ESTE, Rinaldo d'

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

ESTE, Rinaldo d'

Paolo Bertolini

Secondo di questo nome, nacque dal marchese Aldobrandino (II), fratello di Azzo (VIII), signore di Ferrara, di Modena e di Reggio, e da Alda di Tobia Rangoni, nell'ultimo decennio del sec. XIII. Ignoriamo, per il silenzio delle fonti, il luogo e la data precisa della sua nascita, la storia dei suoi anni giovanili. Dopo la morte di Azzo (VIII), avvenuta m Este nella notte tra il 31 gennaio e il 1° febbr. 1308, l'E. condivise per quasi un mese le vicende del padre.

Aldobrandino era stato bandito da Ferrara perché si era sollevato contro la presa di potere, come nuovo signore della città, da parte del nipote Fresco d'Este, figlio illegittimo di Azzo (VIII), decisa dalle autorità municipali, e contro la nomina del pronipote Folco d'Este - figlio di Fresco e della moglie di questo, Pellegrina Caccianemici - ad erede universale del patrimonio di famiglia, disposta per testamento dal defunto signore e sanzionata e resa esecutiva dai competenti organi del governo ferrarese.

Aldobrandino riteneva di essere il solo, insieme con il fratello Francesco d'Este, ad avere sul piano giuridico il diritto di subentrare nell'eredità patrimoniale e politica di Azzo (VIII), dato che quest'ultimo era morto senza discendenza legittima. Già poche ore dopo la scomparsa di Azzo, lo stesso 10 febbraio, si era accordato con Francesco d'Este circa la divisione dei beni mobili ed immobili appartenuti al loro padre Obizzo (II). Insieme con Francesco aveva contestato la validità delle disposizioni contenute nel testamento di Azzo (VIII) e la successione di Fresco al governo di Ferrara. Non riuscendo a trovare consensi ed appoggi in patria, dove il nuovo stato di cose era stato accettato senza difficoltà, li cercò all'estero.

Interpose appello ad Avignone, presso il papa Clemente V, ed avviò trattative con Padova, sempre d'accordo con Francèsco. Le pesanti condizioni richieste da quelle autorità in cambio degli aiuti da fornire in campo politico e militare contro Fresco indussero Aldobrandino, sul finire del mese, a desistere dalla lotta. Il 24 febbraio emancipò i suoi due figli più grandi, l'E. ed Obizzo (III), assegnando loro una parte cospicua del suo patrimonio, proprietà alcune delle quali erano poste nella stessa Ferrara, in Lendinara, in Este, a Rovigo, dove da quel momento i due giovani posero la loro residenza. Si ritirò quindi a Bologna. Il 28 febbraio fu dichiarato ribelle dal Comune di Padova e condannato al bando; i suoi beni furono confiscati.

Dopo essere stato emancipato l'E. prese parte attiva alle azioni di guerra promosse dallo zio Francesco d'Este contro il nuovo signore di Ferrara (primavera-autunno del 1308) e, ritiratosi quest'ultimo dalla vita pubblica (ottobre 1308), sotto le bandiere della Chiesa contro la Repubblica di S. Marco durante il conflitto per il possesso di Ferrara (inverno 1308-inizi 1310). Tornata la città sotto il dominio della Sede apostolica e giurata dai suoi abitanti la fedeltà al papa (6-28 marzo 1310), l'E. fu ancora una volta, insieme con il fratello Obizzo, al fianco dello zio Francesco quando questi venne in soccorso dei Pontifici, sopraffatti e costretti a rinchiudersi nel Castel Tedaldo da una rivolta popolare (1310). Dopo la tragica morte di Francesco, ucciso sotto le mura di Ferrara nel corso di uno scontro con le forze dell'ordine, che erano state incaricate di arrestarlo per ordine dei rettore e capitano generale della Chiesa Dalmau de Bonyuls (23 ag. 1312), si tenne per lungo tempo lontano dalla città. Vi rientrò solo cinque anni dopo, nell'estate del 1317, insieme con il fratello Obizzo, quando scoppiò una nuova rivolta contro il vicario del re di Napoli Roberto d'Angiò, il sovrano cui il papa aveva affidato l'amministrazione della città.

La rivolta, che vide uniti popolo e nobili, scoppiò il 22 luglio, in seguito all'uccisione di un giovane, membro della famiglia Bocchimpani, compiuta dallo stesso vicario. Le milizie angioine non riuscirono a ristabilire l'ordinel sopraffatte, abbandonarono la città bassa, riparando al di là del Po di Volano ed arroccandosi nel Castel Tedaldo, dove furono assediate dagli insorti. La loro resistenza non durò a lungo. Il 5 agosto i soldati angioini capitolarono, con la promessa di aver salva la vita. Furono invece massacrati tutti e la fortezza venne saccheggiata e distrutta.

