RITUCCI LAMBERTINI DI SANTANASTASIA, Giosuè

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RITUCCI LAMBERTINI DI SANTANASTASIA, Giosue

Carmine Pinto

RITUCCI LAMBERTINI DI SANTANASTASIA, Giosuè. – Nacque a Napoli l’8 aprile 1794 da Stefano e da Angela Maria Nocerino. Il padre, ufficiale di professione, si batté con Gioacchino Murat e poi si impegnò nella carboneria.

Come suo fratello Giacinto, Giosuè scelse il mestiere delle armi. Si arruolò a soli tredici anni in fanteria. Fu impegnato in Calabria, dove le forze napoleoniche, napoletane e francesi, si scontrarono con la resistenza di militanti legittimisti, antichi briganti, ex militari. La sua esperienza continuò al seguito di Murat nelle campagne che accompagnarono il tramonto dell’Impero e della sua appendice napoletana. Durante la Restaurazione, con il trattato di Casalanza (1815), ex napoleonici come Ritucci e borbonici confluirono nell’esercito duosiciliano. La politica di riconciliazione fu interrotta dalla rivoluzione liberale. Il risultato fu la sconfitta dei costituzionali e la nuova restaurazione che colpì i militari liberali. Ritucci fu sospeso dalle sue funzioni, ma non fu coinvolto nei processi politici, nelle condanne, nelle esecuzioni che toccarono a colleghi più politicizzati di lui.

Sposò Angela Guerrieri (ebbero un figlio, Stefano, che morì giovanissimo), ma restò vedovo, un lutto che conobbe una seconda volta dopo il matrimonio con Enrichetta Bursoni (1847). Infine si legò a Teresa Milazzo (1850), che restò al suo fianco fino alla morte.

Rientrato nei ranghi, fu coinvolto nell’esperienza di riorganizzazione dello Stato meridionale. Il tentativo più importante fu quello di Ferdinando II, che decise di dotarsi di un esercito capace di garantire l’autonomia del Regno, facendone un banco di prova della nazionalizzazione borbonica. Questo esperimento dovette fare i conti con l’opposizione del movimento liberale napoletano e con le tradizionali fratture regionali e sociali della società meridionale, sfide che impegnarono Ritucci durante tutta la sua carriera.

Diventato capitano nella gendarmeria, per un decennio combatté i briganti che rappresentavano una minaccia perenne nelle campagne, riuscendo a intercettare e distruggere alcune bande. Tornato nell’esercito (1839), fu promosso maggiore ed ebbe il comando di un battaglione di cacciatori (1844). Il suo reparto era stanziato a Palermo quando nel gennaio del 1848 iniziò la rivoluzione. I borbonici furono sconfitti e dovettero lasciare l’isola. Ritucci venne ferito. La costituzione e le elezioni sembrarono offrire una mediazione al decennale scontro tra liberalismo e assolutismo, come dimostrava l’invio del corpo di spedizione nell’Alta Italia, dove era presente il suo battaglione, per combattere contro gli austriaci. Poche settimane dopo, la crisi del maggio 1848 spezzò l’accordo tra la dinastia e il movimento liberale, offrendo a Ferdinando II la possibilità di ritirare le truppe. Una parte, comandata da Guglielmo Pepe, decise di raggiungere Venezia, ma Ritucci respinse qualsiasi invito a seguirli e riportò il suo battaglione nel Regno, ottenendo apprezzamenti e lodi dal re e dai legittimisti.

Ritucci si collocò pertanto con quella parte dello Stato e dell’esercito che scelse il lealismo dinastico e la fedeltà all’indipendenza duosiciliana contro i settori del Regno, che maturarono invece il radicale distacco con la vecchia patria napoletana.

Partecipò a tutte le campagne contro la rivoluzione. Fu al comando di una colonna mobile inviata a rastrellare il Cilento, una delle roccaforti dei rivoluzionari. Nel maggio del 1849 era nel corpo che attaccò la Repubblica Romana. Nell’unico scontro della inconcludente campagna, poco più di una confusa manovra nei pressi di Velletri, fu ancora ferito. Con l’ultima restaurazione era giunto al vertice degli apparati militari, promosso generale. La morte del re fece emergere l’isolamento e la fragilità dello Stato, tormentato dall’aggressiva politica del nazionalismo italiano e precipitato nella crisi con la spedizione garibaldina.

Francesco II e l’alta ufficialità gestirono maldestramente gli avvenimenti siciliani del 1860. Ritucci, al comando della divisione militare in Calabria, fu richiamato a Napoli e inserito nella commissione che doveva giudicare gli ufficiali responsabili del disastro siciliano. Il risultato fu inconcludente, come la nomina a ministro della Guerra (dopo la concessione della costituzione) durata solo pochi giorni, visto che fu sostituito da Giuseppe Salvatore Pianell, più gradito ai liberali. Fu posto al comando della piazza di Napoli e, alla fine di agosto, nominato ispettore della cavalleria di linea. In quei giorni una parte del governo, degli apparati amministrativi locali e delle forze di sicurezza, tra cui quasi tutta la Marina, decisero di abbandonare per sempre la vecchia patria napoletana aderendo all’unificazione italiana. Altri, come Ritucci, scelsero di raggiungere il re e le truppe fedeli sul Volturno, decisi a difendere l’indipendenza duosiciliana e la dinastia.

