SALARIO

Enciclopedia Italiana (1936)

SALARIO (fr. salaire; sp. salario; ted. Lohn; ingl. wage)

Augusto GRAZIANI
Giovanni MIELE

Il salario è la retribuzione dell'operaio, cioè di chi impiega produttivamente la propria attività e non dispone né della terra, né dei capitali. Egli cede la propria forza di lavoro all'imprenditore, che raccoglie e coordina tutti gli elementi della produzione: ha la libertà giuridica di offrirla, ma non può adoperarla per proprio conto, mancando dei mezzi materiali necessarî. Mentre nell'antichità e nel Medioevo, per la prevalenza della schiavitù, della servitù della gleba, delle maestranze, il salario era eccezionalmente adottato nell'ordinamento militare e nei maggiori centri di popolazione per lavori pubblici e costruzioni edilizie, nell'età contemporanea e nei paesi di maggiore sviluppo sociale, esso costituisce il sistema prevalente di rimunerazione del lavoro, specie nell'industria manifatturiera, non però il sistema esclusivo. Vi sono lavoratori indipendenti, p. es., proprietarî-coltivatori, soci di cooperative di produzione, nelle quali la funzione d'imprenditore e di lavoratore è riunita nella stessa persona, partecipanti al prodotto lordo, come nella colonia parziaria, mezzadria, ecc., artigiani che producono ricchezze per proprio conto: talvolta però questi ultimi sono lavoratori a domicilio, che rientrano effettivamente nella categoria dei salariati.

Le specie del salario possono essere molto differenti; due sono le fondamentali, cui tutte si riconducono: a tempo e a compito. L'imprenditore che paga il lavoratore a tempo esige per altro una certa quantità di prodotto in determinato tempo e se il salario è stabilito a compito si ha riguardo al tempo necessario all'operaio medio per eseguire l'unità di prodotto. Metodi misti di retribuzione fondati direttamente su entrambi i criterî, del tempo impiegato e del lavoro compiuto, vanno prevalendo nell'industria, in connessione anche con l'organizzazione scientifica o razionale del lavoro. Questi sistemi di salarî, che si dicono incentivi, hanno lo scopo di stimolare l'operaio a intensificare il lavoro nell'unità di tempo. I modi di applicazione sono varî: si determina il tempo che si ritiene impieghi l'operaio medio per eseguire un'operazione elementare e si stabiliscono dei premî in ragione del tempo risparmiato o del maggiore prodotto ottenuto, dividendosi il vantaggio in determinate proporzioni tra l'imprenditore e il salariato. Si rivolsero obbiezioni analoghe a quella avanzata altre volte contro il cottimo (v.), che appariva mezzo di sfruttamento dell'operaio, ma è tutta questione di limiti: una troppo grande intensificazione può deteriorare le forze del lavoratore e oltre certi confini l'aumento di rapidità può nuocere all'accuratezza del lavoro, ma, prudentemente attuato il controllo, che si può applicare tanto alle sezioni dirigenti quanto alla mano d'opera, giova alla produttività del lavoro e alla condizione del lavoratore, che si avvantaggia in ragione dell'efficienza del lavoro prestato.

Il salario espresso in moneta si dice nominale, e si denomina invece salario reale la quantità di prodotti che l'operaio può conseguire con la moneta ottenuta. Soltanto il salario reale fa conoscere la condizione effettiva della classe lavoratrice, e nemmeno esso solo basta a darne notizia precisa, in quanto non ragguaglia sulla quantità della disoccupazione totale o parziale e sui supplementi di guadagno che derivano dalle ore straordinarie di lavoro. Ma questa distinzione è particolarmente utile per il confronto dei salarî a distanza di luogo e di tempo. Il costo della vita può differire di tempo in tempo e da luogo a luogo (oltre che per cause inerenti al tenore di vita degli operai e al costo dei prodotti) anche per effetto del variare del valore della moneta o del medio circolante. Le variazioni del valore della moneta non si ripercuotono né simultaneamente né proporzionalmente sui varî prodotti e sui salarî, e a variazioni del salario nominale per causa monetaria non corrispondono sempre, almeno in tempo bre-ve, variazioni proporzionali nei salarî reali, cosicché salarî nominali più alti possono significare salarî reali più bassi.

