CARACCIOLO, Roberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARACCIOLO, Roberto (Roberto da Lecce)

Zelina Zafarana

Nacque a Lecce intorno all'anno 1425.

I genealogisti lo fanno appartenere al ramo dei Caracciolo (del Leone) Pisquizzi, signori di Amesano, o Caracciolo di Brindisi (Scipione Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, II, Firenze 1561, p. 115 si dice discendente per parte di madre da un Filippo fratello di Roberto). In realtà dalle fonti contemporanee risulta ben poco sulla situazione familiare del C.: non conosciamo neppure il nome dei genitori. La storiografia francescana considera suo fratello il fra' Luca Caracciolo da Lecce che compare quale ministro della provincia di San Nicola nel 1483 (Bullarium franciscanum, n.s., III, nn. 540, 1760) e che sembra da identificare con il Luca "frater tuus et meus" che Marco da Bologna nomina in una lettera al C. nel 1453 (Wadding, XII, p. 210; cfr. anche Bastanzio, Appendice, n. 50, p. 285).

Sulla sua infanzia e prima formazione abbiamo le notizie di Bernardino Aquilano da Fossa - suo intimo amico fino alla rottura con gli osservanti, poi accorato ma accanito polemico - che riferisce di averle apprese dalla bocca di Roberto (pp. 44 s.): fin da prima della nascita votato a s. Francesco, fu affidato per la sua prima educazione ai frati minori conventuali di Lecce (quindi, al convento di S. Francesco della Scarpa) pur continuando ad abitare in famiglia, finché fu accolto dagli osservanti (S. Maria del Tempio). Sui suoi studi letterari a Nardò non abbiamo che un cenno abbastanza vago del Galateo (Del sito, p. 99). La prima formazione ed esperienza oratoria, secondo il racconto di Bernardino, si collega alla collaborazione del C., giovanissimo ancora (cfr. anche A. Mauro, p. 197), con "quidam... Ungarus frater" che, ignaro della lingua, si serviva di lui come interprete nell'attività predicatoria, istruendolo così sulla tecnica come sulla mimica oratoria (e la cura particolarissima della mimica sarebbe restata caratteristica dello stile del Caracciolo). Nella sua formazione ebbe d'altra parte un ruolo notevole e decisivo lo studio dell'opera di s. Bernardino da Siena, i cui sermoni egli stesso dichiara di aver predicato, specialmente all'inizio della sua carriera (Sermo de s. Bernardino, in appendice a Sermones de laudibus Sanctorum, Venetiis 1489).

Una testimonianza interessante per la formazione del C. sarebbe costituita dal codice "da lavoro" che appare essere il codice Reatino se, come probabile, effettivamente autografo, datato secondo il Cenci (Un codice, pp. 85 ss.) appunto al periodo ancora giovanile del C., 1450-1456 c., e che raccoglie, accanto a trascrizioni di prediche complete di s. Bernardino e di altri, schemi, abbozzi e stesure personali.

Dopo che fu inviato nella provincia umbra, nel convento dell'Eremita di Cesi (Todi), abbiamo eco vivace di un primo clamoroso successo nelle registrazioni della Cronaca perugina detta "del Graziani", a proposito del quaresimale dell'anno 1448.

In questa circostanza già emerge chiaramente la predilezione per l'elemento drammatico e coreografico: la Cronaca perugina descrive la predica del venerdì santo organizzata a sacra rappresentazione, e il vivo effetto che essa suscitò nella popolazione. Il Cenci ricollega a questa occasione l'inedito Sermo de acerbissima passione D. n. I. Christi del codice di Rieti, intercalato da ottave e quartine volgari messe in bocca ai vari personaggi della Passione (pp. 101-104). Il C. organizzava inoltre a Perugia processioni biancovestite, preghiere contro la peste, cerimonie di pubblica riconciliazione (Cronaca della città di Perugia..., p. 598).

Dopo Perugia, predicò a Deruta e a Todi (ibid., p. 609) dove, fra l'altro, otteneva dal Comune il convento di Monte Santo per i frati dell'Osservanza (Bastanzio, Append., nn. 1-4, pp. 248 ss., e Bullarium francisc., III, pp. 984 s.). Nell'autunno (settembre-ottobre) a Roma, predicando all'Ara Coeli, riprese per molti aspetti l'attività già sperimentata a Perugia: cerimonie di pacificazione, processioni al grido di "misericordia" con la partecipazione di flagellanti, nell'infuriare della pestilenza (Infessura, pp. 47 s.; Platina, p. 331).

