SALUZZO

Enciclopedia Italiana (1936)

SALUZZO (A. T., 24-25-26)

Piero LANDINI
Anna Maria BRIZIO
Tammaro DE MARINIS
Armando TALLONE

Citta del Piemonte (provincia di Cuneo), che ripete nel suo piano topografico le caratteristiche salienti di molti centri pedemontani piemontesi. È situata al limite nord-orientale di uno sperone micascistico, estrema propaggine verso E. del tronco spartiacque tra la Valle del Po con la più piccola Valle Bronda a N. e quella della Varaita a S. Mentre la parte più antica si arrampica sulle pendici boscate, attraverso strade tortuose, sino al Castello (m. 393), ora casa di pena, la Saluzzo moderna si adagia ai piedi dello sperone (m. 350), sulle alluvioni quaternarie, con strade ampie e viali alberati, con il maestoso duomo gotico-romano, le sue stazioni e le sue caserme: quivi si è sviluppata la sezione industriale e commerciale della città. Nella parte alta, silenziosa e onusta di ricordi, s'incontrano i suoi più bei gioielli architettonici e artistici (Casa Cavazza) e si offrono al turista panorami impareggiabili sulla catena del Monviso da una parte e sulla pianura dall'altra. Saluzzo ha una temperatura annua di 12°; 2° in gennaio; 22°,8 in luglio, con massimi e minimi assoluti molto accentuati; 1075 mm. di pioggia all'anno con netta prevalenza nella primavera; frequente la nevosità.

La città contava 10.622 ab. nel 1901,12.078 nel 1931; è nod0 ferroviario notevole, servito dalle linee per Torino (km.61), Savigliano (km. 15), Cuneo (km. 33), ed è divenuta uno dei ganglî tranviarî più importanti del Piemonte, essendo unita con Torino (54), Pinerolo (km. 31), Paesana (km. 21), Barge (km. 20), Cuneo (km. 31) e a Costigliole per Venasca nella Valle Varaita (km. 8); servizî automobilistici pubblici portano a Brondello, Cardè, Cavallermaggiore, Lagnasco. Saluzzo deve la sua importanza, soprattutto commerciale, alla posizione geografica, che ne fa lo sbocco naturale di numerose vallate.

Il comune copre una superficie di kmq. 75,78, di cui 72,19 costituiscono la superficie agraria-forestale; il 70% del territorio è irrigato mediante le acque della Varaita, che alimenta numerosi canali. Fiorente è l'agricoltura, con cereali, prati, vigneti, frutteti, castagneti: per le castagne Saluzzo è uno dei maggiori mercati italiani. Cospicuo è anche l'allevamento del bestiame: nel 1930 si contavano 7537 bovini, 2947 suini, 914 ovini, 421 equini. L'industria (1927) è forte di 320 stabilimenti, e 1898 addetti: prevalgono le industrie tessili, le meccaniche, le alimentari, la lavorazione del legno. La popolazione del comune è salita da 16.394 ab. nel 1901, a 17.690 nel 1931 e vive, oltre che nel centro capoluogo, in numerose frazioni; la percentuale della popolazione sparsa è del 29%.

Nella chiesa di S. Giovanni, costruzione gotica, con bel campanile (1376), eretta a varie riprese, con rifacimenti e ampliamenti a partire dalla fine del Duecento, la cappella funeraria dei marchesi di Saluzzo - che ne è la parte più importante - fu cominciata intorno al 1472 e condotta innanzi a intervalli fino al 1504, quando la chiesa assunse l'aspetto ridonatole dai recenti restauri. Nella cappella, ora adattata a coro, con stalli trasportativi da luogo non ben precisato, due nicchioni sono elegantemente incorniciati da una ricca fioritura d'ornati gotici, di carattere spiccatamente francese. Quello di destra contiene il sarcofago del marchese Ludovico II, in stile rinascimentale lombardo, il cui autore s'è recentemente supposto sia stato un Benedetto Briosco, citato come a Saluzzo in documenti del principio del Cinquecento. Una scultura di tipo affine si conserva nel duomo: una pala in marmo bianco. Altre sculture notevoli a Saluzzo sono: la tomba di Galeazzo Cavassa, nell'ex-sala capitolare di S. Giovanni ridotta nel sec. XVI a cappella gentilizia dei Cavassa, opera di Matteo Sanmicheli (circa 1518-28), e i portali del chiostro di S. Giovanni e di casa Cavassa. Il duomo, sebbene iniziato solo nel 1481 e terminato intorno al 1511, è di quello stile gotico tardivo assai comune in Piemonte con forme ampie e grevi e decorazioni in terracotta. Notevole esempio di dimora signorile rinascimentale è la casa Cavassa. Fu ridotta nel suo aspetto attuale da Francesco Cavassa nella prima metà del Cinquecento; ha un bel portale, cortile a loggiato decorato con affreschi in chiaroscuro e sale spaziose con soffitti a cassettoni. Vi è raccolto un piccolo museo, fra le cui opere è particolarmente interessante una Madonna della Misericordia con i ritratti del marchese Ludovico I e Margherita di Foix, opera, forse, provenzale, assai fine. La larga penetrazione d'oltralpe, avvenuta probabilmente attraverso la corte e le marchesane, è attestata, oltre che da questa Madonna di casa Cavassa, e dalle sculture della cappella funeraria di S. Giovanni, da un polittico smembrate del principio del sec. XVI, conservato nel duomo, d'attribuzione discussa, ma con ogni probabilità catalano.

V. tav. CXXIII.

Arte della stampa - Il primo libro stampato a Saluzzo è il Doctrinale di Alessandro de Villadei col commento di Facino Tiberga, dedicato a Ludovico marchese di Saluzzo e apparso il 31 luglio 1479: se ne conoscono i soli due esemplari della Biblioteca Nazionale di Torino e della Biblioteca civica di Saint Malo; il tipografo, Iohannes Fabri, era francese, di Langres, e aveva già esercitato l'arte sua in Piemonte, prima a Caselle (dal 1475 al 1477), poi a Torino dal 1477 al 1490. Nel 1481 Martino De La Valle, del Monferrato, vi stampò le Satire di Persio e verso la fine del secolo vi giunsero da Milano i fratelli Le Signerre (v.).

Storia. - Trascurando l'inaccettabile identificazione con Saluzzo del luogo nel quale la madre di Carlomagno e di Carlomanno si abboccò con Desiderio re dei Longobardi, la prima menzione di questa città si trova in un elenco delle corti demaniali del Piemonte attribuito da alcuni al 1064 circa, anticipato di un secolo da altri, con maggiore probabilità, in base ad argomenti non ancora contraddetti. S'ignora quando abbia cambiato natura diventando beneficio concesso dal re a qualche signore; è certo tuttavia che si trovava compresa nel comitato di Auriate (Caraglio), il cui primo conte conosciuto è un Erico, del tempo di Carlomagno. Passò poi sotto il dominio della famiglia Arduinica fino a Adelaide moglie di Oddone di Savoia. Morta questa nel 1091, il comitato di Auriate, e quindi Saluzzo, fu occupato da Bonifacio del Vasto e dopo di lui dal figlio Manfredo I che stabilì in questo luogo la sua residenza, così che questa diventò la capitale del nuovo marchesato, che ne assunse il nome. Nel 1270 il marchese Tomaso I iniziò la costruzione del nuovo castello, che ancora rimane, adibito a reclusorio, col nome di Castiglia, abbandonando il vecchio castello prima detto Soprano. Intorno al nuovo venne poi addensandosi la popolazione dando origine al cosiddetto borgo nuovo superiore. Del comune in Saluzzo si hanno notizie relativamente assai tarde, della seconda metà del sec. XIII, che ce lo mostrano costituito dall'insieme di tutti quei signori che partecipavano coi marchesi di Saluzzo e coi marchesi di Busca, finché conservarono una parte di signoria, alla giurisdizione sulla città e sul territorio circostante, retto da un podestà, o castellano, o vicano, a nome dei marchesi, uno deì quali, Manfredo IV, nel 1299 concesse le prime franchigie al comune, determinando gli obblighi e i diritti reciproci. Nel 1341 patì un lungo assedio e dopo la resa una crudele devastazione da parte degli armati del siniscalco angioino, del principe d'Acaia e del pretendente Manfredo di Cardé contro Tomaso II; nel 1487 ne patì un altro postovi dal duca Carlo I di Savoia che temporaneamente se ne era impadronito, e nel 1542 un orribile saccheggio inflittole da un Lelio Guasco per questioni di paghe dovute a un suo fratello stato al soldo del marchese Francesco; nel 1548 passò sotto la Francia, ma col trattato di Lione del 1601 venne ceduta col marchesato da Enrico IV a Carlo Emanuele I duca di Savoia che lo perdette nel 1630 durante la guerra del Monferrato. Fu dai Francesi restituito poco dopo a Vittorio Amedeo I in forza dei trattati di Ratisbona e Cherasco, ma dagli stessi fu ancora una volta rioccupato dopo la battaglia di Staffarda del 1690. Durante il periodo francese del secolo seguente fece parte del dipartimento della Stura ma con la restaurazione ritornò definitivamente ai Savoia.

Saluzzo e le sue valli. Guida, Saluzzo 1912; D. Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città e ai marchesi di Saluzzo, 1829-1833; G. Casalis, Diz. stor. geogr., ecc., Torino 1848, XVII; C. F. Savio, Saluzzo e i suoi vescovi, Saluzzo 1911; G. Vaccatta, La chiesa di S. Giovanni di Saluzzo, Torino 1931; G. Barucci, La casa Cavassa in Saluzzo, Saluzzo 1912; F. Berlan, L'introduzione della stampa in Savigliano, Saluzzo e Asti nel sec. XV, Torino 1887.

Il Marchesato di Saluzzo.

Alla fine del sec. XI, dopo la morte della contessa Adelaide, fra quelli che aspirarono a impadronirsi del suo dominio il più fortunato fu da principio il marchese Bonifacio del Vasto (v. vasto del), figlio di Berta, sorella della contessa defunta, il quale si impadronì della contea di Auriate e di quelle vicine e divenne in breve signore di un vastissimo territorio che si stendeva dalle Alpi occidentali fin oltre la Bormida, dalla valle del Po fino al mar di Liguria. Alla sua morte, avvenuta verso il 1135, lasciò oltre il primogenito diseredato, sette figli, ai quali passò indivisa l'eredità, non esistendo, di qua dalle Alpi, diritto di primogenitura. I sei figli assunsero tutti il titolo di marchese, e furono detti marchesi del Vasto, esercitando la giurisdizione, sul territorio ereditato, in comune. Ma a poco a poco in questo vasto dominio si venne verificando un processo di separazione tra i fratelli e i loro eredi, perché ognuno di essi, e quindi anche i loro discendenti, si restrinse in un preferito luogo di residenza che finì per diventare capoluogo del rispettivo marchesato. Nella porzione di eredità di Bonifacio, situata fra il Po, le Alpi e la Stura, fissarono la loro sede i fratelli Manfredo e Guglielmo, i cui discendenti assunsero il nome rispettivamente di marchesi di Saluzzo e di Busca, finché il primo e i suoi eredi prevalsero sul secondo e sui suoi successori che diventarono vassalli dei primi e tutta la regione costituì in realtà un unico marchesato: quello di Saluzzo.

Ma al processo di disgregazione, che produsse il frazionamento della marca primitiva, se ne aggiunse un secondo, di eliminazione dei signori locali sparsi per tutto il territorio, di modo che l'autorità del marchese, esercitata dapprima sopra una regione che aveva le solite caratteristiche dei dominî feudali, venne poco per volta esercitata su un territorio compatto posto ormai sulla via di acquistare le caratteristiche di uno stato moderno. Favorì questa unificazione del territorio, evitandone il frazionamento, la circostanza che per parecchie generazioni non avvenne divisione di signoria, per inesistenza di cadetti nella famiglia marchionale.

Al marchese Manfredo I successe nel 1175 il figlio Manfredo II, soprannominato per una imperfezione fisica Punasio, che assunse per primo il titolo di marchese di Saluzzo; a questo nel 1215, essendo premorto l'unico figlio Bonifacio, il nipote Manfredo III. L'opera di penetrazione iniziata da Bonifacio del Vasto fra i signori locali fu continuata dai suoi successori, compreso Manfredo III, sotto il quale si trova già iniziata la parziale sudditanza verso Casa Savoia. Questa, dopo la morte della contessa Adelaide, aveva conservato in Barge, o l'aveva riacquistata, una piccola porzione di signoria accanto ai signori locali; la tutrice di Manfredo III, Alasia di Monferrato, nel 1215 donò, ricevendone poi l'investitura feudale, al conte Tommaso I quanto possedeva in Barge; pochi anni dopo il marchese di Saluzzo appare vassallo dei Savoia per altri luoghi che lo obbligavano a riconoscersi sia pure parzialmente vassallo di essi. Il successore di Manfredo III, Tommaso I, marchese dal 1244 al 1296, benché ostacolato dal comune di Asti e da Carlo I d'Angiò, ebbe una parte assai importante nello sviluppo dello stato, che si ingrandì oltre che di molti altri luoghi minori, del comune di Cuneo e del suo distretto e della valle della Stura, di modo che il marchesato alla fine del sec. XIII presentava un insieme abbastanza compatto, che era circoscritto parzialmente anche da confini naturali rappresentati dalle Alpi, dalla Stura, dalla Mellea, dalla Maira e dal Po, e che comprendeva entro il suo territorio le valli dei fiumi ora ricordati nonché tutto il piano digradante dalle Alpi Cozie, e incuneantesi in mezzo ai dominî Sabaudi fino a Carmagnola, con propaggini che si addentravano nelle contee vicine di Asti e di Bredolo. Alla sua morte la sopravvivenza contemporanea di più figli avrebbe potuto porre in pericolo quell'unità che fino allora aveva costituito il più valido coefficente per il consolidamento dello stato, se il padre stesso non avesse con una disposizione testamentaria in contrasto con l'uso feudale ma giustificata dalla tradizione locale, provveduto alla successione del primogenito Manfredo IV ad esclusione degli altri. Ma il nuovo marchese non seguì in ci l'esempio paterno, perché, ammogliatosi in seconde nozze con Isabella Doria, sostituì nel suo testamento al primogenito Federico avuto da Beatrice figlia di re Manfredi, il fratellastro Manfredo di Cardé, dando così origine a lunghe guerre civili, scoppiate prima ancora della sua morte e interrotte solo a brevi intervalli da più sentenze arbitrali pronunciate dai fratelli di Manfredo IV, da Filippo principe d'Acaia, e da ultimo da Aimone conte di Savoia e da Guglielmo di Biandrate. Federico fu riconosciuto come legittimo marchese nel 1334 prima ancora della morte di Manfredo IV, ma dopo due anni morì e gli successe il figlio Tommaso II che governò lo stato fino al 1357 attraverso gravi difficoltà, procurategli si può dire ininterrottamente dagli assalti esterni nonché dalle discordie interne suscitate dalla insoddisfatta ambizione del pretendente Manfredo. Tutto ciò fu la ragione per cui due volte si indusse a un atto che ebbe gravissime conseguenze più tardi: a fare omaggio del proprio stato al Delfino nel 1343 e nel 1354, quando già il Delfinato, prima di nome e poi di fatto, era passato alla Corona di Francia, come appannaggio del principe ereditario. Né questi furono i soli omaggi prestati dai Saluzzesi. Il marchesato, il quale s'incuneava così addentro negli stati sabaudi da esserne circondato da ogni parte e perciò esposto al pericolo di venire assorbito, premuto a ponente dal Delfinato ossia dalla Francia, non poteva salvare la sua indipendenza di fatto se non equilibrandosi fra le potenze vicine, traendo partito dalle contese esistenti tra quelle, ricorrendo per aiuti anche ai Visconti e al Monferrato e adattandosi a prestazioni di omaggio che in fondo non costituivano una sudditanza vera e propria. I marchesi già lo prestavano al conte di Savoia per Barge, Bernezzo, Fontanile e Roncaglia; Tommaso II lo prestò due volte al Delfino per tutto il marchesato contro promessa di 16.000 fiorini non mai riscossi, e tra il primo e il secondo ne prestò anche uno ad Amedeo VI per Barge e Bernezzo, non solo, ma anche per Busca e Scarnafigi; il successore Federico II, che governò per 40 anni, occupati quasi tutti da guerre, vinto in una di queste dal principe Giacomo d'Acaia, fu obbligato a prestarlo a questo anche per Carmagnola, Revello e Racconigi. Tentò poi bensì di negarlo ad Amedeo VI sostituitosi a Giacomo di cui aveva occupato lo stato; ma quando nel 1363 in una nuova guerra Federico II fu sconfitto dal conte che già era arrivato con l'esercito sotto Saluzzo, acconsentì che sulla contea si pronunciassero gli arbitri eletti dal vincitore, i quali sentenziarono doversi da Federico II prestare omaggio a Amedeo VI per tutto il suo stato, proprio come pochi anni prima il suo predecessore aveva fatto con il Delfino.

Sennonché nell'anno stesso il marchese rinnovò l'omaggio al Delfino, l'anno seguente al conte di Savoia, nel 1375 di nuovo al Delfino; omaggi che risultano da documenti che non sono tutti superiori a ogni sospetto per alcune contraddizioni e anomalie che presentano, e che diedero luogo a interminabili discussioni, quando Federico II sollecitò un giudizio al riguardo presso il Parlamento di Parigi. Pronunciò la sentenza il re Carlo VI, che in fondo era giudice e parte, sentenziando in favore proprio e dichiarando legittimo solo l'omaggio prestato al Delfino. Ma non tenne conto che nel 1375 era intervenuta una sentenza inappellabile dell'imperatore Carlo IV che aveva sanzionato il contrario investendo addirittura del marchesato Amedeo VI.

Ciò nonostante i marchesi di Saluzzo continuarono a rimanere indipendenti di fatto, anche quando sotto Tommaso III, succeduto nel 1396 a Federico II, l'omaggio fu rinnovato al Delfino, fu sollecitato da Amedo VIII presso il marchese e fu prestato da questo dopo una guerra in cui rimase sconfitto nel 1413. Tommaso III, che in una guerra precedente col principe d'Acaia, prima ancora della morte del padre, era rimasto prigioniero, è noto per aver dedicato molta parte della sua attività alle lettere, per aver acquistato buon numero di libri in Parigi e per aver scritto lo Chevalier errant, ampio romanzo in versi e in prosa, nel quale descrive il viaggio allegorico di un cavaliere che durante quello si ravvede dei suoi trascorsi. Successero a Tommaso III dal 1416 al 1475 e dal 1475 al 1505 due marchesi di nome Ludovico, la cui fama si estese ben oltre i confini del marchesato. Il primo fu in ottimi rapporti coi duchi di Savoia, ai quali prestò debitamente il solito omaggio nominale non infirmato da un altro simile prestato al re di Francia. Anzi dal duca di Savoia ottenne il Collare dell'Annunziata e la luogotenenza del ducato nel 1444; simile luogotenenza ottenne nel Monferrato due anni dopo; fu arbitro nella contesa che ebbero i Veneziani e i Fiorentini con Filippo Maria Visconti, e dal re di Francia, gli venne offerto il governo di Genova nel 1458. Ludovico II è noto per la galleria scavata attraverso il Monviso e per le sue aspirazioni alla successione nel Monferrato, le quali, nutrite contemporaneamente da Carlo I di Savoia, misero i due avversarî di fronte, Ludovico ricorse per aiuto al re di Francia, ma Carlo nel 1487 occupò Saluzzo e gran parte del marchesato che per accordo intervenuto col re fu messo in deposito in terze mani, nell'attesa del responso di arbitri. La morte di Carlo I reintegrò nel suo stato Ludovico II, che diede il passo alle milizie di Carlo VIII dirette su Napoli, e andò in soccorso di questo quando la Lega Italiana tentò contrastargli il passo a Fornovo; accompagnò Luigi XII quando venne a prendere possesso del Milanese; si recò per lui combattere nel napoletano contro Consalvo di Cordova; ma nel ritorno trovò la morte a Genova nel 1904. Al principio del sec. XVI il marchesato, perdute Cuneo e la valle della Stura, cadute sotto il dominio di Amedeo VI al tempo di Federico II; perduti altri luoghi qua e là occupati dai principi d'Acaia, era ridotto alle valli del Po, della Varaita, della Maira, del Grana e del Bionda, nonché a Dronero e ad alcuni luoghi nelle Langhe oltre il Tanaro. A Ludovico sopravvissero parecchi figli tutti in minore età, perciò prese le redini del governo la loro madre Margherita di Foix per il primogenito Michele Antonio, anche quando uscito già questi di tutela, per le sue frequenti assenze dal marchesato non era in grado di governarlo. Stette egli infatti il più di quel tempo presso i re di Francia Luigi XII e Francesco I, prendendo parte alla guerra da questi combattuta in Italia e subendone le conseguenze, come nel 1513, nel 1522, nel 1523, quando, sconfitti i Francesi, la prima volta gli Svizzeri, la seconda Prospero Colonna, da ultimo il marchese del Vasto, imposero gravissime taglie sul marchesato. Michele Antonio morì nel 1528 in Aversa durante la guerra contro il Napoletano, dopo aver diseredato il fratello Giovanni Ludovico troppo sospetto di favorire Carlo V e già per questo motivo fatto rinchiudere in prigione pochi anni prima dalla madre stessa. Successe così l'altro fratello Francesco, ma una sommossa popolare liberò Giovanni Ludovico e lo acclamò marchese; per poco tuttavia, perché Francesco con l'aiuto dei Francesi riuscì a cacciarlo e a ottenere che il re di Francia facesse istruire contro di lui un processo, per il quale egli fu riconosciuto reo di fellonia e il marchesato devoluto ai re come Delfino di Vienne. Francesco fu investito dell'autorità marchionale, ma come vassallo del re di Francia. Il nuovo marchese non tardò a tradire il re per schierarsi dalla parte dell'imperatore, perciò Francesco I liberò dal carcere Giovanni Ludovico, sostituendolo al traditore. Morto poi questi nel 1537 mentre tentava di riprendere il marchesato, essendosi Giovanni Ludovico gettato in braccio agl'imperiali per potersi riscattare dalla prigione in cui il fratello a tradimento lo aveva rinchiuso, il re investì del marchesato l'ultimo fratello Gabriele, che morì di veleno nel 1548.

Prese subito il titolo di marchese Giovanni Ludovico, ma il re di Francia non lo riconobbe, e i comuni del marchesato, convocati dai sindaci di Saluzzo in parlamento, deliberarono il 1° agosto di invitare Enrico II re di Francia a sottomettere alla sua signoria il marchesato che l'anno appresso venne riunito al Delfinato.

D. Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo, Saluzzo 1829-1833; C. F. Savio, Saluzzo e i suoi vescovi, ivi 1911; Saluzzo e le sue valli. Guida, ivi 1912; C. Manfroni, I diritti della casa Savoia sopra il marchesato di Saluzzo, in Atti della R. Accad. dei Lincei. Rendiconti, I (1885), pp. 12-16; G. Lobetti-Bodoni, Castelli e monum. del Saluzzese, Saluzzo 1911; A. Tallone, Tomaso I marchese di Saluzzo, Pinerolo 1916 (Bibliot. della Soc. st. sub. LXXXVII); id., Gli ultimi marchesi di Saluzzo, Pinerolo 1901 (ibid., X); N. Jorga, Thomas III, marquis de Saluces, Parigi 1893.