SAHEL

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

SAHEL

Olga Donati

S. è l'adattamento italiano dall'arabo al-Sāḥil, denominazione frequentemente usata in Africa a indicare le aree di contatto fra le zone desertiche e le steppe. In particolare con il termine S. si individua l'orlo meridionale del Sahara, ossia quella lunga banda di transizione climatico-ambientale che dalle coste atlantiche agli altipiani etiopici del Corno d'Africa s'interpone fra le sabbie sahariane e i climi sudanesi meridionali, le grandi foreste guineiane ed equatoriali. Ne consegue che la fascia saheliana non rappresenta un'entità geografica ben individuata e distinta. Essa non appartiene nemmeno a una delle classiche tipologie bioclimatiche in cui W. Köppen ha suddiviso le terre emerse del globo e quindi il continente africano. I limiti della regione sono arbitrari e, secondo una prassi avviata dalla scuola francese, vengono fatti coincidere con la linea immaginaria tracciata dalle isoiete 200 e 500. Il territorio così definito rappresenta il S. propriamente detto. In senso più ampio e generico si tende a considerare territorio saheliano anche l'area compresa a nord tra le isoiete 100 e 200, che si configura come S. sahariano e quella a sud, tra le isoiete 500 e 700, che definisce il S. sudanese (cfr. fig. 1).

Così individuato il S. comprende parte del territorio degli stati del Senegal, del Mali, della Mauritania, del Niger, del Burkina Faso, del Ciad e del Sudan, per un'estensione complessiva di circa 1,8÷2 milioni di km2 (3,3÷3,6 milioni di km2 per il S. compreso fra le isoiete 100 e 700), distribuiti su una banda profonda da 300 a un massimo di 700÷800 km. Il peggioramento delle condizioni ambientali verificatosi tra gli anni Settanta e Ottanta, il ciclo di prolungate siccità con il conseguente slittamento verso sud delle isoiete, contribuiscono a mantenere labili i confini del S. e, nel contempo, ampliano le regioni in cui si manifestano i caratteri propri dell'ecosistema. Così, accanto ai citati paesi tradizionalmente saheliani, i fenomeni di siccità, erosione e desertificazione determinano un processo di assimilazione anche di alcune zone dell'Uganda (regione della Karamogia) e del Kenya settentrionale (regione del lago Turkana).

Il quadro ambientale. - Il tratto che maggiormente contraddistingue l'ecosistema saheliano, accanto alla generalizzata aridità del clima, è costituito dall'estrema fragilità ambientale dovuta all'elevata irregolarità nel ritmo delle precipitazioni. A scala millenaria si sono susseguite oscillazioni pluviometriche di notevole ampiezza. A lunghi periodi di aspre siccità, in conseguenza delle quali il paesaggio saheliano si trasformava in un'immensa distesa di dune vive, del tutto simile al grande deserto del Sahara, hanno fatto seguito intervalli di piogge abbondanti, che arricchivano i terreni di un fitto manto erboso, particolarmente propizio allo sviluppo delle attività pastorali. A queste grandi alternanze plurisecolari hanno poi sommato i loro effetti cicli di minore durata, che si sono, a volte, protratti da alcuni anni fino a qualche decennio, e che hanno provocato una sensibile modificazione della curva pluviometrica. In questo modo si sono alternati periodi in cui l'apporto idrico è risultato adeguato ai fabbisogni dell'ecosistema con fasi in cui la piovosità annuale è risultata del tutto insufficiente. Dall'inizio del 20° secolo si ricordano come particolarmente piovose le annate 1935-36, 1950-54 e 1957-58, mentre i cicli di siccità si sono verificati in corrispondenza dei periodi 1931-33, 1937-38, 1940-41 e 1964-72. Dai primi anni Settanta non è più possibile individuare una significativa alternanza tra le annate secche e quelle piovose in quanto si è verificato un prolungamento dei periodi siccitosi. Particolarmente drammatiche sono state le punte del 1972-73 e del 1984-85, che hanno reso tristemente famosa la regione per i drammi umani e le ecatombi animali di cui è stata teatro.

