ROMANIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

ROMANIA (XXX, p.1; App. I, p. 981; II, 11, p. 740; III, 11, p. 631)

Elio Manzi
Rita Di Leo
Francesco Guida
Rosa Del Conte
Sergio Rinaldi Tufi
Ion Frunzetti

Dal 1968 la repubblica di Romania è divisa in 40 distretti (judete), 236 città (oras), di cui 47 considerate aree urbane maggiori, ossia municipalità, e 2706 comuni. La capitale Bucarest (1.934.025 ab. nel 1977 nell'agglomerato urbano) è una municipalità con qualifica di distretto (v. tabella).

Bucarest, di gran lunga il centro più cospicuo, continua a esercitare una forte attrazione su tutto il paese, ma notevoli e in incremento sono pure le realtà urbane di Cluj-Napoca (262.421). Timişoara (268.785), Iaşi (264.947), Costanza (256.875) oltre a Galati (239.306) e Braşov (257.150), l'importante centro industriale che ha ripreso il nome originario che nel 1948 era stato cambiato in Orasul Stalin.

Condizioni economiche. - L'agricoltura conserva un ruolo di primo piano. Importanti sono le tradizionali produzioni cerealicole: frumento (67.300.000 q nel 1976) mais (117.000.000 di q); cospicue pure le quantità di orzo, segale, avena, con forti incrementi rispetto a un quindicennio addietro. Anche la coltura della patata (31.500.000 q nel 1976) è in aumento, ma soprattutto va segnalata l'espansione recente del pomodoro (62.000 ha e 12.000.000 di q), della frutticoltura e della viticoltura. La coltura del girasole è anch'essa in espansione (540.000 ha e 8.000.000 di q), al pari della barbabietola da zucchero (285.000 ha e 70.000.000 di q).

Il patrimonio zootecnico risulta fortemente accresciuto: nel 1976 era costituito da 5.912.000 bovini, 8.813.000 suini, 14.310.000 ovini e caprini, oltre a pollame per oltre 79.000.000 di capi. In decremento solo gli equini (563.000 capi) a causa della meccanizzazione agricola. In forte incremento è anche la produzione di seta naturale (800.000 kg di bozzoli nel 1972). Nel 1971 si contavano 4601 fattorie collettive, contro solo 200 fattorie di stato (erano 731 nel 1966) e 772 stazioni di meccanizzazione agricola, dotate di oltre 80.000 trattori. La collettivizzazione ha interessato più del 90% delle terre coltivabili, ma negli anni recenti l'Unione nazionale delle cooperative agricole incoraggia l'autogestione autonoma delle aziende, pur nell'ambito della pianificazione. Nel 1971 le aree irrigue si estendevano per 956.000 ha.

La produzione di petrolio ha raggiunto 14.652.000 t (1977) e il gas naturale è stato estratto per ben 29.834 milioni di m3, mentre ancora importante è l'estrazione del carbon fossile (7.368.000 t nel 1977). Nell'ambito di una decisa politica d'industrializzazione si è cercato di distribuire spazialmente gl'interventi nei vari settori per ovviare ai forti contrasti esistenti tra le varie regioni. L'ubicazione dei nuovi impianti industriali si è basata su tre criteri diversi: l'avvicinamento ai luoghi di produzione della materia prima o alle aree di consumo (è il caso delle raffinerie di Ploieşti e di Tîrgovişte, delle fabbriche di materiali da costruzione di Bucarest, di Cluj, di Braşov); la creazione d'industrie in regioni con abbondante mano d'opera e limitate risorse di materie prime (industria leggera, tessile e dell'abbigliamento: Botoşani, Iaşi); i grandi investimenti (in pratica oltre la metà delle più recenti unità industriali) nelle aree con poche risorse e basse densità di popolazione, dove i poli di sviluppo industriale e urbano sono necessari (Dobrugia, Moldavia, alta Oltenia). Tali realizzazioni hanno determinato imponenti flussi migratori interregionali, e si è generalizzata la tendenza all'esodo di popolazione dalle campagne alle città.

Il turismo ha conosciuto di recente un forte sviluppo (spiagge del Mar Nero, Transilvania, centri storici, bocche del Danubio) anche per il miglioramento delle vie di comunicazione. Nel 1976 la R. disponeva di 12.945 km di strade nazionali, di cui quasi 10.000 km adeguati al traffico attuale. Bǎneasa per il traffico internazionale e Otopeni per il traffico interno sono i due aeroporti di Bucarest, i maggiori del paese.

Il commercio estero romeno si è assai evoluto e diversificato negli ultimi anni; in passato esportatrice di prodotti agricoli e minerari e importatrice di macchinari e prodotti finiti, la R. fruisce di uno scambio commerciale più equilibrato, esportando anche macchinari e numerose merci lavorate. La bilancia commerciale è in sostanziale pareggio (1971; importazioni per 12.616 mil. di lei, esportazioni 12.606;1976: importazioni 30.294, esportazioni 30.504). I partners principali non sono più soltanto l'URSS o i paesi dell'Est europeo, ma anche quelli dell'Europa occidentale, e financo la Cina popolare.

Bibl.: J.M. Montias, Economic development in communist Romania, Cambridge (Mass.) 1968; V. Tufescu, C. Herbst, The new administrative-territorial organization of Romania, in Rev. Roum. de Géol., Géophys. et Géogr. - Série de Géographie, 1969; C. Stan, Industrialisation et urbanisation en Roumanie, ibid.

Economia. - Nel periodo 1960-75 la R. ha realizzato uno dei più rapidi processi d'industrializzazione del mondo, alla pari con il Giappone. Le condizioni di decollo erano molto arretrate rispetto alla media degli altri paesi socialisti europei. L'indice di popolazione attiva in agricoltura era, nel 1960, del 65,6%; e l'esportazione di materie prime raggiungeva più del 70% del totale delle esportazioni. Lo stato di sottosviluppo in cui versava l'economia derivava in gran parte dalla politica economica impostale dalla comunità socialista. Per essa, data l'abbondanza di materie prime e di petrolio del suolo, era conveniente per la R. rimanere paese fornitore dell'Est europeo, senza sottoporsi a una trasformazione industriale accelerata. Con gli anni Sessanta la R., rifiutato questo ruolo economico subalterno, è riuscita a impostare un'industrializzazione multilaterale. Ha cominciato così a sfruttare per sé la sua ricchezza.

La disponibilità e la varietà di materie prime, superiori al fabbisogno, e le eccedenze di prodotti agricoli collocabili sui mercati occidentali, consentivano di comprare ovunque macchine e impianti industriali. Difatti il modello di sviluppo romeno venne programmato, accostando il tradizionale metodo estensivo di marca sovietica a quello intensivo. Secondo il primo metodo, fu innanzitutto perseguita la massimalizzazione della produzione senza preoccuparsi del costo; l'impiego del capitale nell'industria pesante raggiungeva quote superiori all'80% degl'investimenti, la riserva di manodopera era abbondante e a basso costo. Secondo l'altro metodo, grazie alle condizioni esistenti, fu possibile scegliere l'espansione dei settori industriali più moderni, come l'elettrotecnica, l'elettromeccanica, la chimica. Si crearono stabilimenti dotati dei più moderni impianti tecnologici, acquistati in Occidente, dove si poteva contenere l'uso della manodopera. La maggiore produttività del lavoro dei settori di punta compensava quella molto più bassa dell'industria leggera e alimentare, dove le attrezzature erano rimaste arretrate, semiartigianali. Quanto all'agricoltura, dopo un primo periodo d'incertezza, la collettivizzazione fu ripresa e portata a termine entro la metà del Sessanta, senza che, però, parallelamente aumentassero gl'investimenti nel settore.

Per tutto il 1960 l'allocazione dei capitali continuò a essere prioritariamente indirizzata verso l'espansione e il potenziamento della base industriale. L'obiettivo era la trasformazione dell'export-import. Il sistema economico romeno doveva essere messo in grado di estrarre, raffinare e anche usare il petrolio in casa, e cioè diventare esportatore di manufatti industriali di qualità sul mercato mondiale. In tale direzione si muoveva una politica economica abbastanza spregiudicata, autonoma dall'Est e dall'Ovest. L'urgenza e i fini dell'industrializzazione multilaterale emarginavano anche la problematica delle riforme di gestione. Le modeste innovazioni in direzione delle imprese avevano messo in luce l'indisponibilità del sistema ancora rigidamente centralizzato, a funzionare secondo il modulo ungherese del piano-mercato.

E dunque dal movimento di riforme in corso nell'Est europeo e nell'URSS si mutuarono solo le iniziative che assicuravano un maggiore controllo sul funzionamento complessivo dell'economia. Così dopo il 1970 sono stati formati anche in R. i consorzi industriali che raggruppano piccole e medie aziende allo scopo di meglio pianificarne la redditività e sono stati adottati i metodi d'incentivazione materiale. Nonostante la concentrazione degli sforzi e l'attenzione per il progresso tecnologico, negli ultimi anni, anche l'economia rumena ha denunziato una diminuzione del ritmo di crescita della produzione, industriale e agricola. Di conseguenza il piano 1971-75 ha previsto, molto realisticamente, un più ridotto tasso d'incremento del reddito nazionale, una crescita industriale minore, sostenuta, però, da una forte quota d'investimenti così da compensare la caduta di efficienza del capitale. Allo stesso tempo si è programmato un intervento nel settore agricolo, per avviare la meccanizzazione sinora trascurata.

