di Christopher Freeman
Robotica
sommario: 1. Introduzione. 2. La diffusione della robotica nel mondo. 3. La robotica industriale. 4. Modelli di diffusione della robotica. 5. Robotica e disoccupazione. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il significato attuale del termine 'robot' (derivato dal ceco robota che significa 'lavoro servile') si deve allo scrittore ceco
Il primo, vero robot industriale che risponde a queste caratteristiche può essere considerato quello progettato e brevettato nel 1961 da George C. Devol, un inventore statunitense che collaborò con Frank Engelberger alla creazione dell'Unimation, l'industria pioniere della robotica mondiale. Il ruolo-guida assunto da questa industria statunitense rappresentava per molti versi uno sviluppo naturale, dopo che il
2. La diffusione della robotica nel mondo
Come dimostrano i dati riportati nella tab. I, il Giappone detiene una posizione di predominio assoluto nella robotica industriale. Già alla fine degli anni settanta il numero di robot installati in Giappone rappresentava quasi la metà del totale delle installazioni nel mondo industriale, e negli anni novanta la quota è salita a ben oltre la metà. Il tasso medio di crescita della popolazione dei robot giapponesi nel ventennio 1974-1994 fu di oltre il 30% annuo, mentre negli Stati Uniti fu di poco superiore al 20% annuo. In entrambi i paesi il tasso di crescita ha subito un notevole rallentamento negli anni novanta, scendendo a meno del 10% annuo.
In Europa la robotica si è affermata assai più lentamente che negli Stati Uniti o in Giappone, ma negli anni ottanta e novanta i paesi dell'Unione Europea hanno superato rapidamente gli Stati Uniti, pur restando notevolmente indietro rispetto al Giappone. L'avanzamento europeo è stato guidato dalle industrie tedesca e italiana, mentre la Gran Bretagna e la
Per certi versi il miglior indicatore del livello di robotizzazione è il numero relativo dei robot industriali, piuttosto che il loro numero assoluto. Come emerge da un confronto dei dati sulla densità o intensità robotica in diversi paesi (ossia il numero di robot per 10.000 operai nell'industria), il Giappone resta il leader mondiale in questo campo, seguito però con poco distacco dall'
3. La robotica industriale
In passato tipi di robot assai sofisticati e costosi venivano utilizzati per attività che non possono essere svolte da operatori umani, o che comportano notevoli difficoltà e pericoli - come ad esempio il trasporto di materiali radioattivi, le missioni spaziali, l'esplorazione e le operazioni di recupero sottomarine. Alcuni robot sofisticati e costosi sono tuttora impiegati per svolgere queste attività, ma di solito non sono presi in considerazione nelle statistiche contemporanee sulla robotica industriale. Nondimeno questo tipo di robot continua a costituire un elemento di punta nel campo della progettazione sperimentale e dello sviluppo.Negli anni sessanta e settanta queste applicazioni specializzate furono di gran lunga sorpassate in volume dall'uso estensivo di robot industriali nei settori automobilistico e meccanico. Furono i reparti di saldatura e di verniciatura dell'industria automobilistica a fornire il primo mercato realmente su vasta scala per la robotica industriale. Negli anni settanta, nei paesi in cui il settore automobilistico ebbe la maggiore espansione - il Giappone in prima linea, seguito dalla Germania, dall'Italia e dal Canada -, la saldatura rappresentava oltre un terzo di tutte le applicazioni (v. tab. II). Va osservato che sia la saldatura che la verniciatura sono caratterizzate da un ambiente di lavoro insalubre e nocivo alla salute.Nel 1981 la saldatura e la verniciatura rappresentavano il 70% di tutte le applicazioni della robotica in Canada, e il 66% in Germania nel 1982, mentre in
