DE AMICIS, Ruggero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE AMICIS (d'Amico, Amici), Ruggero

Joachim Göbbels

Era probabilmente di origine messinese, nonostante che i suoi feudi si trovassero tutti in Calabria.

Un Guglielmo, "comes de Amico" e signore di Ficarra, è ricordato dal cronista messinese Bartolomeo da Neocastro come esule da Messina al tempo degli Svevi e primo marito di Macalda, la quale dopo la sua morte si risposò con Alaimo da Lentini, il noto protagonista del Vespro e capitano di Messina al tempo della "communitas" (Historia Sicula, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XIII, 3, a cura di G. Paladino, p. 67). Guglielmo era inoltre zio di Ruggiero di Lauria, il famoso ammiraglio al servizio degli Aragonesi, e quindi fratello della madre di questo, Bella, la nutrice di Costanza di Svevia, futura regina d'Aragona e di Sicilia. Il Lauria infatti riottenne il feudo di Ficarra, di cui si era appropriata Macalda dopo la morte di Guglielmo, dopo la conquista aragonese della Sicilia. Un Orlando De Amicis negli anni 1262-65 fu invece zecchiere di Messina (I registri della Cancelleria angioina, II, p. 90). Quali fossero i rapporti di parentela tra questi membri della famiglia e il D. non è possibile stabilire. Guglielmo comunque, come il D. stesso, era coinvolto, insieme con il padre Amico, nella congiura del 1246 contro l'imperatore Federico II (cfr. Les registres d'Innocent IV, n. 4033).

Il D. è ricordato per la prima volta il 10 ott. 1239 come giustiziere della Sicilia "ultra flumen Salsum", cioè della parte occidentale dell'isola. Probabilmente questa carica gli era stata affidata il 10 settembre precedente, all'inizio del nuovo anno di indizione, in un momento di grave crisi per il Regno. Nella primavera del 1239 infatti, l'imperatore Federico II era stato scomunicato per la seconda volta da papa Gregorio IX. La nomina in un momento così delicato dimostra la fiducia che Federico II nutriva nei suoi confronti. Il 10 nov. 1239 l'imperatore ordinò a lui e ai più importanti funzionari della provincia di notificare alla corte anche i nomi dei funzionari a loro sottoposti e di tutte le persone che avevano svolto incarichi al loro comando, una misura, a quanto pare, per accertarsi della loro fedeltà. Il primo ordine che il D. aveva ricevuto già il 10 ottobre, riguardava invece il rientro nel Regno, disposto dall'imperatore subito dopo la scomunica, dei laici ed ecclesiastici dell'Italia meridionale residenti in Curia. Al D. fu ingiunto di confiscare nella sua provincia tutti i beni di coloro che non obbedivano all'ordine e di notificare i loro nomi alla Curia imperiale, un ordine indirizzato anche agli altri giustizieri. Il 18 novembre seguente al D. fu ordinato di incarcerare due preti e un monaco, colpevoli dell'assassinio del priore di S. Pietro a Campogrosso, nonostante il loro diritto di. essere giudicati da un tribunale ecclesiastico. Ma dopo la scomunica l'imperatore evidentemente non si preoccupò più di rispettare la giurisdizione ecclesiastica. Anche in altri casi il D. procedette contro istituzioni della Chiesa o usurpò diritti ecclesiastici. Così nel dicembre vietò ai francescani, che non a torto erano considerati sostenitori del papa, di stabilirsi a Palermo. Si preoccupò anche di fare allontanare dalla provincia le famiglie di coloro che notoriamente parteggiavano per il papa. Permise però al genero del vescovo di Cefalù di risiedere a Palermo.

Faceva parte dei compiti del giustiziere anche il mantenimento dell'ordine pubblico nella sua provincia. Appena entrato in carica, il D. procedette contro i Saraceni del retroterra siciliano, imputati di numerosi :abusi. Solo a metà degli anni '40 fu portato a termine il loro trasferimento a Lucera. Altrettanto duro fu il suo intervento contro gli abitanti di Centorbi e Capizzi - città rase al suolo per avere partecipato alla rivolta del 1232 - che solo in parte avevano obbedito all'ordine di trasferirsi a Palermo. Al fine di imporre il volere dell'imperatore, il D. promosse ricerche in tutta l'isola per rintracciare gli ex abitanti delle due città i quali furono puniti e mandati a Palermo. Inoltre notificò alla corte i loro nomi.