Ma il riassestamento dell'economia è stato prima riconsiderato alla luce della crisi petrolifera occidentale, e poi travolto dal disastroso terremoto del 1977. La R. si è trovata costretta a indebitarsi fortemente con l'estero e ha scelto di farlo con l'URSS e la comunità socialista. È difficile prevedere quali conseguenze subirà il suo modello d'industrializzazione multilaterale.

Bibl.: Annuario statistico romeno, pubblicazione della direzione centrale di Statistica, Bucarest; J. Montias, the economic development of Rumania, Cambridge 1967; J. Préjean, Essai et perspectives de la République socialiste de Roumanie, in Économie et politique, n. 139, Parigi 1967; S. Fisher-Galati, The new Rumania, Cambridge 1967; G. Wild, Le développement économique de la Roumanie, in Notes et études documentaires, Parigi 1972; I. Spigler, Economic reforms in East European industry, Londra 1973; M. Lavigne, Le economie socialiste europee, Roma 1974.

Storia. - La politica romena negli anni Sessanta è stata caratterizzata da un progressivo allontanamento dall'URSS, culminato con la cosiddetta dichiarazione d'indipendenza dell'aprile 1964 e con la decisione, resa pubblica nell'agosto 1968, di contrastare con le armi un'eventuale invasione. Questa tendenza si è affermata, per alcuni aspetti, come un tardivo riflesso della destalinizzazione: la condanna da parte di Cruščëv, al XXII congresso del PCUS, delle ingerenze staliniane nella vita interna delle repubbliche popolari offrì infatti ai Romeni l'occasione per affermare la propria autonomia dalle interferenze esterne. Ma altri fattori favorirono decisamente questo nuovo corso della politica romena; la necessità per la R. di non adeguarsi ai progetti economici del Comecon, che la relegavano in un ruolo subordinato di paese scarsamente industrializzato, e la forza crescente di una nuova classe di politici e di tecnici, che non poteva accettare che il paese si sviluppasse secondo le direttive degli anni Cinquanta. Il Partito Operaio Romeno (PMR) subì sostanziali trasformazioni, portando già nel 1960 a 850.000 gl'iscritti (da 600.000 nel 1955), in maggioranza operai, tecnocrati, managers. Contemporaneamente il III congresso del PMR (1960) mise in luce l'aspirazione a una reale indipendenza del paese; il gruppo dirigente (Gheorghiu-Dej, Apostol, Ceauşescu, Stoica, Maurer, Bodnaraş, Draghici, Moghioroş) dimostrò notevole omogeneità, allargando il Comitato centrale che lo esprimeva da 92 a 110 membri, con l'inserimento di tecnici. Con la campagna elettorale del febbraio-marzo 1961 si cominciò a parlare di "patriottismo socialista", che sul piano interno significava chiedere la collaborazione di ampi strati di popolo e di intellettuali al programma del partito; sin dal 1962 l'iscrizione venne concessa "senza distinzione di classe sociale", persino a elementi contadini rimasti fino a quel momento ai margini della vita politica e a personalità dei partiti scomparsi con l'avvento del nuovo sistema sociale. A partire dalla fine del 1960 il governo romeno, insoddisfatto della risposta data dai sovietici alla richiesta di aiuto economico e di non ingerenza negli affari interni romeni, prese ad allacciare più stretti rapporti con l'Occidente (accordi economici con Italia e SUA del 1961), con i paesi comunisti "eretici", Cina e Iugoslavia, e col Terzo Mondo (viaggio di Gheorghiu-Dej e Maurer in India e Indonesia dell'agosto 1962). Le crisi (Berlino, Cuba) rallentarono ma non interruppero questa politica, velata nel giugno 1962 (vertice di Mosca del Patto di Varsavia) solo dall'ambiguità dei comunicati ufficiali; né valsero a comporre il nascente dissidio i due vertici del Comecon a Bucarest (dicembre 1962) e a Mosca (febbraio 1963). Un seguito di affermazioni e gesti significativi da parte romena (rivendicazione del merito di aver recuperato l'indipendenza con le proprie forze nel 1944, condanna delle "quinte colonne" sovietiche o cinesi in altri paesi, attribuzione alla R. di un ruolo di terza forza nel blocco comunista, rivendicazione della Bessarabia, chiusura dell'istituto di cultura sovietica in R., latinizzazione dell'alfabeto, assunzione di una posizione autonoma all'ONU) prepararono la "Dichiarazione riguardo alla posizione del PMR sui problemi del movimento internazionale comunista e operaio", formulata dal Comitato centrale riunito in seduta plenaria e allargata tra il 15 e il 22 aprile 1964, dopo un'infruttuosa missione conciliativa a Pechino e Mosca di Maurer, Ceauşescu, Bodnaraş, Stoica. La dichiarazione rendeva pubblici i termini del dissidio, che la caduta di Chruščëv e la guerra del Vietnam non valsero a comporre. I rapporti con l'Occidente, massime con la Francia, s'intensificarono ulteriormente, mentre le missioni diplomatiche non comuniste presenti a Bucarest venivano via via elevate al rango di ambasciate. Neppure con la morte di Gheorghiu-Dej (19 marzo 1965) cambiarono i rapporti con l'URSS, ché il nuovo leader Ceauşescu (v.) continuò nella politica di autonomia, cercando anzi di sottrarla alla politica internazionale e di legarla agl'interessi e alle tradizioni del paese.

Il IV congresso del PMR ne mutò il nome in Partito comunista romeno; cambiò anche la denominazione dello stato (Repubblica socialista di Romania), cui fu data una nuova costituzione. In sostanza il partito fu reso più rappresentativo ma anche più disciplinato e potente. Insieme con la ristrutturazione del partito (aprile 1966) l'inizio della nuova conduzione politica vide la nascita del Comitato nazionale delle ricerche scientifiche, dell'Unione generale dei sindacati, dell'Accademia di scienze socio-politiche "Ştefan Gheorghiu" (in sostituzione della Scuola superiore di partito), dell'Automobil Club romeno, dell'istituto per lo studio della congiuntura economica internazionale; e infine l'approvazione di leggi riguardanti una regolamentazione dell'aborto, del divorzio e delle pensioni. La conferenza nazionale del partito del dicembre 1967 lanciò quindi una politica economica che, sull'esempio di altri paesi socialisti, concedeva un'autonomia amministrativa a grandi unità locali formate da più imprese (Unioni industriali), senza mai però accettare la logica del mercato (legge sui prezzi del 16 dicembre 1971) e mantenendo un indirizzo centralistico (creazione del Consiglio supremo per lo sviluppo economico-sociale nel marzo 1973). Sul piano internazionale, da segnalare la visita di Ciu En Lai a Bucarest nel giugno 1966, il frequente scambio di visite con i dirigenti iugoslavi, lo stabilimento di rapporti diplomatici con la Rep. Fed. di Germania (31 gennaio 1967), il doppio incontro romeno-sovietico a Mosca (marzo e dicembre 1967), inframezzato dalla visita del ministro degli Esteri W. Brandt a Bucarest (3-7 agosto 1967). Nel 1968 la politica estera ha fatto passare in secondo piano l'approvazione di leggi riguardanti una ristrutturazione amministrativa del paese (connessa con la nuova politica economica), l'insegnamento, l'istituzione della Banca romena per il commercio estero, l'adozione di un nuovo codice penale. Nel maggio de Gaulle si recò in visita ufficiale a Bucarest; contemporaneamente la R. sviluppò cordiali rapporti con la Cecoslovacchia di Dubček, con la quale firmò nell'agosto un trattato di mutua assistenza.

Il 21 agosto una sessione comune del Comitato centrale del PCR, del Consiglio di Stato e del governo approvò una risoluzione in difesa dell'autonomia delle singole nazioni socialiste, quando l'invasione della Cecoslovacchia da parte dei paesi del Patto di Varsavia - con l'eccezione della R. - era in pieno svolgimento: Ceauşescu dichiarò che il paese era pronto a difendersi contro eventuali aggressioni. Il giorno seguente la Grande assemblea nazionale adottò una Dichiarazione sui princìpi di base della politica estera della R., che venne trasmessa ufficialmente ai governi di tutto il mondo e all'ONU. L'affermarsi nel paese della teoria della guerra di popolo come autodifesa contro un nemico preponderante portò a un seguito di iniziative, quali la creazione delle guardie patriottiche e di un Consiglio della difesa, la legge per la preparazione dei giovani alla difesa della patria e, nel dicembre 1972, la legge sull'organizzazione della difesa nazionale. Nel 1968 si ebbero alcuni segni di liberalizzazione, come la riabilitazione di diverse vittime del regime stalinista, alcune concessioni fatte alle minoranze etniche magiara e tedesca, una certa libertà concessa agl'intellettuali e la fondazione del Fronte di unità socialista in cui sono rappresentate le principali organizzazioni di massa, pubbliche e professionali, e i Consigli operai delle minoranze etniche.

