AMUNDSEN, Roald Engelbret

Enciclopedia Italiana (1929)

AMUNDSEN, Roald Engelbret

Umberto Toschi

Esploratore polare nato a Borge nell'Östfold (Norvegia meridionale) nel 1872, perito nel Mar Polare, a S. delle Svalbard (già Spitsbergen) nel giugno 1928. Mentre era giovinetto ancora, l'esempio di F. Nansen, reduce nel 1889 dalla traversata della Groenlandia, decise della sua vocazione. Interrotti gli studî di medicina, ai quali l'aveva avviato la madre, s'imbarcò nel 1894 come semplice marinaio su una nave baleniera; compì poi il suo primo viaggio d'esplorazione polare in qualità di ufficiale timoniere sulla Belgica, nella spedizione belga condotta alle terre antartiche sud-americane dal De Gerlache (1897-1899).

Le aspirazioni dell'A. erano però dirette in particolar modo allo studio del bacino polare artico. Dopo un anno di alacri studî geofisici ad Amburgo, egli acquistò nel 1901 la piccola nave Gjöa (di 4 7 tonn.), con la quale compì nello stesso anno una lunga crociera preparatoria nel mare di Barents, lungo le coste delle Spitsbergen e della Groenlandia orientale, raccogliendo larga messe di osservazioni oceanografiche. Nel 1903 l'A. iniziò la sua prima grande spedizione, proponendosi come obiettivi il raggiungimento del polo magnetico boreale (non più toccato dopo il viaggio di John Ross nel 1831), e il passaggio del NO., dalla baia di Baffin allo stretto di Bering, pel cammino inverso a quello percorso, unico sino allora, dal Mc Clure nel 1850-53. Il viaggio durò tre anni e svolse pienamente il programma prefisso. La Gjöa lasciò Cristiania (ora Oslo) il 16 giugno 1903 e, toccata la Groenlandia e attraversati la baia di Baffin e lo stretto di Lancaster, raggiunse, ai primi di settembre, le coste occidentali della Boothia Felix.

Il 9 settembre la spedizione prendeva terra nella baia di Petersen (Terra del Re Guglielmo) e vi erigeva opportuni osservatorî per gli studî magnetici, astronomici e meteorologici, rimanendovi sino al 13 agosto 1905. In slitta l'A. raggiunse e precisò la posizione, poche miglia lontana, del polo magnetico, fissandola a 70°30′ N., 95030′ O. Green. (mentre la posizione determinata dal Ross nel 1831 era 70°5′ N., 96°47′ O.); altri dei suoi riconoscevano, intanto, l'ignota costa orientale dell'isola Principe Alberto (costa di re Haakon VII), e negli osservatorî a terra si raccoglieva una cospicua serie di osservazioni, fra cui decisive particolarmente quelle riguardanti il magnetismo terrestre. Dopo due sverni successivi nel Gjöahavn (porto della Gjöa), la nave, avviata verso lo stretto di Bering, rimase prigioniera dei ghiacci per un terzo inverno presso la foce del fiume Mackenzie, riuscendo solo il 30 agosto del 1906 a raggiungere lo stretto di Bering e l'Oceano Pacifico.

