SAN MARTINO DELLA MOTTA, Felice

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SAN MARTINO DELLA MOTTA, Felice

Paola Bianchi

– Nacque a Torino l’8 febbraio 1762, unico figlio maschio del conte Giuseppe (Vercelli 1736 -Torino 1814) e di Anna Felicita Scaglia di Verrua (1736-1819), sposatisi a Torino nel 1753.

Il padre apparteneva a un ramo dell’importante casata canavesana dei San Martino, che si era stabilito da tempo a Vercelli, mentre la madre era l’ultima erede della casa vercellese degli Scaglia.

Giuseppe, capitano del reggimento provinciale di Vercelli, era stato investito della Motta nel 1747 ereditando il feudo dal nonno materno, Francescantonio Cipelli. Gran croce dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, e aveva poi percorso una brillante carriera a corte. Nominato il 22 marzo 1771 tra i primi scudieri di Vittorio Emanuele (futuro Vittorio Emanuele I re di Sardegna) e di Maurizio, rispettivamente duchi di Aosta e di Monferrato, il 9 giugno 1775 fu creato da Vittorio Amedeo III vicegovernatore dei principi. Il 6 agosto 1791 fu nominato gran maestro della Casa dei principi, con il titolo di «piccolo grande», mantenendo tale carica sino al dicembre 1799, quando Carlo Emanuele IV, dalla Toscana, lo convinse a dimettersi.

Dal matrimonio di Giuseppe e Anna Felicita nacquero, oltre a Felice, due figlie: Giuseppina Irene Gabriella (nata nel 1757), che sposò il conte Ercole Ferdinando Villa di Villastellone, e Irene Marianna (1755/1760 ca.-1792), dal 1789 al 1793 dama di palazzo della principessa di Piemonte, e moglie del conte Francesco Girolamo Verasis Asinari di Castiglione. Dall’Almanacco Reale per l’anno 1783 (Torino 1783, pp. 192 s.) risulta che la famiglia viveva a Torino «in Dora Grossa, casa Verrua, cantone Sant’Alessio».

Nella città piemontese San Martino frequentò l’università, addottorandosi in leggi il 25 aprile 1780 e venendo nominato lo stesso anno rettore; superò, in quella circostanza, nella terna composta da neolaureati che veniva presentata al sovrano a tal fine, l’amico fraterno Prospero Balbo, con cui condivise molte esperienze pubbliche e culturali. Frequentatore del salotto di madama Quaglia, uno dei principali luoghi della sociabilità torinese settecentesca, ebbe fra i suoi amici i due fratelli Giambattista e Francesco Dalmazzo Vasco e un letterato di vaglia come l’abate Tommaso Valperga di Caluso. Si segnalò, fin da giovane, come cultore di diverse discipline: non solo di arte, economia, politica e letteratura, ma anche di scienze. Restò, non a caso, legato a uno dei docenti di cui era stato allievo all’università: il fisico e matematico Giambattista Beccaria, al quale forniva le ultime novità letterarie discutendo con lui di politica e di argomenti scientifici.

La sua fama è legata in particolare alla fondazione della Patria Società letteraria o Filopatria (nata il 12 luglio 1782, sciolta nel 1791 e ripristinata brevemente in età napoleonica come Accademia subalpina di storia e belle arti nel 1801-02), che fu, ai suoi esordi, ospitata nel palazzo torinese dei San Martino, in alternanza con il palazzo dell’amico Balbo.