Quindi Ceauşescu tornò a prendere parte ai vertici del Patto di Varsavia e del Comecon (marzo-aprile 1969); inoltre si recò a Mosca e a Varsavia (maggio 1969), per scambi di opinioni con i dirigenti sovietici e polacchi, e di nuovo a Mosca per la conferenza internazionale di 75 partiti comunisti (5-17 giugno 1969). Il 2 agosto 1969 R. Nixon giunse a Bucarest per una significativa visita ufficiale. Dal 6 al 12 agosto dello stesso anno si svolse il X congresso del PCR, che decise la prosecuzione dell'edificazione di una società socialista multilateralmente sviluppata. Pur mantenendo il suo posto nel Comecon e nel Patto di Varsavia, la R. rimase dunque su posizioni di fronda che solo a tratti sono apparse chiare agli osservatori politici e che, nonostante il trattato romeno-sovietico di mutua assistenza del 7 luglio 1970, nel quale però i Romeni seppero salvaguardare le proprie posizioni, condussero a un nuovo momento di tensione nell'estate 1971, quando sembrò possibile un intervento armato del Patto di Varsavia in Romania. All'interno, contemporaneamente, si chiuse il periodo di liberalizzazione, e insieme furono eliminati alcuni elementi filosovietici. La questione cecoslovacca non è più stata sollevata, ma il gruppo dirigente del PCR ha assunto un atteggiamento di appoggio al revisionismo dei comunisti occidentali (italiani, francesi, spagnoli) ribadendo che "la diversità delle condizioni storiche, nazionali e sociali si riflette... sulle forme di edificazione socialista di ogni paese". Buone relazioni sono state mantenute con l'Albania, e in collaborazione con la Iugoslavia è stata realizzata la costruzione di una centrale idroelettrica alle Porte di Ferro, in funzione dal 1973. In generale i dirigenti romeni hanno cercato di stringere rapporti più serrati con gli stati balcanici, anche non comunisti come la Grecia, per giungere alla denuclearizzazione della regione. La R. ha mantenuto la sua neutralità tra URSS e Cina, e ha sviluppato ulteriormente i contatti con l'Occidente e il Terzo Mondo: Ceauşescu si è recato in visita ufficiale a Pechino nel 1971, e tre volte negli SUA nel periodo 1970-75; Ford ha ricambiato la visita nel 1975. La R. è stata tra le più accese fautrici del trattato per la sicurezza europea, inteso come garanzia per la propria indipendenza, assumendo anche nel 1980 un atteggiamento di condanna dell'invasione sovietica dell'Afghānistān.

Il 1977 è stato caratterizzato da due eventi di notevole importanza: nel marzo, un terremoto che ha causato migliaia di morti e danni valutati due miliardi di dollari; nell'agosto, uno sciopero senza precedenti, dei minatori di Petroşani (valle del Jiu), che ha portato a un aumento dei salari della categoria e all'allontanamento del ministro e dei viceministri ritenuti responsabili. Nel novembre 1977, a causa dei ritardi nella ricostruzione dopo il terremoto, sono stati effettuati ulteriori mutamenti nella compagine di governo; in campo economico si è evidenziato il fenomeno della scarsa produttività e dell'assenteismo, che contrasta con gli ambiziosi programmi di sviluppo. Il 1978 (durante il quale Ceauşescu ha effettuato importanti missioni negli SUA, in Cina, in Corea e nel Vietnam) ha visto risorgere la spinosa questione della minoranza magiara ad opera di K. Kiraly, ungherese, ex membro della Direzione del PCR.

Bibl.: D. Floyd, Rumania Russia's dissident ally, New York-Washington-Londra 1965; S. Fischer-Galati, The new Rumania, Cambridge-Londra 1967; J.M. Montias, The economic development of Rumania, Cambridge, Mass., 1967; id., Aspects des relations russo-roumaines, Parigi 1967; M. Constantinescu, C. Daicoviciu, S. Pascu, Istoria României, Bucarest 1971; C. Giurescu, D. Giurescu, Istoria Românilor din cele mai vechi timpuri, şi pinǎ ástǎzi (Storia dei Romeni dai tempi più antichi sino a oggi), ivi 1971; Hindernisse der rumänischen Wirtschafts reform, in Wissenschaftlicher Dienst Südosteuropa, XVII (1968), pp. 173-75; id., Das neue rumänische Preissystem, ibid., XXI (1972), pp. 18-20; Das neue rumänische verteidingusgesetz, ibid., XXII (1973), pp. 20-23; N. Ceauşescu, Raport la cel de-al X-lea congres al PCR (Rapporto al X congresso del PCR), Bucarest 1969; F. Fejtö, A history of the people's democracies, Harmondsworth 1974; Congresual al XI-lea al PCR (Atti dell'XI congresso del PCR), Bucarest 1975.

Letteratura. - Si può adottare per l'ultimo trentennio una periodizzazione abbastanza precisa. I primi quindici anni, seguiti alla rivoluzione (23 agosto 1944), sono impegnati in una denuncia della letteratura precedente, condannata in blocco come ermetica e decadente: la sconfitta militare e l'avvento della repubblica socialista favoriscono l'affermarsi del romanzo (e in genere della creazione letteraria), cui offre vitale elemento la rappresentazione della classe operaia, fino allora trascurata, e per di più assicurano un nuovo angolo di visuale, che non è più quello del realismo critico, come nel periodo interbellico. Il realismo socialista - il termine e la dottrina appartengono alla critica russa - offre allo scrittore i principi per la rappresentazione completa della realtà sociale. Dotato di una coscienza ideologica, l'artista non si limiterà più alla denuncia delle contraddizioni, ma s'impegnerà a proporre modelli di lotta per eliminarle. Perciò al centro del suo interesse si colloca l'eroe positivo, che identifica le sue con le aspirazioni della collettività e sacrifica tutte le sue energie al conseguimento di una felicità collettiva.

Fra gli scrittori che, pur già affermati, cercano per primi d'inserirsi nella problematica collegata alla nuova situazione politico-sociale o di riesaminare figure del passato (N. Bǎlcescu, per es.) muovendo da un nuovo angolo di visuale, ricorderemo soltanto M. Sadoveanu (1880-1961) e C. Petrescu (1884-1957). Ma la realizzazione più felice di questo primo momento è il romanzo di uno scrittore sino ad allora noto solo come poeta, Z. Stancu (1902-1974). Il suo romanzo Desculţ, "Lo scalzo", 1948, inizia un ampio ciclo che dal periodo prebellico giunge ai primi anni della democrazia popolare (Rǎdǎcinile sînt amare, "Le radici sono amare", 1958). Ma il timbro lirico del primo volume è rimasto insuperato. Purtroppo, come si è detto, il nuovo romanzo socialista deve svilupparsi entro uno schema ideologico abbastanza rigido: da Temelia, "La base", 1951, di E. Camilar (1910-1965), primo romanzo sull'organizzazione agricola collettiva, a Pîinea albǎ, "Il pane bianco", 1952, di D. Mircea (nato nel 1924), romanzo oggi dimenticato, e che pur deve il suo successo al rigore con cui vengono posti i problemi connessi alla collettivizzazione agricola. Accade anche che il conflitto (si svolga esso sullo sfondo di una civiltà contadina o insorga nell'ambiente della fabbrica) riesca a trovare accenti di romanticismo rivoluzionario, cui tuttavia persino la critica ufficiale sarà costretta talvolta a riconoscere "carattere spettacolare ed univoco". Indichiamo fra gli altri: di E. Galan (1921), zorii robilor, "L'alba dei servi", 1950; di D. Deşliu (1927), Minerii din Maramureş, "I minatori del Maramureş", 1951; di I. Cǎlugǎru (1920-1956), Oţel şi pîine, "Acciaio e pane", 1950. Ben presto anche questo afflato di natura eroica si mortificherà in schematismo conformista. Per comprendere del resto come la letteratura del quinto decennio, per rimanere ligia a una tipologia astratta, si autocondannasse all'anchilosi dell'inautentico, basti considerare il fatto che, nel 1954, un romanziere nato nel 1924, F. Munteanu, per aver osato violare, nel romanzo In oraşul de pe Mureş, "Nella città sul fiume Mureş", il tabù dell'eroe positivo, al fine di "restituire anche al militante comunista una misura umana" provocherà uno scandalo. È necessario un lento processo perché gli scrittori più coraggiosi e più dotati riescano ad affrancarsi dal convenzionalismo, che li vuole legati alla prospettiva falsa di un ottimismo edulcorato, restituendo l'uomo al rischio dell'errore e dello scacco, e l'umana vicenda alle leggi del dolore e della morte.

Fra gli scrittori nati nel decennio 1920-30, cui dobbiamo opere di sicura validità, meritano rilievo almeno: E. Barbu (1924), con il romanzo Groapa, "La fossa", 1957, cui seguiranno Şoseaua Nordului, "La strada del Nord", 1959, Facerea lumii, "La genesi", 1964 e, nel 1973, Princepele, "Il Principe", una delle opere più notevoli degli ultimi trent'anni; T. Popovici (1930), che pubblica nel 1955 Strǎinul, "Lo straniero", e nel 1958 Setea, "La sete"; e soprattutto M. Preda (1922), prosatore di forte tempra, fedele a un suo stile di riflessione critica, onesta e coraggiosa. Impostosi con un romanzo, Moromeţii, "I Moromete", 1955, il cui seguito apparirà soltanto a distanza di dodici anni dal primo volume (1967), egli è riuscito a creare un tipo di contadino, diverso da quelli del Sadoveanu o del Rebreanu, ma altrettanto autentico e vitale sul piano psicologico e artistico. Un posto a sé occupano gli scrittori che adottano la forma del rendiconto di viaggio, come G. Bogza (1908), con Cartea Oltului, "Il libro dell'Olt", iniziato nel 1939, e quelli che si avventurano nella fantascienza e nella "futurologia", come I. Habanǎ (1931) con Viitorul a început ieri, "Il futuro è cominciato ieri", 1966, e Vl. Colin (1921) con Viitorul al doilea, "Futuro anteriore", dello stesso anno.