Nel maggio-giugno 1449 partecipava al capitolo dell'Osservanza riunito a Bosco di Mugello e a quello generale dell'Ordine, a Firenze, dove teneva la predica, in occasione della solenne celebrazione di Pentecoste. L'ufficio di predicare gli spettò anche in occasione della canonizzazione di s. Bernardino da Siena, nel 1450, a Roma (nel maggio, in coincidenza con il capitolo generale). Subito dopo il C. predicava all'Aquila (Cenci, 1971, p. 515), e nello stesso anno inaugurava la sua attività di predicatore nell'Italia settentrionale: a Bologna (Piana, 1954, p. 70) e quindi, nel dicembre-febbraio 1450-51) a Padova (ibid., pp. 69 ss.: rettifica la datazione di Bastanzio, p. 42). Alla fine di maggio del 1451 è documentata la sua presenza per otto giorni a Brescia (Bastanzio, Append., nn. 7-8, pp. 255 s.): il cancelliere Francesco, redattore del registro delle Provvisioni del Comune, quale testimone oculare, nota tratti interessanti nei modi e negli effetti della predicazione, da cui ancora una volta emerge la ricerca di un'accentuata spettacolarità e la tendenza a toccare tutte le corde emozionali del suo uditorio.

Nel giugno era a Milano, dove doveva predicare in sostituzione del Capestrano; ma sembra che il soggiorno vi fosse molto breve: presto lasciava Milano per Siena.

Il Bastanzio (Append., nn. 9-16, pp. 256-261) pubblica il carteggio di Francesco Sforza che sino alla fine dell'anno si adopera per procurarsi ulteriormente la predicazione del Caracciolo. La preoccupazione e l'insistenza dello Sforza di assicurarsi un predicatore di grido - Capestrano prima (Hofer, I, pp. 361 s.), poi il C. - sembrano chiaramente in rapporto con lo stato di tensione fra le masse creato soprattutto dalla pestilenza: in questa chiave di tensione si possono spiegare le osservazioni del cancelliere di Brescia, del tutto in contrasto con la documentazione milanese, di una resistenza dei Milanesi alla predicazione che avrebbe avuto come effetto, subito dopo la partenza del C., l'infuriare della peste.

Per i rapporti con l'Osservanza, una data decisiva, che segna fra il C. e i confratelli dell'Osservanza una ormai insanabile tensione, è costituita dal capitolo di S. Giuliano all'Aquila (maggio 1452): come tale lo presenta Bernardino da Fossa, che vede in chiave di arrivismo deluso l'atteggiamento di rottura del C. (p. 47), e data da questo momento l'adesione - anzi, il ritorno, nota, ricordando polemicamente la prima formazione del C. presso i minori di Lecce - ai conventuali. E durante il 1453 fra' Roberto dispiegava a Roma un'attività intensa che lo collegava ormai strettamente ai conventuali, anche se la sua posizione appariva ancora aperta a diverse soluzioni e compromessi: un episodio di riconciliazione sembra risultare dalla lettera con cui il vicario generale degli osservanti, Marco da Bologna, si rallegrava caldamente, il 19 agosto, col C. del suo "reditus" nella famiglia: in termini, peraltro, ben rivelatori del punto di tensione raggiunto (Wadding, XII, p. 210). Pochi mesi dopo, comunque, il 28 dicembre, lo stesso Marco scrivendo al Capestrano (Chiappini, 1928, p. 96) si dilungava a descrivere in tinte molto scure le brighe del C. alla Curia romana ai danni dell'Osservanza, menzionando anche un Libellus da lui composto, che aveva suscitato la risposta dell'osservante Niccolò da Osimo (sui due scritti, dati finora per perduti, promette un lavoro O. Bonmann, in Hofer, II, p. 241 n. 290). Negli stessi termini si esprime, sull'attività romana del C., Bernardino da Fossa (pp. 51 ss.), sottolineando inoltre l'opera svolta a screditare gli osservanti presso le masse anche nella predicazione.

La discussione fra osservanti e conventuali si era fatta nel corso del 1453 notevolmente tesa, appuntandosi particolarmente sul valore da dare alla bolla Ut sacra di Eugenio IV (Bullar. franc., n.s., I, n. 1007, pp. 497 s.) che non solo concedeva grande autonomia organizzativa all'Osservanza, ma autorizzava il suo vicario generale ad accogliere i conventuali che desiderassero passare ad essa, "veraciter cupientes ad meliorem frugem se transferre": secondo la tradizione, dunque, che permetteva il passaggio di un religioso "ad arctiorem regulam", non ammettendo quindi reciprocità. I cronisti francescani riferiscono di una discussione organizzata nel luglio 1453 in Curia, con fra' Roberto tra i protagonisti, che avrebbe avuto come risultato una decisione di compromesso da parte di Niccolò V: mantenimento, sì, della bolla di Eugenio IV, ma ammissione del principio di reciprocità per il passaggio dall'una all'altra famiglia. Ciò significava per il C. la legittimazione, ora, del suo passaggio ai conventuali.

