Russia

Atlante Geopolitico 2014 (2014)

Vedi Russia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016

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Dati geografici

Con un territorio che si estende per 17 milioni di chilometri quadrati, da San Pietroburgo a Vladivostok, la Federazione russa è uno stato dalle dimensioni continentali: il più vasto al mondo, delimitato a N dal Mar Glaciale Artico; a O da Norvegia, Finlandia, Mar Baltico, Estonia, Lettonia, Bielorussia (l’exclave di Kaliningrad confina con Mar Baltico, Lituania e Polonia); a SO da Ucraina e Mar Nero; a S da Georgia, Azerbaigian, Mar Caspio, Kazakistan, Cina, Mongolia, di nuovo Cina, Corea del Nord; a E dall’Oceano Pacifico. La contiguità geografica con l’Europa, il Caucaso, l’Asia centrale e l’Estremo Oriente, così come la sua evoluzione storica hanno reso la Russia uno degli attori più rilevanti del sistema internazionale. Si tratta di uno stato composito e dalle caratteristiche imperiali, nel quale un centro forte ha da sempre esercitato il controllo su periferie deboli ed eterogenee, spesso animate da istanze indipendentiste. Nella seconda metà dell’Ottocento, l’Impero russo è giunto a competere con quello britannico per il predominio sul Medio Oriente e sull’Asia centro-meridionale. I gravi problemi di sottosviluppo politico ed economico di uno stato ancora prevalentemente agricolo, combinati con la vastità del territorio, furono tra le cause delle sconfitte militari (nel 1905 contro il Giappone e nel 1917 durante la Prima guerra mondiale) che avrebbero contribuito alla caduta dello zar, alla presa del potere dei comunisti (bolscevichi) nell’ottobre 1917 e alla costituzione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss) nel 1922. L’Urss si trasformò ben presto in uno stato totalitario: riorganizzò nella forma la gestione del potere, ma conservò nei fatti molti tratti imperiali. Elemento di novità rispetto all’epoca zarista fu la strutturazione su base federale: ciò contribuì a ridurre l’accentramento e la forte personalizzazione della gestione politica, che pure rimasero caratteristiche determinanti del sistema. Nello stesso periodo l’ideologia comunista, con le sue aspirazioni egalitarie e rivoluzionarie, si diffuse e si radicò anche in Europa, mentre all’interno del paese l’industrializzazione forzata e il riarmo militare dotarono l’Urss di basi economiche più salde e di uno degli eserciti più forti al mondo.

Nel 1945, al termine della Seconda guerra mondiale, l’Armata rossa occupava circa metà del continente europeo. La conseguente rapida divisione dell’Europa e del mondo in due blocchi ideologici, economici e militari contrapposti, egemonizzati da quelle che sarebbero state definite ‘superpotenze’ (Usa e Urss), diede inizio a un periodo di rivalità nota come Guerra fredda, caratterizzata dalla costante minaccia nucleare. Il blocco sovietico si organizzò militarmente attorno al Patto di Varsavia (1955-91), che includeva l’Unione Sovietica e molti stati europei orientali e sarebbe durato fino alla dissoluzione dell’Urss. La fine del bipolarismo e la dissoluzione sovietica ebbe luogo in tempo molto rapido, tra il 1989 e il 1991: al collasso economico dell’Unione Sovietica seguì la sua frammentazione in un certo numero di stati indipendenti in Europa (Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Estonia, Lettonia e Lituania), nel Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaigian) e in Asia Centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan), mentre i paesi dell’Est europeo si ritirarono dal Patto di Varsavia. L’Urss fu formalmente dissolta nel dicembre 1991, e si disgregò in 15 nuove entità statali, tra cui la Federazione russa. La transizione dal sistema economico sovietico, centralizzato e pianificato, all’economia di libero mercato provocò pesanti squilibri, culminati nel collasso finanziario dell’estate del 1998. L’incompiutezza della transizione ha lasciato poi sul campo contraddizioni e problemi economici, sociali e politici. Tra gli altri, la concentrazione oligarchica del potere economico e politico convive con una povertà ancora diffusa tra la popolazione: il pil pro capite è di poco superiore ai 18.600 dollari e almeno 18 milioni di russi vivono sotto la soglia di povertà. Persistono i problemi di instabilità alle frontiere, come quella caucasica, mentre il rispetto dei diritti civili e politici è spesso limitato.

Confronto URSS

Relazioni internazionali

Con il crollo dell’Unione Sovietica, la Federazione russa è stata lentamente reinserita nelle istituzioni internazionali che sostengono il sistema economico globale: nel 1992 la Russia ha fatto il suo ingresso nel Fondo monetario internazionale (Imf) e nella Banca mondiale, nel 1997 è stata formalmente accolta nel G8, mentre nell’agosto 2012 è divenuta membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Lo stesso percorso non è stato invece seguito in materia di cooperazione e di sicurezza: la Russia ha continuato a guardare con estrema diffidenza alla Nato, che comprende oggi gran parte dei paesi dell’Europa centro-orientale. Si è strenuamente opposta all’ingresso nell’alleanza dei paesi ex Patto di Varsavia e avversa ulteriori allargamenti verso est. Il ‘disallineamento’ tra cooperazione economica e sicurezza si spiega con il concetto russo delle relazioni regionali. La classe dirigente e parte dell’opinione pubblica considerano il territorio che faceva parte dell’Unione Sovietica (e, spesso, prima, dell’impero) come uno spazio di naturale proiezione e di influenza russa, all’interno del quale nessun altro stato ha diritto di ingerenza. Non a caso, le repubbliche ex sovietiche vengono fatte rientrare dai russi nella categoria di ‘estero vicino’ (blizhneye zarubezh’e): Mosca si è posta, fin dai primi anni Novanta, alla guida di questo spazio attraverso meccanismi di cooperazione politica, economica e di sicurezza, prima tra tutti la Comunità degli stati indipendenti (Cis) che avrebbe dovuto, nelle intenzioni del Cremlino, raccogliere il testimone della disciolta Urss.

