RIDOLFI, Roberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RIDOLFI, Roberto

Mauro Moretti

RIDOLFI, Roberto. – Nacque a Firenze, il 12 settembre 1899, dal marchese Giovan Battista e da Maria Luisa dei principi Ginori Conti.

Ultimo di quattro figli, e presto orfano di madre, Ridolfi appartenne a una delle più cospicue casate fiorentine: «dispettoso discendente ex filia, in direttissima linea, di Lorenzo il Magnifico» (cfr. Orologio a pagine, 1951; poi in Poesia in prosa. Scritti letterari di una vita, introd. di M. Martelli, Firenze 2002, p. 30) e, in tempi più recenti, di Gino Capponi e di Cosimo Ridolfi, ebbe modo di tornare spesso, nei suoi numerosi scritti autobiografici, sul proprio lignaggio e sui condizionamenti da questo esercitati. Educato privatamente, coltivò alcune precoci passioni collezionistiche e scientifiche – come il bisnonno Cosimo, del quale illustrò nel 1949 il Florilegium Bibianense –; amante dei libri e dell’indagine, nel quadro di un’adolescenza descritta come solitaria, ma non della «scuola matrigna» (Memorie di uno studioso, 1956; poi in Poesia in prosa, cit., p. 79).

Richiamato alle armi durante la fase conclusiva della Grande Guerra, trascorse alcuni mesi in un reparto di artiglieria prima di frequentare l’Accademia militare di Torino; destinato alla linea del Piave, narrò poi alcuni incontri ed episodi della sua esperienza bellica. Alla conclusione del conflitto si iscrisse all’Università di Pisa, avviando studi di chimica distanti dai suoi interessi, su pressione della famiglia. Nel clima disordinato del dopoguerra, la vita «fra donne cavalieri armi ed amori» dello studente reduce, e i suoi studi universitari, furono interrotti da un «giovanile errore» (Memorie di uno studioso, cit., p. 91) che lo forzò al romitaggio nella casa di famiglia della Baronta, presso Firenze. Cesura, questa, che aprì la prima fase di una vicenda di studio certo lontana, per modalità e qualità, dagli ordinari percorsi dell’erudizione accademica.

Autodidatta animato da un grande amore per libri e documenti, Ridolfi abbandonò le curiosità entomologiche per compilare la biografia di un suo avo, il cardinale Niccolò Ridolfi, rimasta inedita: dalla metà degli anni Venti avviò comunque una serie di studi e pubblicazioni, frutto delle sue ricerche negli archivi privati delle famiglie fiorentine, in primo luogo nell’archivio Guicciardini.

Collaboratore di riviste specialistiche come La Bibliofilia, oltre che dell’Archivio storico italiano, Ridolfi fondò nel 1929, dirigendola fino al 1933, la Rivista storica degli archivi toscani, alla quale destinò allora una parte importante del suo lavoro; e risale a questo periodo il fondamentale sodalizio con l’editore Leo Samuele Olschki, mantenuto anche dopo l’emanazione delle leggi razziali. In margine ai suoi studi, Ridolfi si occupò della tutela e della valorizzazione degli archivi privati, minacciati da incuria e dispersione, e che dovevano invece essere censiti, inventariati, aperti alla ricerca. Il suo primo scritto in materia è del 1928; nello stesso anno Ridolfi fu nominato membro del Consiglio superiore degli archivi, e nel giugno del 1929 intervenne con una relazione al primo congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, tenutosi a Venezia. Ridolfi proponeva la fondazione di consorzi provinciali autonomi di archivi privati per la gestione di quel materiale documentario. La sua presenza all’interno del Consiglio superiore, come risulta anche dalle Memorie, fu contrastata: salutato con parole caldissime dal presidente Paolo Boselli nella seduta del 9 novembre 1928, Ridolfi prese parte ai lavori del Consiglio fino al marzo del 1930, per poi rientrarvi il 14 luglio 1936, e sedervi fino alla riunione del 25 novembre 1942. Fu Ridolfi a elaborare lo schema di decreto legge sui consorzi archivistici discusso dal Consiglio il 29 marzo 1930. Nel 1934 ottenne, per chiara fama, la libera docenza in archivistica e, nel 1937-38, fece parte della commissione per la riforma legislativa degli archivi di Stato. All’interno del Consiglio strinse rapporti di amicizia con Paolo Boselli e con lo storico Pietro Fedele. Di questa stagione della sua attività pubblica, così come del successivo insegnamento universitario, deve esser messa in evidenza la particolare natura, tangenziale, per così dire, rispetto a consolidate sfere istituzionali e professionali.