Il 15 agosto l'E., i suoi fratelli Obizzo (III) e Niccolò (I), i suoi cugini Azzo (IX) e Bertoldo, figli dello zio Francesco, furono proclamati signori di Ferrara dal popolo e la nomina fu ratificata dalle magistrature cittadine. Di fatto, chi assunse il potere e diresse da allora, per ventotto anni, il governo della città e dei dominii estensi fu l'E., in quanto più anziano e primogenito di Aldobrandino (II). Tra i primi atti compiuti dall'E. come nuovo signore fu quello di informare il papa dell'accaduto e di chiedergli contestualmente la concessione, per sé e per i propri congiunti, del vicariato apostolico in temporalibus in Ferrara. Si dichiarò disposto ad accettare qualsiasi condizione. Il pontefice, Giovanni XXII, succeduto a Clemente V il 7 ag. 1316, rispose sia sul piano spirituale colpendo lui, i fratelli Obizzo e Niccolò, i cugini Azzo e Bertoldo con la scomunica e lanciando l'interdetto su Ferrara (settembre), sia sul piano politico sollevando contro di loro i suoi fautori italiani.

La situazione così venutasi a creare aveva del paradossale. Guelfi per antica tradizione e per vincoli familiari, gli Estensi si trovarono allora a doversì unire ai ghibellini per poter fronteggiare le potenze guelfe della penisola. Se poterono superare la difficile congiuntura, lo dovettero sia all'abilità politica dell'E., sia a Romeo Pepoli, legato a loro da parentela: fino a quando questi rimase al potere in Bologna (1321) la potente città guelfa della pianura emiliana considerò Ferrara ed i suoi scomunicati signori come amici, consentendo ad essi di consolidarsi al potere, di rafforzarsi nei loro domini e di resistere al papa.

L'E., che nel 1318 aveva stretto alleanza con Cangrande Della Scala, signore di Verona, nel 1320 venne con i fratelli ed i cugini accusato di eresia. La stessa accusa fu rivolta allora anche contro altri avversari politici del papa: Rainaldo Bonacolsi, detto Passerino, signore di Mantova, di Modena e di Carpi; Matteo Visconti, signore di Milano; lo stesso Cangrande Della Scala. Il processo contro l'E. fu celebrato l'anno successivo e si concluse con la scomunica del signore di Ferrara: il suo esito, tuttavia, non ebbe influenza sui rapporti tra le forze in campo.

Il 22 sett. 1322, nella battaglia di Mühldorf sull'Inn, Ludovico il Bavaro, re di Germania ed imperatore eletto, sconfisse e fece prigioniero, eliminandolo dai giuochi di potere d'Oltralpe, il suo antagonista Federico d'Asburgo. Si volse quindi subito contro il suo maggior oppositore in Europa, il papa Giovanni XXII. Dette dunque inizio ad una manovra che mirava a contrastare la politica di predominio da quello avviata in Italia, a deprimere le forze guelfe e a riaffermare i diritti dell'Impero nella penisola. Già nella primavera del 1323 giunsero al di qua delle Alpi i suoi inviatil il vicario, imperiale Bertoldo di Marstetten e Federico di Truliedingen: essi avevano il compito di prendere contatto con gli esponenti del ghibellinismo italiano e di preparare la venuta del loro sovrano. A Mantova, nel corso del mese di maggio, quando Azzone Visconti era assediato in Milano dai Pontifici, essi ebbero una serie di colloqui con Rainaldo Bonacolsi e con Cangrande Della Scala, che furono da loro convinti a troncare le trattative avviate in vista di una riconciliazione con la Curia, a schierarsi dalla parte del re di Germania e a portare aiuto al Visconti.

L'E. fu pronto ad accogliere le proposte di Bertoldo di Marstetten e di Federico di Truliedingen. Si schierò subito dalla parte dell'imperatore eletto: il 23 giugno, a Ferrara, suo fratello Obizzo (III) concluse con il re di Germania ed i signori di Mantova e di Verona un'alleanza, che fu il prodromo della nuova lega ghibellina stipulata nel castello di Palazzolo sull'Oglio, il 17 gennaio dell'anno successivo, alla presenza del legato imperiale, dai maggiori esponenti italiani della fazione: l'E., il Bonacolsi, Cangrande Della Scala, Galeazzo Visconti, Castruccio Castracani. Come ricompensa, Ludovico il Bavaro, con diploma del 21 ott. 1324, investì l'E. ed i suoi fratelli Obizzo (III) e Niccolò (11) dei territori sottoposti al dominio della loro famiglia. Il 29 ottobre di quello stesso anno l'E. acquisì Argenta.