La legge generale dei salarî chiarisce le cause che influiscono sulla retribuzione del lavoro ordinario o comune, che non richiede speciale perizia o che non soggiace a privazioni e rischi speciali. Si astrae in questa disamina dalle varie condizioni di persona, di luogo, di professione. La cosiddetta legge ferrea o bronzea del salario è smentita da tutta la storia della mercede, dalla metà del sec. XIX in poi (v. capitalismo; operaio, movimento). Si affermava che, ove il salario avesse superato il minimo di esistenza, la popolazione lavoratrice si sarebbe accresciuta e quindi il salario sarebbe stato automaticamente ridotto al minimo, ma la stessa elevazione del salario, quando abbia carattere di stabilità e permanenza, tende ad accrescere lo spirito di previdenza della classe lavoratrice. Inoltre questa elevazione è conforme all'interesse della stessa classe imprenditrice, poiché entro certi confini i salarî relativamente alti, consentendo un miglioramento nelle condizioni fisiche, intellettuali e morali del lavoratore, determinano un incremento di produttività superiore all'aumento della mercede. Già Adamo Smith notava che i salarî alti accrescono la diligenza e l'attività del lavoratore e che la confortevole speranza di migliorare la propria condizione lo anima a esercitare la sua energia al massimo (Ricchezza delle Nazioni, libro I, cap. 8°, p. 66 della trad. italiana, Torino 1927).

Come concretamente il salario si determini dipende dalle condizioni della domanda e offerta del lavoro. La domanda è in funzione del capitale che l'imprenditore destina al pagamento dei salarî e l'offerta è in relazione al numero e alla qualità dei lavoratori. Questi due elementi sono tra di loro in correlazione e quantunque il capitalista imprenditore abbia la possibilità di limitare durevolmente la domanda, mentre il lavoro non prestato è perduto per l'operaio, e il lavoratore non possa convertirsi in imprenditore, tuttavia l'imprenditore non può ritenersi assoluto arbitro dell'entità della mercede. Invero tra la quantità e la qualità del lavoro e i mezzi tecnici della produzione vi deve essere un certo rapporto e soprattutto i lavoratori coalizzati possono riservare l'offerta di lavoro e mantenersi durante l'astensione dal lavoro con accumulazioni precedenti. L'imprenditore tenderà a dare quella mercede alla quale risponde il suo maggiore profitto, ma questa mercede può essere ben lontana dal minimo, in quanto l'accrescimento del salario determini una più alta produttività. Il massimo, d'altra parte, cui il salario potrebbe giungere, sarebbe quello che consentisse un profitto appena sufficiente alla continuazione dell'attività imprenditrice. Fra questi confini si svolge il dibattito fra le due parti. La quantità del capitale totale del paese dipende dalla produzione che ne è la fonte mediata, come l'immediata ne è il risparmio. La distribuzione fra consumo e risparmio, come quella fra i varî elementi produttivi non è rigida e si collega non soltanto alla natura dell'industria, alla quantità e qualità del lavoro, ma anche alla disoccupazione esistente e all'organizzazione operaia. Nella medesima industria sono possibili varî processi tecnici che richiedono maggiore o minore quantità di lavoro e quindi il processo tecnico adottato dovrà essere commisurato alla disponibilità di lavoro, che, alla sua volta, dipende anche dalla resistenza della classe lavoratrice, e dalle leggi o convenzioni che impongano l'impiego di data quantità di mano d'opera. Le coalizioni dei lavoratori e in genere il movimento operaio possono riuscire non solo, come ammettevano economisti classici, ad anticipare un aumento di mercedi, che si sarebbe naturalmente verificato più tardi, ma anche a determinarlo, poiché l'imprenditore, piuttosto che affrontare uno sciopero, che per lo meno annullerebbe i profitti per il tempo della sua durata, o una diminuzione di produttività dell'industria, è costretto ad accogliere le richieste della classe lavoratrice.