La variabilità delle precipitazioni è molto marcata anche da un anno all'altro, come si desume (fig. 1) dal caratteristico andamento a denti di sega delle curve pluviometriche registrate presso le principali stazioni di rilevamento (Agadès, Tombouctou, Ménaka, Mopti, Zinder, Niamey). A Mopti, per es., in alcuni anni le precipitazioni non hanno superato i 300 mm, mentre in altri sono state superiori agli 800 mm. Lo stesso è accaduto a Ménaka e ad Agadès; mentre a Niamey − già inserita in ambiente sudanese − la variabilità è risultata fra 950 e 350 mm annui. A Kiffa, una cittadina della Mauritania meridionale situata a pochi chilometri dal confine con il Mali occidentale, la media annua del periodo 1941-71 è stata di 360 mm, mentre nel 1958 la piovosità ha toccato il livello record di 620 mm per poi precipitare a soli 142 mm nel 1960.

Molto significativo è poi lo squilibrio pluviometrico infrannuale. Alla particolare evoluzione del fronte intertropicale si deve, per queste regioni, la netta suddivisione dell'arco dei dodici mesi in due uniche stagioni caratterizzate dal brusco passaggio da un lungo periodo di totale assenza di piogge a un intervallo breve di precipitazioni intense. La stagione delle piogge, denominata hivernage, è distribuita su tre o quattro mesi (da giugno-luglio a ottobre), ma le precipitazioni sono effettivamente concentrate soltanto su una quarantina di giorni (a cavallo del mese di agosto, di gran lunga il più piovoso). I totali pluviometrici e la conseguente durata della stagione umida diminuiscono progressivamente lungo la direttrice sud-nord e, a parità di latitudine, in direzione ovest-est. L'insediamento di Atar, in assenza di un periodo umido, segna il limite sahariano, mentre Khartoum (un mese di umidità) caratterizza l'ambiente sahelo-sahariano. Il S. in senso stretto è rappresentato da Tombouctou e Kiffa (rispettivamente due e tre mesi di umidità), mentre Niamey e N'Djamena, con i loro quattro mesi di umidità, sono tipici dell'ambiente sahelo-sudanese. Ripetuti deficit pluviometrici, rilevati a partire dal 1968 e per tutto il corso dell'ultimo ventennio, hanno profondamente alterato i già precari equilibri ecologici saheliani esponendo l'intera regione a un grave rischio d'inasprimento del processo di desertificazione.

Accanto a fattori climatici (i cosiddetti fattori naturali), il processo di desertificazione cui è soggetta tutta questa regione dipende anche dai cosiddetti fattori antropici. Le peculiari modalità di utilizzazione delle risorse ambientali da parte delle comunità umane abitanti il S., originando fenomeni quali il sovrapascolamento (meglio noto come overgrazing) o la crisi del bois de feu, contribuiscono ad accentuare gli effetti dannosi degli shock climatici sul degrado delle aree saheliane.

Assetto istituzionale. - Il S. è una regione dal quadro politico estremamente complesso e instabile. Ex colonie dell'Africa Occidentale Francese, i paesi della fascia saheliana hanno raggiunto la completa indipendenza nel 1960, con l'eccezione del Sudan, ex condominio anglo-egiziano, che si è affrancato dalla dipendenza coloniale nel 1956. Da allora, la storia di ciascun paese si è dipanata in un clima di intensi fermenti politici. Vari governi si sono succeduti, per la maggior parte imposti con la forza da regimi militari i quali, di volta in volta, hanno determinato cambiamenti profondi, veri e propri stravolgimenti nell'assetto istituzionale interno dei diversi stati.

