METTY, Russell L.

Enciclopedia del Cinema (2004)

Metty, Russell L.

Stefano Masi

Direttore della fotografia statunitense, nato a Los Angeles il 20 settembre 1906 e morto a Canoga Park (California) il 28 aprile 1978. Con il suo gusto postespressionista, fu l'operatore delle ossessioni e delle grandi passioni amorose. Si affermò come uno dei maestri del chiaroscuro nella Hollywood degli anni Quaranta e Cinquanta, legando il suo nome alle atmosfere dei più riusciti noir e mélo realizzati dalla Universal-International Pictures e alle sue star (per es. Rock Hudson). Di lui restano nella storia del cinema soprattutto il bianco e nero di Touch of evil (1958; L'infernale Quinlan) di Orson Welles e gli anticonvenzionali contrasti cromatici presenti in alcuni mélo di Douglas Sirk, da Magnificent obsession (1954; Magnifica ossessione) a Imitation of life (1959; Lo specchio della vita). Ma si cimentò con tutti i generi, anche con il musical e la fantascienza. Vinse nel 1961 l'Oscar per Spartacus (1960) diretto da Stanley Kubrick e fu candidato nel 1962 per Flower drum song (1961; Fior di loto) di Henry Koster.

Nel 1924 entrò allo Standard Film Laboratory come apprendista tecnico, per poi essere assunto l'anno successivo al reparto operatori della Famous Players-Lasky Corporation. Nel 1929 passò alla RKO Radio Pictures, dove completò l'apprendistato ed esordì come direttore della fotografia, al fianco di James Van Trees, in West of the Pecos (1935) di Phil Rosen. A M. si deve il bianco e nero contrastato di commedie brillanti come Bringing up baby (1938; Susanna) di Howard Hawks o di musical come Dance, girl, dance (1940) di Dorothy Arzner. Nel 1942 fu lui a girare il finale aggiunto dai produttori a The magnificent Ambersons (L'orgoglio degli Amberson) di Welles, ricucendo perfettamente le sue immagini con quelle fotografate in chiave barocca da Stanley Cortez. Amante dei contrasti vigorosi, ripropose suggestioni espressioniste nel mélo antinazista Hitler's children (1942) di Edward Dmytryk e nel bellico The story of G.I. Joe (1945; I forzati della gloria) di William A. Wellman. Fu Welles a fare di M. un grande direttore della fotografia, soprattutto per il lavoro svolto in The stranger (1946; Lo straniero), un thriller nel quale il senso dell'ansia è affidato proprio al reticolo di luci e ombre che i personaggi attraversano. Nel 1947 passò alla Universal, presso la quale trascorse il periodo più fecondo della sua carriera. Diede corpo all'immagine di robusti noir, come Ivy (1947; La sfinge del male) di Sam Wood, nel quale rilesse in chiave feroce il look angelicato di Joan Fontaine, di polizieschi come Ride the pink horse (1947; Fiesta e sangue) di Robert Montgomery, di mélo come We were strangers (1949; Stanotte sorgerà il sole) di John Huston. Trasferì le angosciose atmosfere luministiche del noir anche al di fuori della cornice del genere, come nella Parigi di Arch of Triumph (1948; Arco di Trionfo) di Lewis Milestone. Con grande coraggio applicò il suo stile contrastato ai film a colori, ottenendo una fotografia altrettanto densa di effetti, in particolare nei mélo romantici di Sirk, come All that heaven allows (1955; Secondo amore), caratterizzato da tocchi pseudoespressionisti assolutamente inusuali rispetto agli standard del Technicolor dell'epoca, o Written on the wind (1956; Come le foglie al vento), ai cui toni accesi e alla cui gamma cromatica si sarebbe ispirato anni dopo Far from Heaven (2002) di Todd Haynes. Genio anticonformista nel campo del colore, M. continuò tuttavia a preferire il bianco e nero, che sapeva governare con suprema eleganza, anche grazie ai nuovi negativi comparsi sul mercato negli anni Cinquanta, risonanti di morbidezze chiaroscurali e ricchi nella fascia dei semitoni. Si può considerare un capolavoro assoluto il bianco e nero di Touch of evil, nel quale la sinuosa eleganza del chiaroscuro, giunto qui a un livello di estenuata raffinatezza che non sarà mai più eguagliato, materializza il fascino ambiguo del diabolico protagonista. Ma celebre rimane anche il bianco e nero di The misfits (1961; Gli spostati) di Huston, mentre il suo testamento artistico è legato a un piccolo film apocalittico che illuminò alla fine della carriera, The Omega man (1971; 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra) di Boris Sagal. La vicenda narrata nel film ‒ una guerra nucleare rende gli uomini intolleranti alla luce ‒ gli consentì infatti di rendere in chiave metaforica la propria concezione della fotografia. Negli anni Settanta M. ridusse progressivamente l'attività cinematografica e si avvicinò alla televisione. Tra gli altri registi con i quali collaborò sono da ricordare Budd Boetticher, René Clair, Blake Edwards, George Roy Hill, Norman Jewison, Don Siegel, John Sturges e Raoul Walsh.

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