In termini di relazioni internazionali il governo moscovita è attivo su molti fronti. In primo luogo, guarda alla Cina con un misto di speranza e preoccupazione, bilanciando rischi geopolitici e opportunità economiche. Da un lato, la Cina viene considerata in parte come una potenziale minaccia alla tradizionale influenza russa sull’Asia Centrale. Proprio il tentativo di contenere la spinta espansionistica cinese è alla base della cooperazione regionale tra Mosca e Pechino attraverso l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) che, fondata nel 1996, comprende anche le repubbliche centroasiatiche con l’eccezione del Turkmenistan. Dall’altro le opportunità economiche sono principalmente connesse alle possibilità di interdipendenza energetica che la crescita economica della Cina apre al paese.

In secondo luogo, il superamento del sistema bipolare ha permesso anche un approfondimento delle relazioni tra Mosca e gli interlocutori occidentali. Sebbene l’Alleanza atlantica abbia resistito al termine della Guerra fredda, creando momenti di tensione con Mosca, un certo scollamento si è generato al suo interno proprio in relazione ai rapporti con la Russia. Stretta interdipendenza energetica e solidi rapporti diplomatici, economici e culturali hanno spinto alcuni paesi della ‘vecchia Europa’ (in particolar modo Italia, Germania e Francia) verso una costante ricerca di dialogo e di convergenze con Mosca, ‘de-ideologizzando’ le relazioni bilaterali. Altri paesi (come Regno Unito o Svezia) continuano invece a criticare la Federazione russa, principalmente sul piano della mancata affermazione dello stato di diritto, della scarsa apertura economica e del non rispetto dei diritti umani. A questi paesi si sono aggiunti i membri più recenti della Nato e dell’Unione Europea, che guardano all’ex stato sovietico ancora con diffidenza. Le diverse posizioni rispetto alla Russia sono emerse con chiarezza nel corso del conflitto russo-georgiano dell’agosto 2008, che ha visto il fronte euro-atlantico dividersi tra promotori del dialogo e assertori di una ferma linea di condanna dell’operato russo.

Altalenanti sono state invece, nel corso dell’ultimo ventennio, le relazioni con gli Usa. Fermi sostenitori del processo russo di apertura democratica e di transizione verso l’economia di mercato, Washington ha rilanciato il dialogo con Mosca, in particolare nei settori dell’antiterrorismo e del disarmo nucleare. Ciononostante, le relazioni bilaterali hanno vissuto momenti di tensione legati in particolar modo, oltre che all’allargamento della Nato, alle operazioni militari condotte in Serbia e Kosovo nel 1999 e a una retorica che, specie nell’era di George W. Bush (2001-08), faceva continuo riferimento al periodo del confronto bipolare. Dal 2009, sotto la presidenza di Barack Obama, i due paesi hanno puntato al raggiungimento di un accordo sulla riduzione delle armi nucleari, sancito nell’aprile 2010 dal Trattato New Start. Si è assistito, tuttavia, a un nuovo irrigidimento delle relazioni in seguito all’annuncio del dispiegamento dello scudo missilistico della Nato, che ha acuito le storiche paure russe per la propria sicurezza nei confronti dell’Occidente.

Il 2013 ha invece fatto registrare una vittoria della diplomazia russa, che ha per il momento evitato un attacco americano nel conflitto civile siriano, in cambio della distruzione dell’arsenale di armi chimiche di Damasco. Inoltre, la Russia è stata protagonista anche dello storico accordo raggiunto tra la comunità internazionale e l’Iran sulla questione del nucleare. Al tempo stesso ha affermato la propria influenza in Medio Oriente, come testimoniato dal nuovo interessamento all’Egitto, con lo scopo di sostituire gli Usa nelle forniture alla difesa.

Ordinamento

Ordinamento dello stato e politica interna

La Costituzione della Federazione russa, adottata nel dicembre 1993, delinea una repubblica semipresidenziale a struttura federale: il presidente è eletto a suffragio universale e nomina il primo ministro, che deve però godere anche della fiducia del Parlamento. Il presidente non può essere eletto per più di due volte consecutive e il suo mandato, in seguito a una riforma entrata in vigore dalle elezioni del 2012, è stato esteso da quattro a sei anni.

Il Parlamento federale ha struttura bicamerale e consiste nella Duma (la Camera bassa), composta da 450 deputati ed eletta a suffragio universale ogni quattro anni, e nel Consiglio federale, costituito da 166 senatori eletti in maniera indiretta dalle assemblee locali – due per ciascuno dei diversi soggetti che compongono la federazione. Negli anni Novanta, sotto la presidenza di Boris El’cin (1991-99), la Russia dovette affrontare un grave frammentazione politica interna. Tra il 1993 e il 1999 nessun partito riuscì a formare una maggioranza stabile e quasi la metà delle leggi approvate in questo periodo provenivano da proposte governative. El’cin fu costretto a opporre il veto presidenziale su un quinto delle leggi approvate dall’aula e continuò a governare per decreto. Ritenuto responsabile del collasso finanziario del paese nel 1998 e di non essere riuscito a scongiurare i bombardamenti Nato contro la Serbia durante la guerra del Kosovo, El’cin, anziano e malato, si dimise a fine dicembre 1999, lasciando l’incarico ad interim a Vladimir Putin, già primo ministro dall’agosto di quell’anno. Alla vigilia dello scoppio della seconda guerra cecena Putin, già agente della polizia segreta sovietica, trovò nella crisi nel Caucaso settentrionale uno strumento utile a rilanciare il ruolo della presidenza federale, proponendosi come nuovo punto di riferimento nel panorama politico-istituzionale e come leader capace di ricostruire l’identità nazionale russa dopo un decennio di crisi. Il ritrovato sostegno dell’opinione pubblica fu sancito dall’esito delle elezioni del maggio 2000, che gli affidarono la guida del paese.

La riabilitazione della figura e della carica del presidente della Federazione russa, ricoperta da Putin tra il 2000 e il 2008, ha avuto come effetto quello di stabilizzare il paese dal punto di vista interno e di eclissare, di fatto, il ruolo dei primi ministri. Putin ha inoltre coniato il concetto di ‘democrazia sovrana’, che postula il diritto russo di adottare una forma di democrazia diversa da quella occidentale, persino autoritaria nei suoi risvolti pratici – caratterizzati da paternalismo, centralismo e ruolo del leader. Nel 2007 Putin ha fondato un nuovo partito, Russia unita, che alle elezioni parlamentari del 2007 ha conquistato il 70% dei seggi della Duma, sancendo l’egemonia del presidente nell’attuale scenario politico. La continuità politica alla presidenza della Federazione è stata assicurata, nel 2008, con l’elezione di Dmitrij Medvedev, delfino di Putin, che ha da quel momento ricoperto il ruolo di primo ministro. Il ritorno al potere di due uomini forti – Medvedev, che dispone di maggiori prerogative istituzionali si è dimostrato capace di esercitare un certo grado di indipendenza da Putin, con cui non sono mancati i dissensi – ha ricostituito per un certo periodo quell’equilibrio tra capo di stato e presidenza del consiglio venuto a mancare dal 2000.