Dai primi anni Novanta, tuttavia, la regione saheliana, con l'eccezione del Sudan, sembra tendere verso una maggiore stabilità dei propri assetti politico-istituzionali. La maggior parte dei paesi, ripudiate le vecchie gestioni di stampo militare e dittatoriale, appare orientata −quanto meno sul piano formale − verso l'adozione di forme di governo più democratiche, ispirate ai modelli occidentali. In Mali, Burkina Faso, Niger e Mauritania, sono state avviate le riforme elettorali e istituzionali necessarie al consolidarsi delle auspicate nuove strutture politiche, e quindi alla divisione del potere tra un organo esecutivo e uno legislativo eletti a suffragio universale, affiancati da una giustizia indipendente, nel quadro del multipartitismo. I meccanismi democratici incontrano però ancora notevolissime difficoltà ad affermarsi; per questa ragione, pur nell'ambito delle rispettive esperienze, l'assetto del potere in questi paesi appare sostanzialmente invariato. In Ciad, la transizione verso l'elezione di organi di governo democratici figura tra gli auspici della Carta costituzionale varata nel 1993 e alla quale non è stata data ancora attuazione.

Alla precarietà degli organi di governo si aggiunge, per l'intera regione saheliana, il diffuso clima di tensioni e insicurezze interne causato dagli innumerevoli episodi di ribellione, di origine sia etnico-tribale che religioso-politica, che in alcuni paesi hanno assunto le dimensioni di un'estesa rivolta. In Sudan le popolazioni dei territori meridionali del Baḥr al-Gazāl, Equatoria e Nilo superiore, di@s.stinte per caratteristiche culturali e razziali da quelle della restante parte del paese, a forte incidenza musulmana, combattono dal 1955 una sanguinosa guerra civile per affrancarsi dal potere imposto dal Nord e dal governo di Khartoum. In Ciad, dal 1965, le etnie delle regioni settentrionali del Tibesti, organizzate nel FROLINAT (Front de Libération Nationale du Tchad), si ribellano, aiutate dalla Libia, al potere centrale di N'Djamena. Tensioni secessioniste sono esplose nel 1983 nella regione senegalese della Casamance: da allora, malgrado i tentativi promossi a più riprese dal governo per ristabilire la pace con il Mouvement Séparatiste des Forces Démocratiques de la Casamance, reiterati episodi di violenza hanno continuato ad alimentare l'insicurezza interna del Senegal meridionale. Dal 1990 i governi di Mali e Niger (ai quali si aggiunge l'Algeria) sono impegnati nella rivolta delle tribù Tuareg che lottano per il riconoscimento dei propri valori etnico-culturali nel quadro di una più ampia autonomia amministrativa rivendicata dal FLAA (Front de Libération de l'Aïr et de l'Azouad).

Numerosi paesi saheliani, inoltre, sono coinvolti in episodi di guerriglia con i paesi contermini. Rivendicazioni e aggressioni incrociate fra le minoranze etniche negre e berbere della Mauritania e del Senegal sono sfociate nel 1989 nella chiusura del confine tra i due paesi e nell'interruzione delle relazioni diplomatiche, riallacciate solo nel 1992. Ulteriori conflitti di teatro hanno coinvolto la frontiera tra Mali e Burkina, che nel 1985 hanno combattuto la ''guerra di sei giorni'' per la conquista della striscia di Aghacer reputata ricca di depositi minerali e successivamente assegnata ai due paesi in proporzioni uguali dalla Corte Internazionale di Giustizia. Ulteriori dispute territoriali si accesero nel 1989 tra il Senegal e la Guinea-Bissau. Più esteso, invece, il conflitto tra Ciad e Libia, esploso alla fine degli anni Settanta nel quadro della ribellione del FROLINAT, per il controllo della fascia di Ūzū, nel Tibesti settentrionale. Si ricorda infine la guerra combattuta nello stesso decennio, tra le truppe del Marocco e il Fronte Polisario, per la disputa dei territori dell'ex Sahara Spagnolo (oggi Sahara Occidentale).