È caratteristica la generale prevalenza a lunghi tratti delle vie pacifiche di risoluzione dei conflitti fra classi lavoratrici e imprenditrici, specie con la prevalenza delle contrattazioni collettive di lavoro (v. operaio, movimento). In Italia le istituzioni sindacali corporative tendono anzitutto alla conciliazione e indi alla risoluzione delle controversie per mezzo della magistratura del lavoro. Sono proibiti così lo sciopero come la serrata, ma la stessa diffusione della contrattazione collettiva, che dovrebbe divenire generale, e il conferimento della rappresentanza di tutti i lavoratori a un sindacato unico, rafforzano la condizione della classe lavoratrice. La Carta del lavoro afferma il concetto che la determinazione del salario è sottratta a qualsiasi norma generale e affidata all'accordo delle parti nei contratti collettivi (cap. dichiarazione XII) e dichiara che l'azione del sindacato, l'opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della magistratura del lavoro garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali della vita, alla possibilità della produzione e al rendimento del lavoro. La legge del 1926 statuisce che nella formazione dei nuovi patti di lavoro il magistrato giudichi secondo equità, cioè considerando le circostanze dei singoli casi, contemperando gl'interessi dei datori di lavoro con quelli dei lavoratori, e tutelando in ogni caso gl'interessi superiori della produzione. Certo non deve mai il magistrato dipartirsi dai criterî economici e l'opera sua s'inizia, per quello che riflette i nuovi patti, dopo riusciti vani i tentativi di conciliazione in sede sindacale e successivamente in sede corporativa, a mezzo di un comitato, secondo la disciplina introdotta dalla legge del 1934. Di fatto nelle contestazioni portate innanzi alla magistratura del lavoro la discussione verte intorno agli effetti che apporterebbe alle rispettive classi un aumento o una diminuzione di mercedi in rapporto alle condizioni precedenti. L'esame delle condizioni della produzione involge il problema dei costi e il magistrato del lavoro dovrebbe indagare se l'aumento di salario richiesto possa trovare compenso in un assetto migliore dei fattori produttivi, in perfezionamenti introdotti o da introdurre nel macchinario, in selezione dei lavoratori. Le esigenze normali della vita stanno a indicare non un minimo fisico di sussistenza, ma ciò che risponde al tenore di vita abituale della classe lavoratrice e un certo rapporto col costo della vita è preso in considerazione in molti contratti collettivi per determinazione di aumento o di diminuzione di mercedi, nei casi di variazione dei salarî. Ora anche la sentenza si deve contenere nei limiti minimo e massimo delle mercedi, poiché ove ciò non avvenisse e si stabilissero, p. es., salarî troppo elevati, gl'imprenditori potrebbero contrarre la produzione o rinunziare a fondare nuove imprese, il che cagionerebbe consecutiva diminuzione di salarî.

La tendenza attuale è verso un salario tipico, il quale non è eguale per tutti né per tutte le specie d'industrie, ma è un minimo che può persistere con le più grandi differenze dei guadagni reali per settimana, se è calcolato a tempo, e con le più sensibili diversità di tariffa per le varie specie di lavoro a compito. Non è un saggio uniforme che trascuri differenze di abilità, di cognizioni, di attività e di carattere, ma rialza l'influenza, che nel contratto di lavoro esercitano la capacità e la moralità dell'operaio. E così si forma una selezione che accresce quasi la divisione del lavoro, per cui ai meno esperti vengono riservate opere, che richiedono minore capacità.

Senza entrare nell'analisi della legge dei salarî speciali, accenniamo soltanto che la gerarchia attuale dei salarî è spiegata principalmente dal diverso grado di opzione della classe lavoratrice e dalla minore o maggiore potenza di organizzazione. Se tutti i lavoratori sono privi dell'opzione fondamentale fra lavoro indipendente e salariato, alcuni, come scrive A. Loria, dispongono invece di un'opzione sussidiaria, perché hanno speciale abilità e possiedono un piccolo peculio e quindi per la rarità delle attitudini e la possibilità di attesa possono ottenere salarî più alti, mentre altri debbono adattarsi a lavori più aspri ricevendo salarî minori.