Con le elezioni legislative del dicembre 2011, il partito Russia unita ha ribadito il suo predominio, seppur parzialmente indebolito: ha mantenuto la maggioranza ottenendo 238 seggi a fronte dei 212 dell’opposizione. Le elezioni presidenziali tenutesi il 4 marzo 2012 hanno registrato una larga vittoria di Putin con il 63% dei voti. Ciononostante, rispetto all’elezione del 2007 e come per la Duma, la percentuale degli elettori per il candidato di Russia unita è diminuita di circa otto punti. Contestualmente, sono scoppiate proteste di massa contro la leadership di Putin, che però non sembrano aver avuto alcun effetto.

Caucaso
Popolazione
Istruzione
Sanità
Camera
Demografia

Popolazione e società

Dagli anni Novanta la tendenza demografica registra valori negativi (-0,40% tra il 2005 e il 2010). Il paese è sceso dai 148 milioni di cittadini del 1990 ai 140 milioni del 2010. Si stima che, nonostante attiri immigrati in cerca di occupazione, la Russia potrebbe affrontare una profonda crisi demografica (la popolazione potrebbe ridursi sino a 116 milioni entro il 2050), accompagnata da un progressivo invecchiamento. Il tasso di mortalità e aumentato rispetto agli anni Novanta (15,1 su mille tra il 2005 e il 2010, 16 nel 2011) per vari fattori, tra i quali il degrado ambientale e il peggioramento del sistema sanitario.

Inoltre, il consumo di alcol e sigarette è un fattore che può aver inciso sull’aumento del tasso di mortalità soprattutto tra gli uomini; nel 2005 la speranza di vita delle donne era di 72,4 anni contro i 58,9 anni degli uomini, mentre nel 2012 è cresciuta rispettivamente a 75 anni contro 63. Mentre i tre quarti della popolazione vive nella Russia europea, in alcune zone, in particolare la Siberia e l’Estremo Oriente della federazione, la densità della popolazione è molto bassa. Tale fattore potrebbe essere fonte di tensione con la Cina, dal momento che il boom demografico cinese potrebbe far crescere l’emigrazione cinese nell’estremo oriente russo, ricco di risorse minerarie e di opportunità di lavoro.

La popolazione è composta in prevalenza da Russi (82%), con minoranze di Tatari (4%), Ucraini (3%), Ciuvasci (1%), Bashkiri (1%), Moldavi (1%) e Bielorussi (1%). Alcuni gruppi, in particolare i Ceceni e le persone provenienti dal Caucaso o dall’Asia Centrale, così come i Rom e gli immigrati africani, subiscono discriminazioni maggiori, controlli e arresti arbitrari, oltre a essere vittime di abusi da parte della polizia. La maggioranza della popolazione è di religione cristiano-ortodossa, ma solo il 5% dei Russi si dichiara osservante, mentre i musulmani rappresentano la più ampia minoranza e vivono prevalentemente nel Caucaso settentrionale e nel Tatarstan. Dal 2009 la chiesa ortodossa russa è retta dal patriarca Cirillo, che rappresenta una figura politica di spicco e ha grande influenza sulle altre chiese ortodosse. La libertà di religione è garantita dalla Costituzione, ma di fatto è soggetta ad alcuni limiti. Particolari gruppi religiosi, come i testimoni di Geova, sono discriminati. Nel 2009 Medvedev ha introdotto l’istruzione religiosa nelle scuole pubbliche.

Di rilievo anche il numero di russi all’estero, in particolare nell’ex area sovietica: la percentuale di Russi sulla popolazione del Kazakistan è del 30%, del 28% in Estonia, del 27% in Lettonia, del 17% in Ucraina, del 13% in Bielorussia e in Moldavia, del 9% in Lituania, del 7% in Turkmenistan, del 6% in Georgia, del 2% in Azerbaigian. Il livello di istruzione è elevato, ma le successive crisi economiche hanno avuto un impatto negativo e hanno peggiorato gli standard educativi rispetto all’epoca sovietica. Nelle università i fondi statali arrivano a finanziare circa un terzo dei costi, coperti per il resto dalle rette degli studenti.

Libertà e Diritti

Nel novembre 2013 la Russia è entrata a far parte del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, assieme a Cina, Arabia Saudita e Cuba, secondo un orientamento che privilegia l’inclusione di partner importanti, benché poco credibili rispetto a una tematica delicata come quella dei diritti umani. L’obiettivo è evidentemente indurre per questa via un miglioramento nella loro situazione interna. In occasione dell’ammissione al consiglio il rappresentante permanente della Russia all’Un, Vitalij Čurkin, ha annunciato che le priorità della Russia in questo ambito riguarderanno la lotta contro il razzismo, la xenofobia e altre forme di intolleranza.

Il seggio ottenuto si scontra con la realtà di una nazione che è stata nell’occhio del ciclone nel giugno 2013 per una legge approvata all’unanimità dai 436 deputati russi della Duma, con un solo astenuto, e che promuove misure repressive contro gli omosessuali. La norma punisce la promozione di ‛orientamenti sessuali non tradizionali’ presso i minori di 18 anni e prevede multe pecuniarie elevate per chi è giudicato responsabile di ‛propaganda omosessuale’. Lo stesso consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite aveva sottolineato la preoccupazione per gli abusi sui civili nell’Ossezia meridionale durante le operazioni militari dell’agosto 2008 e aveva denunciato i casi di tortura, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie nel Caucaso del nord, commessi da militari e personale dei servizi di sicurezza.

