SALERNO

Federiciana (2005)

SALERNO

EErrico Cuozzo

Salerno, conquistata nel 1077 da Roberto il Guiscardo, dopo essere stata una delle città più importanti del ducato normanno di Puglia, ne divenne anche il centro amministrativo (caput), molto probabilmente durante la breve reggenza della vedova del duca, la longobarda Sichelgaita (luglio 1085-luglio 1088).

Nel 1088 i due figli del Guiscardo, Ruggero Borsa, l'erede designato, e Boemondo, addivennero a una spartizione del ducato, che restò sostanzialmente immutata nei decenni posteriori. Ruggero limitò i suoi possessi alle terre che avevano costituito il principato longobardo di Salerno al tempo di Gisulfo II; Boemondo, che riconobbe l'alta sovranità del fratello, ottenne i territori che avevano fatto parte dei temi bizantini di Longobardia e di Lucania, compresi tra i fiumi Ofanto a nord e Sinni a sud.

Il duca di Puglia, dopo aver fissato in Salerno il caput della sua signoria, conservò il rigido centralismo cittadino che aveva caratterizzato l'amministrazione del principato longobardo. In Salerno vivevano molti feudatari, e numerosi erano quelli di origine longobarda. Essi, esponenti di antiche famiglie, detenevano beni feudali e allodiali. È molto probabile che avessero fatto parte del partito filonormanno di Salerno, che, secondo la testimonianza di Amato di Montecassino, collaborò attivamente con il Guiscardo. Nella stessa città non mancavano i feudatari normanni, anche se inferiori per numero. Possedevano le terre confiscate al momento della conquista, già pertinenti al demanio o al patrimonio personale del principe longobardo. Ai feudatari salernitani, indipendentemente dalla loro origine longobarda o normanna, furono affidati compiti nella Curia ducale, nonché l'onere di ricoprire delle cariche amministrative. Essi operavano nel sacrum salernitanum vetustum palatium, che era la dimora del duca. L'organizzazione del 'sacro palazzo', pur non superando l'empirismo organizzativo del principe longobardo, incominciò tuttavia a fare una distinzione tra cariche palatine (senescalco, camerario) e uffici di governo (connestabile).

Il 25 luglio 1127 il duca Guglielmo morì senza lasciare eredi. Ruggero, conte di Sicilia, raggiunta Salerno, fu insignito del titolo di princeps: assunse poi quello di duca di Puglia e di re di Sicilia. Fu questo l'atto formale che sancì la fine di Salerno, 'capitale' del ducato normanno di Puglia.

La città campana, entrata a far parte del Regno normanno di Sicilia, costituì, durante gli anni del governo di Ruggero II d'Altavilla, il caposaldo del re nelle province continentali, il luogo dove egli era solito sbarcare provenendo dalla Sicilia, e il luogo dove si imbarcava spesso per recarsi a Palermo. I diplomi ne attestano la costante e annuale dimora, tra il 1130 e il 1140, nel castello di Terracena, un palazzo-fortezza la cui costruzione, forse iniziata da Roberto il Guiscardo, fu da Ruggero completata, secondo una tipologia architettonica mutuata dalle esperienze arabo-normanne di Sicilia. Collocato lungo il pendio dell'Ortomagno, circondato da giardini e da frutteti, godeva di una bella posizione paesistica.

La costante presenza del re in Salerno cementò il rapporto della Corona con la feudalità salernitana e permise a quest'ultima di godere degli importanti e speciali privilegi che le furono concessi, forse, nel 1127 e nel 1137.

La situazione cambiò profondamente con l'avvento di re Gugliemo I e il rivoluzionario esperimento di burocrazia centralizzata messo in atto dal suo primo ministro, Maione di Rayza. Tolta di mezzo la prassi che aveva visto il re direttamente impegnato nella gestione del Regno, in un costante e personale rapporto con la feudalità, furono assegnate specifiche competenze ai funzionari regi gerarchicamente organizzati. Ne derivò una più attenta e scrupolosa riscossione dei servizi dovuti dai feudatari, nonché una più capillare imposizione delle disposizioni del re nella complessa materia dei diritti feudali. Di fronte a questo stato di cose, la feudalità di Salerno vide la ribellione come unica soluzione non solo per riconquistare i privilegi perduti, ma anche per assicurare la sua stessa sopravvivenza, di contro alle scelte egemonizzanti della Curia palermitana. I feudatari di Salerno capeggiarono negli anni 1160-1162 la ribellione delle province continentali contro Guglielmo I e Maione, e furono tra quelli più duramente puniti a seguito della repressione e della vittoria del re. La loro origine longobarda molto probabilmente fu determinante nel farli rinchiudere in un atteggiamento di profonda diffidenza e di odio verso i sovrani normanni.

All'inizio del regno di Gugliemo II (1166-1189) furono introdotti alcuni importanti cambiamenti nell'amministrazione delle province continentali del Regno di Sicilia. Vennero istituiti i maestri connestabili e i maestri giustizieri, e furono soppressi i maestri camerari. Questi ultimi si occupavano di questioni finanziarie. Al loro posto, nel 1168, fu introdotto un nuovo ufficio, detto dohana baronum, che fu collocato in Salerno, nel castello di Terracena. Il nuovo ufficio svolgeva funzioni indipendenti nel seno della dohana, che era l'ufficio di riscontro del governo centrale e che operava nella reggia di Palermo. La dohana baronum aveva competenza sulle province continentali, esclusa la Calabria. Al suo capo fu posto un magister, che aveva alle dipendenze dei funzionari, detti magistri. Il primo responsabile fu il qā'id Riccardo, gran camerario del palazzo regio di Palermo. Gli successe il qā'id "Materacius". La dohana baronum fu poi diretta dagli ammiragli Gualterio di Modica, Goffredo di Modica ed Eugenio. Nel 1172 re Guglielmo fu in Salerno con suo fratello Enrico, principe di Capua.

Dopo la morte di re Guglielmo II nel 1189, i nobili di Salerno si schierarono decisamente con il partito filosvevo, che sosteneva i diritti di Enrico VI e di sua moglie Costanza sul Regno di Sicilia. In occasione della prima discesa dell'imperatore, inviarono dapprima, nell'aprile del 1191, alcuni loro rappresentanti ad assistere all'unzione imperiale di Enrico in Roma, poi, nel maggio, si affrettarono a raggiungere lo Svevo e a sostenerlo, nell'assedio di Napoli.

Alla metà del mese di luglio Enrico di Brunswick abbandonò l'esercito imperiale, mentre il forte caldo faceva diffondere tra gli assedianti un'epidemia di peste, che mieté molte vittime e che costrinse l'imperatore a togliere l'assedio alla città. Enrico VI, che non era stato risparmiato dall'epidemia e che era stato guarito dal medico salernitano Girardo, ritenne opportuno togliere l'assedio e ripartire per la Germania. Deciso a ritornare, fece scortare l'imperatrice Costanza in Salerno, dove la lasciò dopo aver preso in ostaggio alcuni esponenti delle principali famiglie della città.

Dopo la partenza dell'imperatore, in Salerno ebbe ben presto il sopravvento il partito favorevole a Tancredi d'Altavilla (v. Tancredi, re di Sicilia), poiché i cittadini si sentirono traditi dalla fuga dell'imperatore e temevano la collera del re. Secondo il racconto di Pietro da Eboli, una folla, circondato il castello di Terracena dove dimorava Costanza d'Altavilla, lo attaccò. A questo punto, Elia di Gesualdo, un importante feudatario, discendente di un figlio illegittimo di Ruggero II, venne ad arrestarla per condurla prigioniera in Sicilia.

Nel maggio 1194 Enrico VI, dopo aver pacificato la situazione in Germania, discese per la seconda volta in Italia. Alla metà di agosto la spedizione si mosse per via di terra e per via di mare. L'imperatore, entrato nel Regno per la strada che da Sutri portava a Boville Ernica, si diresse subito verso Salerno, il giorno 17, per vendicare il tradimento subito. Nonostante le sollecitazioni dell'arcidiacono Aldrico a chiedere il perdono, i salernitani preferirono resistere. La città fu allora presa d'assalto, devastata e saccheggiata; una gran parte degli abitanti fu massacrata; i sopravvissuti furono condannati all'esilio e i loro beni confiscati; l'intero bottino fu abbandonato all'armata. Le mura furono rase al suolo e la città fu in parte distrutta. Enrico volle in tal modo dare un esempio, che ebbe subito i suoi frutti, perché nella seconda parte della campagna le città aprirono spontaneamente le loro porte alle forze imperiali.

L'imperatore si trattenne in Salerno fino al giorno 24 agosto, quando si allontanò, affidandone il controllo a Diepoldo di Schweinspeunt, detto di Vohburg o anche di Rocca d'Arce, uno dei fedeli collaboratori tedeschi che controllavano tutta la parte settentrionale del Regno.

Vinta definitivamente ogni resistenza dei sostenitori di Tancredi d'Altavilla, e fatta prigioniera la regina Sibilla con suo figlio Guglielmo III, all'inizio del 1195 Enrico VI, lasciata Palermo con l'imperatrice Costanza, riprese la strada del ritorno in Germania. Il 30 marzo tenne in Bari una solenne corte, nella quale tracciò le linee dell'amministrazione del Regno. L'imperatrice, nominata reggente, prese stabile dimora in Palermo, il 25 giugno 1195. Gualtiero di Palearia (v.), vescovo di Troia, fu nominato cancelliere. Corrado di Querfurt fu nominato legatus Regni Siciliae.

Alla fine del 1196 Enrico VI discese per la terza volta nell'Italia meridionale. Gli avvenimenti che ne seguirono non interessarono Salerno. La città fu nuovamente protagonista nel 1199, quando, nominato Diepoldo conte di Acerra, questi entrò in guerra contro Marcovaldo di Annweiler (v.), conte di Molise, che si spinse nelle terre del suo nemico fino a saccheggiare nel 1199 la città di Salerno.

In questi anni si procedette alla riedificazione di una parte della città. Distrutte nell'assedio del 1194 le mura longobarde di sud-est, furono spostate le fortificazioni più a oriente, inglobando nel tessuto urbano un nuovo territorio e aprendo una nuova porta che fu chiamata Portanuova, attestata per la prima volta nel 1202.

Negli anni della minorità di Federico II, Salerno fu governata da Diepoldo. Costui si oppose a Gualtiero di Brienne (v.), giustiziere di Apulia e di Terra di Lavoro per nomina pontificia. Assediato in Salerno nel 1204, fu alla fine costretto a cedere la città, conservando tuttavia il possesso del castello.

L'anno seguente Diepoldo riprese il possesso della città e punì ferocemente i salernitani, saccheggiando e uccidendo un gran numero di persone.

Nel 1210, in occasione della discesa di Ottone IV (v.), Diepoldo si schierò dalla sua parte. Gli cedette tutte le fortezze che possedeva nel Regno, tra cui anche il castello di Salerno.

Dopo la definitiva vittoria di Federico II, e il suo rientro nel Regno di Sicilia nel 1220, la città di Salerno si schierò con decisione dalla sua parte. L'imperatore nel 1220 concesse all'arcivescovo salernitano il titolo di giustiziere e l'anno seguente visitò la città. Molto probabilmente in questo periodo si iniziò la costruzione dell'edificio arcivescovile, che le fonti del XIII sec. localizzano tra le absidi della cattedrale e il monastero di S. Michele, sulla via che un tempo era detta di Porta Elinia.

È molto probabile che l'atteggiamento benevolo dell'imperatore facesse fare qualche progresso alla città, che attraversava anni di grande crisi non solo per gli avvenimenti politici che abbiamo indicato, ma anche per le gravi calamità naturali che la colpivano. Nel 1202 gli abitanti avevano subito una grave carestia; nel 1223 si diffuse un'epizoozia bovina; nel 1231 i bruchi distrussero il raccolto e, nello stesso anno, le messi furono divorate dalle cavallette.

Convocata la dieta di Cremona per la Pasqua del 1226, Federico vi si diresse dopo aver lasciato in Salerno la sua seconda moglie Iolanda, che prese dimora, molto probabilmente, nel restaurato castello di Terracena. In questi stessi anni l'antico palazzo dei principi longobardi, detto di S. Pietro a Corte, fu ristrutturato e, nella sopraelevazione, fu ubicata la 'cappella imperiale'.

Nel gennaio 1234 Federico fissò in Salerno la sede della dieta generale che si sarebbe dovuta tenere due volte all'anno, il 1o maggio e il 1o novembre, per raccogliere e giudicare i reclami contro i funzionari regi, presentati dagli abitanti del Principato, della Terra di Lavoro e del contado di Molise fino a Sora.

Nel 1239 l'imperatore stabilì che il presidio della Turris Maior di Salerno fosse composto da venti servientes.

Negli ultimi anni del regno di Federico II furono ripristinate alcune antiche circoscrizioni feudali del tempo di Ruggero II. In particolare furono fatti rivivere il principato di Taranto e il principato di Salerno. Quest'ultimo fu attribuito, a titolo di contea, nel 1256 a Galvano Lancia.

Anche Manfredi tenne verso la città di Salerno un atteggiamento di benevola attenzione, contribuendo a farla risorgere. Nel 1259 egli istituì la fiera di Salerno, da tenersi ogni anno dal 4 all'11 maggio e dal 21 al 28 settembre (v. Fiere e mercati).

La vicenda della Scuola medica salernitana (v.) nella prima metà del XIII sec. è indicativa degli sforzi compiuti da Federico e dai suoi successori per risollevare le sorti della città.

Nelle Costituzioni di Melfi del 1231 Federico dette il riconoscimento legale alla Scuola medica di Salerno, che nel corso del XII sec. aveva raggiunto l'apogeo della sua fama. In alcune costituzioni Federico stabilì che i candidati, dopo aver superato a Salerno un esame pubblico dinanzi ai maestri della Scuola, si sarebbero dovuti presentare all'imperatore o a un suo rappresentante per avere la licenza di esercitare la professione medica. I diplomi superstiti, emanati dal sovrano, attestano che soltanto a costui spettava rilasciare le licenze mediche, e che i maestri formavano unicamente una commissione esaminatrice, non ancora un collegio abilitato a conferire i titoli di studio, come sarebbe avvenuto nel Quattrocento. I maestri della Scuola avevano però la possibilità di conferire il titolo di maestro, dopo un esame condotto alla presenza di un ufficiale regio.

Nel 1241 Federico si occupò nuovamente della Scuola medica, regolamentando il piano degli studi, che prevedeva tre anni di logica e cinque di medicina e chirurgia, e dando inoltre disposizioni in ordine ai libri di testo.

Nel 1252 Corrado IV concesse alla Scuola salernitana il titolo ufficiale di Studium, e tentò anche di aggregarvi l'Università di Napoli (v. Studio di Napoli), fondata dal padre nel 1224. Ma nel 1258 Manfredi ripristinò la situazione precedente, fissando in Napoli la sede dell'unico Studiumgenerale del Regno e lasciando sopravvivere, secondo l'antico ordinamento, la Scuola medica di Salerno.

Fonti e Bibl.: Pietro da Eboli, De rebus siculis Carmen, in R.I.S.2, XXXI, 1, a cura di E. Rota, 1904-1910; 'Liber ad honorem Augusti' di Pietro da Eboli, secondo il cod. 120 della Biblioteca Civica di Berna, a cura di G.B. Siragusa, Roma 1906; Codice Diplomatico salernitano del secolo XIII, a cura di C. Carucci, I-III, Suaco 1931-1946; Amato di Montecassino, Storia de' Normanni, a cura di V. De Bartholomaeis, Roma 1935; Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938. F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, I-II, Paris 1907; E. Sthamer, Die Verwaltung der Kastelle im Königreich Sizilien unter Kaiser Friedrich II. und Karl I. von Anjou, Leipzig 1914; E. Jamison, Admiral Eugenius of Sicily, London 1957; Storia della Campania, a cura di F. Barbagallo, I-II, Napoli 1978; Guida alla storia di Salerno e della sua Provincia, a cura di A. Leone-G. Vitolo, I-III, Salerno 1982; A. Amarotta, Salerno romana e medievale. Dinamica di un insediamento, ivi 1989; E. Cuozzo, Normanni e Svevi nel Mezzogiorno d'Italia, in Storia del Mezzogiorno, diretta da G. Galasso, Napoli 1989, pp. 593-825; H. Takayama, The Administration of the Norman Kingdom of Sicily, Leiden 1993; G. Vitolo, La Scuola medica Salernitana, in Studi di storia meridionale in memoria di Pietro Laveglia, Salerno 1994, pp. 14-30; E. Cuozzo, La nobiltà dell'Italia meridionale e gli Hohenstaufen, ivi 1995; Id., La monarchia bipolare. Il Regno normanno di Sicilia, ivi 2000; O. Zecchino, Medicina e sanità nelle Costituzioni di Federico II di Svevia (1231), Cava de' Tirreni 2002.

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