In una lettera, indirizzata da Assisi al Capestrano, il 4 nov. 1453, del conventuale Giacomo Boscaglini da Mozzanica, nominato dal 10 settembre (dopo la morte del ministro generale) vicario generale dell'Ordine, il C., che si trovava allora al suo fianco predicando in Assisi, viene presentato in termini di grande considerazione (Wadding, XII, pp. 203 s.). E che in questo periodo il suo prestigio fosse ormai consolidato in Curia e presso i conventuali, e la sua completa libertà di azione nei confronti dell'Osservanza ormai pienamente sancita, è chiaramente confermato dalla bolla che Niccolò V gli concedeva il 30 maggio 1454 (Bull. franc., n. s., I, n. 1755, pp. 869 s.), riconoscendo piena libertà di movimento a lui e ai frati che si fosse scelti per compagni, nella predicazione, non solo riguardo agli ordinari dei luoghi in cui si trovassero a predicare, ma anche - fatto più singolare - riguardo agli stessi superiori dell'Ordine; il C. era così subordinato in pratica al solo ministro generale, il che veniva a significare un totale sganciamento dalla sottomissione al vicario generale dell'Osservanza.

Che in senso antiosservante vada interpretata la bolla, è confermato dalla risonanza che ad essa è data nella letteratura osservante. Alcuni passi della Cronaca di Bernardino da Fossa (p. 40) presuppongono chiaramente un privilegio del tutto analogo come già esistente e determinante per il comportamento del C. nel contesto dei fatti del 1451-52: il Bastanzio (pp. 32 s.) ritiene dunque che la bolla del 1454 di cui possediamo il testo sia la riconferma di una precedente perduta, risalente al 1450 circa (cfr. anche Bernardino da Fossa, pp. 46 s.). In effetti, è certo che ad un breve pontificio analogo a quello in questione fa esplicito riferimento la lettera di Marco da Bologna al C. del 19 ag. 1453. Un tale documento appare dunque chiaramente un mezzo fornito dal pontefice per aggirare praticamente l'ostacolo della Ut sacra nel caso del C. e dei suoi compagni, prima ancora di risolvere in via generale la spinosa questione della reciprocità del passaggio fra le due famiglie francescane (e sul peso che gli osservanti dettero al documento, si veda anche la lettera di Niccolò da Fara al Capestrano del 5 giugno 1455 in Chiappini, 1922, p. 403).

Alla bolla di Niccolò V si riferiva ancora in termini polemici Marco da Bologna nella lettera del 16 genn. 1455 al vicevicario di Bosnia: nel capitolo celebrato nel corso del 1454 gli osservanti di Bosnia avevano eletto il C. loro vicario, e avevano chiesto a Marco di adoperarsi per la conferma da parte del ministro generale dell'Ordine; Marco li informava di non aver più alcuna autorità sul C., che era praticamente uscito dalla famiglia osservante, e considerava nulla quella elezione compiuta evidentemente nella ignoranza della situazione creatasi (Wadding, XII, p. 249; cfr. anche Chiappini, 1928, p. 102).

All'inizio del 1455 il C. era a Napoli, nel convento di S. Lorenzo Maggiore (lettera di Marco da Bologna al Capestrano, 19 genn. 1455, in Chiappini, 1928, p. 101), al fianco di Giacomo da Mozzanica, e cercava di guadagnare ai conventuali il convento osservante di Gaeta, come narrano polemicamente fonti osservanti (cfr. Niccolò da Fara al Capestrano, in Chiappini, 1922, p. 398). Della quaresima dello stesso anno, predicata a Padova nella chiesa del Santo, rimangono reportationes inedite in un codice veneziano segnalato dal Bastanzio (pp. 232 ss.) ed in uno di Falconara descritto e illustrato dal Pagnani (1955, pp. 139-43).

Il capitolo generale dell'Osservanza tenuto a Bologna nel maggio, sanciva la separazione ormai consumata: vi furono lette (come risulta dalla relazione che Niccolò di Fara inviava al Capestrano in quella circostanza: Chiappini, 1922, pp. 398 ss.) delle lettere "infamatorie" nei confronti dell'Osservanza inviate dal C. al doge di Venezia, in cui si paragonavano gli osservanti ai "fraticelli" eretici; il contesto della notizia mostra che il C. doveva avere già stabilito rapporti con l'ambiente veneziano.