Più in generale, secondo l’indice di democrazia stilato dal settimanale britannico «The Economist» la Russia rientrerebbe tra i cosiddetti regimi ibridi, al 107° posto su 167 paesi. Il momento del voto resta delicato e non del tutto trasparente: alle elezioni del 2008 l’Osce decise di non inviare una missione di osservatori elettorali per monitorare le elezioni, per gli stringenti vincoli imposti dal governo russo. Durante le presidenziali del 2012, i rappresentanti dell’Osce hanno riferito di numerosi brogli.

Il potere giudiziario, inoltre, non è indipendente dall’esecutivo: i meccanismi di nomina dei giudici li espongono a pressioni politiche. I casi di detenzioni arbitrarie e di confessioni sotto tortura sono numerosi. La libertà di stampa, sebbene prevista dalla Costituzione, nei fatti è ostacolata e limitata: il governo controlla direttamente o indirettamente le reti televisive, mentre giornalisti e attivisti per i diritti umani sono vittime di pressioni e violenze, tanto da alimentare l’autocensura. Il caso più noto all’opinione pubblica internazionale è stata l’uccisione ancora impunita della giornalista Anna Politkovskaja: ma, dal 1992, i giornalisti uccisi, secondo il Committee to protect journalists (Cpj) sono stati 56. A dicembre 2013 è stata chiusa l’agenzia Ria Novosti, sostituita da Russia Oggi, vera e propria struttura di propaganda. Una legge del 2006 ha consentito una maggiore discrezionalità per la pubblica amministrazione nell’ostacolare l’attività di organizzazioni non governative critiche nei confronti del governo e una legge del 2012 ha ulteriormente aggravato la situazione, dichiarando illegali i finanziamenti esteri alle Ong operanti in Russia.

La corruzione è molto diffusa a tutti i livelli, dalla pubblica amministrazione agli organi di polizia, tanto che secondo Transparency International, la Russia è al 133° posto su 176 paesi nella classifica dell’indice di corruzione percepita. Il governo si è formalmente impegnato a combattere il fenomeno varando un piano nazionale nel 2008, ma questo sembra talmente radicato e il legame con il crimine organizzato così forte che una politica troppo restrittiva potrebbe provocare disordini. Per quanto concerne l’indice di libertà economica la Russia è al 139° posto su 177. La tutela dei diritti di proprietà privata e di proprietà intellettuale è debole e la giurisprudenza in materia del tutto imprevedibile; la legislazione soffre inoltre di mancanza di trasparenza,vi sono vincoli sulla partecipazione estera nelle imprese e gli stranieri non possono comprare terreni, ma solo prenderli in locazione per 49 anni.

Partecipazione
Vicini
G8

Economia

L’economia della Russia in affanno nel 2013 rispetto all’anno precedente in termini di crescita del pil vede le proiezioni sui dati del 2014 in miglioramento. Le difficoltà sono in linea con una ripresa che fatica a prendere piede anche in Europa a seguito della crisi finanziaria del 2008, ma anche con una situazione che permane difficile dai primi anni Novanta, a seguito del crollo dell’Unione Sovietica. Nel 1991 il pil reale della Russia scese del 12% e il deficit arrivò al 26% del pil: una profonda crisi economica accompagnò la transizione dall’economia pianificata all’economia di mercato. Nonostante le numerose riforme varate, come quella fiscale, del welfare e della proprietà privata e un processo di privatizzazione avvenuto rapidamente negli anni Novanta, la crisi economica del 1998 ha rallentato questi processi e la liberalizzazione è rimasta incompiuta.

Lo stato mantiene il controllo dei settori trainanti dell’economia, in primis quello petrolifero (con l’espansione della controllata Rosneft rispetto alla Yukos), ma anche quello bancario earmi degli armamenti, mentre le imprese straniere giocano ancora un ruolo molto limitato nel paese. Durante la presidenza Putin, il governo si è impegnato a promuovere maggiore trasparenza e libertà economica, anche tramite la lotta agli ‘oligarchi’, un gruppo di uomini d’affari che costruirono le loro fortune negli anni Novanta. Tuttavia la campagna si è rivelata selettiva e mirata a ostacolare le attività di Boris Berezovskij e Vladimir Gusinskij, due uomini d’affari con influenza sui media, e di Michail Khodorkovskij, uno dei principali azionisti della Yukos, che sembrava avere ambizioni politiche. Quest’ultimo è stato arrestato nel 2003 e condannato a otto anni di detenzione per frode ed evasione fiscale. Nel dicembre 2010 Khodorkovskÿ è stato nuovamente condannato per furto di petrolio assieme a Platon Lebedev, anch’egli ex azionista Yukos.

La produttività agricola è diminuita rispetto all’epoca sovietica, anche se è in ripresa. La vulnerabilità al clima fa sì che il suolo agricolo rappresenti il 32% del totale, mentre il 45% del territorio è ricoperto da foreste che producono legname, uno dei principali beni di esportazione. L’industria estrattiva è molto sviluppata ma, in generale, la Russia ha ereditato una base industriale tecnologicamente arretrata e orientata a processi di trasformazione a basso valore aggiunto. Inoltre il tessuto industriale è costituito prevalentemente da grandi imprese, mentre servizi finanziari e turismo sono tra i principali settori del terziario.

L’eredità sovietica ha lasciato una disparità tra le regioni, dal momento che la specializzazione geografica era un aspetto centrale nella pianificazione. L’industria pesante è concentrata nella Russia europea, negli Urali e sull’Artico, dove sono situate le maggiori risorse energetiche, mentre le zone agricole sono nelle regioni meridionali, che sono per questo anche le meno ricche. La sola Mosca produceva il 22% del pil nel 2008. Inoltre, le disuguaglianze nella distribuzione del reddito sono aumentate rispetto all’epoca sovietica (nel 2007 il 20% più ricco della popolazione possedeva la meta del reddito totale russo, rispetto al 38% del 1992).

L’economia russa dipende in gran parte dalla produzione e dal prezzo di gas e petrolio. Dopo la crisi del 1998, la successiva crescita economica dall’inizio del secolo è in gran parte dovuta all’aumento del prezzo del petrolio. Gli idrocarburi contano per il 60% delle esportazioni, che a loro volta hanno rappresentato circa il 30% del pil nell’ultimo decennio. La Russia ha risentito della crisi economica del 2008 più di altri paesi industrializzati, registrando una contrazione del pil del 7,9%, anche a causa del declino dei prezzi del petrolio, ma anche per la guerra in Georgia e per la fuga di capitali. Tra le principali sfide per il governo vi è proprio la risposta alla crisi e la riduzione della dipendenza dalla volatilità del prezzo del petrolio, la diversificazione dell’economia e lo sviluppo del settore avanzato.