Ridolfi archivista vero non fu mai, così come non fu un accademico. Narratore, memorialista ed elzevirista, piuttosto, strenuamente impegnato, e non sempre con successo, nella ricerca della pagina bella, capace di impegnare recensori come Eugenio Montale e Carlo Emilio Gadda, l’amico Giovanni Papini e Luigi Salvatorelli, e di sostenere nel 1966 un’irridente polemica con il premio Nobel Salvatore Quasimodo. Mancato vincitore, e deluso, del premio Strega, Ridolfi ottenne comunque diversi premi letterari, e molti riconoscimenti pubblici. Scrittore di storia, certamente, sulla base di personali assunti programmatici, fu soprattutto straordinario indagatore, lettore, interprete, editore di fonti documentarie, e studioso di bibliografia e bibliologia.

Accanto ai volumi del 1931 e del 1934, che raccoglievano gli studi sugli archivi Guicciardini e di altre famiglie fiorentine, si collocano l’importante pubblicazione, realizzata nel 1932 assieme a Cecil Roth, di un cospicuo nucleo di lettere inedite di Donato Giannotti, e le grandi ricerche savonaroliane, che venivano a ridefinire, in particolare sul piano documentario – i testi delle prediche del frate, le presunte postille alla Bibbia di Girolamo Savonarola, l’epistolario, la tradizione delle fonti biografiche – un campo ingombro di studi anche recenti, e di implicazioni politiche e religiose. Su questo punto, va detto che il Savonarola di Ridolfi a Roma piacque, nella Roma cattolica e in quella ufficiale e monarchica. L’edizione delle Lettere di Girolamo Savonarola (Firenze 1933) gli valse, nel marzo del 1933, un encomio solenne dell’Accademia d’Italia, e nel maggio un’udienza regia di Vittorio Emanuele III di cui, visto in una trincea sul Piave, dialogante di erudizione e cose savonaroliane in udienza, poi incontrato a Firenze, e in fondo rimpianto, scriveva: «a me piace di ricordare il mio vecchio re» (I palinfraschi, 1970, poi in Poesia in prosa, cit., p. 481).

Diversi anni più tardi, nel 1974, Ridolfi fu nominato cavaliere dell’Ordine civile di Savoia; e, del resto, era stato ricevuto anche da Benito Mussolini, occupandosi del decreto sugli archivi.

Non sarebbe difficile sbozzare una sorta di biografia politica per frammenti e allusioni: la simpatia per il generale Luigi Cadorna, l’ammirazione per il duca d’Aosta, «principe del Sacrificio» (Memorie di uno studioso, cit., p. 88), le pagine riservate alla morte di Giovanni Gentile, e via enumerando. Tuttavia la cronaca dell’incontro con Mussolini, così come fu narrato nel 1956, è significativa non per residui apologetici – sulla politica estera italiana «estemporanea e spaccona» (p. 125) Ridolfi era esplicito –, ma per l’articolazione e le sfumature del ritratto: «Che recitasse era manifesto […]; manifeste erano la sua forte personalità e la intelligenza capace, prontissima. Mi fanno uggia certi che oggi, pieni di faziosità e di senno del poi, vorrebbero gabellarlo per quello che ciascuno di essi probabilmente è, ma che egli certamente non era» (p. 98).