Ulteriore conferma dell'irreversibile distacco, e insieme tappa nella carriera di affermazione personale del C., è costituito dal titolo di "magister" che gli troviamo attribuito per la prima volta nell'ottobre 1456, nella bolla di nomina a cappellano pontificio (Bull. franc., n. s., II, n. 209, p. 116), titolo che gli verrà da allora attribuito comunemente, ma sul cui conseguimento non abbiamo dati: solo un cenno, non controllabile su un soggiorno di alcuni anni nello Studio teologico di Ferrara, in una inedita opera erudita del sec. XVII di Agostino Superbi (riportato in C. Piana, Lo studio di S. Francesco a Ferrara nel '400, in Arch. franc. hist., LXI [1968], p. 98 n. 2).

Callisto III, organizzando con rinnovata urgenza la raccolta di mezzi per la crociata - iniziativa per la quale si servì dei francescani in maniera particolare -, faceva ricorso anche al C., che già sotto Niccolò V si era adoperato in questo senso: era stato lui stesso d'altronde ad annunziare a Roma, l'8 luglio 1451 nel corso di una sua predica, la notizia appena pervenuta della caduta di Costantinopoli (Infessura, p. 57); e Marco da Bologna già nel dicembre del 1453 segnalava come l'abilità oratoria subito dispiegata dal C. nella questione turca fosse una carta particolarmente importante da lui giocata per acquistare prestigio in Curia (Chiappini, 1928, p. 96). Nel dicembre 1455 Callisto III nominava il C. collettore apostolico per la zona romana. Ma soprattutto rilievo avrà l'attività svolta dal C. come predicatore della crociata e collettore delle decime per la Lombardia e il Monferrato - zona dove aveva fino ad allora operato il ministro generale Giacomo da Mozzanica -, che lo porterà ad un lungo soggiorno a Milano, dal febbraio 1457, e gli darà modo di stringere rapporti con Francesco Sforza.

La documentazione di tale attività (non priva di difficoltà e tensioni per le resistenze ad accettare le forti imposizioni), tratta dall'Archivio Sforzesco, è edita in appendice dal Bastanzio (nn. 24-40, pp. 267-79): interessante, fra l'altro, il carteggio dello Sforza col suo ambasciatore a Roma, Ottone del Carretto, che lascia intravvedere in maniera vivace l'agitarsi, che risulterà d'altronde vano, del C. per ottenere, alla morte del ministro generale Giacomo da Mozzanica nel luglio 1457 la nomina a vicario generale dell'Ordine.

Da una lettera dello Sforza del 14 giugno 1458 (ibid., n. 40, pp. 278 s.) sappiamo che a quella data il C. era già partito da Milano alla volta di Roma e Napoli. Lo Sforza insisteva a più riprese (v. P. Gratien, pp. 102 s.) perché tornasse a predicare a Milano la quaresima successiva; non sappiamo se ciò avvenne, dato che gli elementi per seguire gli itinerari del C. nel periodo successivo sono soltanto saltuari. Secondo il Bastanzio (p. 77) la sua attività fino al 1462 0 1463 si svolse prevalentemente nel ducato. Quel che è certo è che il C. mantenne fino alla fine della sua vita rapporti con gli Sforza, che continuarono a richiedere la sua opera: ancora nel 1492 Gian Galeazzo incaricava il suo oratore a Napoli di invitare il C. per la quaresima successiva (Bastanzio, Append., n. 61, p. 1197; per altri inviti, n. 50, p. 285).

Dal 1464 troviamo il C. in qualità di subdelegato apostolico per il cardinale Bessanone predicare la crociata nella zona di Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo e Crema (ibid., n. 44, pp. 280 s.). Sull'attività bresciana, durante la quaresima, ci rimane la notazione del cronista Cristoforo da Soldo, che mette in rilievo le resistenze della popolazione al pagamento delle decime e l'indifferenza ai metodi di intimidazione del C., basati sul ricorso alla scomunica (La Cronaca di Cristoforo daSoldo, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, 3, a cura di G. Brizzolara, p. 144).

Nello stesso anno 1464, il C. predicava l'avvento a Bologna, in S. Petronio (Piana, 1954, p. 71). All'inizio del 1465 era a Venezia, poi a Ferrara a predicare la quaresima (Bastanzio, Append., n. 46, p. 282 s.). Per la quaresima del 1466 avrebbe (secondo il De Angelis, p. 9) predicato in Napoli. "Nel giugno dello stesso anno risulta essere a Genova, da una lettera di Cicco Simonetta che richiedeva al ministro generale Francesco Della Rovere di voler disporre perché il C. vi predicasse anche la quaresima successiva, dichiarando esplicitamente di ravvisare nella sua predicazione un elemento positivo per il rafforzamento del dominio ducale su Genova (Bastanzio, Append., n. 47, p. 283). A Genova il C. si trovava anche nel gennaio 1468 (secondo la datazione del Bastanzio, Append., n. 49 pp. 284 s.), quando scriveva a Bianca Maria e Galeazzo Sforza una lettera in cui esprimeva timori confusi ma pressanti di trame ai propri danni, non meglio precisate.