Le altre principali applicazioni che ebbero una rapida crescita negli anni settanta e ottanta furono le operazioni di carico-scarico delle macchine e la movimentazione/manipolazione di materiali, soprattutto nell'industria metallurgica e in quella meccanica. Negli anni ottanta e novanta in Germania, nel Regno Unito e in Italia l'automazione delle operazioni di stampaggio a iniezione e di altri reparti dell'industria delle
Negli ultimi cinquant'anni l'industria elettronica e quella automobilistica sono stati i due settori produttivi, sia per il mercato interno che per l'esportazione, più forti del Giappone. Proprio la concentrazione delle applicazioni robotiche in questi settori e la loro rapida crescita spiegano il primato assoluto del Giappone nello sviluppo della robotica industriale. Alla base di questa rapida crescita vi è stato il massiccio investimento in nuovi impianti e macchinari per generazioni sempre nuove di modelli e di prodotti nel settore elettronico e automobilistico. Queste ondate successive di investimenti hanno offerto l'opportunità di una robotizzazione su larga scala per la progettazione e il riequipaggiamento di nuovi impianti. È più facile realizzare l'automazione in questo modo, come parte di un nuovo sistema produttivo, che non attraverso l'installazione 'per addizione' di nuovi robot o macchine.Tuttavia questi fattori non spiegano interamente il fenomeno della supremazia mondiale del Giappone nella robotica industriale. Automatizzare i sistemi di produzione non significa semplicemente acquistare sul mercato grossi quantitativi di robot preconfezionati da introdurre in un nuovo impianto. Molti studi empirici sui sistemi di produzione europeo, statunitense e giapponese hanno dimostrato che la riuscita integrazione tecnica e commerciale della robotica (ovvero di macchine utensili a controllo numerico) richiede un'elevata qualificazione professionale della forza lavoro non solo nell'ambito dell'ingegneria della produzione, ma a tutti i livelli. Ogni sistema è unico e richiede un complesso processo di apprendimento e di adattamento.
4. Modelli di diffusione della robotica
Per le ragioni testé illustrate, nello studio della diffusione delle innovazioni l'attenzione si è andata spostando dai prodotti ai sistemi. Negli anni sessanta
Nel caso della robotica questo modello, pur rivelandosi più o meno valido per alcuni settori di impiego, va radicalmente modificato sotto molti aspetti. La ricerca più recente ha dimostrato che le caratteristiche sistemiche del mercato spesso rivestono un ruolo decisivo. Talvolta infatti un nuovo prodotto o una nuova applicazione non possono diffondersi a meno che non venga trasformato il sistema produttivo. Inoltre, l'inclinazione della curva logistica è notevolmente influenzata dal comportamento dei fornitori e degli utenti di un nuovo prodotto o processo. Infine, il livello tecnologico, la situazione economica e il contesto culturale di ogni singola nazione (ossia 'il sistema nazionale di innovazione') costituiscono altri fattori importanti che possono influenzare in misura notevole l'inclinazione della curva. Di conseguenza i primi modelli di diffusione piuttosto semplicistici - costruiti in analogia con i modelli di diffusione delle epidemie utilizzati nelle ricerche mediche o in agraria - sono stati rimpiazzati da modelli più sofisticati che incorporano caratteri sistemici e danno maggior rilievo al comportamento sia degli utenti (gli adottatori o i potenziali adottatori di un nuovo prodotto o processo), sia dei fornitori.