Non posavano intanto le armi in Lombardia, nel Veneto, in Emilia, in Toscana. Le azioni belliche erano una conseguenza del continuo variare dei rapporti diplomatici e di forza tra le diverse potenze di parte guelfa e di parte ghibellina, ma in esse gli interessi locali interferivano in tal modo che non è possibile ridurle ad una vera unità. Nel 1325 gli Este rientravano in possesso di Comacchio (Ferrara), che avevano avuto per dedizione nel 1207 e che avevano perduto nel corso della crisi del 1308. In Emilia il Comune di Bologna, che continuava ad essere la maggiore potenza guelfa della regione, cogliendo l'occasione dalla crociata papale contro Rainaldo Bonacolsi e per reagire a un'incursione compiuta da reparti estensi e modenesi comandati dallo stesso Bonacolsi e da Obizzo (III) d'Este, inviò contro gli avversari, nell'estate di quell'anno, il proprio esercito, che invase il territorio di Modena ed occupò Sassuolo. Alla testa di un esercito integrato, di cui facevano parte contingenti viscontei, estensi e mantovani, l'E. riuscì prima a bloccare l'offensiva nemica con una dura battaglia di contenimento intorno al castello di Monteveglio, ad annientare poi il nemico, il 15 novembre, nella battaglia di Zappolino. Rimasto padrone del campo, l'E., non contento della vittoria, inseguì i nemici in fuga sino alle mura di Bologna.

E sotto le mura di Bologna, per solennizzare il loro trionfo e far onta ai loro avversari, i vincitori fecero correre - secondo l'uso del tempo - tre pali in onore, rispettivamente, degli Estensi, dei Bonacolsi e dei Visconti.

Con la battaglia di Zappolino è connessa - a quanto pare - la "secchia" che i Modenesi, giunti, inseguendo i Bolognesi in fuga, fin dentro la porta di S. Felice della città nemica, catturarono e portarono via con sé come trofeo. Essa sarebbe stata resa celebre, due secoli più tardi, dal poema di Alessandro Tassoni La secchia rapita.

Impostosi come uno dei principali sostegni della parte ghibellina in Emilia e in Lombardia, l'E. contrastò la rìpresa guelfa del 1326 per quanto poté; e quando, nel gennaio del 1327, Ludovico il Bavaro si presentò in Italia, inviò il fratello Obizzo (III) alla solenne assise del ghibellinismo convocata a Trento dall'imperatore eletto, assise nella quale convennero i maggiori esponenti della fazione: Matteo Visconti, in rappresentanza del fratello; Rainaldo Bonacolsi; Guido Tarlati, signore di Arezzo e di Città di Castello; gli ambasciatori di Castruccio Castracani, del Comune di Pisa, del re di Sicilia Federico III.

A Trento, in quella occasione, Ludovico il Bavaro non solo espose il suo programma italiano, ma denunciò il papa Giovanni XXII come illegittimo ed eretico. Il pontefice, da Avignone, accusando a sua volta di eresia il sovrano, lo dichiarò deposto da tutti i suoi diritti e minacciò l'interdetto a tutte le città che lo avrebbero accolto. Ciò non valse a impedire né la marcia di Ludovico attraverso la penisola, ne i suoi interventi in danno dei guelfi né la sua incoronazione a re d'Italia (Milano, 31 maggio 1327), né la sua incoronazione a imperatore (Roma, 17 genn. 1328), né l'elezione al soglio di Pietro di un intruso, un francescano della Comunità, Pietro Rainalducci, del convento romano dell'Ara Coeli, il quale assunse il nome di Niccolò V (Roma, 12 maggio 1328).

Postosi al seguito dì Ludovico, nel marzo del 1327 l'E. ottenne l'investitura di Argenta. Nel maggio era a Milano dove assistette alla solenne cerimonia dell'incoronazione del Bavaro a re d'Italia. Con lui erano presenti, tra gli altri, anche Rainaldo Bonacolsi e Cangrande (I) Della Scala. Nell'agosto, sempre accanto a questi ultimi, intervenne al Parlamento di Orzinuovi, in cui il nuovo re d'Italia giustificò, dinnanzi ai suoi fautori, i provvedimenti presi nei confronti di Milano (il 20 luglio aveva fatto arrestare e imprigionare Galeazzo Visconti, i fratelli di questo, Luchino e Giovanni, il figlio Azzo, costituendo nella città un governo provvisorio), accusando Galeazzo di intese col papa, ed ottenne aiuti in uomini, armi e danaro per la sua spedizione romana. Nel 1328 l'E. venne creato, insieme con i fratelli Obizzo (III) e Niccolò (II) vicario imperiale in Ferrara.