A partire dagli anni '70 si moltiplicano le testimonianze della sua presenza nell'Italia meridionale - a Napoli (quaresima 1470, novembre 1471, 1472, quaresima 1473, quaresima 1490) e a Lecce (inizio del 1471, 1480, 1483, quaresima 1488, 1490) - e dei legami esistenti con la casa regnante. Altresì da questi anni data l'attività che da ora in poi si affianca costante a quella della predicazione, cioè la redazione scritta e la pubblicazione dei suoi sermoni; anche qui, i regnanti giocano sovente un ruolo nelle dediche: a Giovanni d'Aragona, il giovane figlio di Ferdinando avviato alla carriera ecclesiastica, il Tractatus de timore iudiciorum Dei (1473) in venti sermoni, rispecchianti un ciclo di predicazioni tenuto a Napoli; al re Ferdinando i Sermones quadragesimales in volgare.

Il 25 ott. 1475 Sisto IV lo nominava vescovo di Aquino (Bull. franc., n. s., III, n. 801, pp. 390 s.). Nel 1480 il C. si trovava a Lecce, dove il duca di Calabria organizzava la spedizione di Otranto, e dava scarsa prova di coraggio, secondo quanto nella sua relazione nota l'oratore di Lodovico Sforza (Foucard, p. 167). La quaresima del 1481 predicava nella cattedrale di Firenze (Zafarana, p. 1037) e la quaresima successiva a Roma (Iacopo Gherardi, pp. 93 s.), dove assisteva alla canonizzazione di s. Bonaventura. Nel 1483 a Lecce compiva la redazione del Quadragesimale de peccatis, che intitolava al nuovo santo, e che dedicava a Giovanni d'Aragona, ora cardinale. Il C. tendeva evidentemente a rinsaldare i suoi rapporti con Lecce, poiché otteneva da Sisto IV, il 22 febbr. 1484, di essere trasferito dalla sede episcopale di Aquino a quella di Lecce (Bull. franc., n. s., III, n. 1820, pp. 916 s., e Bastanzio, Append., nn. 56-57, pp. 291 ss.); per ragioni che sfuggono, peraltro, morto Sisto IV, nel luglio 1485 Innocenzo VIII nominava vescovo di Lecce Antonio Tolomei, accettando le dimissioni del C. e restituendolo alla sede di Aquino (ibid., nn. 59-60, pp. 295 s.). A Lecce il C. continuò comunque ad essere legato: sappiamo che vi predicava, nella cattedrale, all'inizio del 1488 (Leostello, pp. 143 s.) alla presenza del duca di Calabria. Probabilmente a Lecce componeva nel 1490 lo Specchio della fede dedicato al duca. E a Lecce moriva, il 6 maggio 1495, e vi ha sepoltura in S. Francesco della Scarpa.

La misura del successo oratorio del C. (soprannominato generalmente "trombetta di Dio", "novello Paolo") a livello della masse risulta ampiamente dalle notazioni così dei cronisti come dei reportatores dei suoi sermoni, e questa larga popolarità è altresì attestata dal fiorire di un'ampia aneddotica.

Tale aneddotica, che spesso non tocca solo le straordinarie doti oratorie del C., ma anche - e talora pesantemente - la sua spregiudicatezza di atteggiamenti e di comportamento, deve certamente molto a fonti di parte osservante (così, chiaramente, la serie di aneddoti riportati da Erasmo), ma ha anche agganci con la novellistica. Il giudizio di Masuccio Salernitano, che nomina il C. in maniera apparentemente elogiativa nel commento in calce alla novella VIII (Il Novellino, a cura di A. Mauro, Bari 1940, pp. 77 ss.), a torto è stato accolto nella storiografia come atto a "riequilibrare" la fama equivoca del C. (così Torraca, pp. 200, 202; e Bastanzio, p. 129): ché in realtà nel corpo della novella Masuccio adombra trasparentemente proprio il C. nella figura del predicatore spiritoso e lascivo (la scelta, a cornice del racconto, della chiesa dei conventuali di S. Lorenzo Maggiore in Napoli, gli elementi di messa in scena della predicazione, le grida di "misericordia" del popolo commosso che sono costante notazione dei reportatores deisermoni del C., la polemica infine contro gli osservanti sono tutti elementi che rimandano troppo chiaramente alla persona del Caracciolo).

