SAN GIORGIO, Giacomino da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SAN GIORGIO, Giacomino

Federico Alessandro Goria

da (Giacomino de Michelonibus). – Nacque con buona probabilità a San Giorgio Canavese nella prima metà del XV secolo, sicuramente non dopo il 1430 (Buraggi, 1914, p. 4; Da Roit, 2003, p. 424 nota 13).

Non si conoscono i nomi dei genitori. Il padre apparteneva alla famiglia Micheloni, ma Giacomino fu noto presso i contemporanei con il nome di battesimo seguito dal toponimo.

Il gruppo familiare dei Micheloni, ben attestato all’interno del Comune, godeva di un certo prestigio: alcuni suoi membri vennero nominati procuratori alle liti per conto della comunità sia nel 1429, in relazione a una disputa con i conti di Biandrate, signori del luogo, sia nel 1485, per risolvere controversie di confine con le comunità vicine (Da Roit, 2003, p. 422).

Ben poco si sa degli studi di San Giorgio, se non che frequentò i corsi presso l’ateneo torinese e che, per sua stessa affermazione, ebbe come maestri Giovanni di Mombaruzzo e Giason del Maino, laureandosi poi in utroque iure nel 1457.

Se per Giovanni di Mombaruzzo (che insegnò a Torino fra 1439 e 1465) non vi sono problemi, più arduo è intendere in che senso gli fosse «praeceptor» Giason del Maino, che tenne il primo corso a Pavia come professore straordinario soltanto dal 1467, laureandosi poi nel 1472. Si trattò, con ogni probabilità, di un legame prettamente scientifico, piuttosto che di un discepolato diretto (Buraggi, 1914, pp. 5 s.; Da Roit, 2003, p. 423).

Giacomino iniziò a insegnare nell’ateneo torinese fin dal 1452, quando gli venne affidato l’incarico di lettore della Rolandina. Iniziò in questo modo una carriera scientifica condotta interamente nello Studio sabaudo e durata per una quarantina d’anni, fino alla morte, che gli fruttò anche il titolo comitale (attribuito ai dottori che insegnassero per più di vent’anni). Dalla lettura delle Istituzioni, che tenne negli anni accademici 1456-57 e 1458-59, passò a quella straordinaria in diritto civile (1460), alla cattedra ordinaria di diritto canonico (dal 1461) e, infine, a quella, sempre ordinaria, di diritto civile, con la quale concluse la sua carriera di insegnamento; nel 1487 svolse anche un corso sul diritto feudale (Buraggi, 1914, p. 8), la cui redazione scritta gli valse una certa fama fra gli specialisti del settore.

La sua attività accademica non dovette tuttavia essere esente da critiche o controversie se l’8 novembre 1485 un gruppo di uomini armati, composto sia da studenti dell’università sia da estranei, creò presso la sua casa dei disordini sedati solo grazie all’intervento del vicario della città (che nell’occasione ottenne dal Consiglio di credenza una scorta di «pedites» da far intervenire nel caso di ulteriori episodi; Da Roit, 2003, pp. 426 s.). Ciò non toglie che egli avesse allievi di una certa rinomanza, fra i quali Giovanni Francesco Balbo e il più noto Claude de Seyssel (che lo sostituì nell’insegnamento sia in occasione degli impegni di natura politica sia alla sua morte).

Contemporaneamente all’attività accademica Giacomino – com’era usuale all’epoca – ricoprì numerosi incarichi pubblici, sia nell’amministrazione del ducato sabaudo sia in quella civica (di Torino egli aveva acquisito la cittadinanza in quanto lettore dello Studio). Dal 1461 fu infatti consigliere ducale (carica peraltro assai spesso meramente onorifica) e fino almeno al 1473 – quando fu a Vercelli, presso la duchessa reggente Iolanda, per preparare le udienze che si sarebbero poi inaugurate a Torino alcuni mesi dopo (p. 428) – membro delle Supreme e generali udienze (l’organo giudiziario itinerante, costituito da Amedeo VIII nel 1430 con funzioni di revisione delle sentenze dei supremi tribunali sabaudi, i consilia). Sul versante cittadino, svolse dapprima alcune missioni per conto del Comune; ma la sua attività a favore della città si intensificò fino al punto da essere eletto, nella seduta del 15 novembre 1468, membro della Credenza. Come tale si occupò di alcune questioni di natura legale riguardanti l’appalto del sale e la riscossione di un debito dei signori del Drosso e partecipò alle riunioni degli Stati generali del 1468, 1470 e 1473 (pp. 431-433). Le sue competenze lo portarono anche a redigere, su richiesta dei duchi, alcune allegazioni per sostenere le ragioni dei sovrani sabaudi in controversie territoriali, sia con i Cantoni svizzeri, in particolare gli altovallesani, che nel 1475 avevano invaso le terre sabaude del Basso Vallese e dello Chablais e reso complicati i collegamenti fra il Piemonte e la Savoia attraverso il Gran San Bernardo (pp. 428), sia soprattutto con il marchese di Saluzzo, per un’antica controversia, iniziata alla fine del XIV secolo, circa l’omaggio feudale, che quest’ultimo rifiutava di prestare ai duchi di Savoia in qualità di vicari imperiali, dichiarandosi invece vassallo del Delfino, primogenito del re di Francia.