Nel 2013 il tasso di crescita reale del pil è stato dell’1,5%, la disoccupazione totale ha raggiunto il 5,5% circa e l’inflazione si è attestata al 6,9%. Nel 2012 il flusso di investimenti stranieri diretti è stato pari a più di 51 miliardi di dollari, mentre la bilancia commerciale nell’ultimo decennio ha mantenuto un forte trend positivo. Il paese esporta prevalentemente idrocarburi ma, importando macchinari e beni alimentari, il surplus commerciale si assottiglia. Nel 2010 la Russia ha creato un’Unione doganale con Bielorussia e Kazakistan che è stata formalizzata come Unione eurasiatica nel gennaio 2012. La federazione è inoltre parte della Comunità economica euroasiatica (Eurasec) assieme a questi due paesi e a Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Lo scambio commerciale con le ex repubbliche sovietiche rimane tuttavia inferiore a quello con l’Unione Europea (Eu). Bruxelles, che dipende dall’energia russa, è di gran lunga il maggior partner commerciale (più del 50% di interscambio russo) e il maggior investitore in Russia (con una quota del 75% degli investimenti esteri). Sempre più rilevante è inoltre l’interscambio con la Cina, che potrebbe aumentare notevolmente in conseguenza dell’avvio di esportazioni di idrocarburi. Avendo concluso accordi con Eu e Usa, la Russia è entrata a far parte del Wto, dopo un lungo percorso iniziato con la richiesta di adesione del 1993.

Economia
Idrocarburi
Investimenti
Infrastrutture
Crescita

Energia e ambiente

La Russia è il terzo produttore e consumatore di energia al mondo, dopo Cina e Usa. Malgrado ciò, ai ritmi di produzione attuali, alla Russia rimangono riserve petrolifere per soli altri 20 anni, mentre l’Arabia Saudita, altro grande produttore petrolifero, ne possiede per altri 75. Per quanto riguarda invece il gas naturale, è il primo paese al mondo per riserve, e agli alti ritmi di estrazione attuali – è il secondo produttore al mondo, dopo gli Usa – gli restano riserve certe per 84 anni. Per mantenere la posizione di preminenza nell’approvvigionamento energetico europeo e dare, al contempo, sostenibilità alla connotazione di ‘potenza energetica’, la Russia ha dunque necessità di attirare investimenti stranieri nei settori dell’esplorazione, sfruttamento e trasporto degli idrocarburi. Oltre a costituire la più importante componente del mix energetico russo, il gas è anche il principale prodotto che la Russia esporta all’estero, principalmente verso l’Europa: l’85% delle esportazioni totali di gas naturale si dirigono verso il continente europeo, arrivando ben al 94%, se nel computo viene inclusa anche la Turchia. Nell’ultimo decennio queste esportazioni sono rimaste costanti, attorno ai 180 giga metri cubi (Gmc) all’anno, salvo calare a 138 Gmc all’anno nel 2009 a seguito della forte contrazione della domanda europea e mondiale di gas, che ne ha spinto il prezzo verso il basso. Ai russi è convenuto dunque continuare a onorare i contratti di fornitura in vigore con molti paesi europei, i quali fissano il prezzo del gas sul medio periodo e sono legati a clausole ‘take or pay’ (in base alle quali l’acquirente è tenuto a pagare il prezzo di una quantità minima di gas indipendentemente dal suo ritiro), ma hanno praticamente ridotto a zero le vendite di gas al dettaglio.

A fronte della stabilizzazione della domanda europea di gas, nei prossimi anni la Russia, che ricava gran parte delle rendite del suo commercio estero dall’esportazione di idrocarburi, dovrà cercare di espandere le sue relazioni con i due grandi consumatori di questa materia prima alle sue frontiere orientali: uno, già grande importatore (il Giappone), e uno potenziale e in forte crescita (la Cina). Tuttavia, sebbene in questo periodo si stiano rapidamente sviluppando le capacita mondiali di liquefazione, trasporto via nave e rigassificazione del metano, il commercio del gas naturale è ancora in massima parte rigido, legato cioè alla necessita di viaggiare attraverso gasdotti, i quali richiedono grossi investimenti iniziali, e che oggi collegano la Russia quasi unicamente all’Europa. Le esportazioni di petrolio sono più che raddoppiate nell’ultimo decennio, fino a raggiungere 7,3 milioni di barili al giorno nel 2009. La fetta più grande (l’80%) è diretta verso i paesi europei, il 12% verso quelli asiatici e il 3,5% verso gli Usa. La maggior parte della produzione interna è dominata dalle imprese nazionali. Al termine di un processo di privatizzazione fortemente condizionato dalla politica, queste aziende sono oggi poche e notevolmente concentrate. Rosneft, impresa a conduzione statale, è attualmente il maggior produttore petrolifero del paese, mentre la penetrazione di società straniere è stata osteggiata. Queste ultime hanno perciò scelto o di ritirarsi, o di partecipare ai progetti petroliferi investendo direttamente in Rosneft. Sotto il profilo ambientale, infine, la Russia è il quarto emissore di anidride carbonica al mondo (dopo Cina, Usa e India) e il quindicesimo per emissioni pro capite. Per questo la politica energetica russa è stata indirizzata verso lo sviluppo del nucleare civile (si punta a raddoppiare la capacita di produzione di energia elettrica entro il 2030) e dell’idroelettrico, così da ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Tuttavia, gran parte delle 31 centrali nucleari del paese è obsoleta, e circa metà di esse si basano ancora sullo stesso tipo di reattore che provocò l’incidente di Černobyl´ nel 1986.

