PACINI, Salvatore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PACINI, Salvatore

Elisabetta Stumpo

– Nacque il 14 agosto 1506 nella frazione di Vico di Boscona, nei pressi di Colle Val d’Elsa, da Antonio di Piero Pacini.

Ebbe quattro fratelli di cui due, Agostino e Lorenzo, si dedicarono agli studi legali, mentre Bernardino a quelli ecclesiastici. La famiglia discendeva da Pacino di Giovanni da Casole, trasferitosi nel primo quarto del XV secolo nel villaggio di Boscona per lavorarvi le terre dei Guidotti (Marzini, 1922, p. 34).

Nelle scuole di Colle, Pacini si applicò agli studi umanistici, nei quali mostrò di eccellere a tal punto che, giovinetto, decise di trasferirsi a Roma dove probabilmente ottenne la laurea in diritto civile e canonico, ritrovandosi a insegnare quest’ultimo presso lo Studio di Bologna nel 1531-1532, con la lettura del libro Sesto e delle Clementine.

Tornato a Roma frequentò la corte pontificia stringendo un solido legame con papa Paolo III che, apprezzandone le doti umane e intellettuali, gli affidò numerosi incarichi. Nel 1542 lo nominò governatore di Faenza, negli anni 1542-1543 governatore civile di Ravenna e nel 1543 governatore di Parma. Pacini ricoprì tale carica per nove anni divenendo, dopo la creazione nel 1545 del ducato di Parma e Piacenza, il più stretto collaboratore del nuovo duca Pier Luigi Farnese, che lo annoverò «fra i più cari e più adoperati familiari» (ibid., p. 33) che avesse, tanto da concedergli la cittadinanza onoraria. Nel 1545, in seguito all’uccisione di Farnese, Pacini, all’epoca potestà civile a Piacenza, riuscì a evitare l’occupazione di Parma da parte delle truppe spagnole mantenendo la città sotto il controllo della Chiesa. Nel 1551 ottenne da Giulio III la nomina a commissario di Ravenna; nel luglio 1552 fu auditore presso il duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, f. 453, c. 749). Paolo IV, nel 1556, lo elesse invece commissario di Gualdo e di Norcia. Sempre nel 1556, per un anno, fu luogotenente del cardinale Carlo Carafa nel governo di Ancona e Fano. Il 27 giugno 1557 il pontefice gli conferì il prestigioso titolo di governatore di Roma (carica che ricoprì fino al febbraio 1559), insieme con la cittadinanza romana, mentre il 24 agosto 1558 gli assegnò la sede vescovile di Chiusi, resasi vacante per la morte del vescovo Figliuccio Figliucci. Nella primavera 1559 fu inviato in Spagna come collettore delle decime papali, inquisitore e nunzio apostolico collaterale presso Filippo II, con il delicato incarico di tutelare la giurisdizione ecclesiastica contro le usurpazione del potere regio.

Rientrato in Italia nel marzo 1560, l’anno successivo si recò ad Avignone per sedare i tumulti scoppiati con gli ugonotti che minacciavano il controllo della Chiesa su tali territori (ibid., f. 488, cc. 191, 296, lettere del 18 e 27 aprile 1561). Esperto teologo, prese parte al Concilio di Trento, dove fu inviato al principio del febbraio 1563  (ibid., f. 497/III, c. 889) dall'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo che nell'ottobre 1561 lo aveva nominato suo vice nella legazione di Romagna per coadiuvarlo nel'amministrazione di quella regione (ibid., f. 490, c. 710). Dal 1565 (in questo anno come vicelegato del cardinale Giovanni Antonio Serbelloni) al 1566 fu governatore di Perugia.

Durante la sua lunga attività come vescovo di Chiusi si distinse per la grande attenzione e la cura profusi nel ripristino di un’adeguata funzionalità della sua diocesi, impoveritasi drammaticamente a seguito della guerra tra Firenze e Siena. Fervido interprete dello spirito tridentino (ibid. f. 505, cc. 629, 971), rinnovò la consuetudine di visite pastorali e provvide alla corretta conservazione degli atti ufficiali, in passato più volte distrutti, contribuendo anche al restauro e all’ampliamento del palazzo vescovile. Si batté a lungo per limitare l’eccessiva tassazione imposta da Roma, sottolineando, nelle sue numerose lettere alla curia, l’estrema povertà in cui versava il suo clero. La forte personalità e lo spirito deciso che animarono il suo operato sono testimoniati dalle parole del governatore di Siena, Federico Montauto, che così lo descrive in sua lettera al granduca Francesco I de’ Medici del 10 settembre 1576: « [...] Non mi sonno da tempo in qua manchate molestie, alle volte con il vescovo di Massa [Marittima], ma quasi di continuo con quello di Chiusi per la sua rustica natura e strano modo di procedere, non solo per causa della retentione che fa nel suo clero della santa imposta de grilli, ma ancora perché procura di metter mano in spedali, opere et patronati di comunità [...]» (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, f. 1873, c. 195). Molto consistente fu anche il suo carteggio con i granduchi di Toscana Cosimo I e Francesco I, con i quali intrattenne un vivace e costante rapporto epistolare incentrato sulle problematiche della sua città. Numerosi sono i riferimenti a raccomandazioni di giusdicenti, a processi, a concessioni come quella di allontanare gli ebrei dalla giurisdizione chiusina (ibid., f. 519, c. 219), a richieste di aiuto a difesa del proprio territorio, come nel caso degli assalti dei Pazzi al castello di Civitella (1549-50; ibid., f. 395, cc. 62, 388, 428, 725). Nel 1569 ottenne dal governatore Montauto svariate agevolazioni e interventi mirati alla rinascita della diocesi di Chiusi, ridimensionata dopo lo scorporo, voluto nel 1561 da Pio IV, di Montepulciano e la seguente cessione delle chiese esistenti in tale distretto.

