RITO

Enciclopedia Italiana (1936)

RITO (lat. ritus)

Nicola Turchi

S'intende per rito la norma dell'azione sacra (cfr. il gr. τὸ δρώμενον) fissata dalla tradizione religiosa e diretta a intrattenere la comunicazione tra un individuo o un gruppo umano e la divinità. Il rito è nato, in origine, da un gesto spontaneo che ha accompagnato l'esplosione di un desiderio, l'espressione di un bisogno, la paura di un pericolo; e che, una volta sperimentato efficace, si ripete fedelmente affinché l'effetto si riproduca ancora. Questo concetto di fissità è indispensabile all'idea genuina del rito: "ritus est mos institutus, religiosis caeremoniis consecratus" (Serv., Ad Aen., XII, 836), e perciò in tutte le religioni esistono rituali dove sono fissate, ne varientur, le formule e le rubriche del culto.

Classificazioni dei riti. - Si può fare da varî punti di vista.

La scuola sociologica francese di E. Durkheim, che basa la sua classificazione sull'ambiguità del concetto di sacro, divide i riti in positivi e negativi. Sono positivi quei riti che esaltano il principio unificativo della vita sociale e che fanno quindi sentire al gruppo la propria coesione: essi sono i riti sacrificali, i riti mimetici di cose che si desiderano, i riti piacolari che si svolgono in casi di morte e di purificazione perché anche in questi il gruppo intende intensificare la coscienza di sé e quasi compensarsi della perdita di uno dei suoi membri o della iattura che ha colpito il gruppo. Riti negativi invece sono quelli che impediscono il contatto del profano col sacro: contatto che riuscirebbe nocivo ove non si prendessero le necessarie precauzioni. E pertanto gli edifici sacri, che separano i luoghi sacri dai profani; il calendario, che distingue i giorni festivi da quelli comuni; le iniziazioni, che separano alcuni uomini, attribuendo loro facoltà speciali, dal resto del clan; le pratiche dell'ascesi che mettono l'individuo in condizioni di vita e di recettività speciale di fronte al resto del gruppo, sarebbero riti negativi. Ma questa seconda categoria non regge, perché i presunti riti negativi sono carichi in realtà di elementi positivi. Infatti il luogo sacro serve ad esaltare l'unione tra la divinità e coloro che vi sono riuniti a pregare; le feste inquadrano ed esaltano in modo mirabile l'entusiasmo collettivo non solo con l'astensione dall'ordinario lavoro ma anche con il vestire in modo speciale e con il compiere le medesime cerimonie; l'iniziazione poi è positivamente creatrice di una nuova situazione psicologica e sociale e perciò di una nuova vita per l'adepto che si sottopone ai riti prescritti; infine l'ascesi se da un lato è negazione dei valori comunemente apprezzati della vita, dall'altro è un potenziamento dell'io in un piano mistico superiore.

I riti si dividono anche in magici e religiosi. Questi non si distinguono tra loro per la materialità del gesto, ma per lo spirito che informa l'operatore del rito, in quanto il mago intende costringere per interesse suo proprio o dei suoi clienti, e quindi per un fine privato, le potenze a cui si dirige affinché compiano una data azione, mentre il sacerdote, anche se adopera mezzi che sembrano costrittivi, li adopera sempre in nome e a vantaggio di tutta la comunità e per un fine sociale; né si dirige mai contro ciò che per il gruppo è sacro, interdetto, tabu, perché sente che di fronte al sacro la forza dell'attività individuale rimane diminuita.

Dal punto di vista del meccanismo funzionale i riti sono mimetici o simpatici. Sono mimetici (o imitativi, o simbolici, o omeopatici) quelli che partono dal principio che il simile agisce sul simile e tengono quindi a produrre un effetto simile a quello da essi in forma simbolica riprodotto. Tutti i riti che presso i primitivi precedono le operazioni di caccia, di pesca, di guerra; tutti i riti volti all'incremento del bestiame e delle piante; tutti i riti diretti a provocare o a deprecare fenomeni meteorologici (pioggia, fulmine, vento, ecc.) o astronomici (eclissi, intensificazione della radiazione solare, ecc.) appartengono alla magia mimetica. Sono invece simpatici (o contagiosi) quei riti che partono dal principio che il contiguo agisce sul contiguo, la parte sul tutto. Tutti i riti, quindi, diretti ad asportare o a provocare un male operando sopra un elemento appartenente alla persona (capelli, unghie, vesti, nome) o alla cosa da preservare o da colpire, sono riti simpatici. I riti si possono anche distinguere in diretti e indiretti. Sono diretti quelli la cui azione è immediata, cioè segue immediatamente all'atto, per es. quelli dipendenti dalla potenza della parola pronunciata: imprecazione, benedizione, incantesimo; sono indiretti quelli la cui azione non è immediata ma si svolge attraverso potenze e meccanismi spiritici messi in movimento dal rito: p. es caricare di forza magica un oggetto e poi lanciarlo perché vada a produrre il suo effetto sulla persona designata. Queste divisioni sono di carattere teorico e se permettono di approfondire il meccanismo mentale che determina certi riti, non riescono a darne un quadro completo, né a evitare molteplici interferenze. Da un punto di vista pratico, i riti si possono distinguere anche in orali (preghiere, canti, formule) e manuali, che si svolgono mediante il gesto e l'azione. Ma anche questa classificazione è esteriore e poco soddisfacente.

