ROLANDINO da Padova

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROLANDINO da Padova

Marino Zabbia

ROLANDINO da Padova. – Nacque a Padova nell’anno 1200, come narra nel prologo della sua Cronica. Della sua famiglia sappiamo solo che il padre esercitava il notariato a Padova.

Con questi dati Guido Billanovich ha riconosciuto il cronista nel notaio Rolandino di Baialardo, ma la proposta – che pure ricompare come un dato pacificamente acquisito in pubblicazioni anche recenti – non ha retto all’esame di Paolo Marangon. Converrà quindi accantonarla e limitarsi alle notizie che l’autore fornisce ricordandosi presente ai fatti narrati, accostate con prudenza ai rari documenti padovani dove compare un personaggio che potrebbe essere il cronista.

In una parentesi del racconto, Rolandino afferma di avere conseguito nel 1221 l’officium magistratus allo Studio di Bologna sotto la guida di Boncompagno da Signa (Vita e morte..., a cura di F. Fiorese, 2004, p. 440). Di un magister di grammatica e retorica di nome Rolandino nato nel 1200 la tradizione erudita padovana trasmette l’epitaffio da cui sappiamo che morì nel 1276 (p. XV). È quindi il cronista quel Rolandinus magister grammatice che nel 1262 assistette alla pubblica lettura della cronaca nel chiostro di Sant’Urbano, seduto tra i professori dell’Università, e comunemente lo si identifica anche con un altro magister dallo stesso nome attestato a Padova nel 1229 e nel 1238: di conseguenza Rolandino, oltre a esercitare il notariato, ha insegnato grammatica e retorica sia nello Studio patavino, sia, nel periodo in cui questo non fu attivo, in qualche altra scuola (p. 12).

Dal 1223 almeno Rolandino era notaio a Padova e nel giro di poco tempo, grazie alle sue competenze nell’ars dictaminis, fu chiamato a rogare la principale documentazione del Comune. Nel 1228 si ricorda presente all’assemblea di cittadini padovani che decise di appoggiare Tiso da Camposampiero contro Ezzelino III da Romano e nello stesso anno racconta di avere visto Ezzelino rappacificarsi con Padova e con i Camposampiero (pp. 94, 112). Nel 1230 dice di avere ascoltato (e riproduce) i discorsi di Gerardo Rangoni e Matteo Giustinian nel consiglio di Padova (pp. 122-126). Nel 1231 un magister Rolandinus compare nelle vesti di notaio del Sigillo, il più eminente tra i notai al servizio del Comune (Arnaldi, 1963, p. 104, nota 1).

Al tempo del primo impegno di Rolandino negli uffici padovani, nel 1228 e poi nel biennio 1230-31, era stato podestà di Padova il veneziano Stefano Badoer, cui il cronista sembra particolarmente legato, al punto che lo ricorda anche a distanza di molti anni quando divenne podestà di Ferrara riconquistata da Azzo d’Este nel 1240 (Vita e morte..., cit., p. 216): forse da questo rapporto deriva anche la posizione filoveneziana di Rolandino, autore di un elogio di Venezia in cui si loda il buon governo della città (p. 150).

Da quanto narrato nella Cronica risulta che egli scriveva i documenti pubblici anche nel 1237, ancora con l’incarico di notaio del Sigillo, al tempo in cui podestà di Padova era un fedele di Federico II, Simone da Chieti, ed Ezzelino era ormai prossimo a prendere il controllo della città (p. 148). Sempre nel 1237 dichiara di avere assistito all’ingresso di Ezzelino a Padova e menziona il contributo dei cavalieri padovani all’esercito del da Romano per la presa di Montagna specificando di averli visti rientrare in città (pp. 160, 168). Ancora nel 1237 Rolandino richiama la sua presenza nei pressi di Goito a un incontro di Federico II con i principali signori della Marca trevigiana, e due anni dopo sembra avere assistito a discorsi pronunciati a Padova da Pietro della Vigna alla presenza dell’imperatore (pp. 196, 198).