Il cenacolo era stato promosso da un gruppo di giovani ventenni, aristocratici o funzionari in erba (oltre a San Martino e Balbo, vanno ricordati Giovanni Bonelli, Carlo Bossi, Amedeo Ferrero Ponziglione di Borgo d’Ale, Anton Maria Durando di Villa, e, fra i soci cooptati in un secondo tempo, Carlo Sebastiano Giulio, Francesco Grassi, Carlo Tenivelli), i quali, condividendo la fiducia nel progresso sotto un regime di tipo monarchico (che San Martino difese con convinzione fino al cambio di regime sotto i francesi, e poi ancora per pochi anni, prima di morire, dopo la Restaurazione), intendevano reagire al conformismo culturale che aveva permeato il mondo subalpino. I filopatridi sottoscrivevano soprattutto le critiche verso l’ateneo torinese, che aveva da poco cacciato, fra i suoi docenti, un personaggio quale Carlo Denina, di cui quasi tutti erano stati alunni. Il modello di ateneo restava, per loro, quello promosso da Vittorio Amedeo II negli anni Venti, più spregiudicato e innovatore nei piani di studio di quanto non fosse diventato nei decenni successivi. Nella Filopatria fu stabilito che le riunioni si tenessero settimanalmente e che fossero coordinate da un segretario eletto annualmente fra i soci. Si trattava, cioè, idealmente, di una società accademica non gerarchizzata, ma basata sul principio della rotazione delle cariche. Le due figure preminenti rimasero, in ogni caso, San Martino e il coetaneo Balbo.

San Martino agì come importante figura di collegamento fra i filopatridi e iniziative editoriali, formalmente estrinseche rispetto alla Filopatria, ma ispirate a un comune sentire: in particolare la Biblioteca oltremontana (di cui presentò ai soci il primo numero l’8 febbraio 1787) e gli Ozi letterari. Si trattava di opere che interagivano con le pubblicazioni già prodotte da cenacoli savantes torinesi quali la Sampaolina (l’accademia letteraria che aveva accolto la generazione precedente ai filopatridi) e l’Accademia delle scienze. Nei confronti della prima i giovani fondatori della Filopatria si ponevano nell’atteggiamento di eredi critici, rispettosi della tradizione degli studi già promossi dai Sampaolini, ma anche decisi a volerla superare aggiornandola con gli stimoli provenienti dalla cultura europea. Nei confronti degli studiosi che si erano riuniti originariamente a palazzo San Germano nella Società Privata, destinata a essere riconosciuta dal 1783 come Reale Accademia delle scienze, si ponevano, piuttosto, nella prospettiva di interessarsi ai discorsi scientifici, integrandoli con i dibattiti in corso su questioni di letteratura, storia, filosofia e diritto. Una delle ambizioni nutrite dai filopatridi, fu, per esempio, quella di legarsi alle riforme del governo sabaudo costruendo un dizionario corografico del territorio e delle sue risorse, sulla base delle indicazioni che venivano dall’aritmetica politica, dalla geografia economica, dalla demografia. Il contatto con alcuni funzionari e l’interesse che gli uffici economici trovavano in tali studi permisero loro di consultare quel materiale che, depositato negli archivi dell’azienda delle Finanze, era stato alla base delle operazioni di perequazione condotte nel corso del secolo a uso interno dello Stato. Ne nacquero le Notizie corografiche ed istoriche degli stati di S.S.R.M. il re di Sardegna raccolte, ed ordinate da Onorato Derossi in forma di dizionario alfabetico (I-XII, Torino 1786-1794).

Tutt’altro che chiusi entro i confini sabaudi, gli interessi dei filopatridi guardavano alla produzione di diversi autori contemporanei. San Martino, per esempio, lesse e commentò, in un’adunanza della Filopatria del dicembre 1782, le Avventure di Saffo di Alessandro Verri. Si confrontò, inoltre, con Balbo (che era più di lui permeato di cultura vichiana e muratoriana) nel sostenere che l’autore di Iliade e Odissea fosse stato una persona in carne e ossa e che veridico fosse stato il racconto di quei poemi mitologici. Lesse e commentò con i soci alcuni elogi storici di pittori, commenti alle opere di William Shakespeare, ma anche trattati d’economia, come Della moneta di Giambattista Vasco, e testi di chimica e fisica. Nel 1789 prese, tuttavia, le distanze dal coinvolgimento personale nella redazione della Biblioteca oltremontana, che si stava trasformando in «oltremontana e piemontese», rifiutando un esclusivo ripiegamento sulla storia patria, l’archeologia e l’erudizione.