Anche a livello di ambienti colti il C. riscosse successi e allacciò rapporti. Ebbe l'amicizia di Cosimo de' Medici, che gli tolse però la sua simpatia dopo il passaggio ai conventuali, secondo quanto nota Vespasiano da Bisticci (Vite di uomini illustri, a cura di P. D'Ancona-E. Aeschlimann, Milano 1951, pp. 421 s.). L'inedita epistola metrica di Francesco Uberti, De adventu fratris Roberti (Cesena, Biblioteca Malatestiana, cod. D. 1. 2, ff. 19-20) ci testimonia il rapporto del C. anche con la corte di Malatesta Novello (cfr. L. Piccioni, Di F. Uberti umanista cesenate, Bologna 1901, p. 52). Se all'inizio della sua predicazione il C., ricalcando le orme di S. Bernardino, organizzò abbruciamenti delle opere del Panormita (Piana, 1954, p. 71, attribuisce un tale episodio, cui accenna Lorenzo Valla, alla predicazione bolognese del 1451), fu peraltro in ottimi rapporti con l'erede culturale del Panormita, il Pontano, che secondo quanto riferisce il Galateo lo stimava grandemente (al Pontano si attribuiscono anche i distici del sepolcro). E agli "studia humanitatis quibus iam completa est omnis Italia" il C. rendeva omaggio nel Sermo de s. Bernardino.

Il grande successo del C. si doveva chiaramente come emerge dalle fonti contemporanee in misura notevole alla straordinaria abilità mimica e deciamatoria, a un vero e proprio virtuosismo oratorio, su cui concordano - anche se con valutazione sovente di segno opposto - tutte le fonti.

Le opere scritte non rispecchiano in realtà quel che dovette essere il fascino oratorio del C.: i sermonari latini hanno l'andamento scolastico consueto alla forma assunta dal genere nel pieno '400, e certo non costituiscono che uno schema - infarcito di lunghe erudite serie di auctoritates -, quasi tracce che spettava al predicatore vivificare poi al contatto col suo pubblico. Eppure, anche le opere scritte sono oggetto di un enorme successo, sul piano editoriale, che non resta indietro a quello personale dell'oratore: le edizioni si succedono fitte e ininterrotte vivente il C., e numerose fino alla metà del '500 (del complesso delle opere, fra incunaboli e cinquecentine, il Bastanzio, pp. 135-154, descrive una lista di più di un centinaio di edizioni). Ed è un successo di portata europea, poiché già prestissimo troviamo edizioni dei sermonari a Colonia, Strasburgo, Norimberga, Spira, Basilea, Anversa, e poi Lione e Parigi. Evidentemente la codificazione compiuta dal C. della tematica corrente, la sistemazione in cicli organici di materiale in modo tale che gli schemi restassero duttili alle più svariate occasioni determinano la formula di questo massiccio successo, interessante essenzialmente un pubblico di religiosi che dell'opera del C. facevano utilizzazione, diremmo, "professionale".

Un discorso a parte va fatto per le opere in volgare - i Sermones quadragesimales italiani e lo Specchio della fede - anche queste di ampissima diffusione, che appaiono essere, come notava il Galletti (L'eloquenza, Milano 1938, p. 150; cfr. in proposito C. Cannarozzi S. Bernardino e la lett. ital., in Miscell. franc., LXVII [1967], pp. 389 ss.) il primo documento volgare nel suo genere: ché fino alla metà del '400 le prediche volgari che possediamo sono reportationes, redatte cioè da ascoltatori, mentre il C. appare il primo predicatore che stende egli stesso, e organicamente, in vista di pubblicazione, il frutto della sua attività oratoria. Anche in questo caso, si tratta di schemi che devono essere ben lontani dalle prediche quali tenute effettivamente sul pulpito. Se il pubblico che il C. ha di mira è ancora essenzialmente un pubblico di religiosi, esplicitamente dichiara d'altra parte di aspirare ad allargarlo anche a "laici e secolari" (lettera di dedica dello Specchio della fede ad Alfonso duca di Calabria). Le articolazioni fondamentali del discorso e le auctoritates sono enunciate sistematicamente in latino e tradotte poi in volgare. All'interno di ciascuna predica ricorre in genere almeno un exemplum, che è spesso condotto in forme vivacemente dialogate.