Entrato in contrasto con Ludovico il Bavaro a causa della politica italiana da lui attuata e tenendo verosimilmente conto della variazione dei rapporti di forza avvenuta nel corso del 1328 sia ' in Emilia, dopo la cacciata dei Pontifici da Parma (1° agosto), da Reggio (2 agosto) e da Modena (27 novembre), sia in Lombardia, dopo la tragica morte di Rainaldo Bonacolsi e l'avvento al potere in Maritova di Luigi Gonzaga e dei suoi figli Guido, Filippo e Feltrino (14 agosto), l'E. prese progressivamente le distanze dallo schieramento imperiale in vista di una riconciliazione col pontefice e di un rientro nel campo guelfo. Le cose procedettero speditamente, grazie alla mediazione del cardinal legato Bertrando del Poggetto, che dovette essere indotto ad accordarsi con i signori di Ferrara proprio dalla mutata situazione politica emiliana. Sul finire del 1328 l'E. ottenne per sé e per i fratelli Obizzo e Niccolò, con bolla del 15 dicembre datata da Avignone, l'assoluzione dalla scomunica; con altra bolla del 30 giugno 1329, pure datata da Avignone, il vicariato apostolico in Ferrara per dieci anni e con l'obbligo del versamento di un censo di 10.000 fiorini all'anno (la nomina divenne però effettiva solo il 12 dic. 1332). Con bolla del 15 luglio 1330, sempre datata da Avignone, l'E. ed i suoi fratelli ricevettero il vicariato apostolico per dieci anni anche in Finale Emilia ed in Massa Finalese. Allora cercarono di convincere Azzo Visconti, la cui madre era loro zia, ad avviare anch'egli trattative col papa.

Contemporaneamente l'E. aveva ripreso la politica di accordo con Mantova, accostandosi ai Gonzaga, nuovi signori della città, e rinnovato l'amicizia che legava Ferrara a Verona, stipulando un formale trattato di alleanza con i nuovi signori, Mastino (II) e Alberto (II) Della Scala, saliti al potere il 23 luglio 1329, il giorno successivo alla morte di Cangrande (I). I rapidi progressi del re di Boemia Giovanni del Lussemburgo, intervenuto nelle vicende italiane su richiesta di Brescia, minacciata dall'espansionismo scaligero (il 31 dic. 1330 il re entrò in quella città; ai primi dell'anno seguente si dettero a lui Bergamo, Crema e Cremona; tra il febbraio e l'aprile Pavia, Milano stessa, Vercelli e Novara), non toccarono direttamente - almeno in un primo tempo - gli interessi dell'Este. Tuttavia quando anche Parma, Reggio e Modena, nella primavera del 1331 si sottomisero al re e si profilò il pericolo di un'intesa tra quest'ultimo e il cardinale legato Bertrando del Poggetto (colloqui di Castelfranco Modenese e di Piumazzo: 16-17 apr. 1331); quando il sovrano lussemburghese avviò trattative in vista di un accordo prima con il pontefice (aprile 1331) e poi con l'imperatore, presso il quale si recò di persona lasciando l'Italia il 2 giugno 1331; quando il cardinal legato riprese le operazioni militari in Emilia e in Romagna (nel maggio cacciò i Malatesta da Rimini e pose l'assedio a Forlì), l'E. si strinse ancor più ai signori di Verona e di Mantova, che il 16 aprile si erano alleati segretamente tra loro. L'8 agosto, a Castelbaldo, costituì con Mastino (II) Della Scala e con Luigi Gonzaga una lega difensiva ed offensiva segreta in funzione antiboema ed antipontificia, attorno alla quale si coagulò lo schieramento delle potenze italiane minacciate dalla politica avviata nella penisola dal sovrano lussemburghese e dal legato.