Gli anni successivi furono dall'A. dedicati alla rielaborazione dei dati raccolti, alla loro illustrazione in scritti e conferenze, ma in particolar modo anche alla preparazione d'una nuova impresa. Si proponeva egli infatti di tentare un lungo viaggio con una nave da affidare alla deriva nell'Oceano Artico, sia per lo studio di questo importante fenomeno, sia per continuare la circumnavigazione dell'Artico a N. dell'Asia, come l'aveva compiuta a N. dell'America. Noleggiava egli a tale scopo la vecchia e gloriosa Fram del Nansen; ma, non essendo sufficienti i fondi raccolti, e fors'anche perché nel frattempo (1909) il Polo Nord era stato raggiunto dal Peary, l'A. volle arrischiare prima un tentativo al Polo Antartico, ripromettendosi da un fortunato esito più larga raccolta di aiuti finanziarî per l'impresa caldeggiata. Senza far partecipe del proprio piano alcuno, tranne il suo primo ufficiale Prestrud, condusse la Fram attraverso l'Atlantico e solo all'altezza di Madera informò del progetto i compagni e l'equipaggio. Avendo tutti aderito con entusiasmo, la Fram raggiunse sul finire dell'estate la baia delle Balene, arditamente scelta lungo l'agghiacciata barriera di Ross. Qualche tempo fu impiegato per scaglionare a convenienti distanze varî depositi di rifornimento sino all'82° lat. S.; indi il 20 ottobre 1911 l'A. mosse verso il Polo con 5 uomini, 4 slitte, 52 cani e provviste per 4 mesi. Il 17 novembre la spedizione toccava, a 85° lat. S., 163° long. E., il punto dove all'orlo della terraferma antartica termina la grande barriera di Ross, ed iniziava il viaggio sopra terra verso l'interno dell'Antartide. Le vette più vicine alla costa raggiungevano altezze varianti dai 600 ai 3000 metri, ma più a S. si notavano cime stimate alte oltre 4500 m. La marcia fu quindi assai disagevole: il 6 dicembre fu raggiunta la massima altitudine di tutto il cammino (3275 m.); due giorni dopo era sorpassata la latitudine maggiore sino allora toccata (88°25′, Shackleton 9 gennaio 1909). Il 14 dicembre, dopo una marcia in discesa sul vasto altipiano centrale dell'Antartide, esteso a perdita d'occhio, fu raggiunto il Polo. All'altipiano fu dato il nome del re Haahon VII, e per due giorni l'A. e i suoi compagni compirono attente osservazioni entro un raggio di 18 km. attorno al Polo. Indi si svolse il ritorno: 1400 chilometri furono percorsi alla media di 36 km. per giorno, con molta fortuna, grazie anche alla sapiente predisposizione dei rifornimenti. Il 25 gennaio 1912 la spedizione raggiungeva la Fram, non avendo perduto alcuno dei suoi componenti, col solo sacrificio di due slitte e di una quarantina di cani. Oltre la ricognizione della regione circostante al Polo Sud, la spedizione raggiunse altri notevoli risultati geografici, quali la determinazione dell'estensione della barriera di Ross, l'accertamento che la Terra Victoria è connessa a quella di re Edoardo VII (donde era mosso l'A.) da una catena di monti di oltre 850 km. di lunghezza (catena della Regina Maud), il disegno delle coste e del rilievo della Terra di re Edoardo, ecc.

Ma la soddisfazione di questo clamoroso successo non distolse l'A. dal suo primo disegno dell'esplorazione oceanica artica. Raccolti i fondi necessarî e avuti larghi appoggi da autorità ed enti, egli organizzava i preparativi per il 19i5, quando lo scoppio della guerra europea lo costrinse a procrastinare l'inizio del viaggio, il quale poté aver luogo soltanto nel 1918. Programma dell'impresa era condurre la Maud (la nave fatta costruire da lui per la spedizione) lungo la via del NE. fin oltre il capo Celiuskin dove, come aveva fatto Nansen con la Fram, essa sarebbe stata presa dai ghiacci in deriva e portata verso il Polo Nord; dalla nave egli stesso avrebbe, per mezzo d'un velivolo (nuovissimo tentativo per un'impresa polare), cercato di raggiungere il Polo od altre mete opportune. Disgraziatamente però la navigazione della Maud si risolse semplicemente in una replica del passaggio di NE. già compiuto prima dal Nordenskjöld e da altri, con due sverni, uno durato quasi un anno presso il capo Celiuskin, il secondo, dopo soli alcuni giorni di navigazione libera, presso l'isola Ajon, ad E. della foce del Kolyma. Pervenuta finalmente la nave salva a Nome nell'Alasca, nel luglio 1920, essa tentò nuovamente la via fuor dello stretto di Bering con poco frutto, fermata quasi subito dai ghiacci; poi ritentò ancora nel 1921, ma anche questa volta senza riuscire ad entrare nella grande corrente di deriva, e senza che avesse alcun esito il volo con aeroplano, arrischiato da bordo. Solo frutto di così lunghi sforzi furono le preziose osservazioni scientifiche raccolte dallo Sverdrup, capo scientifico della spedizione.

