Sangue

Enciclopedia Dantesca (1970)

sangue

Alessandro Niccoli

Ricorre in tutte le opere meno che nella Vita Nuova, con il significato e in usi estensivi tuttora comuni; due esempi nel Fiore, nessuno nel Detto.

In Pg V 74 Iacopo del Cassero, alludendo alla propria morte, ricorda li profondi fóri / ond'uscì 'l sangue in sul quale io sedea (cfr. Lev. 17, 14 " Anima... omnis carnis in sanguine est ") e D., per informare le anime dei lussuriosi che egli è ancora vivo, ricorre alla perifrasi concettosa non son rimase acerbe né mature / le membra mie di là, ma son qui meco / col sangue suo e con le sue giunture (XXVI 57). Anche il fenomeno della generazione era legato nelle dottrine mediche del tempo alla funzione vitale del s. (cfr. Tomm. Sum. theol. III 31 5 ad 3 " [sanguis] qui digestione quadam est praeparatus ad conceptum, quasi purior et perfectior alio sanguine "; III 32 4 3 " femina ad conceptionem prolis materiam ministrat ex qua naturaliter corpus prolis formatur "). A queste dottrine (in particolare a quella delle quattro digestiones a cui è soggetto il s. nello stomaco, nel fegato, nel cuore e nelle singole membra: cfr. Avicenna Animal. III 3, Canon I I IV 2) D. si collega nel lungo discorso sull'origine dell'anima umana posto in bocca a Stazio (Pg XXV 34 ss.): Sangue perfetto (v. 37) è quello che, uscito dal fegato e depurato delle superfluità acquose, si raccoglie nel cuore subendo la terza digestio e di qui trasmette nelle membra la virtù informativa che presiede all'assimilazione (nel core a tutte membra umane / virtute informativa, vv. 40-41); nelle membra il s. subisce un'ulteriore digestio (la quarta) per cui le parti più sottili ed elette del s. vanno a nutrire I membra radicalia (cioè gli organi fondamentali). Dalla parte di s. rimasta da questa quarta digestione si genera lo sperma. Attraverso un'ulteriore digestione nei condotti seminali, il s. giunge fino ai vasi seminali dove subisce la digestio spermatica, divenendo, da rosso che era, bianco e atto alla generazione. Di qui poscia geme / sovr'altrui sangue in natural vasello (v. 45), stilla cioè nella matrice della donna unendosi al sanguis menstruus di essa e dando così origine all'embrione (cfr. anche Cv IV XXI 4-5 e, per i problemi connessi all'identificazione delle fonti di questa dottrina, B. Nardi, D. e la cultura medievale, Bari 1949², 187-209, e soprattutto Studi di filosofia medievale, Roma 1960, 34-54).

Perciò la perdita di s. provoca fiacchezza (Fiore II 2 Sentendomi ismagato... / del molto sangue ch'io avea perduto) o, viceversa, il vocabolo, usato in senso figurato, assume il significato di " vigore ": Cv IV XXVIII 16 " Mentre che in me fu lo sangue ", cioè la gioventute... " io ", dice Marzia, " feci e compiei li tuoi comandamenti " (dove, per altro, il valore del traslato è suggerito dalla fonte: Phars. II 338-339 " Dum sanguis inerat, dum vis materna, peregi / iussa, Cato ").

Non ha particolare rilievo in Fiore XCVII 5, in un accenno ai lupi assetati del sangue delle pecore.

In similitudini è assunto come termine di paragone per indicare un rosso vivo: l'arma della famiglia fiorentina degli Obriachi è come sangue rossa (If XVII 62); il terzo dei tre gradini che portano alla soglia del Purgatorio porfido mi parea, sì fiammeggiante / come sangue che fuor di vena spiccia (Pg IX 102).

In un gruppo piuttosto numeroso di esempi il s. è assunto a significare un comportamento violento spinto fino alla crudeltà, alla furia omicida, alla vendetta spietata: D. si stupisce di vedere Vanni Fucci fra i fraudolenti perché lo aveva conosciuto omo di sangue e di crucci (If XXIV 129), " di brighe e di omicidi, sì che a lui si convenia lo cerchio de' violenti " (Buti); Tamiri che, per vendicarsi di Ciro, lo fece decapitare e ne gettò il capo in un otre pieno di s., a quanto racconta Orosio (II VII 6 " Satia te sanguine, quem sitisti "), grida al cadavere: Sangue sitisti, e io di sangue t'empio (Pg XII 57); lo sdegno suscitato in s. Pietro dalla crudeltà e dalla corruzione di Bonifacio VIII fa prorompere il santo nell'invettiva (Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio / … fatt'ha del cimitero mio cloaca / del sangue e de la puzza, Pd XXVII 26); Caco, ladro di bestiame e omicida tanto che la sua grotta nell'Aventino era sempre imbrattata di s. (Aen. VIII 195-196 " semperque recenti / caede tepebat humus "), di sangue fece spesse volte laco (If XXV 27). Analogo spunto conclude il racconto di Iacopo del Cassero: Pg V 84-85 vid'io / de le mie vene farsi in terra laco.

