GIULIANO, Salvatore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIULIANO, Salvatore

Giuseppe Sircana

Nacque a Montelepre, presso Palermo, il 22 sett. 1922 da Salvatore e da Maria Lombardo.

Proprio nel 1922 la sua famiglia era rientrata dall'emigrazione negli Stati Uniti, dove per diciotto anni il padre aveva svolto umili mestieri, riuscendo a mettere da parte i risparmi che, al ritorno in Sicilia, gli avevano consentito di acquistare alcuni appezzamenti di terreno.

Il G. crebbe quindi in una famiglia contadina in condizioni di relativo benessere e frequentò la scuola fino alla terza elementare; dall'età di undici anni affiancò il padre nel lavoro dei campi. Sul finire degli anni Trenta il G. venne assunto dalla Società generale elettrica siciliana, ma nella primavera del 1941, attratto da più sostanziosi guadagni, preferì dedicarsi, insieme con il fratello maggiore Giuseppe, al mercato nero.

Il traffico clandestino del grano e della farina diventava sempre più redditizio ma, dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, esponeva anche a rischi sempre maggiori. Per contrastarlo era stato infatti vietato il trasporto del grano da una provincia all'altra ed era stata disposta la sorveglianza dei punti strategici lungo i confini delle province.

Il 2 sett. 1943 a Quarto Mulino di San Giuseppe Jato, mentre trasportava con un cavallo un carico di grano, il G. si imbatté in una pattuglia di carabinieri e di guardie campestri che gli contestarono l'infrazione alle norme annonarie confiscandogli il carico. La sua reazione diede luogo a un duro confronto, degenerato in conflitto a fuoco, al termine del quale un carabiniere rimase ucciso dai colpi esplosi dalla rivoltella del Giuliano. Questo episodio, sul cui svolgimento esistono versioni discordanti, segnò l'inizio della carriera criminale del G., che da allora si rese latitante. Il suo secondo delitto ebbe a consumarlo il 23 dic. 1943, allorché, incappato in un rastrellamento nella zona di Montelepre, uccise a colpi di mitra un altro carabiniere.

All'inizio del 1944 il G. maturò la decisione di costituire una propria banda armata, con la quale, il 30 gennaio, riuscì a far evadere alcuni suoi parenti e amici rinchiusi nel carcere mandamentale di Monreale. In questa fase il G. agiva da delinquente comune, compiendo rapine e sequestri di persona e preoccupandosi di sfuggire alla legge e di garantirsi con le minacce e la violenza una certa libertà di movimento nella sua zona di origine.

Nello stesso periodo era molto attivo in Sicilia il movimento separatista, i cui capi ritennero, a un certo punto, che il G. potesse svolgere un ruolo utile alla loro causa; così quando, agli inizi del 1945, venne avviata la campagna di reclutamento dell'Esercito volontario indipendentista siciliano (EVIS), il G. fu contattato. Il 15 maggio si svolse un incontro tra gli esponenti separatisti S. La Motta e P. Sciortino e il G., che dichiarò la sua adesione alla causa indipendentista e si offrì di agire in collegamento con l'EVIS. A ottobre, nel corso di un nuovo incontro al ponte Sagana, a metà strada tra Montelepre e San Giuseppe Jato, l'accordo venne perfezionato.

Il G., ottenuti i galloni di colonnello dell'EVIS e la promessa di finanziamenti per rafforzare la sua banda, espose i suoi piani per promuovere azioni di guerriglia nelle zone di Montelepre, Borgetto e Partinico. Nel volgere di poche settimane gli uomini del G., inalberando il vessillo separatista, scatenarono la loro offensiva: tra il 29 dic. 1945 e l'11 febbr. 1946 assaltarono cinque caserme dei carabinieri e ingaggiarono cruenti scontri, che provocarono numerose vittime tra le forze dell'ordine.

Il G., che non aveva peraltro rinunciato a compiere atti di delinquenza comune, ebbe anche modo di esercitare una qualche ingerenza politica nelle zone controllate dalla sua banda, orientando il voto a favore dei candidati separatisti nelle elezioni per l'Assemblea Costituente e della monarchia al referendum istituzionale. Contemporaneamente egli godeva della compiacente copertura della mafia e delle forze che avevano individuato nel separatismo lo strumento per mantenere in vita il vecchio sistema agrario. Quando tali forze, preso atto del venir meno della prospettiva separatista, affidarono la tutela dei loro interessi a nuovi referenti politici, la posizione del G. si fece più difficile. Il banditismo rappresentava un fattore di disturbo del processo di normalizzazione che avrebbe dovuto garantire il perpetuarsi degli antichi equilibri di potere nel nuovo quadro istituzionale e politico nazionale.

Il G. poteva tuttavia rendere ancora qualche servizio utile per combattere quanti, come il movimento contadino, il sindacato e i partiti di sinistra, contrastavano questo disegno. In tale contesto si colloca l'eccidio di Portella della Ginestra, che rappresentò senza dubbio il fatto criminoso di maggiore risonanza compiuto dal G.: il 1° maggio 1947 gli uomini della sua banda, appostati sulle alture circostanti, fecero fuoco contro la folla radunata per celebrare la festa del lavoro, provocando undici morti e circa sessanta feriti. I motivi per cui il G. compì quella strage e, nei giorni successivi, assaltò numerose sedi dei partiti di sinistra e delle Camere del lavoro del Palermitano non possono certo esaurirsi nella dichiarata avversione dello stesso G. nei confronti dei comunisti.

Per quanto la ricerca dei mandanti non sia mai approdata a conclusioni certe, risultarono evidenti le responsabilità degli ambienti politici siciliani interessati a intimidire le masse contadine che reclamavano la terra e avevano premiato il Blocco del popolo nelle elezioni del 20 apr. 1947. L'ipotesi di collusioni e compromissioni di tali ambienti con il banditismo fu rafforzata dall'evolversi degli avvenimenti che portarono alla fine del Giuliano.

Consapevole di essere divenuto ormai scomodo a tanti che lo avevano sostenuto, il G. cominciò a fare una serie di allusioni sui rapporti da lui intrattenuti con noti esponenti politici, che gli avrebbero garantito l'espatrio e l'impunità e, in una lettera inviata il 2 ott. 1948 all'Unità, organo del Partito comunista italiano, chiamò addirittura in causa il ministro degli Interni M. Scelba. Nello stesso tempo il G. alzò il livello della sfida sul piano militare, scatenando una nuova offensiva, che ebbe il suo culmine nell'eccidio di Bellolampo, dove fu attaccato un autocarro di carabinieri e si ebbero sette morti e dieci feriti.

Mentre si intensificava l'impegno delle forze dell'ordine per debellare il banditismo, iniziarono le defezioni tra i seguaci del G., e coloro che avevano praticato il doppio gioco, convinti che per lui la partita fosse ormai perduta, gli voltarono definitivamente le spalle.

Il venir meno della rete di protezione rese il G. quanto mai vulnerabile e diede modo al colonnello dei carabinieri U. Luca di approntare per la sua cattura un meticoloso piano che, nella fase finale, puntava tutto sul tradimento dell'uomo più vicino al G., il suo luogotenente e cugino G. Pisciotta.

Questi raggiunse il G. nel suo rifugio a Castelvetrano e, nella notte tra il 4 e il 5 luglio 1950, lo uccise nel sonno con due colpi di pistola sparati a bruciapelo.

La versione ufficiale sulla morte del bandito parlò di conflitto a fuoco e solo in seguito si conobbero le modalità dell'uccisione del bandito. Alla figura del G. nel 1961 Francesco Rosi dedicò il film Salvatore Giuliano.

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