FIORENTINO, Salomone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FIORENTINO, Salomone

Gabriella Milan

Nacque a Monte San Savino (Arezzo) il 4 marzo 1743 da genitori di religione ebraica. Il padre, Leone, romano d'origine, praticava un redditizio commercio di stoffe, aiutato dalla moglie Elena d'Urbino. Le agiate condizioni economiche della famiglia consentirono al F., che aveva manifestato amore per lo studio, di ricevere una formazione regolare: fu infatti mandato a studiare nella vicina Siena, dapprima sotto la guida di un maestro privato, che gli impartì i fondamenti della cultura ebraica, quindi presso il collegio "Tolomei", dove seguì, probabilmente come esterno, i corsi di cultura classica.

Completati gli studi, al F. non restò tuttavia che il ritomo al nativo Monte e il proseguimento dell'attività paterna. In seguito gli affari lo portarono a Cortona, dove finì per fissare la sua dimora. Nel 1768 sposò Laura Gallico, conosciuta a Firenze, dalla quale ebbe numerosi figli e a cui è legata non soltanto una parte importante della sua vita, ma anche del suo destino poetico.

Nonostante gli impegni di lavoro - resi sempre più gravosi dalle necessità domestiche - lo tenessero molto occupato e lo costringessero a frequenti spostamenti nei diversi mercati della Toscana, il periodo cortonese dovette essere il più felice per il Fiorentino. Egli infatti non aveva abbandonato l'interesse per la poesia: nei brevissimi ritagli di tempo disponibili, continuò a leggere i poeti, appassionandosi anche allo studio della filosofia, e cominciò a comporre i suoi primi versi.

Si tratta, come risulta dalla prima raccolta di Poesie (Pisa 1803), in prevalenza di sonetti ispirati a occasioni diverse. Prevalgono, secondo la moda del tempo, i sonetti encomiastici legati all'ambiente di corte, come il n. 5, dedicato a Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, in occasione della riforma del nuovo codice che prevedeva l'abolizione della pena di morte (lo stesso Pietro Leopoldo sarà il destinatario del poemetto celebrativo in versi sciolti La notte d'Etrutia, composto per la sua esaltazione al trono); non mancano componimenti "per nozze" e altri, di stampo frugoniano, di argomento storico-classico (si vedano i sonetti nn. 21-23: La testa d'Asdrubale gettata nel campo d'Annibale; Sul medesimo argomento; Morte di Annibale). Ma quelli che colpiscono l'attenzione del lettore sono certamente i sonetti iniziali che riflettono la cultura biblica del F.: Si ricerca perché la legge mosaica inculca i doveri del figlio verso il padre, e tace i doveri del padre verso il figlio; Il diluvio universale; Paragone fra Jefte e Abramo. Su una linea ancora più originale si collocano il sonetto n. 9 In morte d'un piccolo figlio dell'autore (che certo non dovette sfuggire a G. Carducci) e il sonetto n. 9 In morte d'un piccolo figlio dell'autore (che certo non dovette sfuggire a G. Carducci) e il sonetto n. 15 (senza titolo), che esibisce quel linguaggio immaginoso e al tempo stesso essenziale che tanto deve avere colpito G. Leopardi negli anni formativi ("Se un picciol punto è questa bassa terra / di spazio immensurabile e profondo, / che mille Soli fiammeggianti serra, / di cui ciascuno avviva e irraggia un mondo, / che sarà mai quel che vanneggia ed erra / atomo di materia cui m'ascondo"). Leopardi inserì poi due elegie nella Crestomazia poetica.

Questi e altri componimenti giudicati dall'autore "canore follie" restarono a lungo inediti. Tuttavia circolarono ugualmente tra i maggiori letterati del tempo con cui il F. entrò in contatto epistolare (specialmente M. Cesarottì, G. Fantoni e A. Bertola De Giorgi), facendosi conoscere ed apprezzare, tanto che nel 1785 l'Accademia degli Infecondi dì Prato lo volle tra i suoi soci.

Nel 1790 un grave lutto doveva sconvolgere la tranquilla esistenza del F.: dopo più di vent'anni di matrimonio, in seguito a una malattia, gli venne a mancare la moglie. Per il F. fu un dolore grandissimo a cui trovò conforto nella stesura di alcuni componimenti in sua memoria: nacquero così le Elegie, che ripercorrono, in una ripresa di motivi danteschi e petrarcheschi completamente nuovì per l'autore (anche nel metro, la terzina), le tappe della malattia e della morte della consorte.

Fu questa dolorosa circostanza ad imporlo al pubblico dei tempo; infatti alcuni amici lo convinsero a pubblicare, sia pure sotto l'anonimato, le prime tre Elegie. La prima edizione, che contiene La malattia, La morte, La visione, fu pubblicata ad Arezzo nel 1790 e ripetuta poi a Firenze nello stesso anno e in quello successivo. Soltanto con la bella edizione bodoniana (Parina 1801) aumentata dell'elegia IV (La rimembranza) il F. accettò di assumerne pubblicamente la paternità: fu un vero successo tanto che fu invitato a dare alle stampe l'intera sua opera. La novità delle Elegie, che segnano un cambiamento radicale del registro poetico dell'autore, consiste, oltre che nell'avere veicolato in maniera originale temi e toni jounghiani e varaniani di gusto prettamente preromantico, nell'avere reso poetico, nonostante la convenzione petrarchesca, un tema, come l'amore coniugale, considerato tra i meno poetici dalla lirica settecentesca.

Un secondo avvenimento ebbe conseguenze traumatiche per il F. gradualmente rientrato nella normalità (del 1794 è il suo secondo matrimonio con una vedova Gentili): le bande reazionarie dei "Viva Maria!" che nel 1799 imperversavano nell'Aretino perseguitavano in modo particolare gli ebrei. Il F. ebbe la casa e il negozio saccheggiati e bruciati. Da Cortona cercò quindi con la famiglia un primo riparo a Siena, ma già alla fine di luglio fu costretto a trasferirsi nella più sicura Firenze, ancora occupata dalle truppe francesi. Qui conobbe il generale S.A. Miollis (che comandava il corpo di spedizione napoleonico), dal quale ricevette gli aiuti necessan per avviare un piccolo commercio di stoffe; sempre grazie al suo interessamento il F. venne introdotto nella società letteraria della città: poté così conoscere la poetessa Corilla Olimpica, per la quale compose un'elegia e due sonetti, e V. Alfieri. Le crescenti difficoltà economiche costrinsero il R., dopo un primo rifiuto, ad accettare la cattedra di belle lettere che gli venne offerta dall'università (comunità) degli israeliti di Livorno, città dove visse fino al 1808 (e che fu erroneamente ritenuta sua città natale: Pera, pp. 3 s.).

Dopo la pubblicazione della raccolta pisana - che contiene, oltre a ventitre sonetti, le Elegie (portate a sei quelle in memoria della moglie, con Il tempo e La visione, precedute da altre due Per il suicidio di Neera), cinque odi di gusto metastasiano, più due poemetti didattici in ottave I pericoli della gioventù e La penitenza giovanile …, l'attività letteraria del F. si indirizzò verso opere di maggior impegno, come la traduzione in versi sciolti del Tempio di Cnido di Ch. de Secondat de Moritesquieu, che verrà stampata a Livorno nel 1806 insieme con alcuni inediti. Del 1805 è la filofrancese Giornata d'Austerlitz in quaranta terzine; l'operetta, di gusto ossianico, fu però pubblicata posturna (Livorno 1840).

Tra le altre opere del F. va ricordata La spiritualità e L'immortalità dell'anima, un poemetto in due libri di argomento filosofico-didattico, in cui l'autore si prefigge di combattere il sensismo. Scritto, come viene precisato nella prefazione, in età giovanile, fu pubblicato nella "nuova edizione con aggiunte" delle Poesie (Livorno 1815, in 2tomi) e poi riedito singolarmente a Milano nel 1821. L'edizione livornese delle Poesie venne poi ristampata più volte a Firenze nel 1818, nel 1823, nel 1832e nel 1845. Infine vanno ricordate le Traduzioni in versi latini di alcuni poetici componimenti (Lucca 1813). Nonostante la sua produzione comprenda opere di genere diverso, il F. è ricordato soprattutto come l'autore delle Elegie e ad esse fu legata la sua fama presso i contemporanei.

Dopo il 1808 il F., colpito da paralisi e addolorato per la morte della seconda moglie, fece ritorno a Firenze, vivendo di un modesto sussidio, e nel capoluogo toscano si spense il 4 febbr. 1815.

Fonti e Bibl.: M. Cesarotti, Epistolario, in Opere, a cura di C. Rosini, IV, Firenze-Pisa 1813, pp. 139 s.; G. Fantoni, Poesie, a cura di G. Lazzeri, Bari 1913, p. 165; G. Leopardi, Crestomazia italiana. La poesia, a cura di G. Savoca, Torino 1968, pp. 410 ss.; O. De Montel, Sulla vita e sulle opere di S. F. Discorso letto all'Accademia del Buon Volere la sera del 31 ott. 1852, Firenze 1852; F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1867, pp. 3 ss.; E. Levi Malviano, S. F. e le sue Elegie, in Miscell. di studi critici pubbl. in on. di G. Mazzoni dai suoi discepoli, Firenze 1907, II, pp. 217-233; G. Muoni, Poesia notturna preromantica, Milano 1908, p. 35; E. Levi Malvano, L'elegia amorosa nel Settecento, Torino 1908, pp. 157 ss.; E. Bertana, In Arcadia, Napoli 1909, pp. 237-240; Poeti minori del Settecento, a cura di A. Donati, Bari 1913, pp. 253-273, 344; A. Josz, S. F., in Rassegna nazionale, s. 2, novembre 1926, pp. 175-189; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1950, pp. 89, 110; W. Binni, Leopardi e la poesia del secondo Settecento, in Atti del I Convegno internaz. di studi leopardiani, Firenze 1964, p. 110; E. Santini, La "Crestomazia poetica" del Leopardi e il Settecento, ibid., p. 487; Poesia del Settecento, a cura di C. Muscetta - M.R. Massei, Torino 1967, II, pp. 2111-2119; Il Settecento, a cura di G. Savoca, Bari 1974, II, pp. 280-283; M. Mari, Venere celeste e Venere terrestre. L'amore nella letteratura italiana del Settecento, Modena 1988, p. 206; W. Binni, La letteratura del secondo Settecento fra l'illuminismo e preromanticismo, in Il Settecento, a cura di E. Cecchi - N. Sapegno, Milano 1988, p. 701.

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