Popolazione ed economia. - Il S. è una regione scarsamente popolata. Difficoltà ambientali, bassa fertilità dei suoli, insufficiente disponibilità di risorse idriche rendono l'area particolarmente ostile agli insediamenti permanenti. Per lunghi secoli gran parte della regione è stata abitata da tribù nomadiche. Solo in tempi molto recenti è esploso il fenomeno urbano. Sono sorte città e agglomerati con popolazioni di molte centinaia di migliaia di abitanti, quando non addirittura di milioni, le quali hanno contribuito da un lato al consolidarsi di forme di sedentarizzazione, dall'altro alla progressiva affermazione di processi di destrutturazione dell'organizzazione sociale e produttiva del mondo saheliano. In assenza di statistiche specificamente riferibili agli ambiti territoriali delimitati dalle isoiete, viene fatto ricorso ai dati relativi all'intera estensione degli stati saheliani; la superficie complessivamente considerata si amplia così fino a circa 7,7 milioni di km2.

In quest'area, nei primi anni Cinquanta, la popolazione presente era stimata in poco meno di 20 milioni di abitanti, corrispondenti a una densità media di circa 2,5 ab./km2. Nei primi anni Sessanta la popolazione era di quasi 30 milioni di abitanti, la densità media salita a circa 3,7 ab./km2. Agli esordi degli anni Ottanta la popolazione degli stati saheliani era di circa 50 milioni di abitanti, per sfiorare, nei primi anni Novanta, i 70 milioni. Negli stessi anni la densità media è passata da 6,4 a quasi 9 ab./km2 (tab. 1). Tali incrementi sono dovuti all'eccessivo tasso di accrescimento demografico conseguente all'abbattimento della mortalità, compresa quella infantile, cui hanno notevolmente contribuito le ripetute campagne sanitarie. Parallelamente non sono stati raggiunti obiettivi di contenimento delle nascite. L'intera regione è ben lontana dall'aver completato la fase di transizione demografica, e di conseguenza la differenza tra i tassi di natalità e quelli di mortalità è tuttora molto elevata. La speranza di vita alla nascita, che nei primi anni Cinquanta si aggirava sui 35 anni, è salita a 38 anni nel decennio successivo, a 45-46 nei primi anni Ottanta, per sfiorare l'attuale soglia dei 50 anni (tab. 2).

Fino a tutti gli anni Cinquanta, la popolazione del S. viveva prevalentemente sparsa e nella regione si contavano soltanto alcuni centri urbani. A partire dagli anni Sessanta (tab. 3) le città saheliane sono cresciute in misura abnorme. Ciò è dovuto da un lato al massiccio incremento demografico, dall'altro agli intensi flussi migratori che nell'ultimo ventennio hanno spostato ingentissime quantità di popolazione dalle zone rurali agli spazi urbani. Così Dakar, che ancora nei primi anni Sessanta non raggiungeva i 400.000 abitanti (era, come oggigiorno, la città più popolosa di tutta la regione), nei primi anni Novanta ne contava ben 1.500.000; comportamento analogo hanno avuto le altre capitali del S.: Bamako è passata da 130.000 a 650.000 abitanti, Ouagadougou da 70.000 a 450.000, Niamey da 40.000 a 400.000, N'Djamena da 90.000 a 600.000, mentre Khartoum è passata da 140.000 a più di 600.000 abitanti. Lo stesso fenomeno ha interessato le città intermedie che, nel corso di un trentennio, hanno raddoppiato, se non triplicato, il loro numero di abitanti. Com'è stato da più parti rilevato, questa sproporzionata crescita della popolazione urbana ha generato grandi problemi di natura sociale, economica e urbanistica: la tragedia dell'Africa si manifesta soprattutto nella grande proliferazione di sempre più estese bidonvilles. E proprio in questi contesti fatti di miseria, di emarginazione e di degrado sociale, trovano terreno fertile lo scontento, la protesta, la ribellione, e giungono a maturazione episodi di violenza quando non anche forme d'insurrezione armata.

