Ròsa, Salvatore

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Pittore e poeta (Napoli 1615 - Roma 1673). La sua fama è legata soprattutto alla rappresentazione di paesaggi, caratterizzati da una natura aspra e selvaggia, alle scene di battaglia, contraddistinte da una cruda espressività, e alla predilezione per le tonalità scure e i contrasti luministici. Dipinse inoltre ritratti allegorici, soggetti mitici e biblici, dove l'intento moralizzante e filosofico è accentuato dalle atmosfere cupe e misteriose, e anche quadri legati a temi magici. Fu molto attivo a Firenze e a Roma, dove fu apprezzato anche come incisore. Poeta, compose sette Satire (pubbl. postume, 1695), in cui espose i suoi orientamenti in campo artistico e filosofico.

Vita e opere

Studiò a Napoli con F. Fracanzano, J. de Ribera e A. Falcone, dipingendo soprattutto battaglie, paesaggi e scene di genere (Battaglia, 1637, Londra, coll. Mostyn-Owen). Nel 1635 si trasferì a Roma, protetto dal card. F. Brancacci. Qui conobbe i bamboccianti e, in partic., l'opera di P. van Laer e M. Cerquozzi, come dimostrano alcuni dipinti (Paesaggio con banditi, Knole, coll. Sackville); tuttavia si allontanò presto dal genere, che condannò poi in una delle sue satire. Agli anni 1639-40 risale un mutamento in senso classicista del suo stile, per influsso di C. Lorrain, N. Poussin e P. Testa, evidente nella concezione del paesaggio, che si concilia comunque con la sensibilità propria dell'artista per la resa degli aspetti pittoreschi della natura (Erminia e Tancredi e Marina, 1639-40, Modena, Galleria Estense). Nei quadri di figura di questo periodo la cruda espressività e la predilezione per tonalità scure e contrasti luministici rivelano la componente riberesca di R. (Incredulità di s. Tommaso, Viterbo, Museo Civico). Dal 1640 al 1649 fu a Firenze, su invito del card. Giovan Carlo de' Medici, dove fu in contatto con l'ambiente intellettuale della città; in questi anni iniziò a scrivere le Satire, in cui espose tra l'altro i suoi orientamenti, in favore di una pittura di ispirazione letteraria e filosofica. A questi anni risalgono ritratti allegorici (Lucrezia come Sibilla, Hartford, Wadsworth Atheneum), paesaggi caratterizzati da una natura aspra e selvaggia, che risentono dell'influsso di J. Callot e Filippo Napoletano (Il ponte, Marina, Paesaggio con filosofi, tutti a Firenze, Galleria Palatina), battaglie (1645, Vienna, Kunsthistorisches Museum). Di questo periodo sono inoltre i soggetti legati alla magia, caratterizzati da un colore cupo e da un'ambientazione spoglia e inquietante (Streghe e incantesimi, 1646, Londra, National Gallery). Dal 1649 tornò a Roma; si dedicò all'incisione, ed espose nelle mostre annuali al Pantheon e in S. Giovanni Decollato. Continuò a dipingere paesaggi, richiestissimi, e opere di contenuto morale e filosofico (Paesaggio con s. Giovanni Battista e Battesimo al Giordano, Glasgow, Art Gallery; Humana fragilitas, Cambridge, Fitzwilliam Museum; Pitagora e i pescatori, 1662, Berlino, Gemäldegalerie), accentuando, anche nei dipinti di destinazione chiesastica, la sua visione di una natura incombente e fantastica (S. Paolo eremita, Brera). Come poeta, la sua opera principale restano le Satire in terzine, che, pubblicate postume (le prime sei nel 1695, l'ultima nel 1876), ebbero tuttavia una certa circolazione durante la vita di R., tanto da suscitare polemiche e maldicenze. Le prime tre costituiscono una riflessione sulle arti: La musica, in cui è condannato il fasto eccessivo di cui vengono circondati cantanti e musici; La poesia, contro gli eccessi del secentismo; La pittura, in cui R. ripudiava la pittura di genere. Ad esse seguirono La guerra, in cui prendendo spunto dalla rivolta di Masaniello si criticavano il malgoverno dei principi italiani e l'ingerenza francese e spagnola, e L'invidia, nella quale R. polemizzava con i suoi detrattori. D'intonazione più pensosa sono le ultime due satire: Babilonia, sui costumi corrotti della Roma dell'epoca, e Tirreno, triste soliloquio del poeta sulla vanità della sua opera.

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