Così, mentre Bertrando dei Poggetto proseguiva l'assedio di Forlì, riuscendo ad insignorirsene (nel novembre del 1331 la città gli fu ceduta dagli Ordelaffi), si faceva attribuire dalle magistrature di Bologna un aumento dei suoi poteri su quel Comune (novembre 1331), otteneva dal papa i titoli di conte della Romagna e di marchese di Ancona, e nel marzo del 1332 teneva parlamento a Faenza, consolidando il proprio dominio; mentre Giovanni 1, regolatì i suoi rapporti con l'imperatore, si recava in Francia per accordarsi col re Filippo VI, che considerava uno dei fattori essenziali della politica italiana (gennaio-luglio 1332); nel corso dell'inverno 1331-1332 sotto l'assillo del pericolo si infittirono i contatti e le consultazioni fra le potenze della penisola.Il 27 apr. 1332, a Verona, l'E., Mastino (II) Della Scala, Azzone Visconti, i Tornielli di Novara ed i Rusca di Como conclusero tra loro un'alleanza militare, che si proponeva non solo di garantire l'indipendenza dei loro domini ma soprattutto di cancellare le signorie create dal re di Boemia e dal cardinal legato nell'Italia settentrionale e in quella centrale.

I convenuti si impegnarono infatti a fornirsi reciprocamente aiuto in caso di attacco; a non fare paci separate e comunque a non avviare trattative con gli avversari senza informare gli alleati; a portare nell'alleanza le altre potenze della Lombardia. P, probabile che già in quella occasione Azzone Visconti e Mastino (II) si siano accordati segretamente circa la spartizione dei territori di dominio regio in Lombardia assumendo il fiume Oglio come linea di demarcazione tra le rispettive zone di influenza.

Mentre gli alleati prendevano immediatamente l'iniziativa sul campo militare - nel maggio Giovanni Visconti, vescovo di Novara, fu proclamato signore di quella città; nel giugno Azzone Visconti, alla testa di un corpo d'esercito integrato, entrò in Brescia (il presidio, attestatosi nella cittadella, resistette sino al 15 luglio) - il lavorio diplomatico si fece più intenso. Nel luglio o nell'agosto l'E. si incontrò ad Orzinuovi con Azzone Visconti, Mastino (II) Della Scala e Luigi Gonzaga molto probabilmente per discutere la proposta e le condizioni di alleanza avanzate da Firenze; nel settembre accolse a Ferrara i procuratori della città toscana e quelli dei suoi antichi alleati, lì giunti per una conferenza, nella quale si formalizzò la costituzione di una nuova e più grande lega che, comprendendo signorie e Comuni sia guelfi sia ghibellini dell'Italia continentale e peninsulare, risultò essere il più vasto schieramento di forze mai avutosi sino ad allora per la difesa della "libertà" italiana.

In forza del trattato costitutivo della lega, che fu sottoscritto il 16 sett. 1332, le potenze firmatarie si impegnavano a fornirsi aiuto reciproco per la difesa dei territori di loro dominio (presenti o di futuro acquisto) contro gli attacchi del re di Boemia o di chiunque altro avesse inteso modificare lo stato vigente; promettevano a Firenze il sostegno necessario per la conquista di Lucca in cambio dell'apporto che quel Comune avrebbe loro dato per la liberazione delle città lombarde; riservavano al re di Napoli Roberto d'Angiò ed ai Comuni di Perugia, di Siena e di Viterbo il diritto di accedere alla lega. La lega fu confermata nel novembre, e in quella occasione i collegati si accordarono sulla spartizione delle città che avrebbero strappato al re di Boemia.

I collegati passarono immediatamente all'azione aprendo le ostilità in Lombardia. Contingenti estensi parteciparono alla campagna che, sotto la guida e per l'interesse di Azzone Visconti, portò, il 22 settembpe, alla conquista di Pizzighettone e, il 27 settembre, di Bergamo. Quando l'esercito dei collegati ebbe passato il Po e fu entrato in Emilia, l'E. si pose alla sua testa e marciò su Modena che - in contrasto con Luigi Gonzaga, il quale pure vi aspirava - intendeva riconquistare al proprio dominio. Investito il castello di San Felice sul Panaro (4 ottobre), vi pose l'assedio. Quando era riuscito a far capitolare la guarnigione della fortezza, il 25 novembre fu attaccato da un esercito di soccorso giunto inaspettato da Parma sotto il comando dello stesso figlio e vicario in Italia del re Giovanni, il principe Carlo di Boemia, il futuro imperatore quarto di questo nome. Nella battaglia che ne seguì l'E. venne disastrosamente disfatto e costretto a ritirarsi.