Furono, per Ridolfi, anni di grandi scoperte documentarie. La maggiore fu l’inedito di Francesco Guicciardini poi pubblicato con il titolo Le cose fiorentine (Firenze 1945); ma si pensi anche alle lettere di Lorenzo il Magnifico, alla lettera relativa al terzo viaggio di Amerigo Vespucci, o, più tardi, al ritrovamento dell’unico manoscritto della Mandragola. Erano già impiantati, prima della guerra, gli studi sui quali si basarono due delle tre grandi biografie di Ridolfi: quelle di Savonarola (Roma 1952) e di Guicciardini (Roma 1960), che aveva alle spalle anche lo studio sulla Genesi della storia d’Italia guicciardiniana (Firenze 1939). Sul periodo bellico, in specie sull’estate del 1944, sono disponibili testimonianze varie, di diversa natura: secche note di diario, che documentano anche la seria infermità allora patita, oltre a vari aspetti di vita privata, e al transito alla Baronta di minacciosi tedeschi e di non innocui partigiani, protagonisti anche di deprecati episodi di giustizia sommaria (Fogli di diario. Firenze 1º febbraio - 18 agosto 1944, in Belfagor, LVI (2001), pp. 699-707), e più lunghe e colorite pagine di memorie.

Nel 1946, in un dopoguerra «senza pace e senza pane» (La Bibliofilia, XLVIII (1946), p. 62) avrebbe assunto la direzione della Bibliofilia, dall’annata 1944, che avrebbe mantenuto fino al 1982. In più luoghi Ridolfi ha suggerito una serie di scansioni all’interno della sua opera: alla fase archivistico-erudita seguirebbe quella storiografico-biografica. La cronologia conferma, se aggiungiamo a quanto già citato la Vita di Niccolò Machiavelli (Roma 1954), forse, fra le maggiori, la sua opera più riuscita, e la più amata dall’autore. Le tre biografie conobbero varie edizioni accresciute, e soprattutto numerose traduzioni, contribuendo molto a diffondere e consolidare la fama di Ridolfi. Delle vite era fatta esplicita menzione nelle motivazioni dell’alto e meritato riconoscimento accademico tributato a Ridolfi dall’Università di Oxford con il conferimento, nel giugno del 1961, della laurea honoris causa, anche se non vi si taceva del filologo e del bibliologo.

Impossibile entrare qui nel merito di quello che a posteriori acquista il profilo di un vero progetto storiografico. Ma almeno su un punto occorre richiamare l’attenzione: semplificando, si potrebbe affermare che al centro del disegno di Ridolfi fosse il tentativo, grazie all’operazione biografica, di riportare le grandi figure alla «loro semplice umanità» (Memorie di uno studioso, cit., p. 161). Due le condizioni preliminari: la «congeneità» (Luxardo, 1995, p. 289) fra biografo e biografato, e la radicale revisione e ricostituzione, l’ampliamento del corpus documentario consegnato dalla tradizione. Che su questo punto, per gli oggetti prescelti, il lavoro da fare fosse ampio e complesso Ridolfi lo ha ben mostrato, specie contro il biografo suo predecessore e idolo polemico, Pasquale Villari, deriso al di là dei suoi demeriti per reali limiti filologici, ma anche per la sua distanza culturale dalla Firenze degli avi di Ridolfi, Gino Capponi e il bisnonno Cosimo, per non dire delle polemiche giovanili con Papini: donde la postuma gogna. Comunque, ripulite e riordinate le fonti, si delinea per lo scrittore il sogno machiavelliano, quello del familiare colloquio diretto con gli antichi uomini che per loro humanità rispondono, consegnato alla lettera a Francesco Vettori del dicembre 1513, che è uno dei riferimenti profondi del Ridolfi scrittore. A proposito del Machiavelli ridolfiano si è parlato di «filtro di condiscendenza» (Luxardo, 1995, p. 303), e non è assente la tentazione anacronistica: «qualche volta […] mi pareva di scrivere di me» (Memorie di uno studioso, cit., p. 157). Indicativo di una gerarchia di rilevanze è lo stacco dal modello ottocentesco dello studio sull’uomo e il suo tempo; eloquente sul rapporto di Ridolfi con la tradizione storiografica è l’idea di una «storia dell’erudizione […] per modo di facezie e di aneddoti» (p. 114): ma qui pesava forse anche l’esibito understatement del dotto. In nome dell’arte Ridolfi ha inteso lavorare, nelle sue biografie, a dei «restauri umani» (p. 151). L’indicazione gli proveniva anche da Papini, importante interlocutore, e oggetto di una biografia a caldo (Vita di Giovanni Papini, Verona 1957), testo in qualche misura autobiografico, intessuto di memorie e carte, relative anche al sodalizio con Ardengo Soffici.