Bibl.: G. Ricca-Salerno, La teoria del salario nella storia delle dottrine e dei fatti economici, Palermo 1900; A. Loria, Il salario, Milano 1916; F. Simiaud, Le salaire, l'évolution sociale et la monnaie, 3ª ed., Parigi 1932; J. R. Hicks, The theory of wages, Londra 1932 (trad. it. nel vol. XI della Nuova collana di Economisti). Per talune considerazioni sulla formazione del salario nell'ordinamento corporativo, v. G. Masci, Natura economica del contratto collettivo di lavoro e metodo di studio dei problemi corporativi, in Saggi critici di teoria e metodologia economica, Catania 1934; cfr. anche A. Graziani, Considerazioni sulla dottrina del salario, in Studi critici di economia, Milano 1935.

Salariati degli enti pubblici.

A definire questa categoria di persone sono insufficienti i criterî della natura o dell'importanza delle prestazioni; sarà quindi miglior partito attenersi alle classificazioni contenute nelle leggi e nei regolamenti organici delle varie amministrazioni. Le norme più importanti in questa materia sono quelle del testo unico della legge 24 dicembre 1924, n. 2214, che divide i salariati dello stato in 4 categorie: a) operai permanenti, assunti cioè stabilmente e iscritti a matricola; b) operai temporanei, assunti cioè a tempo, con contratti di lavoro rinnovabili e rescindibili, che in nessun caso devono oltrepassare la scadenza dell'esercizio finanziario; c) operai giornalieri, assunti di volta in volta per lavori determinati, di breve durata; d) incaricati, stabili e provvisorî, addetti a pubblici servizî. Ai regolamenti speciali delle singole amministrazioni è affidato di specificare a quale delle categorie indicate appartengano i dipendenti salariati. L'assunzione avviene attraverso concorso, per gli operai permanenti (specializzati e comuni); mediante scelta, per gli operai temporanei e giornalieri e per gl'incaricati stabili e provvisorî addetti ai pubblici servizî; con concorso o scelta, secondo le norme dei singoli regolamenti e previa in ogni caso autorizzazione ministeriale, per i capi-operai, capi d'arte, sorveglianti e simili, e per le operaie di controllo o di sorveglianza, che vengono assunti fra persone estranee alle maestranze statali. Gli operai sono compensati con paga giornaliera, gl'incaricati con retribuzione mensile: la legge prevede anche assegni accessorî, quali indennità di caroviveri, premî di operosità, di rendimento o di economia, soprassoldi per prestazione della propria opera in particolari condizioni di disagio o di pericolo. Non esistono promozioni, se si eccettui la nomina - conferita a scelta e revocabile - a capo-operaio, capo d'arte o capo incaricato, dei salariati che rivelino speciali attitudini e requisiti. Anche il sistema di sanzioni disciplinari è notevolmente semplificato, perché esse si riducono alla multa, alla sospensione e all'espulsione, con in più la sospensione sino a 60 giorni e la revoca dalle loro funzioni per i capi-operai, capi d'arte, sorveglianti e simili, e per le operaie di controllo o sorveglianza. Lo scioglimento del rapporto su iniziativa dello stato assume le figure del licenziamento per servizio militare, che dà diritto all'operaio permanente e all'incaricato stabile di essere riammesso sotto date condizioni, licenziamento per rinvio a giudizio penale o in seguito all'esito di esso, e licenziamento d'autorità, che ha luogo: a) per diminuzione di lavoro, soppressione o riduzione di servizî; b) per assenze arbitrarie o per prolungate assenze, anche giustificate; c) per imperizia, insufficiente attitudine al servizio o scarso rendimento; d) per avanzata età o accertata inabilità fisica. Il licenziamento per volontà del salariato deve esser preceduto da un preavviso scritto di questo e fa perdere ogni diritto al trattamento di quiescenza.

Quanto ai salariati degli enti locali, il testo unico 3 marzo 1934, n. 383, della legge comunale e provinciale rimette ai regolamenti delle singole amministrazioni di fissarne lo stato giuridico e il trattamento economico (art. 220). Nelle norme generali (tit. V, capo II), con cui si stabiliscono i limiti a questa potestà regolamentare, non risulta alcuna differenza notevole fra impiegati e salariati, che sono così accomunati nei momenti più importanti del loro rapporto, dall'inizio fino alla cessazione.