La rotta di San Felice non solo bloccò l'iniziativa dei collegati nel Modenese, ma convinse Bertrando del Poggetto a riprendere le armi contro l'E. che gli apparve allora come l'anello più debole - o più vulnerabile in quel momento - dello schieramento avversario. Le circostanze sembravano dargli ragione. Infatti né Azzone Visconti, preso dalla sua politica di espansione in Lombardia, dalle questioni di Como, di Pavia, di Vercelli, di Novara e dal problema dei suoi rapporti con la Sede apostolica, né Mastino (II) Della Scala, in non facili rapporti con i signori di Mantova, erano intervenuti, dopo la sconfitta di San Felice, per risollevare le fortuiie militari della lega in Emilia, forse ritenendo non svantaggioso per i loro interessi generali il contrasto tra l'E. e Luigi Gonzaga per il possesso di Modena. Abbandonato a se stesso, l'E. dovette affrontare con le sue sole forze l'avversario. Già ai primi del 1333 il legato pontificio scatenò la sua offensiva invadendo le terre di dominio estense: il 6 febbraio un esercito inviato a contrastargli la marcia, sotto il comando del fratello dell'E. Niccolò (II), venne disastrosamente sconfitto da Bertrando del Poggetto alla Stellata di Consandolo (presso Argenta) sulla strada adriatica lungo il corso del Po di Primaro. Agli invasori era aperta la via della capitale. Passato il Po, il cardinale marciò su Ferrara, che cinse d'assedio aspettando, per sferrare l'attacco risolutivo, i rinforzi promessi dal re di Boemia.

Bene accolto dal principe Filippo di Savoia Acaia, il 25 genn. 1333 era giunto infatti a Torino, provenendo dalla Francia, il sovrano lussemburghese, forte di un cospicuo finanziamento ricevuto dal re Filippo VI e di un corpo d'esercito di 800 cavalli, costituito in parte da uomini d'arme appartenenti alla nobiltà francese, in parte da stipendiari. Da Parma, dove era arrivato il 26 febbraio, Giovanni di Lussemburgo compì una puntata su Pavia, nell'intento di liberare il presidio, assediato nella cittadella dalle truppe di Azzone Visconti. Respinto, con l'obiettivo di indurre gli avversari a levare il blocco a Pavia, compì un'incursione in territorio di dominio visconteo, devastando il Milanese e tentando di impadronirsi di Bergamo con l'aiuto dei Colleoni. Rientrato in Parma sul finire di marzo, ai primi del mese successivo si incontrò a Bologna col cardinale legato per un esame della situazione ed inviò la sua cavalleria a sostegno dei pontifici che assediavano Ferrara.

Il pericolo rappresentato dal ritorno in forze del sovrano boemo e dalla conferma della sua alleanza con Bertrando del Poggetto portarono ad un ricompattamento dello schieramento loro avverso. Azzone Visconti, Mastino (II) Della Scala, Luigi Gonzaga ed altri rappresentanti delle potenze alleate nel convegno di Palazzolo sull'Oglio decisero di intervenire in appoggio dell'E. e di Ferrara; quindi, in un incontro immediatamente successivo, che si tenne a Verona ed al quale presero parte anche gli inviati del re di Napoli e del Comune di Firenze, fu stabilita la forza dei contingenti che ogni alleato doveva fornire per l'impresa: 600 uomini d'arme, il signore di Verona; 500 il signore di Milano; 400 il Comune di Firenze; 200 il Signore di Mantova.

Il corpo di spedizione integrato completò il suo raduno, presso Ferrara, il 13 aprile: il contingente scaligero, il più numeroso, era condotto dallo stesso Mastino (II). Il 14 attaccò le milizie regie e pontificie, che si batterono bravamente, sostenendo l'urto, finché, non vennero travolte e disperse dagli stessi difensori di Ferrara, usciti in un'audace sortita condotta dall'Este. La disfatta fu completa. Nelle mani del dinasta caddero oltre 2.000 prigionieri, tra cui il conte d'Armagnac, venuto al seguito del re di Boemia, e gli esponenti della nobiltà romagnola che si erano battuti sotto le bandiere della Chiesa. L'E. si impose perché questi ultimi venissero rilasciati senza riscatto - le conseguenze di quest'atto di generosità non tardarono a farsi vedere - e, sfruttando il successo, scatenò un'offensiva contro i Pontifici. Il 18 giugno batté per una seconda volta le genti del legato sotto le mura di Argenta e pose l'assedio alla città.