Il 7 settembre fu posto al comando dell’esercito che doveva tentare la riconquista del Regno. La determinazione dei militari riuniti di fronte a Gaeta non impedì il protrarsi di divisioni, incertezze e gelosie che marcarono la fine delle Due Sicilie. Ritucci voleva prendere tempo, sperava di evitare una resa dei conti sanguinosa e sognava un qualche aiuto internazionale, mentre il re e gli uomini a lui più vicini, come il capo del governo Francesco Casella o il generale Girolamo Ulloa chiedevano un’azione energica e un’offensiva decisa, e lo criticavano aspramente. La controffensiva borbonica fu una mediazione tra le idee di Ritucci e i suggerimenti chiesti dal re a ufficiali francesi. La battaglia del Volturno finì in un insuccesso. Il comandante utilizzò male la cavalleria e disperse le forze, ma riuscì a governare gli errori di molti subordinati. Nei giorni successivi si inasprirono le polemiche tra coloro che volevano continuare l’azione e Ritucci che la riteneva impossibile, fino a quando il re lo promosse tenente generale e lo sostituì con Giovanni Salzano alla guida delle forze operative.

L’invasione piemontese pose fine alle speranze di riconquistare il Regno. Una parte dell’esercito sconfinò nello Stato pontificio, altri reparti si chiusero con Francesco II a Gaeta. Ritucci fu nominato governatore della piazzaforte ma, quando fu decisa la resa, subì l’oltraggio della sostituzione dal comando da parte del re. Enrico Cialdini, che aveva assediato la fortezza, pose come condizione di non trattare con Ritucci, accusandolo di non aver rispettato una tregua. Il generale scrisse una malinconica lettera di protesta per respingere le accuse del comandante nemico. Rientrato a Napoli, passò gli ultimi anni isolato, fedele al vecchio re, ma coinvolto dall’atmosfera di calunnie reciproche, insinuazioni, gelosie che marcò gli esuli e i veterani borbonici.

Pubblicò un opuscolo per rispondere alle insinuazioni del brigadiere Giuseppe Palmieri sulla direzione della campagna d’autunno. La sua autodifesa diventò minuziosa quando reagì alle accuse di incapacità avanzate dallo scrittore borbonico Giacinto De Sivo, con il quale pure aveva scambiato un’intensa corrispondenza, nella sua storia delle Due Sicilie. La sua replica fu pubblicata postuma dal genero, il generale Aldanese.

Morì a Napoli il 1° febbraio 1870.

Opere. Memoria storica dello attacco sostenuto in Velletri il 19 maggio 1849 dalla colonna di riconoscenza armata delle truppe di Napoli, Napoli 1851; Riscontro all’opuscolo col titolo Campagna dell’esercito napoletano dal 1° ottobre 1860 fino al cominciamento dell’assedio di Gaeta narrata da un testimone oculare, Napoli 1861; Commenti confutatorii sulla Campagna dell’esercito napolitano in settembre e ottobre 1860 trattata nella storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 di Giacinto de Sivo, Napoli 1870.

Fonti e Bibl.: G. Palmieri, Cenno storico militare dal 1859 al 1861, s.n.t. 1861, passim; P. Quandel, Giornale della difesa di Gaeta, da novembre 1860 a febbraio 1861, Roma 1863, passim; G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste 1867, ad ind.;G. Delli Franci, Cronaca della campagna d’autunno del 1860 fatta sulle rive del Volturno e del Garigliano dall’esercito napoletano, Napoli 1870, passim; G. Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta. Memorie della rivoluzione dal 1860 al 1861, Napoli 1882, ad ind.; T. Battaglini, Il crollo militare del Regno delle Due Sicilie, Modena 1939, ad ind.; A. Saladino, L’estrema difesa del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1960, ad ind.; T. Argiolas, Storia dell’esercito borbonico, Napoli 1970, ad ind.; G. Boeri - P. Crociani, L’Esercito borbonico dal 1789 al 1861, I-IV, Roma 1989-1998, ad indices; C. Pinto, La nazione mancata. Patria, guerra civile e resistenza negli scritti dei veterani borbonici del 1860-61, in Antirisorgimento. Appropriazioni, critiche, delegittimazioni, a cura di M.P. Casalena, Bologna 2013, pp. 87-125; Id., La guerra del ricordo. Nazione italiana e patria napoletana nella memorialistica meridionale (1860-1903), in Storica, 2013, vol. 54, pp. 45-76.

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