Tra gli studi sulla diffusione della robotica che mettono in evidenza questi caratteri sistemici menzioniamo le ricerche comparate effettuate da Arcangeli e altri (v., 1991), lo studio sulla robotica in Italia di Roberto Camagni e altri (v., 1984), e la ricerca svolta da Robert Ayres e dai suoi colleghi (v., 1991) per l'International Institute of Applied System Analysis di
Alcuni di questi robot e altri installati al di fuori del settore automobilistico sono stati senza dubbio innovazioni più radicali dell'Unimate 2000 originario, costituito di componenti standard di macchine utensili e somigliante più alla torretta di un
Il concetto di 'innofusione' introdotto da Fleck per caratterizzare il processo di diffusione della robotica ci permette di individuare le altre ragioni del relativo successo delle aziende giapponesi nell'applicazione della robotica. Una serie di studi sulle industrie giapponesi del settore automobilistico ed elettronico ha messo in evidenza l'esistenza di un rapporto utente-produttore al livello tecnico assai più stretto di quello che sussiste in Europa o negli Stati Uniti (v. Sako, 1992; v. Womack e altri, 1990). Nel sistema di produzione giapponese inoltre vi è una stretta cooperazione tra i settori della progettazione, della produzione e dello sviluppo, il che ha portato addirittura ad affermare che in Giappone "la fabbrica viene usata come un laboratorio". È evidente che questo tipo di organizzazione è estremamente favorevole alla robotizzazione, la quale è un processo simultaneo di apprendimento sia organizzativo che tecnologico. Inoltre l'importanza data all'addestramento, alla riqualificazione e al continuo perfezionamento nei settori leader dell'industria giapponese favorisce quel tipo di processo partecipativo di progettazione e di esecuzione che si rivela essenziale per realizzare con successo l'automazione. La conoscenza implicita e contingente delle condizioni specifiche di una determinata applicazione è espressa a tutti i livelli della forza lavoro.Questo modello di robotizzazione basato su un'applicazione specifica è assai lontano dal sogno originario di una robotizzazione universale. Ciò si deve principalmente al fatto che l'interazione tra cervello, occhio e arto nell'uomo è assai più complessa di quanto si pensasse in passato. L'uomo è ancora di gran lunga più abile dei robot in tutta una serie di operazioni di manipolazione, e possiede inoltre una capacità assai superiore di apprendimento e di risposta a eventi e sviluppi inaspettati. I risultati conseguiti da progettisti e ingegneri nel campo della robotica sono indubbiamente ragguardevoli, ma la prospettiva di un sostituto universale della forza lavoro umana quale era prefigurato in passato non si è ancora realizzata, e non è probabile che ciò avvenga nel prossimo futuro.
5. Robotica e disoccupazione
Nei primi tempi dell'automazione furono in molti a pronosticare una disoccupazione su larga scala a seguito della diffusione di computer, robot e altre macchine automatiche. Negli anni sessanta questi timori lasciarono il posto a una valutazione più equilibrata degli effetti dell'automazione e della computerizzazione sull'occupazione, ma negli anni ottanta e novanta la recessione e gli elevati livelli di disoccupazione strutturale hanno riproposto l'incubo di una disoccupazione di massa a livello mondiale (v. ad esempio Rifkin, 1995).
Già Ricardo e Marx, come altri economisti prima di loro, avevano riconosciuto che le macchine sono destinate a sostituire la forza lavoro umana. È proprio questo di fatto, il più delle volte, l'intento degli innovatori, e lo è stato senza dubbio nel caso della robotica. Tuttavia, gli economisti hanno anche messo in evidenza il fatto che gli effetti di sostituzione al microlivello possono essere 'compensati' al macrolivello dalla creazione di nuovi posti di lavoro: per usare le parole di Schumpeter, vi sarebbe un processo continuo di "distruzione creativa" innescato dalla diffusione di innovazioni tecnologiche.
Gli economisti tuttavia danno valutazioni divergenti in merito alla velocità e alla localizzazione dei meccanismi di compensazione. La teoria neoclassica più ortodossa tende a mettere l'accento sulla capacità dei mercati del lavoro e dei capitali di generare in tempi abbastanza rapidi nuova occupazione, a patto che non si interferisca nel loro funzionamento. Altri economisti - tra cui i seguaci delle scuole keynesiana, schumpeteriana e marxista - nutrono minor fiducia nel potere di autoregolamentazione del mercato e nella sua capacità di far fronte alla disoccupazione strutturale, ed evidenziano una serie di debolezze nella teoria della compensazione (v. Vivarelli, 1995). Gli economisti che hanno incentrato l'attenzione sul mutamento tecnologico, come Schumpeter, sottolineano gli effetti delle rivoluzioni tecnologiche che si sono susseguite a partire dal XVIII secolo, dando luogo a un'alternanza di lunghe ondate di prosperità con piena occupazione e di fasi di recessione con livelli elevati di disoccupazione (negli anni ottanta dell'Ottocento, negli anni trenta e negli anni ottanta del secolo successivo). Secondo le teorie di questo tipo, solo quando l'informazione tecnologica (inclusa la robotica) avrà avuto una diffusione assai più vasta sarà in grado di creare sia nel settore dei servizi che in quello industriale una quantità di nuovi posti di lavoro sufficiente a determinare un ritorno alla situazione di pieno impiego (v. ad esempio Freeman e Soete, 1994).
