Polański, Roman

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Regista, sceneggiatore e attore polacco, di famiglia ebrea, naturalizzato francese (n. Parigi 1933). La sua produzione cinematografica appare dominata da ossessioni: la circolarità e il ritorno, l'acqua, la claustrofobia, il delirio e l'allucinazione sono temi ricorrenti, che conferiscono alle sue opere una fisionomia d'autore mai venuta meno, coniugata con storie e ambientazioni disparate e segnata da una consolidata celebrità internazionale. I suoi film hanno ottenuto premi e riconoscimenti sia in Europa sia negli Stati Uniti: Cul-de-sac (1966) ha ricevuto l'Orso d'oro al Festival di Berlino e il premio della critica alla Mostra del cinema di Venezia; The pianist (2002) ha vinto la Palma d'oro al Festival di Cannes e nel 2003 l'Oscar per la regia.

Vita e opere

Poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale la famiglia era rientrata da Parigi in Polonia, andando incontro alla persecuzione dei nazisti e alla deportazione, cui Roman, bambino, sfuggì solo perché affidato sotto falso nome a una famiglia cattolica. Ammesso nel 1955 alla famosa Scuola di cinema di Łódź, ne uscì diplomato nel 1959, imponendosi in breve, per il suo spirito ribelle e anticonformista, come uno dei più interessanti registi polacchi. La filmografia di P. non può infatti non partire dai corsi scolastici di Łódź, durante i quali realizzò alcuni cortometraggi che restano esempi insuperati (Rower, La bicicletta, 1955; Morderstwo, Il crimine, 1956; Rozbijemy zabawę, Interrompiamo la festa, 1957; Dwaj ludzie z szafą, Due uomini con un armadio, 1958; Le gros et le maigre, girato a Parigi, 1961 e Ssaki, I mammiferi, 1962) in cui già appaiono temi tipici del regista: in particolare quello delle «strane coppie» e quello della circolarità, nonché situazioni da teatro dell'assurdo. È esemplare la concezione di tali opere: per P. infatti il cortometraggio di finzione non può essere un film di lunghezza ridotta, ma deve avere una sua particolare struttura, fatta di dialoghi ridotti al minimo (se non assenti), rumori e musica usati come interpunzioni sonore, realismo poetico (o allegorico) che spesso sconfina nel surreale. Trasferitosi a Parigi, P. apprezzò le prime opere della Nouvelle vague, pur riscontrandovi un eccesso di intellettualismo. Conobbe lo scrittore Gérard Brach, futuro co-sceneggiatore di quasi tutti i suoi film, e girò ad Amsterdam La rivière de diamants, un episodio del collettivo Les plus belles escrocqueries du monde (1964). Nel 1966 riuscì finalmente a girare Cul-de-sac, che il regista ha sempre considerato uno dei suoi film migliori. Dopo The fearless vampire killers, noto anche con il titolo Dance of the vampires (Per favore… non mordermi sul collo!, 1967), divertente parodia dei film di vampiri ‒ durante la cui lavorazione si innamorò e sposò l'attrice Sharon Tate (fino alla tragica morte di lei, per opera della «famiglia» criminale di Ch. Manson) ‒, P. realizzò a Hollywood Rosemary's baby (1968), forse il suo film più famoso, condotto consciamente sul filo dell'ambiguità: l'intrigo satanico e la possessione in cui Rosemary è irre-tita potrebbero non essere altro che un incubo e la nascita del bambino demoniaco un prodotto dell'immaginazione di una donna spaventata dalla maternità. Per sfuggire al clima morboso alimentato attorno a lui negli Stati Uniti, specie dopo la morte della moglie, P. tornò temporaneamente in Europa: in Inghilterra si misurò con W. Shakespeare, girando Macbeth (1971) e in Italia realizzò Che?, noto anche con il titolo What? (1972). Ma la sua carriera continuò a svilupparsi tra i due continenti: di nuovo negli Stati Uniti realizzò Chinatown (1974), la cui sceneggiatura, scritta da Robert Towne che per essa ottenne un Oscar, ricalca i grandi classici del cinema noir americano tratti da D. Hammet e R. Chandler. Poi in Europa, dopo una regia teatrale al Festival di Spoleto nel 1975 (Lulu di A. Berg), P. girò in Francia Le locataire (L'inquilino del terzo piano, 1976), dove è anche interprete del personaggio di un modesto emigrato polacco a Parigi, immerso in un clima allucinatorio e forse vittima di una scissione della personalità o di una possessione diabolica. Tornato ancora una volta negli Stati Uniti, fu poi costretto a lasciare il Paese dopo un'accusa di stupro e una breve carcerazione; girò in Europa Tess (1979) dal romanzo di Th. Hardy, cui seguì un periodo di forzata inattività, durante il quale dovette limitarsi a qualche regia teatrale e scrisse un'autobiografia (Roman, 1984; trad. it. 1984). Al cinema, P. si è riaccostato solo nel 1986, con Pirates, un vecchio progetto realizzato peraltro in modo non del tutto convincente. È tornato poi al grande successo, anche di pubblico, con Frantic (1988), storia di spionaggio dalle atmosfere hitchcockiane ambientata in una Parigi labirintica. Nel 1992 ha realizzato Lunes de fiel, noto anche come Bitter Moon, in cui il progressivo deteriorarsi dei rapporti all'interno di una coppia è raccontato dal marito stesso durante una crociera a un estraneo, con impreviste ricadute anche sul ménage di quest'ultimo. Ambiguo è anche il rapporto che in Death and the maiden (La morte e la fanciulla, 1985) lega una coppia di coniugi, già perseguitati politici, a un terzo personaggio incontrato per caso, nel quale la moglie crede di riconoscere colui che, anni prima, l'aveva violentata e torturata. La carriera di P., in seguito, è risultata ricca di progetti per varie ragioni non realizzati, fino a The ninth gate (1999), in cui l'autore è tornato ai prediletti temi del diabolico e dell'occulto seguendo le indagini di un detective (Johnny Depp) incaricato di ritrovare le tracce di antichi libri satanici. Girato con grande professionalità e con la solita maestria, il film non aggiunge tuttavia molto di nuovo al profilo complessivo, ormai consolidato, del regista. Con The pianist (2002) ha invece realizzato uno dei suoi film più compiuti, coniugando le ossessioni kafkiane, legate alla costruzione onirica dello spazio, con toni commossi e autobiografici nella ricostruzione della persecuzione antisemita sullo sfondo del ghetto di Varsavia devastato dai nazisti, attraverso la testimonianza di un giovane pianista ebreo in fuga. Tra le sue regie più recenti: Oliver Twist (2005); il thriller politico The ghost writer (2010) con cui ha vinto il l'Orso d'argento al Festival di Berlino; Carnage (2011); Venus in fur (2013); D'après une histoire vraie (Quello che non so di lei, 2018); J'accuse (L'ufficiale e la spia, 2019; premio della giuria alla Mostra del cinema di Venezia e premio César come miglior regista); The Palace (2023). Attore assai efficace sia in propri film che per altri registi, P. si è dedicato anche al teatro come regista (Amadeus di P. Shaffer, 1981) e interprete (La métamorphose, dal racconto di F. Kafka, 1988). Nel 2012 è stato presentato al festival di Cannes il film-intervista Roman Polanski: a film memoir (2011), girato da L. Bouzereau nel corso di numerosi incontri avuti con il regista nell'inverno del 2009.

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