Il campo della poesia è dominato sempre, dopo un silenzio di qualche anno, dalla personalità eccezionale di Tudor Arghezi (1880-1967). Ma il corifeo del lirismo "militante" è Beniuc, che del resto continua una sua linea d'ispirazione civica e politica; ma aderiscono ai nuovi temi e moduli anche poeti già noti come M. Breslaşu (1903-1966), M. R. Paraschivescu (1911-1971) e, con un successo di grande risonanza, E. Jebeleanu (1911), evocatore delle immani tragedie contemporanee (Surîsul Hiroshimei, "Il sorriso di Hiroshima", 1956-58, premio Etna-Taormina 1970). Fra le rappresentanti femminili della lirica si distingue per l'impegno civico M. Banuş (1914), con un poema d'ispirazione umanitaria, Ţie-ţi vorbesc, America, "Parlo a te, America", 1955. Condannandosi a lunghi silenzi, c'è però chi resta fedele alla singolarità della propria vocazione lirica: Al. Philippide (1910) difende a lungo il suo visionarismo estatico e il carattere meditativo e astratto del suo colloquio interiore, esercitando la sua severa tecnica in eccellenti traduzioni. Il quasi ottuagenario V. Voiculescu (1884-1963), dopo lungo silenzio e amare vicende, sbalordisce la critica con un prezioso ciclo di sonetti - ben novantaquattro! - che intitola Gli ultimi sonetti immaginari di W. Shakespeare, scritti nel periodo 1954-58 e pubblicati postumi nel 1964. Per la superba fattura e l'altezza dell'ispirazione, essi si collocano degnamente sulla linea estetica e filosofica del modello e fanno del Voiculescu uno dei più grandi lirici contemporanei. Incoraggiati da una critica angustamente conformista, i poeti più giovani indulgono alla requisitoria polemica e all'oratoria encomiastica. Con N. Labiş (1935-56) e con M. Isanos (1916-1944) scompaiono prematuramente due voci schiette di poeti. Ma in genere, anche quand0 si tratta dei temperamenti più sinceri - un E. Frunză (1917), un M. Dragomir (1919-1964), un Al. Andriţoiu (1929) - si tende a confondere patriottismo, patetismo, ottimismo trionfalistico con la poesia.

Fra i poeti nati entro il secondo e il terzo decennio c'è chi non rinuncia a svincolarsi dal dogmatismo, anche se lo sforzo è paralizzato dal controllo critico ufficiale. Nel numero di coloro che riescono a salvare una propria fisionomia lirica, diversa da un poeta all'altro, staccandosi da una tematica obbligata, ci sono A. E. Baconsky (1925-1977) e L. Dimov (1926), V. Felea (1923) e A. Rău (1930), G. Dumetrescu (1920), R. Stanca (1920-62), T. George (1926), Şt. Aug. DoinaŞ (1922) e altri. L'operazione più rivoluzionaria sul piano culturale è il progressivo e sempre più ardito ricupero della poesia precedente. Oltre all'avvenimento principe, rappresentato dalla "scoperta" di L. Blaga (1895-1961), portato a conoscenza delle giovani generazioni solo nel 1962, saggi critici e ristampe vengono dedicati a Bacovia e a Barbu, a I. Vinea e a Urmuz, cioè a tutte le correnti moderniste, dal simbolismo al dadaismo.

Parallelamente (siamo verso il 1960), si assiste all'affermarsi di una generazione di poeti che si proclamano "in lotta contro l'inerzia". I nomi più noti sono M. Sorescu (1936), N. Stănescu (1933), S. Mărculescu (1936), A. Blandiana (1942), Ion Alexandru (1942), A. Păunescu (1943) ma non sono i soli. Questi poeti si rivelano, talvolta, quasi per reazione, sperimentalisti iconoclasti sul piano delle tecniche; ma essi sono - soprattutto - sempre più inseriti in una visione autentica dell'uomo moderno che per essere tale non può non essere drammaticamente problematica, anche se quest'uomo è comunista. In tale direzione si avventurano persino i poeti cui è affiidata la vigilanza ufficiale sugl'irrequieti innovatori. In questa nuova temperie che fa posto al sacro e all'ineffabile, è potuta apparire, anche se in una scelta avara, curata da D. Pillat, la poesia d'ispirazione religiosa di Şt. Neniţescu: la raccolta, intitolata Ani, "Anni", 1973, nutrita di spiritualità neoplatonica e patristica, rappresenta una lettura difficilissima e quasi esoterica.

Fortemente condizionato dalle tesi del "realismo socialista" è anche il teatro, che nel periodo precedente, con L. Blaga e C. Petrescu, si era inserito nelle correnti europee più moderne, diventando teatro di simboli e idee. Il più rigido e monotono schematismo trova espressione esemplare nei lavori di Al. Voitin, 1915 (Oameni în luptă, "Uomini in lotta", 1960) e di P. Everac, 1924 (Ferestre deschise, "Finestre aperte", 1959). Ma anche quando gli scrittori cercano di cogliere sul piano della coscienza il riflesso dei conflitti sociali, come per es. L. Demetrius, 1910 (Trei generaţii, "Tre generazioni", 1956), il successo di critica e di pubblico non è garanzia di validità estetica. La riserva si estende anche a lavori molto rappresentati come Cetatea de foc, "La cittadella di fuoco", 1950, di M. Davidoglu (1910); Mielul turbat, "L'agnello infuriato", 1953, di A. Baranga (1913); ZiariŞţii, "I giornalisti", 1956, di Al Mirodan (1927); Citadela sfărîmată, "La fortezza in pezzi", 1954, del più famoso H. Lovinescu (1917). La generazione più giovane prende però le sue distanze, rompendo la prigione di un tesismo alla cui sincerità nessuno più crede. Si assiste anche qui al ricupero di forme teatrali condannate (vedi teatro di L. Blaga). Nel campo della creazione originale, il filone storico viene rinnovato, attraverso una visione ideologica moderna, mentre si riaffaccia il teatro d'ispirazione metafisica. Tuttavia, soltanto dopo essere stato presentato con successo in traduzione francese su una scena straniera (Ginevra, "Nouveau théâtre de poche", 1974) il potente dramma di M. Sorescu, Matca, "La matrice", è riuscito a vincere il silenzio della critica e la perplessità dei registi.

Scomparso nel 1943 E. Lovinescu, il campo della critica è stato dominato da due personalità eccezionali: T. Vianu (1897-1964) e G. Călinescu (1899-1965), affiancati da critici militanti, di ricca preparazione culturale e di attenta sensibilità: P. Costantinescu, V. Streinu (1902-70), Ş. Cioculescu (1902), D. Panateiscu detto Perpessicius (1891-1970). A quest'ultimo spetta il merito di avere in quarant'anni di lavoro gettato le basi per la monumentale edizione critica di M. Eminescu, rimasta purtroppo interrotta al sesto volume. Benché il tributo, che persino un critico come Călinescu ha pagato alle direttive politiche, continui a essere sollecitato, l'esegesi dei migliori si è rimessa sul solco di una tradizione che va da Maiorescu a Lovinescu, riscattando il primato del criterio assiologico, da imporre col ricorso agli strumenti letterari che alla critica sono propri, anche i più moderni, come la linguistica matematica, che ha in Ş. MarcuŞ un antesignano e un maestro. Nelle più recenti sintesi, alcune delle quali eccellenti (per es. O. S. Crohmălniceanu, Literatura românăîntre cele donš războaie mondiale, "La letteratura rumena fra le due guerre mondiali", 1967-75), il criterio estetico non esce sopraffatto dal sociologismo imperante all'epoca del proletcultismo. Con la morte di P. Comarnescu (1905-70) la critica d'arte ha perduto un cultore raffinato, capace sempre di cogliere, come aveva fatto già dal 1944 con BrâncuŞi, il rapporto fra caratteri specifici nazionali e carattere universale della creazione.