Involto in gravi difficoltà economiche, conseguenza di così dispendiose intraprese, l'instancabile esploratore poté uscirne, grazie all'entusiastico appoggio di un mecenate americano, Lincoln Ellsworth, che lo aiutò largamente nel suo nuovo disegno di tentare direttamente un volo aereo dalle Svalbard al Polo. Già nel 1924 l'A. era venuto in Italia per trattare l'acquisto di due idroplani, ma la scarsità dei mezzi a sua disposizione l'aveva fatto desistere dal proposito; nell'anno successivo, mercé l'aiuto dell'Ellsworth, il contratto poté essere concluso. La spedizione, diretta al Polo Artico, si compose di due idrovolanti, di costruzione italiana, tipo Dornier Waal, con due motori di 380 HP per ognuno. I due velivoli furono trasportati da Marina di Pisa alla baia del Re (Terra di Haakon VII nel NO. delle Svalbard), donde dovevano spiccare il volo: percorso previsto circa 1250 km., durata 8010 ore. Dopo una lunga attesa imposta dalle condizioni meteorologiche, la spedizione poté muovere al mattino del 21 maggio 1925. Ma per le condizioni atmosferiche fattesi avverse, raggiunta la lat. 87°44′ N., dovette piegare al ritorno. Avendo però l'A. voluto scendere sulla distesa agghiacciata per compiere osservazioni, uno degli idrovolanti rimase malconcio, mentre l'altro, imprigionato dai ghiacci, non poté essere liberato se non dopo ventiquattro giorni di affannoso lavoro. Così ventisette giorni dopo la partenza, gli audaci, ripreso il volo, riuscivano a portarsi verso le coste di NE. delle Svalbard, dove li raccoglieva una baleniera, riconducendoli alla Baia del Re (18 giugno). I risultati scientifici del volo furono mediocri: la conferma che dalle Svalbard a N. sin verso il Polo non si notano terre emerse, e uno scandaglio, nel punto della discesa, che indicò 3760 m. di profondità.

La rinnovata esperienza non distolse l'A. dal tentare, comunque, l'esplorazione polare per via aerea, bensì valse ad orientarlo verso un mezzo diverso dal "più pesante dell'aria". Confermato nella sua opinione sull'eccellenza delle costruzioni aeronautiche italiane, l'A. chiese ancora all'Italia di fornirgli il nuovo apparecchio, un dirigibile del tipo semi-rigido. Il governo italiano ne favorì l'acquisto, ponendo però come condizione che per la parte aeronautica il comando dovesse rimanere al colonnello del genio aeronautico ing. Umberto Nobile e che l'equipaggio fosse in parte italiano. Con felice volo il Norge (con tale nome era stata ribattezzata l'aeronave) attraversò l'Europa e raggiunse la baia del Re, dove un apposito ricovero era preparato. Di qui l'11 marzo 1926 gli audaci salparono verso il Polo, essendo a bordo col Nobile l'A., l'Ellsworth e altre quattordici persone. Sorvolata la meta a ore 1,30 del mattino del 12 maggio (ora di Greenwich), il volo continuò nella direzione dell'Alasca, avendo sotto di sé continuamente mare agghiacciato come nell'ampia zona sorvolata dalle Svalbard al Polo; disgraziatamente questa seconda parte del volo, che avrebbe potuto essere più interessante per l'eventualità di qualche scoperta geografica, fu turbata a S. dell'85° lat. da dense nebbie e infine da vere intemperie, di modo che il campo visivo degli esploratori fu enormemente ridotto. Raggiunta e sorvolata anche l'Alasca, nel pomeriggio del 14 maggio, dopo 71 ora di volo, il Norge prendeva terra a Teller, sulla sponda del mare di Bering.

Pur senza nulla togliere all'importanza del successo, in quanto prima arditissima prova di un rapido passaggio dall'Europa alla America per l'inconsueta via del bacino polare, è da dire che per verità i risultati scientifici immediati del volo non furono rilevanti, e l'onore dell'impresa compiuta rimase quindi, soprattutto, alla guida tecnica dell'aeronave. Per tale motivo non mancò all'impresa qualche strascico di polemiche incresciose; ma ogni ricordo di disappunti e di polemiche fu vinto non appena all'esploratore, ritiratosi nel suo paese nativo, giunse nel maggio del 1928 la nuova del disastro che aveva travolto fra i ghiacci a N. delle Svalbard l'aeronave Italia, condotta dal generale Nobile, già guida, due anni innanzi, al volo del Norge. L'A., deliberato di partire subito per la salvezza dei caduti, ottenne d'imbarcarsi sull'aeroplano mandato dal governo francese e comandato dal cap. Guilbaud; ma l'aeroplano, partito da Tromsö per le Svalbard il 18 giugno, disparve senza far più ritorno, e certo da allora il mare Artico è tomba, oltre che dei generosi Francesi, del Norvegese, che con ardire e tenacia quasi sovrumani aveva nella sua vita instancabile d'esploratore compiuto l'uno e l'altro passaggio circumpolare (di NO. e di NE.) e conquistato ambedue i Poli terrestri, coronando poi l'eroica sua vita col più nobile sacrificio di sé.

Scritti principali: Il passaggio di Nordovest: La mia spedizione con la Gjöa, Milano 1909 (trad. Romanovski); La conquista del Polo Sud, Milano 1913; Il mio volo polare, Milano 1927; My life as an explorer, New York 1927.

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