Opere: Quadragesimale de poenitentia (Gesamtkatalog der Wiegendrucke, nn. 6051-6079; Bastanzio, pp. 135 ss., Indice generale degli incunaboli delle Biblioteche d'Italia, nn. 2469-2480), composto fra il 1470 e l'agosto 1471; Tractatus de timore iudiciorum Dei (GKW, nn. 6109-6114; Bastanzio, pp. 137 ss.; IGI, nn. 2504-2506): editio princeps, Napoli 21 luglio 1473; Sermones quadragesimales in volgare (GKW, nn. 6086-6108; Bastanzio, pp. 140 ss.; IGI, nn. 2481-2503): editio princeps, Milano 1474 (edizione sconosciuta al GKW. cfr. Bastanzio, p. 141 n. 11); Sermones de adventu (GKW, nn. 6045-6050; Bastanzio, pp. 145 ss.; IGI, nn. 2453-2457): editio princeps, s.d., ma 1474-75 circa; Quadragesimale de peccatis (GKW, nn. 6080-6085; Bastanzio, pp. 146 ss.; 191, nn. 2463-2468), redatto nel 1483: la prima edizione conosciuta è di Venezia 1488; Sermones de laudibus sanctorum (GKW, nn. 6051-6060; Bastanzio, pp. 148 ss.; IGI, nn. 2458-2462): editio princeps, Napoli 30 genn. 1489; Specchio della fede (GKW, nn. 6115; Bastanzio, pp. 151 ss.; IGI, nn. 25071, redatto nel 1490: editio princeps, Venezia 1495; Tractatus de divina caritate (raccolta di sette sermoni) e Tractatus de immortalitate anime in tre sermoni (GKW, nn. 6039-47, 6049, 6050; Bastanzio, p. 155); Tractatus (Sermo) de catenis peccatorum (GKW, nn. 6039-6042, 6044, 6061, 6068, 6069, 6072; Bastanzio, p. 156); per altri singoli sermoni inseriti nelle varie edizioni, cfr. GKW, coll. 132 s., e Bastanzio, pp. 155 s. Alcune raccolte di Opera varia furono compiute già vivente il C. e più volte ristampate: cfr. GKW, nn. 6041-6044; IGI, nn. 2447-2452.

All'elenco di manoscritti contenenti opere edite e inedite del C. compilato dal Bastanzio, pp. 220-239, bisogna aggiungere le indicazioni fornite da Amedeus a Zedelgen, Manuscripta franciscana in bibliothecis belgicis, in Coll. franc., X (1940), p. 253; Piana, 1954, p. 69 n. 1; Pagnani, 1954, pp. 203 ss.; Hofer, pp. 334 n. 93, 453; Piana. 1971, ad Indicem.

Alcune reportationes dal cod. Riccardiano 11860 sono edite da Z. Zafarana, pp. 1037 ss., 1047, 1088 ss., 1095 ss. Numerose le reportationes di sermoni inedite: il Sermo de flagellis (in un codice monacense segnalato dal Bastanzio, che ne riporta ampi excerpta, pp. 214 ss.; in diversi codici napoletani: v. Cenci, 1971, pp. 335 s., 515, 676, 786, 628, 633 e cfr. p. 10 n. 9 per un codice dell'Arch. di Stato dell'Aquila; nel codice Casanatense 753 ff. 53r-69r) e reportationes varie nel cod. Vat. Borg. lat. 394 (segnalato dal Bastanzio, pp. 230 s., e dal Piana, 1954, pp. 69 s.), nel codice veneziano di S. Michele in Isola (descritto dal Bastanzio, pp. 232-239), nel codice di Falconara (Pagnani, 1954 e 1955), nel codice di Rieti (Cenci, 1966, pp. 85 ss.).

Fonti e Bibl.: Iacopo Gherardi da Volterra, Diario romano, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIII, 3, a c. di E. Carusi, pp. 93 s.; Platynae historici Liber de vita Christi ac omnium pontificum,ibid., III, 1, a cura di G. Gaida, p. 331; D. Erasmi Rotheradami Ecclesiastae sive de ratione concionandi libri quatuor, Basileae 1535, pp. 286 s., 291 s.; Raphaelis Volaterrani Commentariorum urbanorum libri..., Basileae 1559, p. 484; A. Coniger, Cronache, Napoli 1782, p. 32; Filippo di Cino Rinuccini, Ricordi storici, a c. di G. Aiazzi, Firenze 1840, pp. LXXIII s.; Cronaca della città di Perugia... nota col nome di Diario del Graziani a c. di A. Fabretti-F. Bonaini-F. Polidori, in Arch. stor. ital., s. 1, XVI (1850), 1, pp. 597-601, 603; A. de Ferrariis detto il Galateo, Del sito della Giapigia e vari opuscoli, II, Lecce 1867, pp. 99, 192, 194; Id., Esposizione del Pater noster,ibid., IV, ibid. 1868, p. 192; Facezie e motti dei secc. XV e XVI. Codice ined. magliabechiano, a c. di G[iovanni] P[apanti], Bologna 1874, pp. 58 s.; Relazione della presa d'Otranto... al duca... Ludovico Sforza, in C. Foucard, Fonti di st. napol. nell'Arch. di Stato in Modena, IV, in Arch. stor. p. le prov. napol., VI (1881), p. 167; Joampiero Leostello de Volterra, Effemeridi delle cose fatte per il duca di Calabria, in G. Filangieri, Documenti per la st. delle arti e le industrie delle prov. napol., I, Napoli 1883, pp. 143, 308 s., 314, 319; S. Infessura, Diario della città di Roma, a c. di O. Tommasini, Roma 1890, in Fonti per la st. d'It., V, pp. 47 s., 57; Bernardini Aquilani Chronica fratrum minorum observantiae, a c. di L. Lemmens, Romae 1902, pp. 39-56; Fr. Nicolai de Fara Epistolae duae ad s. Joannem de Capistrano, a cura di A. Chiappini, in Arch. franc. histor., XV (1922), pp. 393 s., 398 ss.; Bullarium franciscanum, n.s., ad Claras Aquas 1929-1949, I, n. 1755; II, nn. 91, 105, 209, 249, 253, 288; III, nn. 540, 1760.

