila appare poi evidente come anche altre grandi istituzioni come la Banca Mondiale, l’UNESCO, l’OCSE abbiano concorso a costruire una cultura educativa globalizzata basata su principi di efficienza produttiva, flessibilità e funzionalità, orientata a rispondere alle esigenze politiche, economico-finanziarie e dei mercati.

Le leggi Bassanini e Berlinguer. – Se spostiamo lo sguardo entro il confine nazionale osserviamo come nella 13a legislatura (1996-2001) la l. 59 del 1997 redatta da F. Bassanini, ministro della Funzione pubblica del primo governo Prodi, nell’ambito della ridefinizione dei rapporti e della distribuzione delle competenze fra lo Stato, le Regioni e il sistema delle autonomie locali, avviò la riforma del sistema scolastico organizzandolo sulla base di una rete di istituzioni dotate di autonomia funzionale. La questione dell’autonomia scolastica, che comportò una diversa disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto (l. 59/98), l’approvazione dello Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (l. 249/98), l’adozione di un apposito regolamento che definì appunto la natura e gli scopi dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, oltre che un regolamento concernente le Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche (l. 44/01), divenne il tema centrale nella stagione dei governi di centro-sinistra. Al quadro normativo messo in campo dal ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer, in carica fino all’aprile del 2000, nel governo Prodi e nei successivi due guidati da D’Alema, si accompagnarono altri interventi quali le disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore (l. 425/97), la legge quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione (l. 30/2000) e, ultime in ordine cronologico, le norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio (l. 62/2000). Era inoltre previsto l’innalzamento dell’obbligo formativo (non strettamente scolastico) fino all’età di 18 anni.

La riforma Moratti. – La coalizione di centro-destra vincitrice delle elezioni politiche del 13 maggio 2001 nominò ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca Letizia Moratti e ribadì la necessità di applicare principi di meritocrazia, sia per insegnanti sia per gli studenti, senza dimenticare la difesa del patrimonio linguistico, delle tradizioni e delle culture presenti in Italia. Inoltre, nella semplificazione del leader Silvio Berlusconi, si promise per la scuola un asse formativo facente perno sulle tre 'i': inglese, impresa e informatica. Nell’ottobre del 2001 un referendum confermativo approvò la revisione del titolo V della Costituzione italiana, sulla base del quale all’art. 117 si affermava, tra l’altro, che tra le materie oggetto di «legislazione esclusiva» da parte dello Stato vi erano le «norme generali sull’istruzione» mentre erano «materie di legislazione concorrente quelle relative a: […] istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale». Il nuovo articolato costituzionale esplicitava poi che nelle materie di legislazione concorrente spettava alle Regioni la potestà legislativa. La l. 53/2003, prendendo spunto dall’indicazione dell’art. 117, delegava il governo alla definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale. L’articolato corpus normativo definito come riforma Moratti  comprendeva un nuovo riordino dei cicli, che di fatto cancellava quanto approvato dalla coalizione di centro-sinistra, introducendo una scuola d’infanzia e un primo ciclo d’istruzione (3+5, con possibilità di anticipare l’iscrizione alla prima classe), seguita da un secondo ciclo triennale e dal sistema di licei quinquennale basato su otto tipologie di istituti – artistico, classico, economico, linguistico, musicale, scientifico, scienze umane, tecnologico –, ai quali si affiancavano, in ottemperanza al titolo V della Costituzione, il sistema di Istruzione e formazione professionale (su base regionale) della durata di 4 anni. Sempre relativamente alla preparazione professionale, tra il 2003 e il 2005 furono varati alcuni decreti inerenti l’apprendistato, il diritto dovere all’istruzione e alla formazione, norme per l’alternanza scuola-lavoro. L’aspirazione a dare pari dignità al sistema dei licei e alla formazione al lavoro parve agli oppositori vanificata dall'istituzione di due canali differenti per durata (cinque anni per i primi e quattro più uno facoltativo per i secondi) e assetto amministrativo (statali i licei, regionali le professionali). Altro motivo di scontro ideologico furono le raccomandazioni per l’attuazione delle indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzato nella scuola primaria e secondaria di primo grado, oltre che altri documenti prescrittivi nazionali destinati a sostituire i tradizionali programmi. Per garantire un controllo omogeneo dei livelli d’istruzione nella penisola fu dato avvio all’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione (INVALSI).

La riforma Fioroni. – Nella 15a legislatura il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni, espressione della coalizione di centro-sinistra uscita vittoriosa dalle elezioni politiche del 2006, operò modificando le precedenti Indicazioni nazionali richiamandosi concettualmente agli Orientamenti della scuola d’infanzia del 1991 e ai Programmi dell’elementare del 1985. Si passò così dalla personalizzazione dei piani di studio, cifra pedagogica del ministero Moratti, a una rinnovata attenzione al curricolo.

La riforma Gelmini. – La valutazione sulla politica scolastica attuata nella 16a legislatura dal ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca Maristella Gelmini, non può prescindere dal considerare la congiuntura globale di crisi economica e di recessione. Gli interventi orientati a reintrodurre principi di autorità e vincoli più rigorosi per i dipendenti pubblici hanno assunto più il carattere di razionalizzazione e contenimento dei costi, che quello di vere e proprie riforme. Queste ultime, infatti, sono scaturite dalla legge di bilancio 133/2008 (con una previsione di tagli di circa 7,8 miliardi in quattro anni). Si veda ad esempio l’introduzione del maestro unico nella scuola elementare in sostituzione del modulo e l’articolazione dell’orario settimanale a 24, 27 e 30 ore, con la permanenza residuale del tempo pieno a 40 ore «nei limiti dell’organico assegnato». Il clamore suscitato da questo provvedimento è stato pari a quello della reintroduzione in pagella dei voti decimali e di condotta. I decreti conseguenti alla revisione degli assetti ordinamentali, organizzativi (generalizzazione in tutto il territorio degli istituti comprensivi a sostituzione di direzioni didattiche e scuole secondarie di primo grado autonome) hanno inteso portare economie di spesa sul fronte del personale (riduzione del numero di docenti, più stringenti valutazioni delle loro performance e di quelle degli alunni). Anche la riforma dell’istruzione secondaria superiore ha inteso semplificare l’offerta formativa in soli sei licei (artistico, classico, linguistico, musicale, scientifico, delle scienze umane); in istituti tecnici suddivisi in due settori (economico e tecnologico) con undici indirizzi e in istituti professionali suddivisi in due settori (dei servizi e dell’industria e artigianato) e sei indirizzi, oltre ad avere asciugato quadri orari e offerte curriculari messi in campo dai singoli istituti. La crisi economica e la recessione che colpisce particolarmente i giovani riporta in primo piano nell’agenda dei governi la necessità di conciliare tagli alle risorse e offerta di servizi, garantendo i principi di uguaglianza e integrazione sociale previsti nella Costituzione.

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