Altre volte è ricordato il s. versato nelle lotte civili o nelle guerre. Dopo lunga tencione / verranno al sangue (If VI 65), profetizza Ciacco a D. alludendo al sanguinoso scontro tra alcuni giovani della consorteria dei Donati e alcuni di quella dei Cerchi verificatosi in Firenze durante una festa da ballo del calendimaggio 1300; i soldati romani rimasti uccisi o feriti durante la seconda guerra punica sono la gente / che... fu del suo sangue dolente / ... per la lunga guerra (XXVIII 9); una larga... bigoncia occorrerebbe per raccogliere il sangue ferrarese (Pd IX 56), cioè quello versato dai fuorusciti ferraresi consegnati a tradimento da Alessandro Novello a Pino della Tosa, che poi li decapitò; Marsiglia, assediata e presa d'assalto dalle truppe di Decimo Bruto, fé del sangue suo già caldo il porto (IX 93; la fonte è Phars. III 572-573 " Cruor altus in unda / spumat, et obducti concreto sanguine fluctus "; cfr. anche Cesare Bell. Civ. n 4-5).

Il s. è perciò collegato alle pene con le quali sono puniti i violenti contro il prossimo, i suicidi e i seminatori di discordie. Da questa tematica esula naturalmente l'esempio di If III 67 mosconi e... vespe... / rigavan lor [agl'ignavi] di sangue il volto; qui il contrapasso è motivato dal fatto che di lagrime e s. gl'ignavi erano stati " gretti risparmiatori, quando si trattava di prodigarli al servizio di una causa qualsiasi " (Sapegno).

Anche le Furie compaiono a D. di sangue tinte (If IX 38). Il particolare sembra suggerito da un passo di Ovidio (Met. IV 481 ss. " Tisiphone madefactam sanguine sumit / importuna facem fluidoque cruore rubentem / induitur pallam ") o, più genericamente, dal carattere di spietate vendicatrici che il mito antico attribuiva alle tre dee. Infatti, per quanto il Chimenz, sulle orme di Benvenuto, non escluda che D. le abbia " interpretate come simbolo di violenza e d'ira ", la funzione delle Furie nella struttura dell'Inferno dantesco rimane assai discussa, né è chiaro se esse presiedano al cerchio degl'iracondi o non piuttosto a quello successivo degli eretici: nel qual caso il valore allegorico da attribuirsi all'aspetto sanguinoso delle tre dee sarebbe ancor più difficilmente decifrabile.

L'allegoria del contrapasso è invece assai trasparente per tutte le altre categorie di dannati. I tiranni, come in vita dier nel sangue e ne l'aver di piglio (If XII 105), così ora ‛ bollono ' nella riviera del sangue (v. 47) del Flegetonte (altri esempi ai vv. 75 e 125); ispirandosi all'episodio virgiliano di Polidoro (Aen. III 19-68) e alle Metamorfosi ovidiane, D. condanna i suicidi a prendere forma di piante che sanguinano e parlano (If XIII 34 Da che fatto fu poi di sangue bruno, / ricominciò a dir; cfr. anche i vv. 44 e 138); ostentano membra mutile e atroci ferite i seminatori di discordia: Chi poria mai pur con parole sciolte / dicer del sangue e de le piaghe a pieno / ch'i' ora vidi...? (XXVIII 2); e così, Mosca de' Lamberti ch'avea l'una e l'altra man mozza, / levando i moncherin... / sì che 'l sangue facea la faccia sozza, / gridò (v. 105).