Più comprensiva appare quella che qui si propone, fatta in base all'effetto che i singoli riti mirano a conseguire: si ha così la triplice divisione in riti: di passaggio (del limite, dello stato di vita, della condizione sociale); di partecipazione (preghiera, sacrifizio, consacrazione); e di propiziazione (agrarî, lustratorî, espiatorî).

Riti di passaggio. - Sono riti di passaggio (la terminologia è di A. van Cennep) quelli che presiedono al passaggio materiale da un luogo a un altro (territorio straniero, soglia della casa, confine), al passaggio di un individuo da uno stato all'altro di vita, da una situazione sociale ad un'altra (iniziazione). Questi riti esaminati nel loro sviluppo (o sequenza) comportano, più o meno bene individuati, tre momenti: 1. la separazione dell'individuo (o del gruppo) dal luogo o dalla situazione in cui fino allora ha vissuto; 2. il momento di margine in cui maturano le condizioni che lo renderanno atto alla nuova situazione; 3. l'aggregazione al nuovo luogo o stato o condizione sociale.

Notevole in questa categoria il cosiddetto rito del limite. Quando si deve oltrepassare il limite di un territorio o la soglia di un edificio si richiedono appositi riti di margine che neutralizzino l'interdizione che grava su ogni straniero. I feziali romani portavano all'uopo con sé una zolla di verbena, pianta apotropaica, e se ne servivano, insieme con appositi scongiuri, appena varcavano i limiti del territorio nemico, dinnanzi alla porta della città e sulla piazza principale. In genere fra due territorî appartenenti a due popoli diversi v'è una zona di margine o neutra, la permanenza sulla quale non è pericolosa e prepara i riti di aggregazione (cfr. in Roma il pomerio). L'aggregazione avviene previo sacrificio accompagnato da riti simbolici di alleanza: scambio di doni, o del sangue, legatura con la medesima corda, posare insieme i piedi sul focolare, ecc. Grazie a questi riti lo straniero diviene ospite.

I riti della nascita comprendono: una separazione dal grembo materno, la quale si esprime o con la resezione del cordone ombelicale o con il deporre il bambino in terra o con il farlo passare attraverso qualche ostacolo; un margine che si esprime con abluzioni, legatura con filo rosso, presidî apotropaici appesi al collo del neonato; un'aggregazione al gruppo familiare o sociale che si esprime con l'imposizione del nome e il riconoscimnto ufficiale da parte del padre di famiglia, ecc.

I riti dell'iniziazione puberale comprendono una separazione del ragazzo dal mondo dei fanciulli e delle donne con cui ha vissuto fino allora; un margine costituito da prove dolorose, digiuni, flagellazioni, ecc., che lo preparano alla sua nuova vita; l'aggregazione mediante un particolare segno (circoncisione, limatura o estrazione del dente, tatuaggi speciali), un nuovo nome e spesso l'apprendimento di un linguaggio particolare.

I riti nuziali comprendono: la separazione della sposa dalle sue compagne e dalla sua religione familiare; il margine costituito da riti apotropaici che si compiono separatamente sullo sposo e sulla sposa; l'aggregazione che comprende l'ngresso solenne della sposa nella casa dello sposo e il banchetto nuziale, prima dell'ingresso nel talamo.

I riti funebri comprendono la separazione del morto dai vivi della sua famiglia e di questi dal resto del gruppo sociale; il margine o periodo del lutto (con vesti dimesse, di colore speciale e astensione da feste, ecc.), l'aggregazione del morto all'oltretomba (con la seconda sepoltura, dopo lo scarnimento delle ossa), e la riaggregazione dei superstiti al gruppo sociale (cessazione del lutto, possibilità alla vedova di rimaritarsi, ecc.).

Anche i riti d'iniziazione ai misteri o a società segrete importano i tre momenti. Prendendo ad es. i misteri eleusini la separazione e il margine sono costituiti dai riti preparatorî dei piccoli misteri di Agra (catechesi, digiuno, bagno nell'Ilisso, sacrificio del porcellino, vesti nuove, corone di mirto, ecc.); l'aggregazione, dal rito di comunione che assimila il mista alla divinità (bevuta del ciceone, toccamento delle ἱερά, ecc.).

Riti di partecipazione. - Sono quelli mediante i quali l'individuo (o il gruppo) si mette in comunicazione con le potenze superiori, partecipando così in qualche modo della loro vita divina.

Dei tre principali riti di partecipazione, la preghiera (v.) e il sacrifizio (v.) hanno una trattazione speciale; si accennerà pertanto qui brevemente ai riti di consacrazione.