Mix energetico
Energia
Export energia
Reti energia

Difesa e sicurezza

Una delle principali minacce alla sicurezza in Russia è legata al terrorismo, a sua volta innescato dal conflitto ceceno, per il quale si è temuto per la sicurezza russa in occasione delle Olimpiadi invernali di Soči Inoltre, la Russia ha una controversia territoriale ancora non risolta con il Giappone circa la sovranità sulle Isole Curili meridionali, occupate dall’Unione Sovietica nel 1945. Nella percezione di Mosca anche l’allargamento della Nato costituisce una minaccia alla sicurezza. Lo stesso vale per il progetto di scudo spaziale nell’Europa centrale, portato avanti dall’Alleanza atlantica dopo l’abbandono da parte degli Usa dei progetti bilaterali con Polonia e Repubblica Ceca promossi dall’amministrazione Bush. Avendo interesse a garantire la stabilità della regione ex sovietica e dell’Asia Centrale e a creare una partnership per la sicurezza comparabile alla Nato, la Russia ha promosso la creazione dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto), accordo di difesa e sicurezza creato nell’ambito del Cis da Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Inoltre, la Russia fa parte dal 1996 dell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai (Sco) assieme a Cina, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. La Sco mira a rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza e a combattere fenomeni come terrorismo, estremismo, separatismo, commercio di droga, traffico di armi e immigrazione clandestina. Inoltre costituisce un importante forum di dialogo tra Cina e Russia in materia di sicurezza, ma non prevede misure di difesa come la Csto. La presidenza Putin ha cercato di rafforzare entrambe le organizzazioni.

L’interesse russo a mantenere la stabilità e la propria influenza nell’estero vicino si manifesta in numerosi altri aspetti. Il paese possiede alcune basi militari situate prevalentemente nell’ex area sovietica (a eccezione della base di Tartous in Siria, paese con cui la Russia ha ancora forti legami). Ne sono esempi le basi in Ucraina e in Tagikistan, dove i russi hanno ottenuto la proroga fino al 2042 per la gestione, rispettivamente, della base navale di Sebastopoli in Crimea e di quella terrestre di Dushanbe, la quale rappresenta la più grande base russa fuori dai confini della federazione. La Russia ha anche concluso alcuni accordi bilaterali di difesa con le ex repubbliche sovietiche – quello con l’Armenia, nel 2010, è stato prorogato fino al 2044 – ed è presente nella regione anche attraverso missioni di peacekeeping nell’ambito del Cis. La volontà di mantenere il ruolo esclusivo di garante della sicurezza nello spazio già sovietico, ritagliandosi margini di influenza e ingerenza, è stata dimostrata negli ultimi anni dalla ‘guerra dei cinque giorni’ (7-12 agosto 2008) contro la Georgia, che aveva tentato di riconquistare militarmente il controllo della regione separatista dell’Ossezia meridionale, in cui la Russia aveva dispiegato un proprio contingente di peacekeeping. Viceversa, la presenza nell’ambito delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite è limitata: i russi hanno inviato le proprie truppe solo nella Repubblica Centrafricana (Minurcat) e in Sudan (Unmis). Il settore militare ha risentito profondamente del crollo dell’Unione Sovietica. L’esercito, oggi composto da più di un milione di militari, ne comprendeva 2,7 milioni nel 1992 e la spesa militare ha subito un forte ridimensionamento (dal 14,2% del 1989 al 3,9% del 2011). Dagli anni Novanta vi sono stati numerosi tentativi di riformare e modernizzare l’esercito, che si sono però rivelati di difficile attuazione e non sono stati adeguatamente finanziati. Nel 2008 Medvedev aveva avviato una riforma che dovrebbe ristrutturare l’esercito, rafforzarne l’efficacia, migliorare la formazione militare e modernizzare l’arsenale militare, provvedendo all’acquisto di armi tecnologicamente avanzate. Nonostante le forze convenzionali siano inferiori a quelle della Nato e a quelle cinesi, l’arsenale nucleare rimane un importante deterrente. La Russia detiene il maggiore arsenale nucleare al mondo, sebbene continui a ridurlo seguendo gli impegni in materia di disarmo posti del Trattato di non proliferazione nucleare. Il primo accordo Start I con gli Usa risale al 1991. Nel 2010, i due paesi hanno concluso il nuovo accordo Start, in base al quale si sono impegnati a ridurre gli arsenali entro sette anni, riducendoli a un massimo di 1550 testate atomiche schierate.

Presenza militare
Difesa
Testate nucleari

La Cecenia e l’instabilità nel Caucaso settentrionale: origini del conflitto interno e minacce globali

Oggi la Cecenia è una repubblica autonoma che fa parte della Federazione russa con una popolazione che conta poco più di un milione e duecentomila abitanti. Resta un territorio fortemente instabile, dove negli ultimi vent’anni si sono combattute le due guerre russo-cecene, l’ultima delle quali terminata nel 2009 ma con episodi violenti che continuano tutt’oggi a verificarsi soprattutto nella parte nord del Caucaso e in altre repubbliche del Caucaso settentrionale. Le due guerre si inquadrano nei più ampi processi innescati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e dalla lotta per l’indipendenza dall’URSS prima, e dalla Federazione russa poi, delle repubbliche caucasiche. Nel novembre 1991, contestualmente al conseguimento dell’indipendenza delle tre Repubbliche socialiste sovietiche del Caucaso meridionale (Armenia, Azerbaigian e Georgia), la Repubblica Cecena di Icˇkerija che, assieme all’Inguscezia, beneficiava dello status di repubblica autonoma, proclamò la propria indipendenza da Mosca. Tale atto diede origine a un conflitto mai davvero concluso con le autorità federali, preoccupate del possibile ‘effetto domino’ della secessione cecena. Le ricadute del conflitto sono sfociate in forme di terrorismo di matrice islamica che hanno colpito non solo su territorio ceceno, ma anche in Russia fino a forme di terrorismo internazionale: ceceni erano i due giovani attentatori che hanno colpito la maratona di Boston dell’aprile 2013. Le connessioni tra la Cecenia e altre zone del Caucaso con il network del jihadismo globale restano tuttavia argomento di dibattito. Il personaggio principale del primo periodo di esistenza della Repubblica di Ičkeria è stato Džochar Dudaev, generale dell’aviazione sovietica, poi leader indipendentista e infine presidente della autoproclamata Repubblica fino al 1996, anno della sua uccisione. Nel 1993 il Parlamento ceceno tentò di sfiduciare Dudaev ma lui dissolse l’Assemblea e iniziò un governo autoritario. La formazione di un movimento di guerriglia ostile a Dudaev, finanziato e sostenuto da Mosca, sfociò nella prima guerra russo-cecena (dicembre 1994 – agosto 1996), durante la quale i russi occuparono Groznyj ma riportarono una delle più recenti sconfitte sul campo dopo il tragico conflitto con l’Afghanistan, e furono costretti a negoziare un cessate il fuoco e a ritirarsi dalla regione. Il fallito tentativo di riannessione, lasciò sul campo circa 5700 militari russi e 17.300 morti ceceni. Tra il 1996 e il 1999 la Cecenia fu preda di una lunga guerra civile che portò la regione al collasso economico, dove la violenza politica si mischiò con l’estremismo islamico. Lo stesso islam sufi, presente nella regione, si scontrò con la corrente radicale dei wahhabiti, un fenomeno esterno alla cultura cecena. Proprio le azioni di una fazione wahhabita, la Brigata islamica internazionale, scatenò il casus belli della seconda guerra russo cecena (1999-2009), con l’invasione nell’agosto 1999 del Daghestan, per sostenere i separatisti della regione, mentre in ottobre una serie di attentati dinamitardi in alcune città russe provocò quasi 300 morti. Putin, allora primo ministro, decise di invadere nuovamente la Cecenia. Le principali operazioni di guerra si svolsero tra l’ottobre 1999 e il maggio 2000 ma la guerra si protrasse fino al 15 aprile 2009, dopo anni di sforzi volti a colpire le sacche di resistenza della guerriglia separatista, i cui attentati più eclatanti furono quello del 2002 al Teatro Dubrovka di Mosca – che causò la morte di almeno 170 persone – e quello del 2004 in una scuola di Beslan, nell’Ossezia del Nord, dove lo scontro tra guerriglieri e forze di sicurezza provocò più di 380 vittime. A parte questi episodi, le cronache del conflitto russo ceceno riportano di gravi abusi nei diritti umani e contro la popolazione civile da entrambe le parti. Gli attentati di Boston hanno riacceso l’attenzione degli osservatori internazionali verso quest’area.