A queste notizie segue un lungo periodo di silenzio – che coincide con la dominazione ezzeliniana di Padova – e solo nel 1257 egli menziona, sia pure in modo velato, un suo impegno negli uffici padovani – quando podestà era Giovanni Badoer che il cronista ha specificato essere il figlio di Stefano – riferendo di avere visto una lettera del re di Castiglia per il Comune di Padova della cui genuinità si dubitava, ma alla quale si era risposto in modo adeguato, parrebbe per opera dello stesso Rolandino tornato a fare il notaio dettatore (p. 476).

Per gli anni del dominio ezzeliniano quindi nulla sappiamo di Rolandino: nelle molte pagine della Cronica dedicate a quel ventennio egli non si è ricordato come personaggio o come testimone. Pur parlando largamente e con simpatia dei cittadini fuoriusciti, in nessun luogo si è esplicitamente ricordato tra questi; allo stesso modo nulla ha scritto che autorizzi ad affermare con sicurezza che fosse sempre rimasto a Padova, anche se qualche cenno nell’opera è riservato a ribadire quanto sia stato difficile esulare dopo il 1238 e in qualche modo giustifica i rimasti, comprendendo le ragioni della loro rassegnazione (p. 272).

Nella Cronica – dove del silenzio in taluni casi si fa uso strategico – la sua posizione sembra volutamente ambigua: nel 1245, ad esempio, egli dice di avere visto una cometa, ma non specifica dove si trovava in quel momento; nel 1251, ricordando la morte in carcere di Guglielmo da Carturo, racconta di averlo visto tra i più fedeli amici di Ezzelino, però questa testimonianza rimanda a fatti precedenti al 1236 (pp. 250, 308). Va poi segnalato che talvolta nel testo compaiono alcuni padovani di cui non si ricorda il nome: sono protagonisti di episodi di scarso rilievo, di solito conversazioni, che il cronista forse aveva sentito perché presente ai fatti o perché il patavinus in questione era proprio lui, oppure che ha semplicemente inventato. Singolare è però che in almeno due casi si tratti di padovani che erano stati esuli a Este, quando Rolandino mostra sempre grande ammirazione per il marchese Azzo VII d’Este: si potrebbe quindi cautamente ipotizzare che per alcuni anni egli sia rimasto in quella località, lontana una trentina di chilometri da Padova, da dove avrebbe potuto seguire le vicende cittadine relativamente al sicuro (soprattutto p. 404).

A ogni modo, rimasto in città – come crede Girolamo Arnaldi (1963, p. 200) nella sua mirabile lettura della Cronica – oppure fuoriuscito, dopo il 1239 Rolandino sembra essersi tenuto lontano dagli uffici o almeno così vuole dare a intendere: una traccia di questa situazione si può cogliere dall’esame della cronaca che, all’inizio ricca di trascrizioni di documenti (in particolare cinque lettere) e di discorsi pubblici che Rolandino dice di avere sentito, dopo il 1237 non presenta più simili inserzioni, probabile conseguenza del fatto che il cronista voleva rimarcare la sua lontananza dai luoghi della politica (ma forse anche risultato del fatto che, procedendo con la scrittura, egli aveva acquisito nuovi modelli espressivi, allontanandosi da quelli propri dell’ars dictaminis che prevedevano la redazione di lettere e discorsi).

Nel denso prologo che apre la Cronica Rolandino afferma che quando aveva ventitré anni suo padre – dei due personaggi non è riportato il nome – gli affidò una cronaca dei fatti della Marca trevigiana che stava scrivendo, invitandolo a continuarla. Molti anni dopo, quando il pericolo ezzeliniano era passato, alcune persone religiose – frati secondo Arnaldi (1963, pp. 99 s.) – che evidentemente sapevano dell’interesse di Rolandino per la storia padovana, lo invitarono a raccontare quanto si era svolto in città. Avendo a disposizione ottime fonti – gli appunti del padre notaio e quelli presi da lui, oltre ai propri ricordi – Rolandino si mise all’opera e nel 1260 produsse nel giro di pochi mesi un testo diviso in dodici libri (come l’Eneide: è materiale epico quello trattato nella cronaca, specifica l’autore) a loro volta suddivisi in numerosi capitoli, tutti forniti di rubrica in modo da rendere più facile la consultazione e da permettere allo scrittore di fare quei rimandi interni al testo che compaiono dal terzo libro in poi, e di norma sono corretti.