I contatti culturali attraverso le traduzioni s'interrompono nei confronti del mondo occidentale e la presenza della letteratura russa è predominante anche nelle riviste (sola eccezionc la rivista Steaua, "La stella", di Cluj, sotto la direzione coraggiosa di A.E. Baconsky). Ma anche qui si opera a poco a poco un processo di apertura che si estende alla letteratura universale. Si veda per tutti l'eccellente Panorama della poesia universale contemporanea a cura di A. Baconsky, 1972, di quasi mille pagine. Saba e Montale tornano accanto a Lermontov; Rimbaud, Trakl, Rilke, Vellejo, Neruda, Machado; prosatori come Kafka o Mann trovano posto accanto a Tomasi di Lampedusa, Buzzati, Faulkner. Una nota particolare meritano le relazioni con l'Italia, con traduzioni e saggi che vanno da autori e movimenti contemporanei (I. Cornel, Il gruppo 63, uscito nel 1967) ai più impegnativi dei nostri classici. Nel campo universitario, una studiosa recentemente scomparsa, N. Façon, che lascia seri contributi eruditi, traduce la Storia della letteratura italiana del De Sanctis, 1966, Il Principe e Le Storie di N. Machiavelli, 1968. L'assecondano in questa direzione e ne continuano le iniziative i suoi scolari, fra cui, attivissimo, G. Lăzărescu (Tasso, Epistolario, 1956; Alberti, Della pittura, 1966). Un'italianista dotata di forte temperamento poetico, E. Boeriu, ricrea in romeno, con prodigiosa capacità di adattamento stilistico alle singole opere, la Divina Commedia, le Rime del Petrarca, il Decamerone e il Cortegiano del Castiglione. All'omaggio reso nel 1975 dalla cultura europea a Michelangelo, la Romania ha collaborato con la traduzione delle Rime ad opera sempre della Boeriu, che sin dal 1964 era stata in parte preceduta, e con ottimi risultati, da C. Zeletin.

A caratterizzare il panorama della letteratura rumena contemporanea contribuiscono naturalmente gli scrittori della "diaspora", alcuni ormai celebri come un E. Ionescu; ma in gran parte essi hanno rinunciato al rumeno come strumento espressivo per le loro opere maggiori.

Bibl.: D. Micu, Romanul românesc contemporan ("Il romanzo rumeno contemporaneo"), Bucarest 1959; Perpessicius, Alte menţiuni de istoriografie literară ("Altre note di storiografia letteraria"), ivi 1961-67; M. Barbuţă, Teatrul românesc contemporan (antologia), ivi 1962; D. Cornea-D. Păcurariu, Istoria literaturii române moderne, I-II, ivi 1962-68; M. Petroveanu, Profiluri lirice contemporane, ivi 1963; id., Studii literare, ivi 1965; L. Bote, Simbolismul românesc, ivi 1966; Ov. Crohmălniceanu, Literatura româna intre cele două războaie I-III, ivi 1967-75; Au. Martin, Poeţi contemporani, ivi 1967; Al. Opera, MiŞcarea prozei ("L'evoluzione della prosa"), ivi 1968; I. Pop, Avangardismul poetic românesc ("L'avanguardia poetica rumena"), ivi 1969; A. Balota, Urmuz, Cluj 1970; V. Mândra, Incursiuni ìn istoria dramaturgiei românesti ("Incursioni nella storia della drammaturgia rumena"), Bucarest 1971; M. Popa, Dicţionar de literatură română contemporană, ivi 1971; Al. Piru, Poezia românească contemporană 1950-1975, ivi 1975.

Archeologia (v. anche daci; dacia, XII, p. 212). - I primi studi sulla preistoria della R., inizialmente soprattutto sul Paleolitico, risalgono all'inizio di questo secolo; nel periodo fra le due guerre mondiali e dopo la seconda, le ricerche hanno investito tutti i settori cronologici anteriori alla conquista romana; soprattutto negli ultimi anni si è molto puntata l'attenzione sulla civiltà "dacica".

Del Paleolitico e del Mesolitico in R. non si ha una documentazione molto ricca: sono testimoniate le varie facies (dall'Abbevilliano al Tardenoisiano e Campigniano) e sembra di essere in presenza di un quadro sostanzialmente unitario; ma non appaiono documentati a sufficienza il passaggio dal Paleolitico al Mesolitico e la misura in cui i popoli del Mesolitico hanno influenzato il sorgere di una cultura neolitica a N del Danubio.

Più rilevanti le testimonianze del Neolitico: molto diffusa la cultura di Starčevo-KriŞ (antico Neolitico), di origine egeo-anatolica; analoghe testimonianze di diffusione si hanno anche in Iugoslavia, con ceramica piuttosto varia per tecnica e decorazione; cosí come la cultura "Bandkeramik", con ceramica a decorazione lineare, di probabile origine occidentale. La facies culturale di Hamangia, più recente di quella di Starčevo-KriŞ (piena fioritura nel 4000 circa a. C.), è limitata alla costa occidentale del Mar Nero: la ceramica mostra una notevole varietà di forme e di decorazioni; alcune figurine di terracotta trovate a Cernavoda (prime "opere d'arte" sul territorio della R.) testimoniano un repertorio piuttosto ricco e una tecnica progredita. Per il medio Neolitico, la cultura di Vinča-Turdas, nella Transilvania centrale (ceramica con piccoli rilievi, incisioni, scanalature; notevoli alcune tavolette di terracotta con scene di caccia e segni ideografici), la cultura Boiani in Transilvania e Moldavia (la più studiata, contemporanea della cultura di Karanovo in Bulgaria; notevoli i braccialetti e i pendenti in conchiglia della necropoli di Cernica, il piccolo santuario con colonna centrale di Căscioarele, la ceramica in genere decorata con meandri excisi e ricoperti di pasta bianca), la cultura di Vădastra in Oltenia (ceramica con incisioni geometriche e pasta colorata in bianco e rosso). Nel tardo Neolitico (in R. dura dagli ultimi secoli del 4° millennio alla fine del 3°) alcune comunità tribali raggiungono un notevole grado di prosperità. Significative le culture di Salcuta in Oltenia; di Gumenita (che succede a quella di Boiani) in Muntenia e Dobrugia (ceramica che si collega nelle varie fasi con quelle di Dikili Tash in Tracia, di Troia, di Poliocni) e soprattutto quella di Cucuteni in Transilvania, nei Carpati dell'Est (collegabile con quella di Tripolie in Ucraina): la ceramica, molto bella, con notevole varietà di forme e decorazioni, e con uso di tre colori, sembra per certi aspetti potersi collegare con quella di alcuni popoli est-europei: fatto da mettersi in relazione con fenomeni migratori. Si sono trovate inoltre statuette antropomorfe e zoomorfe molto stilizzate (per es. immagini di dee della fecondità). Il tardo Neolitico in R. è caratterizzato da alcuni siti fortificati: oltre a Cucuteni, HăbăŞeŞti, TruŞeŞti, Traian. Nel passaggio all'età del Bronzo, la cultura più significativa è quella di Cotofeni nell'Oltenia, nel Banato e nella Transilvania meridionale.

L'età del Bronzo in R. dura più o meno dal 1900 all'800 a. C.: è un periodo di relativa stabilità. Le testimonianze del medio Bronzo (circa 1600-1100 a. C.) sono le più numerose: in una serie di culture regionali, sembrano avere una certa priorità le culture di Periam-Pecica a Ovest e di Tei a Sud, con probabili influssi della Grecia elladica e della Macedonia; necropoli come quella di Cîrna nell'Oltenia occidentale dimostrano anche una forte penetrazione di elementi del gruppo iugoslavo dei "campi di urne".

La prima età del Ferro in R. si può a sua volta suddividere in varie fasi: nella prima (Hallstatt A-B, 800-550 a. C.) l'elemento autoctono dimostra ancora (numerosi depositi di utensili e di armi in bronzo) una certa continuità di vita e di cultura; la 2ª fase (Hallstatt C, 650-550) è più innovatrice; la cultura di Basarabi è portata da tribù tracie di allevatori e agricoltori, ma vi hanno rilievo (per es. cimitero di Balta Verde) i guerrieri; s'inizia inoltre un fenomeno che si accentuerà nella fase ulteriore (Hallstatt D, 550-300): la società indigena, che si può chiamare geto-dace, entra in contatto con il mondo scitico delle steppe meridionali dell'URSS in Moldavia, Valacchia, nella zona sub-carpatica (grande tesoro di Cucuteni), mentre in Dobrugia, e cioè nella zona del Mar Nero e lungo il Danubio, s'impiantano colonie greche: Histria, Tomis, Callatis. Histria è la meglio scavata: gli abbondanti ritrovamenti soprattutto di ceramica (rodia, chia, ionica, poi corinzia, attica), la presenza di edifici come un tempio rotondo dedicato ad Afrodite dimostrano un notevole grado di prosperità, che si protrarrà del resto anche in epoca ellenistica (templi a Histria; statue, ceramica, gioielli a Histria e Callatis). Apporti sciti e sarmati e presenza greca (in misura non ancora precisabile con chiarezza) concorrono all'evoluzione delle tribù locali geto-daciche. Fra i ritrovamenti che in maggior misura testimoniano la complessità delle componenti nella cultura del paese, va ricordata la tomba a tumulo di Aghighiol in Dobrugia (4° secolo a. C.?), con ricco corredo (armi e vasellame in metalli preziosi, frammenti di ceramica attica, ecc.) e cavalli dai ricchi finimenti uccisi e sepolti ritualmente: si tratta di elementi di derivazione achemenide, scitica, greca, ecc.