Rientravano, tra l'altro, nei compiti del giustiziere svariati incarichi, spesso d'importanza piuttosto marginale. Il 10 nov. 1239 al D. e ad altri fu rimesso di assistere Aimery de Montfort, in passaggio per la Sicilia per recarsi in Terrasanta. Il 25 dicembre dello stesso anno Federico gli ordinò di consegnare il castello di Cefalù al nuovo castellano e di controllarne le munizioni. Come la maggior parte degli altri giustizieri, nel gennaio del 1240 dovette inviare a corte tre muli. Nel febbraio ebbe l'incarico di sorvegliare che la legazione inviata all'emiro di Tunisi salpasse con il numero di uomini precedentemente deciso; nel caso di malattia di un membro della missione, doveva rimpiazzarlo. Infine, quando Federico.1 che si trovava a Viterbo, il 10 marzo convocò per la domenica delle palme un "generate concilium." da tenersi a Foggia, il D., al pari degli altri giustizieri, fu incaricato di inviare due rappresentanti per ogni città e uno per ogni località posta nelle terre demaniali. Per quel che riguardava questioni di ordine economico, ad esempio, egli dovette interessarsi di far tagliare le canne al prezzo più conveniente. Un altro ordine dell'8 febbr. 1240 gli ingiunse di far accoppiare le giumente un anno con stalloni e il seguente con asini: servivano infatti sia cavalli che muli, soprattutto per la guerra che l'imperatore stava conducendo nell'Italia centrale e settentrionale. Assumeva quindi particolare importanza anche il divieto di esportare cavalli che il D. ebbe incarico di far rispettare. Insieme al suo collega della Sicilia Ultra, aveva inoltre il dovere di assicurare il libero scambio delle merci all'interno dell'isola.

Pur non avendo carattere di eccezionalità, vanno rilevati ugualmente gli interventi del D. in questioni feudali. Si preoccupò che i feudatari della sua provincia chiedessero preventivamente l'autorizzazione dell'imperatore per i loro matrimoni. Era responsabile della chiamata alle armi dei feudatari e della retribuzione di quelli che prestavano il servizio militare oltre il tempo dovuto. Nel campo della giustizia il D. dovette occwparsi del caso di due uomini fatti prigionieri durante il sequestro di una nave pirata. Gli fu ingiunto di lasciarli liberi dietro pagamento di una certa somma, se avesse accertato che avevano prestato servizio sulla nave sotto costrizione. Il 1° febbr. 1240 ricevette l'ordine di arrestare i cittadini di Spoleto - ribelle a Federico II - che erano nella sua provincia. Un altro dei compiti dei giustizieri era la riscossione delle imposte dirette, dei collecta, un tributo annuale introdotto da Federico II. Il 16 nov. 1239 il D. ricevette delle istruzioni generali a proposito di questa tassa: l'imperatore sottolineava che il suo importo doveva. essere stabilito sulla. base della possibilità dei singoli. Disponeva inoltre di tassare anche le chiese. La richiesta di raccogliere i collecta fu rinnovata al D. il 7 febbr. 1240, e gli venne ingiunto di consegnare l'intero importo raccolto in occasione del "concilium generale" che doveva aprirsi il 10 marzo a Foggia.

Quando l'imperatore, per fronteggiare la pericolosa lega stretta contro di lui da Genova, Venezia, Piacenza, Milano e il papa, ristrutturò l'amministrazione del Regno in nome di una maggiore efficienza, al D. fu affidato uno dei due capitanati allora istituiti. Già nell'ottobre 1239 Andrea di Cicala prese servizio nel capitanato settentrionale che comprendeva la parte continentale esclusa la Calabria, mentre la parte meridionale, cioè la Calabria e la Sicilia, fu sottoposta al D. soltanto nel maggio del 1240. I due capitani, il cui titolo era quello di "capitaneus et magister iustitiarius", riunivano nelle loro mani anche competenze che prima spettavano solo al gran giustiziere. Un'altra novità era l'unificazione della Sicilia in un'unica provincia, il cui giustiziere doveva essere istruito nelle sue funzioni dal De Amicis.

Gli incarichi affidati al D. nella veste di "capitaneus" ebbero -un carattere più generale rispetto ai compiti svolti come giustiziere. Secondo le prime istruzioni impartitegli, doveva offrire il suo aiuto, qualora fosse necessario, al "magister camerarius" della Calabria, responsabile della riscossione delle imposte indirette in quella provincia. Il 3 maggio l'imperatore gli impartì istruzioni su come comportarsi nel caso di rimostranze mosse alla Curia imperiale e di lamentele da parte di vedove ai cui mariti fossero stati sequestrati o confiscati i beni. Carattere generale aveva infine una disposizione del 5 maggio 1240 nella quale si stabiliva che nessun giudice, notaio, avvocato, medico o chirurgo potesse esercitare la propria professione senza l'approvazione dell'imperatore. Nella Dieta di Foggia dell'8 apr. 1240 le competenze dei capitani furono ulteriormente ampliate, soprattutto nel campo della giurisdizione: essi divennero ora un'autorità intermedia tra i giustizieri e il gran giustiziere. Dovevano giudicare in prima istanza nei casi di gravi crimini commessi da Comunità, conti e baroni, ma rappresentavano l'istanza di appello contro le sentenze dei giustizieri, di cui dovevano peraltro sorvegliare l'operato, e degli "inferiores iudices" nelle cause civili.Il D. rimase in carica fino alla fine del 1241, quando l'imperatore gli affidò una missione di primo rango. Nel 1238 era morto il sultano al- Malik al-Kámil con il quale Federico il 18 febbr. 1229 durante la sua crociata aveva stretto un accordo vantaggioso. Il D. fu inviato in Egitto con una nave sontuosa denominata "Mezzo mondo" per concordare appunto la proroga di questo accordo con il figlio e successore del sultano, al-Malik as-Sá'lib. Il rapporto del cronista arabo offre una viva descrizione della cordialità e della magnificenza con cui il D. e l'altro legato che lo accompagnava furono ricevuti alla corte egiziana. Al termine dei colloqui, il cui esito non è stato tramandato, la legazione rimase a svernare in Egitto per riprendere la via del ritorno nella primavera del 1242.