La sconfitta patita dinnanzi a Ferrara come inferse un colpo mortale al prestigio del re di Boemia e a quello di Bertrando del Poggetto, così determinò il fallimento definitivo della loro politica italiana sia sul piano militare sia su quello politico. Sebbene il sovrano lussemburghese, in colloqui tenutisi a Bologna il 18 maggio, avesse confermato al cardinal legato la sua alleanza ed il suo impegno a proseguire la lotta comune, tuttavia l'infelice esito delle campagne da lui condotte in Romagna per soccorrere Marcatello assediato dagli Aretini e in Lombardia per riconquistare Pizzighettone, nonché la resa della guarnigione di Pavia lo convinsero che gli era impossibile piegare, con le poche forze rimastegli, la resistenza dei collegati e lo indussero ad avviare con essi trattative in vista di una tregua d'armi. 1 delegati delle potenze in conflitto si incontrarono a Castelnuovo presso Peschiera, in territorio di dominio scaligero, l'11 luglio: al termine del convegno, che durò sino al 19 di quel mese, fu concluso un armistizio, che sarebbe dovuto durare sino all'11 novembre successivo. Nel trattato figurano, come parti contraenti, da un lato il re di Boemia - che viene indicato come signore di Parma, di Modena, di Reggio, di Cremona, di Bobbio, di Lucca - ed i suoi aderenti: il marchese del Monferrato, i Rossi di Parma con le loro terre di Pontremoli e di Borgo San Donnino, i Colleoni e i fuoriusciti di Bergamo; dall'altro, i collegati: l'E., il re di Napoli, il Comune di Firenze e le altre città toscane, gli Scaligeri di Verona, Azzone Visconti per Milano, Giovanni Visconti per Novara, i Rusca per Como e i Beccaria per Pavia. Non vi viene ricordato, invece, il cardinal legato: segno che il re Giovanni aveva agito a sua insaputa o contro la sua volontà.

Nell'estate, mentre per iniziativa del doge di Venezia si avviavano negoziati per una pace generale che comprendesse anche Bertrando del Poggetto, l'E. proseguì nella sua offensiva contro le genti del legato, e gli effetti della sua azione non tardarono a farsi vedere. A metà agosto il principe Carlo di Boemia si mosse dall'Italia per portarsi nel Tirolo. A settembre si ebbe la rivolta delle città romagnole, certo conseguenza della difficile posizione del legato, incalzato dalle armi estensi, ma anche frutto della lungimirante magnanimità mostrata dai signori di Ferrara, dopo la vittoria del 14 aprile, nei confronti dei nobili di quella regione caduti nelle loro mani. Cominciò Rimini; seguirono Forlì, ove fu restaurato Francesco Ordelaffi, e Ravenna, dove tornarono i da Polenta.

Ad ottobre - quasi un mese e mezzo prima della scadenza della tregua - anche il re Giovanni, dopo aver nominato un suo maresciallo che governasse quanto restava della sua signoria e coordinasse l'opera dei vicari regi rimasti in Italia, tornò oltralpe. Il 4 dicembre morì il papa Giovanni XXII e il 20 dicembre venne eletto al soglio di Pietro il cardinale Giacomo Fournier, che assunse il nome di Benedetto XII.

Sul finire dell'anno l'E. si recò a Lerici, dove il 1° genn. 1334 si riunirono i collegati per esaminare la situazione e stabilire, sulla base degli ultimi sviluppi, il programma d'azione comune a breve e a medio termine.

Bisognava decidere se trattare col sovrano lussemburghese una proroga della tregua o riaprire immediatamente le ostilità. Mastino (II) ed i rappresentanti di Firenze mtennero con vigore che era meglio incalzare il maresciallo del re di Boemia ed il legato pontificio, già messi alle strette., e chiudere senz'altro la partita prima che essi potessero cercare e ricevere aiuti fuori d'Italia o riuscissero comunque a rimpiazzare le perdite subite dalle loro forze armate. Fu la tesi vincente. Si decise dunque di riprendere le armi, ma si confermò, anche, la spartizione tra gli alleati maggiori delle città che si erano sottomesse al re Giovanni: all'E. sarebbe andata Modena; ad Azzone Visconti, Cremona; a Mastino (II), Parma; a Luigi Gonzaga, Reggio; a Firenze, Lucca. Con ogni probabilità fu raggiunto allora anche un accordo circa la spartizione dei possessi della Chiesa in quel momento controllati dalle forze del legato pontificio: furono infatti riconosciute le aspirazioni dei Visconti su Piacenza e quelle degli Scaligeri su Bologna. Le operazioni militari ripresero subito dopo il convegno di Lerici: gli eserciti della lega agivano nel territorio di Parma già sul finire della prima decade di gennaio. A metà del mese i Viscontei entravano in Brescello, nonostante la resistenza degli stipendiari tedeschi del re di Boemia, e vi si attestavano. L'8 marzo l'E. occupò Argenta e proseguì la sua offensiva contro le forze della Chiesa.

