Sade, Donatien-Alphonse-François, marchese di

Dizionario di filosofia (2009)

Sade, Donatien-Alphonse-Francois, marchese di


Sade, Donatien-Alphonse-François, marchese di

Scrittore e filosofo francese (Parigi 1740- Charenton-le-Pont, Île-de-France, 1814). Di nobile famiglia, imparentato per parte di madre con i Condé, seguì giovanissimo la carriera delle armi e partecipò alla guerra dei Sette anni. I processi che dovette subire in seguito a una serie di scandali lo condussero in carcere, al soggiorno obbligato e alla condanna a morte, cui si sottrasse con la fuga in Italia. In seguito a un nuovo scandalo, fu arrestato a Parigi nel 1777, imprigionato a Vincennes, quindi alla Bastiglia (1784-89) e nel manicomio di Charenton-le-Pont. In questi anni si consacrò alla lettura e scrisse varie opere, tra cui Dialogue entre un prêtre et un moribond (post., 1926; trad. it. Dialogo tra un prete e un moribondo); La verité, pièce trouvée dans les papiers de La Mettrie, post., 1961); l’incompiuto Les 120 journées de Sodome (il manoscritto, ritrovato dopo la morte di S., fu pubbl. dallo psichiatra E. Dühren, 1904; trad. it. Le 120 giornate di Sodoma); il racconto Les infortunes de la vertu (post., 1930), che, rimaneggiato, sarebbe divenuto il romanzo Justine, ou les malheurs de la vertu (2 voll., 1791; trad. it. Justine o le disavventure della virtù). Liberato nel 1790, prese parte al fervore rivoluzionario anche con numerosi scritti (tra cui un Discours aux mânes de Marat et de Pelletier, 1793), ma fu imprigionato durante il Terrore e rischiò la ghigliottina. Liberato nuovamente alla caduta di M. Robespierre, si dedicò alla pubblicazione delle sue opere più importanti, tra cui La philosophie dans le boudoir (2 voll., 1795; trad. it. La filosofia nel boudoir); La nouvelle Justine ou les malheurs de la vertu, suivie de l’histoire de Juliette sa soeur, ou les prospérités du vice (10 voll., 1797; trad. it. La nuova Justine, o le sciagure della virtù). Individuato come l’autore di Justine e di Juliette, giudicate «opere infami», fu nuovamente imprigionato (1801) e quindi internato a Charenton, dove organizzò spettacoli per i pazzi e scrisse le sue ultime opere: Les journées de Florbelle, ou la nature dévoilée, andata distrutta; La marquise de Gange (2 voll., 1813); Histoire secrète d’Isabelle de Bavière, reine de France (post., 1953). Ignorata o proibita per oltre un secolo, l’opera di S. ha influenzato poeti come Ch. Baudelaire e J.-N.-A. Rimbaud prima di essere rivalutata nel 20° sec. da Apollinaire, dai surrealisti, da P. Klossowski, G. Bataille, M. Blanchot, dal gruppo di Tel quel, che vi hanno scorto l’espressione, libera dalle censure della ragione e delle convenienze sociali, di aspetti fondamentali della natura umana (la preminenza assoluta della sessualità, l’impulso verso la distruzione) poi indagate dalla psicoanalisi. Gli argomenti contro l’esistenza di Dio, la confutazione dell’immortalità dell’anima, il determinismo costituiscono i cardini del pensiero di S., che approda a una filosofia della natura in cui viene abbandonata progressivamente l’idea di un sostanziale equilibrio tra creazione e distruzione per asserire la preminenza di quest’ultima e legittimare quindi la tendenza al male presente nell’uomo. Rifacendosi alla tradizione del materialismo ateo settecentesco, in partic. a d’Holbach e La Mettrie, con il suo radicalismo S. finisce per farne esplodere le contraddizioni: il tentativo dei philosophes di conciliare natura e ragione, virtù e felicità si rivela illusorio, il determinismo sostenuto con coerenza esclude la possibilità di costruire una nuova etica, il conflitto di fondo tra gli egoismi umani impedisce ogni conciliazione in un interesse collettivo superiore.

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