Da allora fino al 1246 non si hanno più notizie dei D. che in quegli anni probabilmente soggiornò nei suoi feudi in Calabria. Nel marzo del 1246, partecipò alla congiura contro Federico II manovrata da Innocenzo IV che vedeva coinvolti vari baroni e alti funzionari del Regno come il poeta Giacomo della Morra e Andrea di Cicala, capitano e maestro giustiziere, insieme con il D. nel 1239-40. I motivi per tale partecipazione non sono noti, ma vanno ricercati probabilmente nei legami famigliari che lo univano con altri ribelli. Due donne della sua famiglia erano infatti sposate con due dei congiurati: Mabilia De Amicis con Ruggiero di Bisaccio, Bella De Amicis (non è chiaro se è da identificarsi con la già ricordata madre di Ruggiero di Lauria) con Guglielmo di Montemarano. Anche la moglie del D., Venia, apparteneva a una famiglia - i Dragone - coinvolta nella congiura. Il D. dovette condividere la sorte degli altri ribelli, arrestati e giustiziati, anche se di lui non si sa nulla di preciso. Più di trent'anni dopo, un testimone, interrogato, affermò di aver sentito dire che il D. era stato arrestato ed era morto in carcere. Nel 1248 comunque egli era già morto. Il 31 maggio di quell'anno Innocenzo IV "restituì" a Corrado e agli altri figli del defunto i feudi di Cerchiara, Castiglione e Francavilla, tre feudi a Cosenza e un feudo a Oriolo, tutti in Calabria. Corrado De Amicis però poté ritornare nel Regno soltanto dopo la vittoria di Carlo I d'Angiò che nel 1269 lo armò cavaliere (Iregistri della Cancelleria angioina, IV, Napoli 1952. p. 42) e gli restituì i feudi confiscati al padre da Federico II: la baronia di Cerchiara con le terre che ne facevano parte, i "bona pheudalia" in Oriolo e un feudo a Cosenza "quod dicitur pheudum de Suberito", come risulta da un'inchiesta della camera regia in Calabria del 1277 sui beni restituiti a varie persone alla venuta di Carlo I d'Angiò. Allora Corrado era già morto, pare senza lasciare eredi.

Il D. fece parte della prima generazione della cosiddetta "scuola siciliana": gli si può infatti attribuire con certezza almeno la canzone "Sovente Amor n'ha riccuto manti" (in Le rime della scuola siciliana, a cura di B. Panvini, Firenze 1962, pp. 61ss.). Tale testo non offre particolari indicazioni sulla statura poetica del D. e sulla sua collocazione nella "scuola": la canzone, di quattro strofe composte da nove endecasillabi e da tre settenari, si inserisce metricamente e concettualmente, senza originalità. nel tema gnomico della "servitù d'Amore": il D. vi esprime la propria gratitudine ad Amore, seguendo un topos assai diffuso, che lo ha dato ad una donna ffiore/Di tutte l'altre donne" (vv. 40 s.).

Per quel che riguarda altre liriche, variamente attribuite al D. dai codici (cfr. B. Panvini, La scuola poetica siciliana. Le canzoni dei rimatori nativi di Sicilia, Firenze 1955, pp. 10 s.; Le rime..., cit., pp. XLIII ss.), il Panvini tende ad attribuirgli la canzone "Dolze cominciamento", in cui si canta "la più fina/ che sia ... / d'Agri infino a Messina": i termini geografici descritti sembrerebbero infatti corrispondere al capitanato del D., "a porta Roseti usque ad Pharum" (cfr. Torraca, p. 6;la canzone si legge in Le rime..., pp. 33-35). Lo stile e il tema tuttavia sono quelli propri del Notaro, cui la lirica è comunemente attribuita. Per motivi biografici potrebbe essere del D. anche "Lo mio core che si stava", attribuitagli dal cod. Vat. lat. 3793, che si può leggere in Le antiche rime volgari secondo la lezione del codice Vaticano 3793, a cura di A. D'Ancona-D. Comparetti, Bologna 1875, pp. 45 ss. 3 più comunemente attribuita a Bonagiunta da Lucca. Questa è propriamente, come detto dall'autore, una "canzonetta" di quattro strofe e di undici ottonari, sul tema, non peregrino, della lontananza dalla sua donna e della speranza di un prossimo ricongiungimento. Nell'ultima strofa, il congedo, appare una notazione autobiografica: l'autore invita la "canzonetta" a raggiungere l'amata dicendo "Partiti, e vanne allo Regno" (v- 36). Non è improbabile che ne sia autore il D., e che egli, distaccandosi dall'astrattezza propria della poesia cortese, alluda direttamente al proprio soggiorno in Egitto tra il 1241 e il 1242.

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