Russia e Europa: interdipendenza energetica e nuove infrastrutture

L’attuale interdipendenza energetica tra Russia ed Europa, regioni rispettivamente esportatrice e importatrice di risorse energetiche, ha trasformato una parte dei paesi europei fuoriusciti dall’ex Unione Sovietica (Bielorussia e Ucraina) o facenti parte dell’ex Patto di Varsavia (Polonia) in stati di transito per gasdotti e oleodotti diretti verso ovest. Sebbene il greggio possa essere trasportato anche attraverso petroliere, il commercio del gas è infatti ancora in vasta misura ‘rigido’, legato cioè alla sua trasmissione attraverso gasdotti. La posizione strategica di questi paesi (sommata, in alcuni casi, agli storici legami con l’ex URSS) ha dunque permesso loro di strappare prezzi minori rispetto a quelli di mercato. Malgrado ciò, la loro pressoché totale dipendenza dalle importazioni energetiche, e in primo luogo di gas, dalla Russia ha permesso a Mosca di utilizzare la minaccia o l’effettivo blocco delle forniture per spingere verso la risoluzione alcune tra le vertenze (in larga parte commerciali, ma dai risvolti spesso politici) che fino a quel momento rimanevano irrisolte. L’utilizzo politico della minaccia dell’interruzione delle forniture è stato un tratto costante delle politiche russe dell’ultimo decennio, tanto da aver aumentato il senso di insicurezza energetica dei paesi dell’Europa occidentale, che vedono minacciata la stabilità dei loro approvvigionamenti. Il progressivo indebitamento dei paesi clienti – e in particolar modo di quelli dell’Europa centro-orientale – è stato, inoltre, spesso ripianato da questi attraverso la cessione della propria rete infrastrutturale alle compagnie russe. Per tale motivo, i due grandi progetti infrastrutturali che dovrebbero collegare l’Europa alla Russia hanno di fatto l’obiettivo di evitare i paesi con cui è più probabile che nascano nuove controversie in futuro. Da una parte, infatti, il North Stream, che dovrebbe divenire operativo entro la fine del 2012, scavalcherà Bielorussia e Polonia attraverso il Baltico; dall’altra il South Stream, atteso per il 2015, potrebbe aggirare l’Ucraina (dalla quale oggi transita circa l’80% del gas diretto in Europa occidentale), passando per il Mar Nero. La capacità teorica di questi gasdotti – di 137 miliardi di metri cubi di gas all’anno – garantirebbe alla Russia una posizione di assoluta dominanza dell’approvvigionamento di gas europeo. I nuovi gasdotti sarebbero dunque in grado di assicurare all’Europa occidentale una continuità di approvvigionamenti anche in caso di interruzioni di fornitura ai paesi dell’Europa orientale. Ciò apre tuttavia il campo a conseguenze anche negative. Oltre ad approfondire la dipendenza energetica europea dalla Federazione russa, quest’ultima disporrà infatti di maggior spazio di manovra nell’utilizzo delle leve energetiche nei confronti dei paesi dell’Europa orientale, la cui sicurezza energetica non sarà più legata a doppio filo a quella dei loro vicini occidentali.

La Russia e le Olimpiadi invernali più costose della storia

Le XXII Olimpiadi invernali tenutesi a Socˇi tra il 7 e il 23 Febbraio 2014 sono state avvolte da un alone di polemiche riguardo ai costi che si sono attestati tra i più alti della storia delle Olimpiadi. Attualmente le stime sui costi hanno superato infatti i 50 miliardi di dollari, il doppio dei giochi organizzati a Londra e cinque volte il costo iniziale stimato. La Russia si è aggiudicata l’organizzazione dei giochi nel 2007, ed è la prima volta dopo il crollo dell’Unione Sovietica che un evento olimpico viene organizzato in Russia. Secondo Human Rights Watch, poi, dietro l’evento più costoso della storia delle Olimpiadi si nasconderebbero gravissime violazioni dei diritti dei lavoratori immigrati – 16 mila secondo le stime – che hanno collaborato alla costruzione dei 136 siti olimpici. I turni di lavoro sono stati particolarmente pesanti e senza giorni di pausa settimanali. Inoltre, molti di loro non avrebbero ricevuto un compenso per mesi, le condizioni di vita sarebbero state pessime con più di 200 persone ospitate in una singola abitazione e le denunce di abusi sarebbero state sovente insabbiate dalle autorità e ripagate con l’espulsione dal territorio russo.