Nel 1573 gli fu richiesto da Gregorio XIII di effettuare l'ispezione della diocesi di Osimo, dove il vescovo Bernardino De Cupis era accusato di appropriazione indebita di fondi. La minuziosa ricognizione, che rispondeva alla volontà pontificia di riformare l’amministrazione ecclesiastica provinciale, si estese anche alle città di Jesi, Ancona, Senigallia e Fano, ed ebbe come effetto la rimozione di De Cupis dalla carica.

Negli ultimi anni di vita si dedicò esclusivamente alla sua diocesi, contribuendo al miglioramento dei rapporti con il potente monastero di S. Salvatore sul Monte Amiata, da secoli in lotta con i vescovi chiusini.

Morì il 20 marzo 1581 a Chiusi e fu sepolto nella cattedrale.

Fedele collaboratore di quattro pontefici, acquistò fama e autorità nella Curia romana tanto da ottenere incarichi di rilievo anche per i fratelli Agostino (per lui il governo di Faenza e Rimini) e Lorenzo (governatore di Ravenna nel 1543, di Assisi e Castel di Pieve nel 1555 e di Foligno nel 1558), favorendo l’ascesa sociale di tutta la sua casata. Fu corrispondente di Annibal Caro, con cui strinse rapporti di reciproca amicizia e stima durante gli anni trascorsi prima a Roma e poi a Parma, al servizio di Pier Luigi Farnese. Nel Museo diocesano della cattedrale di Chiusi si conserva un suo ritratto, olio su tela.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, ff. 378, c. 517; 395, cc. 62, 388, 428, 725; 409, c. 962; 453, c. 749; 467, c. 222; 470A, cc. 635 s.; 471, c. 775; 472A, cc. 708, 1003, 1106; 473A, c. 821; 477, c. 528; 478, cc. 400, 438; 483, c. 320; 483A, c. 1005; 486A, c. 1129; 488, cc. 191, 296; 488A, c. 869; 490, c. 710; 493, c. 275; 494, c. 13; 494A, c. 1175; 497, cc. 480, 889; 505, cc. 52, 629, 971; 508, c. 245; 515, cc. 30, 33, 217, 422 s.; 515A, cc. 597, 647; 517, cc. 65, 66, 546; 518, c. 552; 519, cc. 217, 219, 615, 657; 520, cc. 62, 206; 521, c. 457; 521A, cc. 675, 900, 1050, 1144; 522, cc. 111, 293; 523, cc. 130, 146, 227, 237, 479, 830; 526, c. 529; 570, c. 55; 572, c. 73; 573, c. 234; 584, c. 113; 587, c. 90; 592, c. 265; 595, c. 94; 596, c. 264 (lettere a Cosimo I e Francesco I dal 1546 al 1574); 1871, c. 115; 1873, c. 195; Ceramelli Papiani, 6155; F. Ughelli, Italia Sacra…, III, Roma 1647, p. 751; N. Apolloni, Elogio di S. P., in Elogj degli uomini illustri toscani, a cura di G. Pelli et al., Lucca 1772, III, pp. 158-162; P. Compagnoni, Memorie istorico-critiche della chiesa e de’ vescovi di Osimo…, IV, Roma 1783, pp. 62, 68, 70, 92-95, 98, 102, 109, 112 s., 561; L. Cheluzzi - G.M. Galganetti, Serie cronologica degli uomini di merito più distinti nati nella Città di Colle Val d’Elsa, Colle Val d’Elsa 1841, pp. 16 s.; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIV, Fiesole 1844, pp. 18 s.; U. Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello studio bolognese dal 1384 al 1799, Bologna 1889, II, p. 65; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, p. 278; R. Marzini, S. P. da Colle di Valdelsa e la sua famiglia, in Miscellanea storica della Valdelsa, XXX (1922), pp. 33-38; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1922, p. 518n; VII, ibid. 1923, pp. 517 s.; IX, ibid. 1925, p. 911; K. Eubel, Hierarchia catholica Medii aevi…, Münster 1923, III, 171, n. 13, 14; P.B. Gams, Series episcoporum Ecclesiae Catholicae, Graz 1957, p. 754; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, II, Firenze 1959, pp. 3 s.; III, ibid. 1961, pp. 3 s., 255 s.; P. Uccellini, Dizionario storico di Ravenna e di altri luoghi della Romagna, Bologna 1968, pp. 305, 338; P. Pellini, Della historia di Perugia, Perugia 1970, III, p. 1053; A. D’Addario, Aspetti della controriforma a Firenze, Roma 1972, p. 532; C. Weber, Legati e governatori dello Stato Pontificio (1550-1809), Roma 1994, p. 814; E. Barni - G. Bersotti, La diocesi di Chiusi, Chiusi 1999, pp. 52, 60, 70.

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