La seconda età del Ferro in R. viene convenzionalmente denominata "LaTène geto-dacica", anche se i Celti, che della diffusione europea della civiltà di LaTène sono i protagonisti, sono qui solo una componente fra quelle che contribuiscono a formare la civiltà getodacica (accanto alle componenti autoctone, si riscontrano influssi di provenienza greca, scita, tracia, romana). Questa civiltà raggiunge un notevole livello di tecnica (produzione di ceramica con la ruota) e di cultura (introduzione della scrittura) e giunge a darsi un certo assetto politico-militare e a battere moneta (v. daci). Le cittadelle daciche, scavate e studiate soprattutto dal dopoguerra a oggi, costituivano un potente sistema difensivo nelle montagne dell'OrăŞtie: per es. TiliŞca, CosteŞti (vallo di terra e palizzata); Băniţa, Blidaru, Piatra RoŞie (rinforzi in muratura tipo opus incertum); di più alto livello qualitativo la capitale Sarmizegetusa (GrădiŞtea Muncelului), con numerosi edifici pubblici e privati, ornamenti e utensili ritrovati in abbondanza. Fra i santuari ritrovati a Sarmizegetusa e in altre località, alcuni allineano più file di colonne; altri, con disposizione circolare di pilastri di pietra o di legno, sono stati posti in collegamento (almeno a Sarmizegetusa) con culti solari. L'artigianato raggiunge una notevole perizia non tanto, per es., nella raffigurazione di divinità (un medaglione di terracotta e un bustino d'argento sembrano riferirsi alla dea Bendis) quanto nella lavorazione della ceramica e soprattutto dell'argento (tesoro di Sîncrăieni). La presenza celtica è testimoniata per es. da un elmo di ferro con uccello ad ali spiegate, da CiumeŞti.

Per i rapporti e i conflitti con i Romani, che si risolvono nel 106 d. C. con la conquista della Dacia da parte di Traiano e con la creazione della relativa provincia, v. dacia. Lo studio delle antichità di epoca romana è quello che in R. ha una più lunga tradizione: in Transilvania fin dal 15° secolo; al sec. 18° risalgono i primi studi importanti e i primi esempi di collezionismo. Una vera attività scientifica moderna s'inizia alla fine del secolo scorso-principio del nostro. Fra i monumenti architettonici più importanti, sono da ricordare a Drobeta (Turnu Severin) il ponte progettato da Apollodoro in Damasco e costruito fra le due guerre daciche (103-105); a Ulpia Traiana Sarmizegetusa la grande Aedes Augustalium, un grande anfiteatro con tempio di Nemesi, il foro, un mausoleo a pianta circolare nella necropoli; a Porolissum l'anfiteatro e il tempio di Bel-Liber, a Micia l'anfiteatro e il tempio delle truppe mauretane, ecc. Della scultura ufficiale, da ricordare fra l'altro un busto di Iulia Domna e i frammenti di una statua equestre bronzea, probabilmente Caracalla, da Porolissum, una statua loricata da Apulum, una testa bronzea (Traiano Decio ?) da Ulpia Traiana. Della scultura religiosa, da ricordare una statua a tre facce di Ecate da Salinae, numerosi rilievi di Mitra e dei cosiddetti "cavalieri danubiani". Le numerose iscrizioni votive testimoniano un notevole sincretismo religioso. I monumenti funerari (altari; cippi; stele spesso con frontone decorato e con frequenti raffigurazioni di banchetto funebre, di "Cavaliere trace"; edicole; medaglioni; sarcofagi) si possono in parte collegare con quelli delle altre province danubiane, ne testimoniano comunque una notevole vivacità produttiva delle botteghe artigiane. Numerosi i ritrovamenti di ceramica locale e d'importazione ("terra sigillata"). Diversa la situazione nella Dobrugia, dove nella provincia di Scythia minor i nuovi insediamenti romani si affiancano alle antiche città greche. Da ricordare avanzi di templi a Tomis (Constanţa) che diviene la massima città della provincia; terme a Histria; acquedotti a Histria e a Tropaeum Traiani. In quest'ultimo centro (presso l'odierno villaggio di Adamklissi) vicino al confine con la Dacia si trova quello che è forse il più noto monumento antico della R.: il Trofeo a pianta circolare che, nella sua ricca decorazione scultorea articolata in metope e merli, ricorda fatti della conquista dacica di Traiano. Proprio dall'esame stilistico-cronologico di questi rilievi prese sostanzialmente l'avvio il dibattito sull'arte provinciale romana. Ricca in Dobrugia la produzione di sculture, statue, sarcofagi (a Tomis, dove doveva essere una bottega assai attiva; a Callatis-Mangalia, ecc.) e rilievi (stele funerarie; rilievi con "cavaliere trace"; banchetti funerari, ecc.). Stilisticamente questa scultura è inquadrabile nell'ambito della tradizione greca e si differenzia abbastanza nettamente sia da quella della Dacia, sia da quella del Trofeo di Adamklissi. Fra le curiosità, una statua del serpente Glykon.

Dopo l'abbandono della provincia di Dacia da parte di Aureliano (271), una popolazione dacica romanizzata continua a vivere a lungo a N del Danubio. La sopravvivenza e la serie di rapporti che questa popolazione ha avuto con i popoli in migrazione, specie Unni e Avari, sono oggetto di studio in questi ultimi decenni. A Spantov presso Bucarest in una tomba gotica del 4° secolo si è trovato un esemplare di tazza tipicamente dacica. La provincia di Scythia Minor nel periodo tardoromano-bizantino è importante punto di difesa sul Danubio: si costruiscono e si rinforzano in questi secoli numerose fortezze di confine come Capidava, Sucidava, Dinogetia; si restaurano in varie riprese le fortificazioni di Tomis, Callatis, Histria, che dovettero essere in vita fin all'inizio del 7° sec. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Civiltà romana in Romania, Roma febbraio-aprile 1970, Roma 1970; E. Condurachi, C. Daicoviciu, Romania, Londra 1971; ivi bibl. prec.

Arte. - Verso la fine del 19° secolo, nella vita artistica romena si nota un certo rinnovamento con la reazione contro la routine accademica. Con la prima mostra del 1896 degl'Indipendenti e, due anni più tardi, con la fondazione della società Ileana, s'inizia un programma di varie attività affini ai movimenti moderni europei, che culminerà nella fondazione della società Tinerimea-Artistică (Gioventù Artistica), le cui mostre annuali, a partire dal 1902, presentano opere determinanti per l'arte moderna in Romania. Tra i promotori - artisti, scrittori, critici e giornalisti - ha rilievo il pittore St. Luchian (1868-1916), che ha studiato per un biennio a Parigi.

La produzione di Luchian del primo periodo oscilla fra impressionismo (L'ultima corsa d'autunno) e Art-Nouveau, presente soprattutto nei disegni e nelle illustrazioni di libri. Rientrato da Parigi nel 1896, Luchian dipinge soprattutto paesaggi - a olio o a pastello, tecnica nella quale egli ha realizzato una serie di capolavori - e in seguito nature morte e ritratti. Superando l'esperienza del plein-air, egli aspira a raggiungere una sintesi espressiva, lavorando con grande lucidità e purezza di colori. Le nature morte con fiori, che costituiscono dal punto di vista numerico e qualitativo uno dei capitoli più importanti della sua opera eseguita in età avanzata, riflettono il suo lirismo commosso di fronte alla realtà che gli sfugge, legato com'è alla sedia in seguito a una paralisi. Nel primo decennio del secolo emergono altre personalità come C. Ressu (1880-1962), autore di alcune grandi composizioni con temi contadini (Funerale in campagna, ecc.) in una visione monumentale e idealizzata.

D'impronta espressionista possono essere considerate le prime opere di I. Iser (1881-1958) e di I. Teodorescu-Sion (1882-1939). Nella scultura si affermano con un romanticismo ispirato all'espressionismo simbolista dell'epoca, le forti e originali opere di D. Paciurea (1877-1932), emulo di C. Brâncusi e autore del Gigante di Bucarest - visione monumentale di una grande forza espressiva -, di alcuni notevoli ritratti e di composizioni di carattere simbolico, come La chimera dell'acqua, La chimera della terra, ecc.

Stabilitosi nel 1904 in Francia, C. Brâncusi, una delle figure più imponenti dell'arte internazionale del 20° secolo per il profondo significato della sua opera, ha le sue radici nelle più autentiche e antiche tradizioni del pensiero e dell'espressione romene. Ricordiamo qui, dopo Il bacio e La saggezza della terra, la serie dei suoi mirabili Uccelli, collegati alle fiabe popolari romene per la serenità, l'aspirazione alla felicità, la fiducia nella forza miracolosa della vita, tutti tratti fondamentali della spiritualità romena. Ugualmente piene di significato sono le opere che costituiscono il complesso monumentale di Târgu-Jiu, sua città natale: La colonna senza fine, La Porta del bacio, La tavola del silenzio, collocate nel 1937. Noto esponente e interprete dell'impressionismo è J. Al. Steriade (1880-1956), che, in composizioni di grandi dimensioni, eseguite nei primi anni del secolo, utilizza la tecnica impressionista per una tematica di contenuto sociale (Le imbianchine, Vetturini nella piazza, ecc.). Suo contemporaneo è N. Dărăscu (1883-1959), autore di paesaggi dalla più pura e luminosa ispirazione tardo-impressionista.

St. Popescu (1879-1948), A. Verona (1868-1946), I. Strîmbu (1871-1934), A. Baltazar (1880-1909), rappresentano ciascuno tendenze e situazioni differenti dell'epoca.

Nella grafica, la caricatura è coltivata da quasi tutti i pittori:. Iser, C. Ressu, N. Tonitza,. Teodorescu-Sion al pari di molti disegnatori professionisti specializzati.

Con le litografie di J. Al. Steriade, le incisioni e acquaforti di G. Popescu (1866-1937) e di N. Vermont (1866-1932) la grafica fa un notevole progresso.

Le riviste d'arte come Ileana, le pagine consacrate all'arte nei periodici culturali, lo sviluppo della critica d'arte, il crescente numero di collezionisti, contribuiscono a collocare le arti figurative al centro della vita culturale romena.

G. Petrascu (1872-1949), insieme con T. Pallady (1871-1956), sono le due figure di maggiore prestigio della pittura fra le due guerre. Dopo aver finito gli studi all'Accademia di belle arti di Bucarest Petrascu intraprende numerosi viaggi in Francia, Italia e Spagna. Partendo dall'esperienza di N. Grigorescu, Petrascu raggiunge nei suoi interni una forte espressione plastica e un'intensità unica nell'arte romena. L'armonia dei suoi colori tra i quali dominano l'azzurro, il rosso scuro, il nero, riesce a raggiungere lo splendore dello smalto. È stato anche un eccellente incisore, dal linguaggio nervoso alle volte perfino un po' aspro, ma di grande fascino.

Grazie ai lunghi soggiorni a Parigi, T. Pallady si avvicina maggiormente ai problemi dell'arte europea contemporanea. Il risultato di questa esperienza, che lo aiuta a mettere in rilievo con maggiore autenticità le proprie qualità, sono i mirabili paesaggi, le nature morte, gl'interni, con o senza personaggi, gli autoritratti. Di una costruzione vigorosa, quasi severa, a volte di una purezza perfetta del disegno, la pittura di Pallady ci apre un universo dai colori delicati, raffinati, dalle armonie quiete dominate da grigi e da sfumature pastellate e spesso da un azzurro puro, che ricorda quello degli affreschi esterni dei monasteri della Moldavia settentrionale.

J. Al. Steriade, negli anni tra le due guerre mondiali, si dedica soprattutto al paesaggio. Continua la sua opera anche C. Ressu, con i suoi ritratti, i suoi paesaggi, le sue composizioni.

N. Tonitza (1886-1940) è noto per i suoi ritratti di bambini, le nature morte, gl'interni, i paesaggi e i numerosi disegni e acquerelli dove risuona l'eco della cromatica popolare, come nelle opere di Luchian. F. Sirato (1877-1953) che, come lo stesso Tonitza, ha lasciato scritti importanti sull'arte, rivela con le sue nature morte e i suoi paesaggi un vibrante senso del colore. St. Dimitrescu (1886-1933) evoca nelle sue composizioni, a volte piene di drammaticità, la vita rurale. İ. Iser si esprime con una pittura meno dominata dal disegno, curando il calore e la brillantezza del colore. I paesaggi eseguiti in Spagna, le immagini di odalische e di ballerine, le scene della vita nella Dobrugia, costituiscono un capitolo di grande valore nel lirismo coloristico romeno.

Tra i paesaggisti si affermano anche D. Ghiată (1888-1972), M. Bunescu (1884-1971), M. Arnold (1897-1946), V. Popescu (1899-1942), L. Grigorescu (1894-1960) e H. Catargi (1894-1975).

Le varie tendenze dal cubismo al surrealismo si rispecchiano nella pittura di H.M. Maxy (1895-1971) e di C. Mihăilescu (1884-1960), M. Iancu (nato nel 1895) e V. Brauner (1903-1966). Insieme con Maxy e Mihăilescu, altri artisti tra cui la scultrice M. Petrascu (1892-1976) hanno preso parte al movimento d'avanguardia.

In Transilvania, la pittura è dominata da M. Teutsch (1884-1968), artista legato al primo espressionismo tedesco, ma si distinguono anche A. Ciupe (nato nel 1900), A. Mohi (nato nel 1908), T. Marchini (1907-1936), C. Bogdan (1897-1978).

Tra le due guerre mondiali si affermano gli scultori C. Medrea (1889-1964), autore di monumenti e ritratti (Beethoven, Tolstoi, Vasile Lucaci) di una notevole intensità emozionale. I. Jalea (nato nel 1887) con il suo Balestriere e con numerosi sensibilissimi ritratti e più tardi con monumenti - per es. quello di G. Enescu all'Opera di Bucarest o quello, equestre, del re daco Decebalo a Deva, - e con rilievi come quello intitolato Imperatore e proletario, mette in luce un'eleganza di espressione dagli accenti neoclassicheggianti.

Il forte temperamento di B. Caragea (nato nel 1906) si evidenzia nelle composizioni monumentali, spesso ispirate al folclore nazionale e orientale (Il Principe azzurro), o allegoriche (Gioventù Vittoria).

Il transilvano R. Ladea (1901-1970) è stato espressionista nella prima fase della sua attività e più tardi non privo di accenti lirici soprattutto nei suoi ritratti in scultura.

M. Constantinescu (nato nel 1900), che studia a Roma e a Parigi, si afferma innanzi tutto per una ricerca di rinnovamento della scultura romena, poi nella grafica come illustratore della Divina Commedia. In questo periodo esordisce anche G. Anghel (1904-1966), scultore soprattutto di ritratti (Mihai Eminescu, Theodor Pallady). O. Han (1891-1976), autore di composizioni schematiche e sintetiche, lavora nell'ultimo periodo della vita in una visione realistica. Egli è l'autore dei monumenti ai principi Michele il Bravo ad Alba Iulia, Stefano il Grande a Piatra Neamt, C. Brâncoveanu a Bucarest, e di alcune statue consacrate alla riscossa contadina del 1907.

Le tradizioni della grafica sono in continuo sviluppo. Così, accanto a pittori come Iser, Steriade, Petrascu, Popescu, cominciano ad affermarsi artisti grafici come Nina Arbore (1887-1941), V. Dobrian (nato nel 1912), V. Kazar (nato nel 1913), J. Ross (1899-1976), che pubblicano i loro disegni e incisioni, di carattere militante, nelle riviste di sinistra. Incisori come M. Ollinescu (nato nel 1896) e H. Dimitriu-Nicolaide (1897-1963) cercano di far rivivere le antiche tradizioni della silografia romena. Noti esponenti della grafica sono A. Jiquidi (1896-1962), autore di disegni e illustrazioni di un'inesauribile vivacità satirica, ed E. Dragutescu (nato nel 1914), pittore e disegnatore lirico dall'acuto e nervoso segno grafico inconfondibile.

L'arte decorativa ha la rappresentante più significativa in Nora Steriade con tappezzerie e mosaici adatti all'architettura moderna. Aurelia Ghiată (nata nel 1896) è apprezzata per la finezza delle sue tappezzerie con motivi ispirati al repertorio narrativo folclorico.

Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1950, per coordinare tutte le attività artistiche creative, è stata fondata l'Unione degli artisti plastici, con varie sezioni (pittura, scultura, grafica, arte decorativa, scenografia, critica) e con filiali e cenacoli in tutto il paese.

Accanto ad altri personaggi di rilievo della pittura romena fra le due guerre mondiali affermano pienamente il loro talento artisti come A. Ciucurencu (1903-1978) con opere nelle quali certe tendenze fauves s'innestano su un delicato lirismo (è anche autore di composizioni come Ana Ipătescu, Il primo maggio, ecc.); C. Baba (nato nel 1906) con un repertorio di mirabili ritratti (Mihail Sadoveanu, Enescu, Arghezi), con paesaggi cupi che per la particolare realizzazione si avvicinano al realismo trascendentale (per es., Venezia, Toledo, ecc.) e con opere ispirate alla vita paesana (Riposo sui campi, Cena contadina, ecc.).

Le principali tendenze della pittura romena contemporanea sono oggi rappresentate dalla generazione di mezzo e dai giovani. La loro attività creativa svolge una problematica stilistica assai varia. Una delle tendenze trova ispirazione dall'esperienza artistica folclorica. Con I. Brădu??? Covaliu (nato nel 1924), I. Sălisteanu (nato nel 1922), G. Năpărus (nata nel 1930) queste esperienze si dimostrano sempre più aperte a rinnovamenti interessanti. Un'altra tendenza è quella che si potrebbe chiamare "poetica della realtà", con I. Pacea (nato nel 1924), V. Almăsanu (nato nel 1926), İ. Bitan (nato nel 1924), I. Nicodim (nato nel 1932), I.A. Gheorghiu (nato nel 1929), M. Bandac (nato nel 1935).

W. Sachelarie (nata nel 1916), H. Bernea (nato nel 1939), T. Morariu (nato nel 1938), I. Boca (nato nel 1937), L. Bobe-Szasz (nata nel 1920), C. Brudascu (nato nel 1937), sono fra i promotori di nuove ricerche interessanti in chiave espressionistica. Una tendenza che, sotto vari aspetti, costituisce uno dei fattori principali della pittura romena, è il realismo nelle forme moderne. Appartengono a questa corrente C. Piliută (nato nel 1929), T. Brădeanu (nato nel 1927), V. Mărgineanu (nato nel 1933), D. Hatmanu (nato nel 1925).

Il surrealismo è rappresentato da alcuni artisti che mantengono nelle loro opere un equilibrio tra la trascrizione del reale e la sua proiezione nel fantastico: F. Niculiu (nato nel 1928), S. Bălasa (nato nel 1932), S. Iclozan (nato nel 1938), S. Câltea (nato nel 1940), P. Ribariu (nata nel 1939), I. Gînju (nato nel 1942).