A tutt'altra tematica si collega l'uso del vocabolo nelle altre cantiche. Qui è ricordato 'l sangue per Giuda venduto (Pg XXI 84), che Cristo sparse (XXVII 2) per far sua sposa la Chiesa (Pd XI 33, XXXI 3; cfr. Act. Ap. 20, 28 " ecclesiam Dei, quam acquisivit sanguine suo "). Nel passaggio spontaneo su un terreno più direttamente religioso, la parola s'inserisce nella violenta invettiva di s. Pietro contro i suoi successori degeneri (Pd XXVII 41 Non fu la sposa di Cristo allevata / del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, / per esser ad acquisto d'oro usata; mentre i primi pontefici sparser lo sangue [v. 45] per meritare la beatitudine, ora del sangue nostro Caorsini e Guaschi / s'apparecchian di bere [v. 58]): veramente sulla terra non... si pensa quanto sangue costa / seminarla [la divina Scrittura] nel mondo (XXIX 91). È qui da ricordare la variante sangue in luogo di segni, in Pd XVIII 123 [il] templo / che si murò di segni e di martìri, per influsso di martìri che si reca appresso l'idea del s., ma anche per poligenesi grafica: cfr. Petrocchi, ad locum.

Proprio per essere essenza vitale e veicolo di trasmissione della vita, il s. è inteso come sede dei sentimenti o, meglio, si fa riferimento a esso quando si parla dello stato d'animo di una persona, dei suoi atteggiamenti spirituali, delle sue passioni ed emozioni, in quanto si ritengono determinati dalla circolazione sanguigna o si suppone che, al contrario, la influenzino: dinanzi dal sembiante freddo [di madonna] / mi ghiaccia sopra il sangue, Rime CII 32; di fronte alla crudele violenza di Amore 'l sangue, ch'è per le vene disperso, / fuggendo corre verso / lo cor, CIII 45; vidivi entro terribile stipa / di serpenti... / che la memoria il sangue ancor mi scipa, If XXIV 84; Fu il sangue mio d'invidia sì rïarso, / che..., Pg XIV 82; Men che dramma / di sangue m'è rimaso che non tremi, XXX 47.

Attraverso il s., si è visto, la vita viene trasmessa di generazione in generazione. Per dar rilievo alla discendenza di L. Manlio Torquato, l'epicureo ricordato da Cicerone (Fin. I V 13) e morto suicida nel 46 a.C., da T. Manlio Torquato, il semileggendario console del IV sec. a.C., vincitore dei Galli e dei Latini e giudicatore del suo figliuolo a morte per amore del publico bene (Cv IV V 14), è detto che Torquato, nobile romano, ‛ discese ' del sangue del glorioso Torquato (VI 12). E così Rime CIV 64. Il s. è considerato anche come veicolo di caratteri ereditari, come espressione della costituzione genetica: apprendendo di discendere da un valoroso, creato per i suoi meriti cavaliere dall'imperatore Corrado, D., pur sapendo che essa è povera cosa, non sa reprimere un moto di vanità per la sua nobiltà di sangue (Pd XVI 1); i fratelli Donati, per lo sangue lor (Rime LXXVII 13), cioè per le caratteristiche proprie della loro schiatta malfamata, del male acquisto / sanno a lor donne buon cognati stare (per l'interpretazione di quest'ultimo verso, v. COGNATO).

Il termine è anche assunto a esprimere il concetto della continuità della famiglia: L'antico sangue e l'opere leggiadre / d'i miei maggior mi fer... arrogante, confessa Omberto Aldobrandeschi (Pg XI 61); cioè, a muovermi alla superbia furono la " continuità ben prolungata nel tempo della mia famiglia " e l'operosa magnanimità dei miei avi.

Usato in senso concreto, s. vale quindi " stirpe ", " famiglia ": la Fortuna ‛ permuta ' li ben vani / di gente in gente e d'uno in altro sangue (If VII 80); per Adriano V il titolo comitale della famiglia Fieschi, cui apparteneva, è lo titol del mio sangue (Pg XIX 102); e così XIV 91. Più spesso, accompagnato da un aggettivo possessivo, è riferito ai membri di una stessa famiglia, e specialmente ai discendenti, ai figli, o anche a un singolo parente o a un singolo figlio: per D., Geri del Bello è un spirto del mio sangue (If XXIX 20); Ugo Capeto allude ai propri discendenti con l'espressione sangue mio (Pg XX 62) e, fra essi, a Carlo II d'Angiò con quella il mio sangue (v. 83); invocando su Alberto d'Austria e sui suoi discendenti (e, in particolare, sul figlio di lui Rodolfo) la punizione divina, D. prorompe in una rovente invettiva (giusto giudicio da le stelle caggia / sovra 'l tuo sangue, VI 101).

Con valore concreto e collettivo, s. indica infine l'insieme dei componenti di una stirpe, di una nazione, di un'unità etnica: Cv IV IV 10 quello popolo santo nel quale l'alto sangue troiano era mischiato, cioè Roma; If XXX 2 Iunone era crucciata / per Semelè contra 'l sangue tebano.