Per quanto riguarda le strutture economiche, il S. è rimasto ancorato a forme di produzione di tipo tradizionale. Le attività fondamentali sono ancora legate alla pastorizia e a un'agricoltura di sussistenza. L'allevamento, in conseguenza delle crisi climatiche degli anni Settanta e Ottanta, sta progressivamente mutando le proprie modalità organizzative. Le siccità e la moria del bestiame, la conseguente contrazione dei secolari circuiti di transumanza, ai quali si aggiungono gli interventi governativi volti a incentivare i processi di sedentarizzazione, spingono gran parte delle tribù saheliane ad abbandonare la vita nomade per convertirsi a quella contadina oppure a quella urbana. Le tradizionali forme di allevamento transumante, prerogativa delle tribù Tuareg e Peul, cedono il passo a nuove forme di sfruttamento delle risorse pastorali secondo i dettami dell'economia di mercato. Le basi tecniche non sono mutate, cambiano invece quelle socio-economiche. Gli allevatori di un tempo non risultano più proprietari delle mandrie, ma svolgono il ruolo di semplici pastori salariati, alle dipendenze di una nuova classe di allevatori sorta in seno alla borghesia urbana e che oggi occupa il posto un tempo appartenente all'aristocrazia tribale e ai marabù. I programmi di sviluppo varati soprattutto dalla cooperazione internazionale, prevalentemente attraverso il potenziamento delle risorse idriche e quindi agricole, non si sono risolti in un apprezzabile miglioramento delle strutture produttive locali. Le attuali condizioni di diffusa insicurezza politica nell'intera estensione saheliana rendono improbabile il conseguimento di tali obiettivi di progresso tecnico e crescita produttiva, dato che la quasi totalità delle imprese estere e delle organizzazioni umanitarie internazionali ha abbandonato il Sahel.

Crisi di siccità, desertificazione, esplosione demografica e soprattutto urbana − causando un ulteriore inasprimento del già pesante squilibrio tra risorse umane e ambientali − sono tra i fattori determinanti del profondo cambiamento attualmente in atto presso le società saheliane. Il disinteresse, quando non addirittura l'aperta ostilità, dei governi centrali dei paesi del S. nei confronti delle proprie minoranze etniche aggrava un processo di progressiva disintegrazione delle strutture sociali tradizionali, che appare difficilmente reversibile. Lo stato di malessere in cui versano un po' tutte le componenti territoriali del S., infatti, affonda le radici nell'ineluttabile disgregazione di una struttura sociale antichissima, fino a pochi anni fa perfettamente in linea con le esigenze delle popolazioni locali, ma che oggi vede irrimediabilmente alterati i suoi secolari equilibri fra modelli sociali, forme produttive e ambiente fisico. Sta prendendo sempre più piede una società sradicata che, costretta a rinunciare ai valori rurali, è ancora lontana dall'acquisire i caratteri urbani e dal consolidare concrete prospettive di sviluppo. Le popolazioni, le cui modalità di sopravvivenza si basano prevalentemente sulle risorse del grande nomadismo, sono prive delle conoscenze e delle tecnologie adeguate per attuare con successo le conversioni produttive rese necessarie dalle mutate condizioni economico-ambientali. Le strategie intentate dai vari gruppi tribali − dalle variazioni delle proprie abitudini pastorali al tentativo di sperimentare nuove forme di produzione, trasformandosi in nuclei agro-pastorali − non hanno dato i risultati sperati, accentuando semmai le rivalità, nell'uso delle risorse, con le comunità sedentarie agricole, anch'esse in lento declino. I diversi gruppi etnici, le varie componenti tribali, nelle crescenti difficoltà a mantenere in vita le tradizionali forme di organizzazione sociale e produttiva, sono indotte ad abbandonare i luoghi di origine, a emigrare, sino all'abbandono del proprio paese. È per questi motivi che nella fascia saheliana si concentra e sta esplodendo la maggior parte dei grandi problemi che affliggono il continente africano, evidenziando in misura macroscopica come né le strutture locali, né oltre un trentennio di cooperazione internazionale siano riusciti sinora a individuare strategie valide per porvi un definitivo rimedio.

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