Nel campo della decorazione, sia pittorica che scultorica, c'è un notevole sviluppo con giovani quali V. Setran (nato nel 1935), S. Epure (nato nel 1940), B. Nitescu (nato nel 1942).

Senza occupare un posto preciso in una delle correnti menzionate, afferma la sua personalità O. Grigorescu (n. nel 1933) ispirato, come anche C. Mara (n. nel 1934), dal Quattrocento italiano.

Una figura isolata della pittura romena contemporanea è J. Tuculescu (1910-1962), che si fa notare, verso la fine degli anni Trenta, attraverso i suoi paesaggi realistici con accenti espressionisti, per evolvere, nel dopoguerra, verso una pittura in cui l'artista introduce elementi dell'antico folclore romeno, in un repertorio di forme simboliche astratte.

La scultura si avvale delle grandi possibilità d'espressione per inserirsi nella trasformazione delle condizioni urbanistiche contemporanee. Molte opere sono ideate dagli artisti per essere integrate in un complesso architettonico urbanistico o naturale, capace di valorizzare l'efficienza spaziale delle forme. Questo è il senso dato da O. Maitec (nato nel 1924), uno dei più validi scultori contemporanei romeni, alla sua opera fatta soprattutto da sculture in legno di carattere simbolico. Giovani artisti che si distinguono nel campo delle composizioni in legno, F. Codre (nato nel 1943), G. Apostu (nato nel 1934), G. Iliescu-Călinesti (nato nel 1932), N. Tiron (nato nel 1935), P. Nicăpetre (nato nel 1936), M. Buculei (nato nel 1940), C. Breazu (nato nel 1943), M. Spàtaru (nato nel 1938), V. Gorduz (nato nel 1933), H. Flămîndu (nato nel 1941), G. Minea (nato nel 1939).

Fedeli alle forme tradizionali della scultura si esprimono I. Irimescu (nato nel 1903), V. Gheza (nato nel 1913) che esordisce con sculture in legno su temi rustici, passando più tardi a grandi composizioni e complessi storici monumentali, I. Vlasiu (nato nel 1900), autore di composizioni ispirate alla letteratura folclorica.

Una visione realistica realizzata in stile moderno la troviamo in artisti come I. Onită (nata nel 1923), J. Kassargian (nata nel 1936), M. Stefănescu (nato nel 1929), I. Szervatiusz (nato nel 1903), P. Balogh (nato nel 1920), e C. Lucaci (nato nel 1923).

Il neobarocco con la sua problematica ha attirato P. Vasilescu (nato nel 1936), M. Cocea (nata nel 1935), S. Radu (nata nel 1906), e soprattutto C. Popovici (nato nel 1938).

La grafica. - Stimolati dalle esigenze moderne, si sviluppano vari generi nel campo della grafica e in primo luogo il manifesto. Accanto ai maestri precedenti, I. Molnar (nato nel 1907), I. Cova (nato nel 1912), V. Grigorescu (nato nel 1923), si distinguono M. Chirnoagă (nato nel 1930), N. Zamfir (nato nel 1926), M. Ardeleanu (nata nel 1930), A.-M. Smighelschi (nata nel 1935).

L'illustrazione di libri attira sempre più artisti grafici e pittori: V. Munteanu (nato nel 1927) e B. Gănescu (nato nel 1929) sono fra i più noti in questo campo anche a livello internazionale. La grafica tradizionale fa notevoli progressi, grazie alle numerose tecniche nuove. Per la qualità delle loro opere si dintinguono, a partire dai primi anni del dopoguerra, V. Kazar (nato nel 1913), M. Petrascu (nata nel 1915), G. Ivancenco (1914-1979), A. Iliut (nata nel 1913), E. Popa (nato nel 1919). Uno degli artisti più rappresentativi della grafica romena contemporanea, M. Chirnoagă, con le sue incisioni, acqueforti e qualche scultura, parte da una visione di tipo espressionista. Di finezza espressiva sono le incisioni di G. Brătescu (nata nel 1929). Le incisioni di I. Donca (nato nel 1936) e di St. Done (nato nel 1937) hanno un preciso carattere espressionista. T. Nicorescu (nato nel 1926) e D. Erceanu (nato nel 1943) si esprimono con elementi surrealisti messi al servizio di una problematica di ampio respiro filosofico. Noti per la loro grafica decorativa molto moderna sono R. Stoica (nato nel 1942), J. Stendl (nato nel 1939), T. MoisescuStendl (nata nel 1938), ed E. Lucaci-Baias (nata nel 1936). La caricatura segue le tradizioni ereditate da C. Damadian (nato nel 1919), E. Taru (nato nel 1913), A. Poch (nato nel 1930), A. Matty (nato nel 1924), N. Cobar (n. 1915).

L'arte decorativa applicata si realizza non solo con oggetti ornamentali - mentre le tradizioni artigianali romene continuano liberamente a svilupparsi -, ma in primo luogo con attività creative legate a una concezione nuova sull'estetica dello spazio e dell'ambiente. L'arte applicata e decorativa abbraccia quindi complessivamente tanto l'arte (pittura, tappezzeria, ecc.) legata all'architettura, quanto quella dell'ambiente (tessuti, ceramica, vetreria, mobilia).

Per l'arte monumentale esistono possibilità di sviluppo. Tutti i grandi e numerosi complessi urbanistici e architettonici del paese fra i quali dobbiamo menzionare quelli di Bucarest, Iaṣi, PiatraNeamt, Galaţi, Vaslui, Suceava, Bacău, Baia Mare, Cluj, Timiṣoara, quelli del litorale romeno, Costinesti, Mamaia, Mangalia, ecc., sono ideati e realizzati con un ricco intervento dell'arte monumentale.

Nell'arte decorativa propriamente detta si sono specializzati molti artisti validi, apprezzati nel paese e all'estero, come P. Mateescu (nato nel 1927) e C. Badea (nato nel 1940), noti ceramisti, e M. Podeanu (1927-1975) e G. Stoichita (nata nel 1924) nel ramo della tappezzeria, dove si sono messi in luce anche alcuni pittori come I. Nicodim (nato nel 1932), autore della tappezzeria Inno all'Uomo, destinata al Palazzo dell'Unesco di Parigi, e A. Lupas (nata nel 1942), artisti che con le loro esperienze personali hanno raggiunto risultati notevoli. Gli oggetti e la scultura in vetro hanno una rappresentante di talento nella scultrice Z. Baicoianu (nata nel 1910).

A queste tecniche se ne aggiungono altre - tessuti a disegni, legname, cuoio, ecc. -, che, attraverso esemplari unici o prototipi destinati a essere moltiplicati nell'industria, hanno lo scopo di diffondere l'arte nella vita quotidiana. In quanto alla tradizione artistica romena, l'arte applicata popolare ha avuto e ha ancora realizzazioni di grande valore. Al centro dell'attenzione c'è il problema della valorizzazione di queste tradìzioni. L'arte decorativa popolare di tipo tradizionale si realizza anche con altri mezzi: l'incoraggiamento dell'artigianato popolare, l'organizzazione di mostre permanenti d'arte popolare antica e nuova. Gli acquisti importanti fatti dai musei d'arte popolare di Bucarest e di altre città del paese garantiscono la conservazione delle opere più significative di questo genere.

Con tutti questi mezzi, l'arte nella R. ha non solo prospettive di sviluppo, ma anche profonda efficacia spirítuale. Vedi tav. f. t.

Bibl.: G. Oprescu, L'Art roumein, de 1800 à nos jours, Malmö 1942; id., Pictura românească în secolul XIX, Bucarest 1943; Scurtä istorie a artelor plastice in Republica Populară Românä, T. II, sec. XIX, a cura di G. Oprescu, I. Frunzetti, M. Popescu e altri, ivi 1958; A. Pavel, Grafica militantă românească, ivi 1963; G. Oprescu, Sculptura românească, ivi 1963; V. Drăgut, D. Grigorescu, V. Florea, M. Mihalache, Pictura românească in 1.000 de imagini, ivi 1970, trad. in inglese, francese, russo, tedesco, ungherese; M. Grozdea, Arta monumentală în Republica Socialistă, România, ivi 1974; I. Frunzetti, Pictura contemporană românească, ivi 1974.

Saggi monografici: P. Comarnescu, Ion Jalea, Bucarest 1962; T. Vianu, Corneliu Baba, ivi 1964; xxx, Album Ciucurencu, ivi 1965; M. Mihalache, Vida Geża, ivi 1965; P. Comarnescu, Gh. D. Anghel, ivi 1966; B. Brezianu, Tonitza, ivi 1967; G. Cosma, Camil Ressu, ivi 1967; E. Schileru, Ion Irimescu, ivi 1969; A. Mîndreascu, Theodor Pallady, ivi 1971; I. Frunzetti, Dimitrie Paciurea, ivi 1971; M. Mihalache, Cornel Medrea, ivi 1972; J. Lassaigne, Stefan Luchian, ivi 1972; B. Brezianu, Constantin Brâncusi, ivi 1974; P. Comarnescu, Ion Ţuculescu, ivi 1974; I. Frunzetti, Brădut Covaliu, ivi 1975; E. Costescu, Gheorghe Petrascu, ivi 1976; M. Preutu, D. Ghiatā, ivi 1977.

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