Sono riti di consacrazione (v.) quelli mediante i quali una persona, un luogo, un oggetto, dopo essere stati separati dall'uso profano, vengono consacrati alla divinità. Quindi, nella categoria dei riti di passaggio, tutte le cerimonie di aggregazione iniziatica sono in fondo riti di consacrazione. La consacrazione dei sacerdoti, dei re, che avviene attraverso l'unzione sacra e la consegna dei simboli della loro nuova autorità, è un rito consacratorio che fa partecipe, chi lo riceve, dell'autorità divina. Nel rituale romano la consacrazione di un tempio importa, oltre alla separazione del luogo dall'uso profano e da ogni diritto di proprietà privata, una positiva dedicazione fatta dal magistrato offerente, mentre il pontefice tenendo con la mano lo stipite del tempio esprime con ciò il passaggio del tempio nella categoria delle cose di proprietà della divinità. Nel sacrificio animale la vittima, prima di venire uccisa, viene consacrata, cioè investita di santità rituale e fatta quindi partecipe della santità divina mediante apposito rito: spalmatura di burro in India, cosparsione di orzo in Grecia, di mola salsa (donde "immolazione") in Roma.

Riti di propiziazione. - Sono tra i più frequentemente adoperati perché con essi il gruppo umano provvede direttamente a procurarsi ciò che giova alla sua vita, a eliminarne ciò che è nocivo, a espiare, ristabilendo così la pace tra la divinità e gli uomini, le colpe legali o morali. Essi pertanto si dividono in tre grandi categorie: riti agrarî, riti lustratorî, riti espiatorî.

I riti agrarî sono quelli connessi con la vicenda annuale della vegetazione. Essi in genere importano il sacrifizio di un animale in cui è sintetizzata la vegetazione e la cui morte, con preservazione del suo spirito (rappresentato o dalla pelle o da altro oggetto venuto con esso a con tatto) garantisce il buon successo del nuovo raccolto. Le cerimonie della mietitura nel folklore nord-europeo, raccolte e studiate dal Mannhardt, sono sopravvivenze di vetusti riti agrarî.

È avvenuto talora che il rito agrario, per il confluire in esso di elementi religiosi superiori, è stato sublimato a valore di religione di mistero (v. misteri); in questo caso la morte dell'animale sacro non sta più soltanto a garantire il risorgere della vegetazione, ma anche l'immortalità dell'adepto che, lasciata la vecchia vita, conquista la nuova: la porca nel culto di Demetra, il pino di Attis, i giardini di Adone, il toro di Mithra ricordano tutti assai trasparentemente la loro origine agraria, pur essendo riusciti a esprimere un'elevazione mistica superiore.

I riti lustratorî, diretti a preservare o a liberare un luogo, un individuo, un gruppo da influssi malefici, consistono in abluzioni d'acqua, fumigazioni d'incenso, contatto di erbe apotropaiche, chiusura dell'oggetto entro un circolo magico determinato o dalla cintura di un filo, o dalla circumambulazione di animali destinati al sacrificio (p. es., il suovetaurile nelle ambarvali, la lustrazione del popolo e dell'esercito in Roma, ecc.). La lustrazione si adopera anche per restituire all'uso comune una persona o un oggetto, investiti di sacertà per il loro contatto con una cosa sacra (p. es., persone e oggetti che abbiano partecipato a un sacrificio).

I riti espiatori sono quelli che tendono a rimuovere da un gruppo o da un individuo gli effetti di una colpa nella quale è caduto e che sovente si manifestano con segni dell'ira divina (terremoti, fenomeni meteorici, epidemie, ecc.). Il loro meccanismo consiste essenzialmente nell'accumulare sopra una vittima (animale o umana) i peccati o le impurità fisiche e legali della comunità, facendole asportare e consumare dalla vittima stessa. Caso tipico di rito era quello del capro espiatorio presso gli Ebrei e quello dei due condannati, detti ϕαρμακοί, nelle Targelie in Atene.

Per i riti nelle varie chiese cristiane, v. liturgia.

Bibl.: Oltre le voci dedicate a singoli fenomeni della vita religiosa (circoncisione; iniziazione; lustrazione; nascita; purificazione per i riti funebri, v. morte; per i riti nuziali v.: matrimonio) e la bibliografia di quelle, si possono vedere: P. Pfister, Kultus, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, coll. 2106-2190; W. Mannhardt, Wald- und Feldkulte, 2ª ed., Berlino 1905, voll. 2; A. Dieterich, Mutter Erde, Lpsia 1905; H. Webster, Primitive secret Societies, New York 1908 (trad. it., Bologna 1922); A. van Gennep, Les rites de passage, Parigi 1909; E. Samter, Geburt, Hochzeit und Tod, Berlino 1911; J. E. Harrison, Ancient Art and Ritual, Londra 1913; S. Eitrem, Opferritus und Voropfer der Griechen und Römer, Cristiania 1915; R. Hertz, Mélanges de sociologie religieuse et folklore, Parigi 1928; Th. Reik, Das Ritual, Vienna 1928; R. Will, Le culte, Parigi 1925-1929, voll. 2.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata