RICCI, Rosso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCI, Rosso

Vieri Mazzoni

RICCI, Rosso. – Nacque da Ricciardo di Uguccione, detto Cione, e da Bartola di Rosso Strozzi (morta nel 1348) nei primi anni del Trecento, se l’età attestata dalle Ricordanze della famiglia Ricci al momento della sua morte è corretta (Ildefonso di San Luigi, 1781, p. 220; Calzolai, 1980, p. 117).

Secondo l’evidenza documentaria risiedette sempre nel quartiere di San Giovanni, e almeno dal 1328 al 1376 nel gonfalone del Vaio e nel popolo di Santa Maria Alberighi (Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 89). Del suo nucleo familiare si conoscono la moglie Mantina (morta nel 1363) – ma non la data del matrimonio, e se questo fu l’unico contratto da Rosso – e i figli Antonio, Bernardo o Benedetto, Francesco, Leonardo e Salvestro (Ammirato, 1614, p. 159; Ildefonso di San Luigi, 1781, pp. 215, 220; Calzolai, 1980, p. 113).

Nel 1328 era iscritto con il padre e i fratelli Giorgio, Salvestro e Uguccione all’Arte di Calimala, ovvero la corporazione che riuniva i mercanti fiorentini operanti all’estero, e nella quale il padre era socio titolare di una compagnia sin dal 1317, avendovi pagato la libra da quell’anno almeno fino al 1323 (Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 89). Nel 1354 vi si immatricolò di nuovo assieme ai fratelli Giorgio e Uguccione, e sebbene non si abbiano notizie di una sua attività commerciale, fu console della sua arte negli anni 1350, 1352, 1353, 1355 e 1359, nonché rappresentante tra i Cinque della Mercanzia nel 1350 e 1353 (n. 89).

Sin dall’inizio degli anni Quaranta sono documentati suoi incarichi pubblici: nel 1341, dopo che Firenze aveva acquistato Lucca da Mastino II della Scala, fu uno dei sindaci inviati a occupare la fortezza Augusta, posta all’interno della cerchia delle mura lucchesi, e quindi uno dei camerlenghi incaricati di pagarvi i soldati fiorentini di guarnigione (G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, 1991, pp. 259-262). Questa missione, conclusasi drammaticamente per la conquista di Lucca a opera di Pisa, ebbe un esito nefasto anche per Ricci: nel 1342 il nuovo signore di Firenze, Gualtieri di Brienne, lo imprigionò con l’accusa di aver distratto fondi dalla gestione delle paghe dei soldati, lo fece confessare, lo obbligò a restituire l’enorme somma di 3900 fiorini d’oro, e solo per le molte intercessioni ricevute desistette dal proposito di farlo giustiziare (pp. 293 s.). Comprensibilmente, la carriera di Ricci riprese solo dopo la cacciata di Gualtieri da Firenze nel 1343, raggiungendo però in un solo lustro gli uffici di governo della città: cosicché fu per quattro volte gonfaloniere di Società (negli anni 1348-49, 1352, 1365 e 1370-71), per due buonuomo (negli anni 1361 e 1366-67), per tre priore delle Arti (negli anni 1351, 1359 e 1368); inoltre, per almeno una volta fu capitano di Parte guelfa (nel 1372; cfr. Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 89). Senza dubbio in considerazione della sua fama, oltre che dell’influenza politica, venne scelto in varie occasioni come ambasciatore del Comune – le più importanti dal marchese d’Este a Ferrara nel 1360, dal pontefice ad Avignone nel 1365, dal futuro re di Napoli nel 1380 – oltre che per ricevere i marchesi d’Este in visita a Firenze nel 1366, e per fare da scorta d’onore all’imperatore nel 1369 (Ammirato, 1614, pp. 158 s.; Soldini, 1780, pp. 100 s.; Ildefonso di San Luigi, 1781, p. 215; Vitale, 1791, p. 296; Ammirato, 1853, III, pp. 312 n., 319 n.; IV, p. 19; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, 1903, p. 380).

Alla tradizione familiare dell’impiego nel commercio Rosso affiancò dunque – o forse addirittura preferì – la carriera politica, e quella militare e funzionariale, svolgendo i lucrosi incarichi di amministrazione e controllo del territorio fiorentino (comunemente conosciuti come ‘uffici da utile’), ed esercitando la remunerativa attività di giusdicente forestiero in altre città e comuni. Il primo – e unico – ufficio territoriale di cui si abbia notizia risale al 1352, ed ebbe una pessima riuscita: eletto capitano della Lega del Mugello, e ricevuto l’ordine di rifornire un castello che doveva fronteggiare le truppe congiunte degli Ubaldini e dei Visconti, per sua negligenza cadde in un’imboscata tra i monti, dove perse buona parte dei suoi uomini, e lui stesso scampò la morte con gli altri sopravvissuti solo dandosi alla fuga – e perciò meritandosi il giudizio lapidario del cronista Matteo Villani, che lo definì «folle capitano di Mugello (Cronica, a cura di G. Porta, 1995, pp. 310 s.).

Non dimostrò maggiore capacità, o non ebbe miglior fortuna, una ventina di anni dopo come capitano dell’esercito fiorentino: inviato a combattere ancora i Visconti che assediavano Reggio Emilia, nel 1370 fu sconfitto e catturato, e riottenne la libertà solo pagando un riscatto e lasciando uno dei suoi figli in ostaggio (Ildefonso di San Luigi, 1781, pp. 219 s.; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, cit., p. 274).

Ben più onorevole e certamente proficua risultò l’attività di giusdicente forestiero: fu capitano del Popolo a San Miniato nel 1348 e nel 1351, podestà a Todi nel 1356, senatore a Roma tra il 1362 e il 1363 – e in occasione di questo ufficio ebbe l’investitura cavalleresca per volere del governo fiorentino – e ancora, podestà a Bologna nel 1365, capitano del Popolo a Perugia dal 1377 al 1378, podestà ad Ascoli nel 1380 e a Norcia in un anno imprecisato (Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Comune di San Miniato, 8 agosto 1348; Tratte, 890, c. 2r; Ildefonso di San Luigi, 1781, pp. 215-219; Vitale, 1791, pp. 294-296; Ammirato, 1853, III, p. 266 n. 2; Luzi, 1889, p. 241; Gualandi, 1960-1961, p. 215; Giorgetti, 1993, pp. 408 s.).

Di questi incarichi doveva andare molto orgoglioso, se nel testamento ordinò che le insegne onorifiche donategli dal popolo di Firenze e dal popolo di Roma, e dai comuni di Ascoli e di Perugia, precedessero il feretro durante il suo funerale (Vitale, 1791, pp. 296 s.).

Nelle Ricordanze fu ritratto come un «huomo di grande animo, et severo della giustizia» (Ildefonso di San Luigi, 1781, p. 215).

Qualità – il senso di giustizia e la forza di carattere – che gli tornarono certamente utili nel 1356, quando venne chiamato dai fratelli Giorgio e Uguccione e dal nipote Iacopo del fu Salvestro a pronunciare un lodo arbitrale sulla divisione di tre case, proprietà di famiglia, poste nel gonfalone del Vaio (Battista, 2015, p. 58). Questa decisione potrebbe essere stata all’origine dell’aggressione subita nel 1376 a opera del consorte Benso di Giovanni Ricci; per le ferite ricevute nell’occasione soffrì di un danno permanente al braccio sinistro (Archivio di Stato di Firenze, Podestà, 2798, cc. 21v-22r).

Secondo Ferdinando Leopoldo del Migliore, a lui si devono anche la commissione e le spese per il tabernacolo della celebre Madonna de’ Ricci, eseguito da Iacopo da Milano, discepolo di Taddeo Gaddi e attivo a Firenze negli anni Sessanta del Trecento (Del Migliore, 1684, p. 392).

Ricci fu un personaggio influente nella politica fiorentina: la famiglia Ricci costituiva il nucleo centrale della fazione omonima, allora capeggiata dal fratello Uguccione, in lotta con la fazione degli Albizzi per il primato in città.

Questo scontro tra le due casate e le rispettive fazioni durò fino al 1372, allorché si prospettò un’inedita alleanza, che suscitò grandi timori in tutta la cittadinanza per questa improvvisa concentrazione di potere. La risposta del regime, sollecitata anche da albizzeschi e ‘ricciardi’ delusi, oltre che dai neutrali, fu l’interdizione quinquennale da tutti gli uffici del Comune per tre capi dei Ricci, ovvero Uguccione, Rosso e il consorte Giovanni di Ruggero, e tre capi degli Albizzi (I capitoli, 1893, n. 26, pp. 69-71; Mazzoni, 2010, pp. 83 s., 92 s.; Brucker, 1962, pp. 250-255).

Con questo provvedimento, deciso nell’aprile del 1372, di fatto ebbe termine la carriera politica di Rosso. Il quale, tuttavia, sul momento reagì secondo carattere: un cronista anonimo lo ricordò accanto ai guelfi massimalisti fieramente impegnato nelle proscrizioni durante il suo capitanato di Parte (Mazzoni, 2010, Appendice IV, n. 4, c. 16r). Ciò nonostante, sei anni dopo, nel giugno del 1378, fu reintegrato nei diritti politici dal governo cittadino che aveva costretto alla fuga e all’esilio proprio quei guelfi massimalisti suoi compagni di proscrizioni (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, cit., p. 320). Non stupisce quindi che in quello stesso anno fosse deputato all’investitura cavalleresca del gonfaloniere di Giustizia, nonché vero uomo forte di quel governo, ovvero Salvestro di Alamanno Medici (Ammirato, 1853, IV, p. 104); e ancora che difendesse il vecchio regime durante il celebre tumulto dei Ciompi, venendo ferito dai loro balestrieri (p. 113). Fu certamente in sintonia anche con il successivo regime delle arti, se nel 1379 fu posto al comando di un contingente militare inviato a combattere le truppe di Carlo di Durazzo, gli esuli e i Ciompi che minacciavano Figline (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, cit., pp. 349 s.).

Morì di peste il 13 luglio 1383, più che ottantenne, per la stessa epidemia che uccise anche i fratelli Giorgio e Uguccione, e fu seppellito con l’abito domenicano e con quello cavalleresco nella chiesa fiorentina di S. Maria Novella (Ammirato, 1614, p. 159; C.C. Calzolai, Il “libro dei morti”, 1980, p. 120; Ildefonso di San Luigi, 1781, p. 220; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, cit., p. 427).

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico; Podestà; Tratte; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in RIS2, XXX, 1, Città di Castello 1903; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, III, Parma 1991; M. Villani, Cronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1995, C.C. Calzolai, Il “libro dei morti” di Santa Maria Novella (1290-1436), in Memorie Domenicane, XI (1980), pp. 15-218.

S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine. Parte Prima, Firenze 1614; F.L. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata. Prima, Seconda, e Terza Parte del Primo Libro, Firenze 1684; F.M. Soldini, Delle eccellenze e grandezze della nazione fiorentina. Dissertazione storico-filosofica, Firenze 1780; Ildefonso di San Luigi, Delizie degli Eruditi Toscani, t. XIV, Firenze 1781; F.A. Vitale, Storia diplomatica de’ senatori di Roma dalla decadenza dell’imperio romano fino a nostri tempi, p. I, Roma 1791; S. Ammirato, Istorie fiorentine, a cura di L. Scarabelli, I-VII, Torino 1853; E. Luzi, Compendio di storia ascolana, Ascoli Piceno 1889; I capitoli del Comune di Firenze. Inventario e regesto, a cura di C. Guasti, II, Firenze 1893; E. Gualandi, Podestà, Consoli, Legati Pontifici, Governatori e Vice-Legati che hanno governato la città di Bologna (1141-1755), in L’Archiginnasio, LV-LVI (1960-1961), pp. 191-234; G.A. Brucker, Florentine politics and society 1343-1378, Princeton 1962; V. Giorgetti, Podestà, capitani del popolo e loro ufficiali a Perugia (1195-1500), Spoleto 1993; V. Mazzoni, Accusare e proscrivere il nemico politico. Legislazione antighibellina e persecuzioni giudiziaria a Firenze (1347-1378), Pisa 2010 (le Appendici sono edite on-line su www.pacinieditore. it); G. Battista, La canonica di Santa Maria del Fiore e i suoi abitanti nella prima metà del XV secolo, Firenze-Berlino 2015, passim.

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