Giacomino venne incaricato di partecipare a Pont-de-Beauvoisin alla conferenza convocata per porre fine alla contesa, che tuttavia si concluse con un nulla di fatto. La questione fu rimessa a un arbitrato, ed egli venne poi inviato a Ginevra per assistere il rappresentante del duca. Forse proprio in tale occasione redasse il consilium, conservato presso l’Archivio di Stato di Torino, che reca le sue correzioni e la sua firma autografa. Il testo venne poi pubblicato nel 1589 in un volume (Responsa diversorum iurisconsultorum ad causam Marchiae Salutiarum, Augustae Taurinorum, apud haeredem Nicolai Bevilacquae) che contiene anche quelli di tutti i giureconsulti che lungo i secoli diedero pareri favorevoli ai duchi (primo fra tutti Baldo degli Ubaldi).

Tutte le opere di Giacomino giunte fino a noi furono il prodotto della sua attività di insegnamento o di consulenza e vennero poi pubblicate a stampa, tranne la Lectura super designationibus et distinctionibus domini Rolandini, che ci è tramandata da un manoscritto pavese del XV secolo, ora alla Biblioteca apostolica Vaticana. Per primi furono stampati i due trattati De feudis (Aureus & in pratica perutilis totus & singularis tractatus feudorum..., Papiae 1502) e De homagijs (Incipit aureus & in pratica perutilis totus cum singularis tractatus de homagijs..., Papiae 1502), che furono di gran lunga i suoi lavori più celebri: dopo quella pavese del 1502, infatti, ebbero altre nove edizioni nel corso del XVI secolo, vennero inseriti nel decimo volume del Tractatus universi iuris e furono ancora stampati, da ultimo, a Francoforte nel 1606.

Il loro successo fu determinato essenzialmente da due ragioni. Da un lato la materia feudale continuava a essere al centro dell’attività dei tribunali e, dato il rango e la ricchezza delle parti in causa, accadeva spesso che i dottori venissero richiesti di pareri legali, poi assai ben rimunerati (si trattava peraltro di un interesse che sarebbe durato a lungo: nei territori tedeschi ancora per buona parte del XVII secolo). Dall’altro l’opera di Giacomino era pensata per rispondere a molte delle questioni che i giuristi pratici si trovavano ad affrontare quotidianamente: il trattato De feudis era infatti concepito come commento alle singole clausole di un atto di investitura, secondo un modello che riprendeva quello del Tractatus maleficiorum di Alberto Gandino e che sarà poi riutilizzato anche da Benvenuto Stracca per il suo Tractatus de assecurationibus; quest’impostazione permetteva, secondo il giudizio assai positivo che ne diede Claudio di Seyssel, di eliminare dalla trattazione molte questioni inutili o meramente incidentali, anche se difettava in parte di esaustività, tralasciando argomenti che dall’atto non emergevano (Goria, 2010, pp. 55 s.); si trattava tuttavia di una pecca attenuata dalla presenza di cinquanta ulteriori quaestiones feudales, che approfondivano in modo diretto pure questioni non precedentemente trattate, anche sulla base di casi concreti. Il trattato De homagijs era invece diviso in due parti, delle quali la prima esauriva il tema dell’omaggio inteso come giuramento di fedeltà e la seconda, intitolata De roydis, trattava delle prestazioni feudali. Non stupisce dunque che nella trattatistica feudale del XVI secolo l’opera di Giacomino sia stata costantemente letta e citata un po’ in tutta Europa.

Assai minor successo ebbero invece le sue lezioni universitarie, stampate per la prima volta in quattro volumi a Lione nel 1521 e poi riedite a Bologna nel 1575, con l’aggiunta dei trattati feudali: si trattava in particolare dei commentari al Codice e al Digestum vetus, anch’essi ricchi di frequenti rimandi a casi o a situazioni che Giacomino aveva dovuto affrontare direttamente.

Morì a Torino il 17 ottobre 1494 a causa di una febbre quartana doppia che lo tormentava già da molti giorni.

Ebbe certamente famiglia, ma si hanno notizie soltanto dei nomi di due figli: Bartolomeo, che lo seguì in alcuni incarichi diplomatici, e Giacomo, che nel 1501 era in procinto di sposare tale Pietrina Arcatori dei signori di Altessano Superiore (Buraggi, 1914, p. 11).

Fonti e Bibl.: M. Mantua, Epitoma virorum illustrium qui vel scripserunt, vel iurisprudentiam docuerunt in scholis, Patavii 1555, n. 154, p. 44; G.C. Buraggi, I giureconsulti dell’Università di Torino nel Quattrocento, II, G. da S. G., in Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, XLIX (1914), pp. 3-24; A. Da Roit, Le fortune di un docente di diritto dell’Università subalpina nel sec. XV: Iacobinus de Sancto Georgio, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, CI (2003), pp. 421-454; F. Goria, Fra rinnovamento e tradizione: lo Speculum feudorum di Claude de Seyssel, Milano 2010, pp. 5-9.

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