La differente formazione rispetto ai puri scienziati non impedì a San Martino e ad alcuni altri filopatridi di entrare tempestivamente nell’Accademia delle scienze di Torino. Quella contrapposizione fra quest’ultima e Filopatria, che qualcuno ha letto come l’espressione di due programmi intellettuali alternativi, fu, in realtà, come provano i percorsi di questi personaggi, molto più articolata e non priva di contiguità. San Martino fu accolto nell’Accademia delle scienze come «socio nazionale residente» il 28 novembre 1784 e vi operò seguendo le vicende dei concorsi che vi furono banditi, compresi quelli di natura più tecnica, come dimostra, per esempio, il fatto che sia stato «segretario della deputazione per le tinture» in occasione del Quesito proposto dalla Reale Accademia delle scienze di Torino nell’anno MDCCXCI (Torino 1810). Nell’ambito delle sedute dell’Accademia delle scienze, San Martino, amico personale di Vasco, si misurò in particolare con le discussioni economiche fiorite intorno alla crisi nella produzione della seta piemontese. Scettico verso le ipotesi liberiste o velatamente fisiocratiche, egli vedeva, piuttosto, con favore l’intervento paternalistico del governo nel controllo dei flussi migratori e dell’impiego di forza lavoro nelle manifatture locali (così nelle Osservazioni sopra la risposta al quesito proposto dalla Reale Accademia delle scienze con suo programma 4 gennaio 1788, Torino 1788, pubblicate anonime in risposta alle tesi di Vasco).

Il 13 febbraio 1793 sposò a Torino Cristina Fresia d’Oglianico (1773-1830), ultima esponente della famiglia, da cui ebbe due figlie e due figli: Mario Massimiliano (morto nel 1799) e Cesare Giuseppe Lorenzo (sottotenente nei cavalleggeri del re nel 1821 e colonnello della guardia nazionale nel 1848).

Il suocero di Felice San Martino, Luigi Fresia (1744-1815), aderì al partito napoleonico e fu ciambellano della principessa Paolina Borghese e barone dell’impero nel 1810. Anche Cristina servì i francesi, giungendo negli ultimi anni di vita al rango di dama di palazzo di Carolina Bonaparte (lettera del marchese Carlo Emanuele Alfieri di Sostegno, 27 agosto 1825, in Archivio di Stato di Torino, Corte, Lettere ministri, Francia, m. 252). Suo zio Maurizio Ignazio Fresia (1746-1826) fu un importante generale napoleonico, rimasto al servizio della Francia anche dopo il 1815.

Nel 1798 San Martino si schierò a favore del nuovo governo provvisorio repubblicano, di cui in dicembre fu nominato membro. La collaborazione con il regime repubblicano si interruppe presto a seguito delle dimissioni che egli presentò insieme con il conte Pier Antonio Galli della Loggia (24 dicembre 1798). Quando il governo repubblicano cadde per intervento degli alleati austro-russi (26 maggio 1799), San Martino fu imprigionato nell’edificio dell’ex collegio dei nobili (29 luglio) con altri esponenti del gruppo che avevano collaborato con gli occupanti. Multato, fu condannato all’esilio da Carlo Emanuele IV, con decreto emanato da Firenze (dove il sovrano si trovava prima di ritirarsi con la corte a Cagliari).

Il tempestivo ritorno dei francesi, dopo Marengo, gli evitò il bando, consentendogli anzi di riprendere una carriera pubblica. Fu infatti presto designato a far parte della Consulta (1800) e del Consiglio degli edili (1801), ricostituito a Torino dalla Commissione esecutiva del Piemonte. Prefetto del dipartimento della Sesia (1801), consigliere di Stato (1803), senatore (1804), ottenne anche i titoli di conte dell’impero, di cavaliere della Legion d’onore, nonché di membro del Conseil du sceau des titres (1808).

