ROMANO IV Diogene, imperatore d'Oriente

Enciclopedia Italiana (1936)

ROMANO IV Diogene, imperatore d'Oriente

Angelo Pernice

Figlio di Costantino Diogene, nel 1067, alla morte di Costantino X, si trovò implicato in una congiura militare contro il governo che era tenuto, per i figli minorenni, dall'imperatrice vedova Eudocia Macrembolitissa. Arrestato e condannato a morte, avendo la reggente voluto vederlo prima di sanzionare la sentenza, fu talmente colpita dal suo bell'aspetto, che gli ridiede la libertà, il grado di generale, e volle anche sposarlo. Dopo le nozze, R. fu proclamato imperatore. Uomo di grande valore e abile stratega, R. fu soprattutto un principe guerriero e nei pochi anni che resse lo stato fu quasi sempre al campo. L'esercito bizantino era allora un'accozzaglia di genti di varia provenienza - Slavi di Macedonia, Uzi, Pecceneghi, Vareghi, Normanni, Franchi - senza disciplina e senza alcun sentimento di patriottismo. Per di più R. era circondato di nemici e rivali inconciliabili che, oltre a intralciare i suoi movimenti, al momento opportuno dovevano tradirlo. Fra questi i più accaniti erano i Ducas. All'avvento di R. l'Impero era minacciato in Occidente dai Normanni, i quali impadronitisi di quasi tutta l'Italia meridionale, assalivano Brindisi e Bari, ultimi baluardi del dominio bizantino in quella regione; in Oriente, dai Turchi Selgiuchidi, che negli ultimi anni del regno di Costantino X, sotto il sultano Alp Arslān si erano avanzati verso l'Armenia, la Cappadocia, la Siria, compiendovi scorrerie. R. rivolse tutte le sue forze contro i Selgiuchidi intuendo bene che questi costituivano la minaccia più grande per l'Impero. Egli prese il campo agl'inizî del 1068, pochi mesi dopo il suo matrimonio, portandosi nel centro delle operazioni in Cappadocia. In questa sua prima spedizione respinse i Turchi verso la Mesopotamia, riprese Ferapoli e liberò molti prigionieri. Dapprima, nel 1069 la rivolta di un capo delle milizie normanne lo distrasse dalla lotta contro i Turchi. Ma, costretto questo alla sottomissione, marciò riuovamente verso la Mesopotamia e liberò la città di Melitene che i Selgiuchidi avevano occupata. Nel 1070 egli fu trattenuto nella capitale per provvedere principalmente alle cose d'Italia, dove mandò una flotta per la difesa di Bari assediata da Roberto il Guiscardo. In questo tempo le milizie bizantine d'Asia comandate dal generale Manuele Comneno, subirono parecchi rovesci e i Selgiuchidi occuparono l'Alta Armenia, con l'importante piazzaforte di Manzikert, a nord del Lago Van, e riapparvero in Cappadocia. Deciso a tentare un gran colpo, R., nella primavera del 1071, passò in Asia con un numeroso esercito. Le prime operazioni riuscirono bene. Cacciati i Turchi dalla Cappadocia, egli si avanzò in Armenia e riprese Manzikert. Il sultano Alp Arslān, accorso in quella regione, propose all'imperatore di sospendere le ostilità per trattare la pace. Avendo R. rigettata la proposta, che credeva dettata da timore, s'impegnò una battaglia campale sotto la stessa Manzikert. Durante la mischia, essendosi determinata confusione fra le milizie bizantine per il passaggio di un distaccamento di Uzi dal loro campo a quello dei Turchi, il principe Andronico Ducas, con intento proditorio, sparse la notizia che l'imperatore era sconfitto e ordinò ai suoi reparti la ritirata. Il panico si propagò allora in tutto l'esercito che prese la fuga. R., che aveva combattuto da eroe ed era ferito, fu circondato dai nemici e fatto prigioniero. Alp Arslān lo trattò con grandi onori e concluse anche con lui un trattato di pace abbastanza favorevole per l'Impero. R. riebbe la libertà; ma intanto, alla notizia della sconfitta di Manzikert, in Costantinopoli era avvenuto un rivolgimento: a istigazione di Giovanni Ducas e dei suoi figli, di Psello e di altri nemici di R., Michele VII aveva allontanata la madre Eudocia dalla reggia, obbligandola a entrare in un monastero, e assunto in proprio il comando. Quando si seppe poi che R. ritornava, furono mandate contro di lui milizie al comando di Andronico Ducas, il traditore di Manzikert. R. tentò di resistere con le armi, ma essendo stato vinto, fece atto di sottomissione e abdicò alla corona a condizione di aver salva la vita: condannato alla perdita degli occhi, l'operazione fu fatta con tale brutalità da cagionargli la morte.

Bibl.: P. Karolidis, ‛Ο αὐτοκράτωρ Διογένης ὁ ‛Ρωμανός, 1068-1071, Atene 1906.