Nel Duemila i robot installati nel mondo saranno probabilmente circa un milione; alcuni studi hanno cercato di misurare il contributo diretto della robotizzazione alla perdita e al guadagno di posti di lavoro. Ad esempio Allan e Timothy Hunt (v., 1983) cercarono di quantificare la perdita complessiva di posti di lavoro nel
Nel suo intervento alla Conferenza su
L'analisi di Paye mette dunque in luce la necessità di massicci investimenti nell'istruzione professionale, nell'addestramento e nella riqualificazione della forza lavoro al fine di minimizzare l'estensione e la durata della disoccupazione strutturale dovuta alla mancata corrispondenza tra tipo di lavoratori disoccupati e tipo di posti di lavoro disponibili. Questa esigenza di riqualificazione professionale era stata già messa in luce nel 1952 da John Diebold, uno dei più acuti tra gli autori che si sono occupati di automazione e computerizzazione, nel suo profetico libro Automation: the advent of the automatic factory. In questo libro, notevole per forza di immaginazione e di intuizione dei problemi contemporanei, vi sono numerosi passaggi che riguardano direttamente le tematiche discusse in questa sede.
Secondo Diebold, l'introduzione generalizzata di computer e robot nelle fabbriche rende necessaria una radicale ristrutturazione dello stock di capitale immobilizzato esistente. Egli cita, ad esempio, il problema delle attrezzature per la movimentazione dei materiali nei sistemi automatizzati di lavorazione meccanica. Diebold è stato uno dei primi a riconoscere la necessità di sostituire i sistemi di automazione rigida con linee di lavorazione meccanizzate e specializzate e con macchine assai più flessibili.
Pur individuando alcuni precoci esempi di questo processo di ristrutturazione globale, Diebold ammetteva che ci sarebbe voluto molto tempo prima che si modificasse la mentalità e che gli ingegneri fossero in grado di trasformare su larga scala l'organizzazione delle superfici negli stabilimenti industriali. Egli riconosceva inoltre che i costi di progettazione e di investimento sarebbero stati enormi, e che si sarebbe resa necessaria anche una ristrutturazione dei prodotti oltreché dei processi, nonché una trasformazione dell'intera organizzazione aziendale: "Uno dei principali ostacoli alla ristrutturazione dei prodotti e dei processi è costituito dal fatto che la tradizionale divisione delle responsabilità ha l'effetto di circoscrivere le aree in cui essa viene effettuata. [La ristrutturazione] non può essere confinata al reparto di progettazione tecnica, ma deve essere un atteggiamento, una mentalità che permea l'intera organizzazione [...]. L'estensione del processo di ristrutturazione a tutto ciò che riguarda il prodotto e il processo produttivo è un passo essenziale nell'automazione" (v. Diebold, 1952, p. 53).
Questa idea di una ristrutturazione che investe tutta l'organizzazione porta Diebold a sottolineare l'importanza della riqualificazione professionale e dei nuovi posti di lavoro che potrebbero essere creati. Respingendo la prospettiva di una fabbrica senza operai e di un ufficio senza impiegati, Diebold mette in risalto le capacità e le qualità uniche degli esseri umani, e gli aspetti disumanizzanti della catena di montaggio e di ritmi di lavoro imposti dalle macchine. A questo proposito egli cita il seguente passo del libro Human use of human beings di
Diebold è perfettamente consapevole della profonda trasformazione sociale legata al passaggio da un paradigma tecno-economico a un altro che comporta non solo nuovi investimenti su vasta scala, la progettazione di macchine, fabbriche e prodotti, ma anche cambiamenti radicali nel profilo professionale della forza lavoro e, soprattutto, un mutamento di mentalità esteso a tutta l'organizzazione-produzione. È questa la portata della sfida posta dalla robotica industriale nel XXI secolo. (V. anche Disoccupazione; Elettronica; Innovazioni tecnologiche e organizzative; Macchine; Produttività; Rivoluzione industriale; Taylorismo).
bibliografia
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