Nel frattempo l’Accademia delle scienze di Torino, già riformata nel 1801 rispetto al suo assetto settecentesco con la divisione in due classi (di scienze esatte e di scienze umane), fu ribattezzata, con decreto del 7 giugno 1805, Académie imperiale, sotto la presidenza di Napoleone. Il 9 giugno, in occasione di questa sorta di rifondazione, si tenne in accademia una seduta pubblica in presenza di numerosi esponenti del mondo politico e culturale, tra i quali San Martino, che, dopo una temporanea sospensione e parziale epurazione delle iscrizioni degli ex soci, vi fu ancora ascritto nella classe scientifica. Con la Restaurazione, nel 1816, per iniziativa di Balbo, la distinzione delle due classi fu ripristinata, e San Martino, chiamato a scegliere, decise di voler continuare ad accogliere l’iscrizione a quella di scienze matematiche e fisiche.

Si spense improvvisamente il 10 novembre 1818 a Torino.

Fonti e Bibl.: Oltre alla documentazione che è già stata studiata dalla storiografia edita, vanno segnalati gli Acta Regii Archigymnasii Taurinensis (1720-1785), in Archivio di Stato di Torino, Camerale, ad annum 1780, in cui sono registrati i dati anagrafici e il conseguimento dei titoli di studio; se ne evincono per esteso i nomi di battesimo: Giovanni Francesco Felice. Interessante materiale documentario inedito sull’attività amministrativa e culturale svolta a ridosso del governo napoleonico si trova in Archivio di Stato di Torino, Carte d’epoca francese, s. I, nn. 3 e 9 (1799-1800); 41 (1801-1802).

Sul ramo canavesano dei San Martino: V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, I, Milano 1842, pp. 472-474; A. Manno, Il patriziato subalpino,I, Firenze 1895, p. 291; volumi dattiloscritti in Archivio di Stato di Torino, XVI, pp. 356-358. Sull’attività entro le società scientifico-letterarie: T. Vallauri, Delle società letterarie del Piemonte, Torino 1844, pp. 242 s.; C. Calcaterra, I Filopatridi. Scritti con prefazione sulla “Filopatria” e pagine introduttive ai singoli autori, Torino 1941, pp. 289-306 (dove sono pubblicati saggi editi da San Martino sulla Biblioteca oltremontana ad uso d’Italia, 1788, IV, pp. 3-17; V, pp. 184-202; e sugli Ozi letterarii, 1787, II, pp. 1-18); Id., Le adunanze della «Patria Società Letteraria», Torino 1943 (alle pp. 139-163 i discorsi inaugurali del cenacolo letterario); F. Venturi, Settecento riformatore, IV, La caduta dell’Antico Regime (1776-1789), Torino 1984, pp. 40, 891, 1038; G.P. Romagnani, Prospero Balbo. Intellettuale e uomo di Stato (1762-1837), I, Torino 1988, passim, II, 1990, pp. 128, 295; G. Ricuperati, I volti della pubblica felicità: storiografia e politica nel Piemonte settecentesco, Torino 1989, pp. 173, 199, 218 s., 224 s., 229-231, 272; Id. et al., Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, Torino 1994, pp. 646, 665, 666, 683; P. Bianchi, Fra università e carriere pubbliche. Strategie nella nomina dei rettori dell’ateneo torinese (1721-1782), in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, XXIX (1995), pp. 287-389 (in partic. p. 314). Sugli incarichi in età napoleonica; F. De Pieri, Il controllo improbabile. Progetti urbani, burocrazie, decisioni in una città capitale dell’Ottocento, Milano 2005, pp. 35 s. Sul palazzo secentesco abitato dalla famiglia a Torino: Politecnico di Torino, Dipartimento Casa-Città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Torino 1984, p. 305.

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