La politica estera della Russia: prospettive e dilemmi
di Paolo Calzini

Confortato dai risultati ottenuti sulla scena internazionale nel corso del 2013 grazie a un’abile azione politico diplomatica Putin appare convinto della validità del corso intrapreso, fondato su flessibilità tattica e determinazione strategica. La linea di politica estera definita ‘affermativa’, indirizzata a proiettare l’immagine di una Russia grande potenza in ascesa, a tutto vantaggio del prestigio del regime russo e del suo presidente, è destinata verosimilmente ad essere portata avanti con controllata fermezza anche nel 2014. Di questa impostazione fa fede l’ultima versione del ‘concetto della politica estera’, il documento ufficiale che stabilisce le direttive dell’azione internazionale, centrato sull’esigenza prioritaria di assicurare alla Russia una condizione di piena indipendenza nella conduzione della propria azione internazionale. Un approccio, si sottolinea, volto a promuovere l’interesse nazionale russo utilizzando la collocazione al centro dell’Eurasia per affermare una presenza adeguata allo status di una grande potenza tornata ad essere attiva sulla scena mondiale.

Le aree oggetto dell’iniziativa russa sono le seguenti. Mosca considera la regione definita lo spazio post-sovietico inclusivo del gruppo degli stati indipendenti non russi, nati dall’implosione dell’URSS e che fanno corona alla Russia, un’area cruciale per la propria sicurezza. Fallito, nonostante la condizione di evidente superiorità nella regione, l’obiettivo di assicurarsi una posizione dominante nell’insieme di questo spazio, si punta all’integrazione di un gruppo selezionato di stati vicini. A dare impulso a una strategia più mirata e equilibrata è stato il varo dell’ambizioso progetto, patrocinato da Putin, di un’Unione economica euroasiatica formata da Russia, Kazakistan e Bielorussia. Aperta all’adesione di altri stati presenti nell’area, l’iniziativa si propone partendo da questo nucleo iniziale di estendere progressivamente il processo di integrazione alla totalità della regione. La crisi scoppiata a Kiev, confrontata al dilemma tra una scelta immediata di associazione all’EU o un’eventuale inclusione nell’Unione euroasiatica, testimonia l’importanza della posta in gioco in quest’area cruciale nei rapporti tra Russia e Europa.

L’Occidente rappresenta, nonostante l’allontanamento da Mosca intervenuto in questi anni, la principale formazione di riferimento con la quale le autorità russe sono destinate a confrontarsi sul piano internazionale. Quale che sia il rilievo dei rapporti stabiliti con le potenze emergenti di Asia, Africa e Sudamerica – emblematica la partecipazione russa ai BRIC – è infatti con le potenze occidentali che si continuerà a giocare la partita politico diplomatica decisiva per il futuro della Russia. Una partita di lungo respiro, che riguarda i diversi scacchieri sede di incontrollata conflittualità che vanno dallo spazio post-sovietico al Medio Oriente e all’Africa settentrionale. I successi diplomatici registrati in Siria e Ucraina hanno dimostrato la capacità russa di operare con un efficace mix di intransigenza e flessibilità, approfittando delle oscillazioni dell’atteggiamento occidentale. L’EU, d’altra parte, per quanto segnata da una evidente perdita di immagine, si conferma un partner di peso, indispensabile al processo di modernizzazione della Russia grazie al volume di investimenti e di tecnologie assicurati all’economia russa in cambio di forniture di idrocarburi. Questa condizione di interdipendenza ha permesso di mantenere un adeguato livello di cooperazione fra le parti. A Mosca, Bruxelles e nelle capitali europee, prevale la consapevolezza che assicurare una condizione di stabilità sul continente costituisce un obiettivo prioritario, dettato dal comune interesse a una convivenza pacifica fra gli stati dello spazio paneuropeo. Su un piano globale caratterizzato da elementi di competizione e contrasto, gli USA, rimasta l’unica superpotenza, sono al centro dell’attenzione di Mosca, preoccupata in primo luogo di garantirsi una condizione di parità strategica nel settore militare. Nonostante l’impegno al mantenimento di un adeguato livello di comunicazione, le relazioni tra Mosca e Washington continuano ad essere ostacolate da una politica alimentata da reciproche recriminazioni. Il rapporto fra le due potenze, non sostenuto da una sostanziosa interazione a livello economico, è marcato dal risentimento di Mosca nei confronti delle critiche americane agli sviluppi della politica interna russa.

L’intenzione russa manifestata di recente di portare avanti una politica estera focalizzata sul Pacifico, riveste finora un carattere più che altro dichiaratorio. La promozione di una strategia diretta a promuovere l’influenza russa nella regione, ispirandosi a una presunta vocazione euroasiatica, sembra dettata sostanzialmente dalla volontà di controbilanciare il rapporto con l’Occidente. Un’effettiva iniziativa su questo fronte comporterebbe, ben al di là del rafforzamento dei legami economico-politici con la Cina, un impegno in grado di far uscire la Siberia e l’Estremo Oriente russo dalle condizioni di arretratezza in cui si trovano attualmente questi territori. Un’arretratezza che, in assenza di uno sforzo diretto al suo superamento, porta all’isolamento nei confronti dell’area adiacente, costituita da uno dei principali poli economici mondiali, rendendo velleitarie le ambizioni russe in questa regione.

L’impegno di Putin al consolidamento della Russia nel ruolo di grande potenza regionale in grado di essere presente a livello globale, è giudicato da molti osservatori insidiato dalle condizioni di debolezza strutturale alla base delle sue fondamenta.

Le condizioni che hanno sostenuto in questi anni una politica internazionale nel segno del dinamismo, tendono a esaurirsi a causa delle contraddizioni inerenti alla configurazione di un regime intento a perpetuare una condizione di stabilità che rischia di tradursi in stagnazione. Considerate le contraddizioni implicite in questa situazione, anche se verosimilmente non sembrano destinate a manifestarsi a breve termine, il compito dell’Occidente è quello di operare con realismo nei confronti di un partner difficile da gestire, ma indispensabile al mantenimento della stabilità in Eurasia.

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