Nella sua azione volta a smantellare la signoria del cardinale legato in Emilia e in Romagna l'E. non si impegnò soltanto sul piano strettamente militare, come si è visto per le insurrezioni di Forlì, di Rimini e di Ravenna dell'anno precedente. Suo obiettivo fu ora quello di provocare la caduta del dominio del cardinale proprio nel centro del suo potere, Bologna. I contatti e le intese dell'E. con i maggiori esponenti della nobiltà locale e con i capi dell'opposizione interna, fattisi sempre più stretti in rapporto con i successi militari dei collegati, sfociarono nella rivolta del 17 marzo, che costrinse il cardinale dapprima a rinchiudersi nel castello, poi ad abbandonare la città (28 marzo). Passato a Pisa, Bertrando del Poggetto si imbarcò poco dopo per la Provenza. Abbandonava ai suoi nemici la signoria, che si era creato tra l'Emilia e la Romagna. Di essa nulla sarebbe rimasto.

Alla testa dei suoi contingenti, nell'aprile del 1334 l'E. partecipò, accanto ad Azzone Visconti, a Mastino (II) Della Scala, a Luigi Gonzaga ed ai signori di Correggio, alle operazioni che portarono l'esercito integrato all'assedio di Cremona, alla prima offensiva contro Parma, difesa dal maresciallo del re di Boemia, alla conquista di Piadena e di Casalmaggiore. Rientrò in patria quando, nella seconda metà di maggio, davanti a Parma, dove l'esercito dei collegati era tornato a concentrarsi, venne scoperta e sventata una congiura ordita contro i capi della lega.

Era stata promossa dal maresciallo del re di Boemia e dal nipote del cardinale del Poggetto, i quali avevano offerto una grossa somma (50.000 fiorini) ai comandanti di alcune compagnie svizzere e tedesche al soldo dei loro avversari perché si ammutinassero e facessero prigionieri l'E., Luchino Visconti, Mastino (II), Luigi Gonzaga e i da Correggio.

Se la congiura degli stipendiari tedeschi segnò la fine del primo ciclo delle operazioni militari nel settore di Parma, le armi dei collegati non riposarono nel corso dell'estate e dell'autunno di quell'anno. Alla fine di giugno fu compiuta una nuova puntata contro Parma; caddero in mano ad Azzone Visconti nel luglio Cremona, nel settembre Vercelli. Nell'ottobre l'E. appoggiò l'attacco portato da Mastino (II) Della Scala contro Colorno, che cadde il 25 di quel mese. La sottomissione e lo smembramento delle terre già soggette al re di Boemia e a Bertrando del Poggetto continuarono nell'anno successivo secondo i programmi, anche se si andava sempre più delineando all'interno della lega il dissidio fra Azzone Visconti e Mastino (11) Della Scala per il possesso delle città emiliane. Quando, dopo il convegno di Soncino, nel quale si stabilì che Parma sarebbe toccata allo Scaligero e Piacenza con Borgo San Donnino al Visconti, ripresero con maggior decisione le operazioni militari e Parma (il 21 giugno 1335) si fu data a Mastino (II); quando i Gonzaga ebbero assunto il governo di Reggio nell'Emilia (31 luglio 1335) ed Azzone si fu insignorito di Como (luglio 1335), di Lodi (agosto 1335), di Vercelli (settembre 1335), di Crema (ottobre 1335), anche l'E. ritenne di poter far valere le sue aspirazioni su Modena, per piegare con l'aiuto degli alleati la resistenza dei Pio, che governavano quella città come vicari del re di Boemia. Entrato in campagna, si spinse fin sotto Modena e la cinse d'assedio. Caduto ammalato durante il blocco, l'E. venne trasportato a Ferrara, dove morì il 31 dicembre 1335.

Nel 1331 era stato ascritto alla nobiltà veneziana. Aveva sposato Lucrezia di Niccolò conte di Barbiano, da cui ebbe Beatrice, andata in sposa a Giacomo di Savoia, principe di Acaia e scomparsa nel 1339. Dalla padovana Orsolina di Moruffò Macaruffi, che è incerto egli abbia sposato dopo la morte di Lucrezia, ebbe almeno tre figli: Azzo, morto nel 1371, Giacoma, che sposò Zambrosino Beccadelli; Aldobrandino, che fu vescovo di Adria prima, di Modena poi, e che morì nel 1380.

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