L'opera che, per l'abbondanza del materiale raccolto, resta tuttora il punto di partenza per ogni studio sul C., anche se da adoperare con cautela per la carenza di una effettiva impostazione critica, e per le frequenti sviste, è la tesi di laurea presso il Pont. Ateneo Antoniano di S. Bastanzio, Fra' R. C. predicatore del sec. XV, Isola del Liri 1947; si veda in proposito Bonaventura von Mehr, Über neuere Beiträge zur Gesch. der vortridentinischen Franziskanischen Predigt, in Coll. franc., XVIII (1948), pp. 254 ss. Cfr. inoltre: Marco da Lisbona, Delle croniche de' frati minori, p. 3, Venetia 1612, pp. 110 ss.; Dominicus de Angelis, Le vite de' letter. salentini, Firenze 1710, pp. 2 ss.; F. Torraca, Fra' R. da Lecce, in Arch. stor. per le prov. napol., VII (1882), pp. 141-165 (poi in Studi di st. lett. napol., Livorno 1884, pp. 165-203); E. Percopo, Nuovi docum. su gli scrittori e gli artisti dei tempi aragonesi, IV, Fra' R. C., ibid., XVIII (1893), pp. 536 s.; A. Zanelli, Predicatori a Brescia nel '400, in Arch. stor. lomb., s. 3, XXVIII (1901), pp. 106 s., 112 s., 135 s.; A. De Fabrizio, Il "Mirag" di Maometto esposto da un frate salentino nel sec. XV, in Giorn. stor. d. lett. ital., XLIX (1907), pp. 299-309; Père Gratien, Francesco Sforza duca di Milano e i frati minori, in Miscell. franc., XIV (1912-13), pp. 101 ss.; A. Mauro, Per la st. della lett. napol. volgare del '400, I, Fra' Roberto di Lecce, in Arch. stor. p. le prov. napol., n.s., X (1924), pp. 192-200; A. Chiappini, De vita et scriptis fr. Alexandri de Riciis, in Arch. franc. histor. XXI (1928), pp. 96 s., 99, 101 s.; L. Wadding, Annales Minorum, XII, Ad Claras Aquas 1932, pp. 34, 36, 71 s., 169 s., 173, 198 s., 203, 209 s., 247 ss., 375; XIII, ibid. 1932, pp. 14 ss., 35; XIV, ibid. 1933, pp. 348, 379, 381; XV, ibid., pp. 132 ss.; P. M. Savesi, Lettere autogr. di Francesco Della Rovere..., in Arch. franc. hist., XXVIII (1035), pp. 202 s.; C. Piana, Lettere ined. di s. Bernardino..., ibid., XLVII (1954), pp. 69-72; G. Pagnani, Un discorso in lode di s. Bernardino da Siena recitato da R. C. falsamente attribuito al b. Michele Carcano,ibid., pp. 203-207; Id., Alcuni codici della libreria di S. Giacomo della Marca scoperti recentemente,ibid., XLVIII (1955), pp. 139-143; L. Gatto, I temi escatologici nelle prediche di R. C. da Lecce, in L'attesa dell'età nuova nella spiritualità della fine del Medio Evo, Todi 1962, pp. 249-261; J. Hofer, Johannes Kapistran, a c. di O. Bonmann, I, Romae-Heidelberg 1964, pp. 333 ss. e ad Indicem; II, ibid. 1965, pp. 239-244 e ad Indicem; C. Cenci, Un codice di Rieti e fra' Roberto da Lecce, in Arch. franc. histor., LIX (1966), pp. 85-104; S. Nessi, Le confraternite di S. Girolamo in Perugia, in Miscell. franc., LXVII (1967), pp. 98, 104, 112; J. Moorman, A history of the Franciscan Order..., London-New York 1968, pp. 481 ss., 494, 519 n., 522; Z. Zafarana, Per la storia religiosa di Firenze nel Quattrocento. in Studi medievali, s. 3, IX (1968), 2, pp. 1037 ss., 1047, 1088 ss., 1095 ss.; C. Cenci, Manoscritti francescani della Bibl. naz. di Napoli, I-II, Quaracchi 1971, ad Indicem.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE