VALITUTTI, Salvator

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VALITUTTI, Salvatore

Paolo Soddu

– Nato il 30 settembre 1907 a Bellosguardo, in provincia di Salerno, da Giuseppe e da Amelia Macchiaroli.

Compì gli studi a Salerno al Regio istituto tecnico e scuola commerciale annessa. Sostenne la maturità a Napoli nel 1927 all’Istituto Gian Battista Della Porta, dove dal 1926 era operante una sezione del Liceo scientifico. La commissione era presieduta dal germanista Giovanni Vittorio Amoretti, che in una lettera a Vittorio Enzo Alfieri del 23 giugno 1987, Valitutti ricordava come primo mentore, deluso però dagli orientamenti dati dal giovane agli studi successivi. Valitutti, infatti, fu fortemente condizionato dalle modeste condizioni economiche della famiglia: era quinto di dodici figli e il padre era un piccolo proprietario terriero che aveva avviato faticosamente la trasformazione della propria impresa.

Continuava nella lettera ad Alfieri: «Anche Giovanni Gentile, che fu mio professore di filosofia a Roma, fu deluso da me – e me lo disse duramente – perché avrebbe preferito che io avessi scelto gli studi scientifici. Io fui costretto da ragioni di famiglia, che erano di particolare penuria, a ripiegare sulla carriera amministrativa». Ruggero Moscati, con cui condivise la militanza nel Partito liberale italiano (PLI), nel 1967 volle conoscere le ragioni delle «non simpatia», «non amicizia», «non stima» di Valitutti nei suoi riguardi. Valitutti replicò: «C’è tra me e te la differenza derivante dalla nostra formazione. Tu come storico sei particolarmente idoneo a comprendere questo tipo di differenza. Tu ti sei formato in una famiglia nobile ed agiata. Io sono nato e mi sono formato in una famiglia modesta. Tu hai avuto una vita più facile e sei pervenuto, indubbiamente per i tuoi meriti, a posizioni più facilmente raggiungibili e raggiunte a cagione del tuo punto di partenza. Per me è stato tutto più difficile e fatigoso perché sono partito da un punto più lontano e insicuro» (Archivio Valitutti, b. 104, f. 69: lettera ad Alfieri; b. 108, f. 105: lettera a Ruggero Moscati del 13 novembre 1967).

Laureatosi nel 1930 in scienze politiche e sociali all’Università di Roma con una tesi in filosofia e diritto, svolto il servizio militare come ufficiale di complemento nell’8ª compagnia mitraglieri di stanza a Salerno, Valitutti fu impiegato all’Istituto fascista di cultura, del quale fu vicesegretario nazionale dal 1933 al 1937. Redattore dal 1932 al 1940 di Critica fascista, collaborò assiduamente alla pubblicistica del regime. Una silloge dei suoi interventi del periodo, apparsi su Nuovi studi di diritto, economia e politica, educazione fascista, civiltà fascista, fu pubblicata in volume nel 1937.

Valitutti appartenne alla cosiddetta leva Bottai, i diciotto provveditori agli studi immessi in ruolo nel 1936 «per meriti e attitudini eccezionali» (Melis, 2018, p. 511) dal giovane ministro dell’Educazione nazionale; fu prima a Mantova dal 1937 al 1939, quindi a Perugia fino al 1943. Nel luglio del 1943 fu trasferito a Palermo, ma rientrò nel corso della medesima estate. Tornato in dicembre a Perugia, nel febbraio del 1944 venne spostato nel ruolo dei presidi e, infine, a marzo collocato a riposo.

Rimase sempre legato a Gentile, che lo definì uno dei «miei ragazzi» anche se, ricordava Valitutti a Hervé Cavallera nel 1988, «la mia formazione intellettuale è più crociana che gentiliana ma io sono stato tra quelli che più soffrirono del contrasto tra i due filosofi. Debbo confessarle che nell’ammirazione, nella gratitudine e nell’affetto sono rimasto sempre legato alla ricordanza di Giovanni Gentile» (Archivio Valitutti, b. 107, f. 7: lettera a Giovanni Gentile s.d.; b. 105, f. 47: lettera a Hervé Cavallera del 7 novembre 1988). Il fascismo gli apparve la fase decisiva dello sviluppo unitario del Paese, ma aveva più di un dubbio sulla solidità del progetto pedagogico della dittatura. Alla fidanzata, la pittrice Maria Bianca Pignatari – che divenne poi sua moglie e dalla quale non ebbe figli – confidò nel 1931 che l’esperienza militare gli aveva dato una consapevolezza: in caserma «s’impartisce l’insegnamento di una tecnica militare, che sarà presto dimenticata; e intanto non si sarà provveduto a creare nei giovani quelle doti morali, che rendono possibili – in concreto – gli sforzi e anche le cose più atte a sostenere il paese il giorno che venisse materialmente offeso» (Archivio Valitutti, b. 122, f. 2: lettera di Valitutti del 10 dicembre 1931).

Nel corso del conflitto mondiale parve a Valitutti che il regime fascista avesse mancato i suoi obiettivi riguardo alla forgiatura della nuova classe dirigente della società di massa totalitaria. Come sostenne al congresso interuniversitario di Firenze delle facoltà di scienze politiche, nell’aprile del 1942, ci si era limitati infatti a insegnare la «tecnica politica», mancando però l’obiettivo della «educazione politica» (Gli insegnamenti..., 1943, p. 79, in Ciampi, 2018, p. 118). Forse la più esplicita manifestazione della natura del rapporto con il fascismo è l’Introduzione del 1936 al volume rivolto alle scuole, incentrato sulla Dottrina del fascismo, apparsa sulla Enciclopedia Italiana con la firma di Mussolini.

Delio Cantimori apprezzò il testo in cui Valitutti vedeva l’avvento della dittatura come completamento dell’unificazione italiana. A suo giudizio, il fascismo costituiva infatti la risposta all’incapacità delle classi dirigenti risorgimentali di dare dimensione popolare alla rivoluzione, innanzitutto morale, del Risorgimento. Nell’Italia unita erano stati i socialisti i primi a operare per trasformare l’io in noi, ma ciò era avvenuto solo in circoscritte aree del Paese. Mussolini, che dal socialismo proveniva, aveva perfezionato l’opera, sostituendo la classe con la nazione e ponendo termine per quella via all’ininterrotto dominio delle oligarchie: popolo e nazione finalmente sarebbero coincisi per il tramite della guerra, «risultante d’una azione creatrice» che avrebbe permesso, superato il particolarismo e forgiato l’italiano nuovo, «rinnovamento» e potenza della Nazione italiana» (Introduzione..., cit., 1936, p. XXII). Fu poi l’esito effettivo del conflitto a far riflettere Valitutti sulla drammatica inconsistenza della costruzione ideologica del fascismo. Partecipò tra il 1940 e il 1943 alle iniziative della sezione locale del Reale Istituto filosofico animato da Aldo Capitini e luogo di incontro del dissenso antifascista. Valitutti non rinnegò affatto la sua immersione nel fascismo. Al riguardo, nel 1973 fu chiaro con Giovanni Gozzer: «Io non ho mai nascosto a nessuno di avere trovato la mia verità attraverso il fascismo. Ognuno di noi ha la sua storia personale. A Roma, durante i miei studi universitari, fui alunno di Giovanni Gentile. In quel mondo di pensiero e di cultura commisi alcuni errori di valutazione sul fascismo. Certamente sarebbe stato preferibile se non li avessi commessi. Ma ovviamente non posso espellerli dalla storia della mia formazione proprio perché attraverso essi giunsi alla mia verità» (Archivio Valitutti, b. 107, f. 77: lettera a Gozzer, s.d. ma 13 aprile 1973). Il segno della riflessione che lo condusse alla scoperta del liberalismo è il saggio, scritto nell’autunno del 1943, Partito politico e liberalismo nel pensiero di B. Croce.

Intanto nel 1938 Valitutti aveva conseguito la libera docenza in storia delle dottrine politiche, e dal 1940-41 ebbe l’incarico di filosofia del diritto alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Perugia. Nel 1956-57 passò a insegnare storia e politica coloniale alla facoltà di scienze politiche, dove nel 1958-59 fu libero docente. In quel periodo insegnò presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma, prima sociologia e quindi, dal 1962-63, dottrina dello Stato. Entrato a far parte, nel 1960-61, del Consiglio di amministrazione dell’Università per stranieri di Perugia, ne fu rettore dal 1969 al 1980.

Reintegrato nei ruoli dei provveditori, dal 1948 al 1950 fu capo ufficio stampa del ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonella, e tornò alla Pubblica Istruzione come capo di gabinetto del liberale Gaetano Martino, ministro nel governo Scelba. Nel settembre del 1954, dimessosi Attilio Piccioni in conseguenza dello scandalo Montesi, Martino passò agli Esteri e Valitutti lo seguì come capo della segreteria. Nel 1955 fu nominato consigliere di Stato e a palazzo Spada rimase fino ai limiti di anzianità, raggiunti nel 1977. Intanto, nel 1953 si era iscritto al PLI.

In quella fase Giuseppe Mazzini, sciolto dalla lettura nazionalistica del suo maestro Gentile, divenne per lui antesignano della religione della libertà, connesso con il pensiero liberale di Francesco De Sanctis, Benedetto Croce, Giovanni Amendola e Luigi Einaudi, che divennero così i suoi ‘maggiori’. Nel PLI, pertanto, sviluppò una posizione affatto peculiare, non legata alla sinistra interna ma di critica alla lunga segreteria di Giovanni Malagodi e all’isolamento a partire dal centrosinistra. In questo senso è indicativo il suo intervento al Senato del 3 dicembre 1974 sulla fiducia al governo Moro-La Malfa, nel corso del quale sottolineò la novità di quell’esecutivo, definito un ponte per consentire alla democrazia italiana di raggiungere nuovi lidi. Ne colse il senso Ugo La Malfa, che lo giudicò un «ottimo discorso, pieno di idee e di pathos» (Archivio Valitutti, b. 109, f. 140: biglietto di Ugo La Malfa del 3 dicembre 1974).

Più volte candidato alle elezioni politiche, Valitutti seguì le alterne vicende del suo partito: presente nelle liste liberali nel collegio di Benevento, Avellino, Salerno – Comune nel quale dal 1960 fu più volte consigliere –, risultò quarto dei non eletti nel 1953, terzo dei non eletti nel 1958. Divenne deputato nel 1963, ma non venne confermato nel 1968. Nel 1971 fondò la rivista Nuovi studi politici, della quale fu direttore. Nel 1972 passò al Senato, eletto nel collegio di Eboli comprendente il suo paese natale, ma non venne confermato nel 1976. Nel 1983, candidato nei collegi di Rieti e Roma I, fu eletto senatore nella capitale e a palazzo Madama presiedette la 7ª commissione (Istruzione pubblica). Nel 1987 si ricandidò alla Camera, come era già avvenuto nel 1979, nel collegio comprendente il suo paese natale, ma in entrambe le occasioni il PLI non ebbe seggi nella circoscrizione. Nelle prime elezioni europee, nel 1979, fu candidato, ma non eletto, in Italia centrale.

Il suo impegno politico si concentrò sui temi a lui consueti della scuola, della pedagogia e del ruolo delle nuove generazioni quale antidoto alla degenerazione oligarchica. In questo senso l’abbassamento della maggiore età a diciotto anni, disse al Senato il 12 febbraio 1975, richiedeva interventi più larghi per consentire di realizzare una organica riforma. Valitutti, che era stato contrario all’introduzione della scuola media unica, sostenne la diffusione del metodo dell’educazione sociale di Maria Montessori, al quale dedicò alcuni saggi, profondendo in impegno ultraventennale come vicepresidente prima e poi come presidente dell’Opera nazionale a lei dedicata. Sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel II governo Andreotti, del 1972-73, nel 1979 tornò alla ‘Minerva’ quale ministro del I governo Cossiga, che segnò il ritorno dei liberali al governo. Quella breve permanenza fu fattiva: Valitutti riuscì a ottenere l’approvazione della legge delega 21 febbraio 1980, n. 28, che riordinò la docenza universitaria, introdusse il dottorato di ricerca, istituì i dipartimenti. Assai critico nei riguardi del sistema istituzionale e dei partiti della giovane democrazia, nel 1986 aderì all’iniziativa di Mario Segni per il passaggio al collegio uninominale e ai successivi comitati referendari. Nel 1989 intanto assunse la presidenza del PLI e della Società Dante Alighieri.

Morì a Roma il 1° ottobre 1992. È sepolto con la moglie nel cimitero di Bellosguardo.

Opere. Si segnalano Introduzione a B. Mussolini, La dottrina del fascismo, Firenze 1936; Note di pensiero politico, Roma 1937. La segnalazione di Delio Cantimori, apparsa in Leonardo, VIII (1937), pp. 374-378 è ora in Id., Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), a cura di L. Mangoni, Torino 1991, pp. 639-644 (cfr. R. Pertici, Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l’itinerario politico di Delio Cantimori (1919-1943), in Storia della storiografia, 1997, n. 31, pp. 159 ss.); Partito politico e liberalismo nel pensiero politico di B. Croce, in Annali della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Perugia, LVII (1946), pp. 3-66; La rivoluzione giovanile, Roma 1955; L’ambiente sociale del bambino italiano, Roma 1958; Difesa della scuola, Roma 1960; Il Quinto Stato, Roma 1960; Lo Stato e la scuola materna, Roma 1962; Maria Montessori nel suo e nel nostro tempo, Roma 1964; I partiti politici e la libertà, Roma 1966; La riforma dello Stato, Firenze 1968; Ritratto di Einaudi, Roma 1975; Lo Stato nel pensiero di Giovanni Amendola, in Giovanni Amendola nel cinquantenario della morte, 1926-1976, Roma 1976, pp. 197-243; Otto mesi alla Minerva e quattro mesi dopo. Esperienze e conclusioni di un ministro, Roma 1980; La riforma assurda della scuola secondaria superiore 1970-1982, Roma 1982 (con G. Gozzer); Il pensiero e l’azione scolastica di De Sanctis, in De Sanctis un secolo dopo, a cura di A. Marinari, I, Roma-Bari 1985, pp. 235-314; La riforma di De Sanctis, Napoli 1988; l’antologico La scuola, lo Stato, i partiti. Scritti e discorsi, a cura di D. Pelosi, prefazione di V. Zanone, Roma 1996.

Fonti e Bibl.: L’Archivio di Valitutti è alla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice di Roma, parzialmente consultabile in https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/fondazione-spirito/salvatore-valitutti: vi si trovano le lettere citate nel testo; si veda inoltre presso la Camera dei deputati, l’Archivio dell’Istituto per la storia del movimento liberale.

F. Tessitore, Ricordo di S. V., in Nuova Antologia, CXXVII (1992), 2184, pp. 290-298; Id., Letture quotidiane terze, Napoli 1996; G. Longo, S. V., un intellettuale tra politica e cultura. Spunti per una biobibliografia, in Per S. V. 1992-2002, a cura di G. Cacciatore - R. Cangiano, Salerno 2002, pp. 53-60; C. Ara, I provveditori agli studi dal fascismo alla democrazia, II, Roma 2006, pp. 242 s. (su cui cfr. Melis, 2018); I. Valentini, S., V., in Dizionario del Liberalismo italiano, II, Soveria Mannelli 2015, pp. 1120-1123. Inoltre: S. V. nel centenario della nascita. Testimonianza inedite di Giuseppe Longo, suo collaboratore, Roma 2007; I. Valentini, Partitocrazia e compromesso storico. S. V. e la crisi dello Stato in “Nuovi Studi Politici” (1971-1979), Roma 2011, con il denso saggio di G. Parlato, S. V. fra cultura e politica, pp. 7-35; A. Campi, S. V., l’Università di Perugia e gli studi politici in Italia, in Rivista di politica, 2018, n. 4, pp. 108-123 (p. 119 per la cit. di Valitutti, Gli insegnamenti di politica nella Facoltà di scienze politiche, in Funzione e struttura della facoltà di scienze politiche, Firenze 1943, p. 79); G. Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista, Bologna 2018, pp. 510 ss. In www.radioradicale.it è possibile ascoltare il convegno S. V. e la crisi dello Stato italiano, tenutosi a Roma il 22 giugno 2018.

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