Il primo libro raccoglie notizie dagli anni Sessanta del XII secolo e, senza rispettare rigorosamente l’ordine cronologico, ricostruisce l’origine degli scontri che segnarono la storia della Marca nel Duecento, menzionando le principali famiglie aristocratiche e le più importanti città, e in particolare richiamando l’attenzione sui motivi di quella contrapposizione tra da Romano e Camposampiero da cui sarebbe poi derivata l’avversione di Ezzelino III per Padova. Il secondo libro ricapitola la storia degli anni Venti del Duecento; in esso Ezzelino III è già protagonista e sono illustrate le cause del suo odio per Padova nato quando i cittadini fecero dure rappresaglie in seguito alla presa del castello di Fonte (Vita e morte..., cit., ad ind.). Il libro terzo si apre con l’anno 1230, una data che a parere di Rolandino funge da spartiacque nella storia della Marca trevigiana: ha allora inizio una stagione segnata da lotte tra fazioni cittadine che pone fine al ‘buon tempo antico’. Il terzo libro si conclude con l’arrivo di un podestà imperiale a Padova nel 1237: dallo stesso momento inizia il libro successivo in cui prende avvio il racconto della dominazione ezzeliniana sulla città, una signoria che non rivela subito il suo aspetto di feroce tirannide (tuttavia alcuni padovani scelgono sin da quel tempo la via dell’esilio). Nel 1239 Ezzelino esce allo scoperto e ha inizio quella sorta di terrore che incomberà su Padova sino al 1256. Ma il quarto libro, che copre gli anni Quaranta, non entra ancora nel dettaglio della situazione padovana per fornire invece un quadro complessivo delle vicende militari della Marca in quel decennio. Solo con la morte di Federico II, siamo ormai al sesto libro, inizia il periodo delle uccisioni di tanti padovani. Giunto a metà dell’opera Rolandino osserva come sin dal 1237 Ezzelino aveva deciso di annientare Padova, ma solo ora – dopo la sconfitta di Federico II a Vittoria – poteva dare piena attuazione al suo piano. Dal 1249 podestà di Padova è Ansedisio Guidotti, nipote di Ezzelino e come lui tiranno: sotto il suo reggimento hanno inizio arresti ed esecuzioni capitali. Il settimo libro copre gli anni dal 1252 al 1256, un periodo di terrore soprattutto a Padova, ma anche in altre città della Marca. Con il libro ottavo il racconto si concentra sulla presa di Padova da parte delle truppe del legato pontificio, Filippo di Pistoia arcivescovo di Ravenna, e quindi riguarda solo alcuni mesi del 1256. Analogo approfondimento ricevono i fatti raccontati nei libri nono e decimo in cui si ripercorrono la reazione di Ezzelino alla perdita di Padova e il tentativo di riconquistarla. Nell’undicesimo libro il racconto parte dal 1257, quando Giovanni Badoer diventa podestà di Padova e la normalità riprende nella città che ancora soffre per il sacco cui l’hanno sottoposta i crociati (e che il cronista paragona a quello di Attila). Ma il pericolo rappresentato da Ezzelino è più che mai reale: egli cattura il legato pontificio e volge le sue mire espansionistiche verso la Lombardia. Il dodicesimo libro si apre nel 1259: Ezzelino intraprende una campagna militare in Lombardia che, iniziata sotto buoni auspici, termina con una battaglia in cui il da Romano è ferito, sconfitto e fatto prigioniero. Dopo la sconfitta Ezzelino si lascia morire: senza che nessuno lo avesse potuto prevedere, il dominio dei da Romano sulla Marca si interrompe bruscamente e Alberico da Romano che, abbandonata Treviso si era rinchiuso nel castello di San Zeno, viene catturato e ucciso con tutta la sua famiglia. La Cronica si conclude con l’autore che rivela la propria identità (per conoscerla bisognerà raccogliere le prime sillabe di ogni libro ottenendo così la frase Cronica Rolandini data Padue) e raccomanda agli amanuensi di non rovinare con errori di copia la sua opera.