Per alcuni anni, dal 1952 al 1957, Ridolfi tenne un corso bibliologico all’Università di Firenze, dove fondò e diresse il Centro per lo studio dei paleotipi. Fra i frutti di questo impegno, riconsiderato dalla critica recente – indagini sulla filigrana delle carte a sussidio della datazione, di incunabolistica e di bibliologia – l’opuscolo Le filigrane dei paleotipi. Saggio metodologico (Firenze 1957). La presenza universitaria tuttavia non si stabilizzò; e la laurea honoris causa a Pisa nel 1960, voluta da Luigi Russo, non dovette essere del tutto priva di risvolti accademici. Con l’inizio degli anni Sessanta Ridolfi venne riorientando la propria attività. Nel 1960, ma Ridolfi la sollecitava da tempo, ebbe inizio un’intensa collaborazione con il Corriere della sera, proseguita per quasi un trentennio; dopo la pubblicazione delle Memorie, nel 1956, Ridolfi dette largo spazio alla narrazione autobiografica, con articoli ed elzeviri poi raccolti in alcuni volumi. Una complessa situazione di rapporti affettivi e familiari si era sciolta con la morte, nel 1958, della moglie, la contessa Maria Giulia Bocchi Bianchi, dalla quale aveva avuto due figli, Cosimo e Vanna; Ridolfi, in seguito, si unì in matrimonio con Maria Caprioli. Nei suoi ultimi anni fu colpito da cecità. Fra i molti riconoscimenti tributatigli nella maturità spiccano l’ingresso all’Accademia dei Lincei nel 1967, e la medaglia d’oro del presidente della Repubblica nel 1986.

Morì a Firenze il 28 dicembre 1991.

Fonti e Bibl.: Il carteggio e la biblioteca di Ridolfi sono conservati presso la Cassa di risparmio di Firenze. Per il profilo scientifico e la bibliografia è fondamentale G. Cantele - R. Sbiroli, R. R. Bibliografia, Firenze 2010. La documentazione relativa al Consiglio superiore degli archivi è consultabile all’indirizzo http://www.icar.beni culturali.it/cons_new/cerca.aspx, ad vocem. Rilevante l’edizione di G. Papini - R. Ridolfi, Carteggio 1939-1956, a cura di A.M. Gravina, Roma-Fiesole 2006. Si vedano, inoltre: M. Martelli, L’opera di R. R.: saggio critico e bibliografico, Firenze 1962; M.J. Minicucci, R. R. incunabulista: contributo alla storia degli studi paleotipici in Italia, in Studi offerti a R. R. direttore de “La Bibliofilia”, a cura di B. Maracchi Biagiarelli - D.E. Rhodes, Firenze 1973, pp. 1-76; R. R., un fiorentino alla Baronta, Firenze 1992; Per R. R., Firenze 1992; C. Fahy. R. R. e lo studio bibliologico della carta, in La Bibliofilia, XCVII (1995), pp. 35-57; P. Luxardo, Le lusinghe dell’esemplarità: R. R. fra biografia e autobiografia, in Studi novecenteschi, XXII (1995), pp. 287-316; M. Martelli, La prosa autobiografica di R. R., in Belfagor, L (1995), pp. 1-10; R. R., Atti del convegno di studi… 1996, a cura dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria et al., Firenze 1997; D. Della Terza, R. R., in Belfagor, LVI (2001), pp. 683-697; G. Càntele, Il Machiavelli di R.: nel 500. anniversario de “Il principe”, 1513-2013, Vicchio 2013.

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