Al testo è stata aggiunta una sorta di breve appendice in cui si specifica che la cronaca venne letta il 13 aprile 1262 nel chiostro di Sant’Urbano davanti ai maestri e agli studenti dello Studio patavino che aveva appena ripreso le sue attività: dopo che già la Cronica era entrata in circolazione si procedette a questa pubblica lettura che dava al testo maggiore autorevolezza e conferiva prestigio al suo vecchio autore.

Questa notizia aggiunta a fine opera richiama una sorta di ante-prologo che nei codici accompagna la cronaca e precede il prologo d’autore: si tratta di un brevissimo riassunto, quasi un’interpretazione, del contenuto della cronaca. Un elenco di vescovi cittadini e uno di podestà padovani accompagna il testo della Cronica nei più antichi codici.

La Cronica, pur ricoprendo un intero secolo di vicende della Marca trevigiana, si concentra prevalentemente su un solo decennio. Per ricostruire i fatti Rolandino condusse alcune ricerche, ma – forse per i tempi stretti che l’urgenza politica imponeva alla stesura dell’opera – non per tutti gli aspetti riuscì a informarsi adeguatamente. Sono soprattutto i capitoli in cui il ritmo del racconto rallenta a mostrare come la sua ricostruzione sia stata incompleta: così narrando le persecuzioni inflitte da Ezzelino ai padovani incorre in qualche ripetizione, come quando ricorda per due volte la morte del magister Michele di Cremona (Vita e morte..., cit., pp. 326, 346); mentre per redigere le battute finali, quelle dedicate all’ultima fase della parabola ezzeliniana, non riucì a procurarsi sufficienti informazioni. L’autore prova a rimediare alle lacune infarcendo le sue pagine con digressioni – come quelle sull’astrologia analizzate da Manlio Pastore Stocchi – e riflessioni moraleggianti, poi ammette, quasi con fastidio, che non è suo compito registrare i fatti che si stanno svolgendo in Lombardia: toccherà a qualche lombardo intraprendere questa fatica (pp. 478, 498). L’orizzonte del cronista non coincide quindi con quello della politica ezzeliniana, ma è più limitato e riguarda la sola Marca trevigiana.

Scritta in un ottimo latino, ricca di informazioni e autorevole per le caratteristiche del suo autore, la cronaca di Rolandino ebbe lunga diffusione a Padova nei secoli XIV e XV. La utilizzarono largamente Guglielmo Cortusi nella prima metà del Trecento e gli anonimi compilatori dei Gesta magnifica domus Carrariensis a fine secolo. Ancora nel Quattrocento l’opera è attestata con il titolo di Ecerina o di Rolandina, ma dalla fine del XV secolo il ruolo di principale fonte per la storia di Ezzelino spettò alla Vita di Ezzelino di Pietro Gerardo, un testo redatto probabilmente nel Quattrocento che in buona misura è costituito dal volgarizzamento della cronaca di Rolandino, ma pretende di essere l’opera di un autore duecentesco.

Opere. Chronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di A. Bonardi, in RIS2, VIII, 1, Città di Castello 1905-1908; Vita e morte di Ezzelino da Romano, a cura di F. Fiorese, Milano 2004.

Fonti e Bibl.: G. Arnaldi, Studi sui cronisti della Marca trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, Roma 1963 (rist. anast. con postfazione di M. Zabbia, Roma 1998, pp. 79-208); G. Billanovich, Il preumanesimo padovano, in Storia della cultura veneta, II, Il Trecento, Vicenza 1976, pp. 19-21; P. Marangon, La “Quadriga” e i “Proverbi” di maestro Arsegino. Cultura e scuole a Padova prima del 1222, in Quaderni per la storia dell’università di Padova, IX-X (1977), p. 15 (rist. in Id., “Ad cognitionem scientiae festinare”. Gli studi nell’università e nei conventi di Padova nei secoli XIII e XIV, Trieste 1997, p. 16); G. Fasoli, Un cronista e un tiranno. R. da Padova ed Ezzelino da Romano, in Atti dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna. Rendiconti della Classe di scienze morali, LXXII (1983-1984), pp. 25-48; M. Pastore Stocchi, Ezzelino e l’astrologia, in Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, II, Roma 1992, pp. 509-522.

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