SANGUE

Enciclopedia Italiana (1936)

SANGUE (lat. sanguis; gr. αἷμα; fr. sang; sp. sangre; ted. Blut; ingl. blood)

Ettore REMOTTI
Adolfo FERRATA
Leone LATTES
Rodolfo MARGARIA
Agostino PALMERINI
Mario DONATI
Nino BABONI

Il sangue dei vertebrati è un tessuto di consistenza liquida, alquanto vischioso, ha colorito rosso, è contenuto nel sistema cardio-vascolare, dov'è sottoposto a circolazione continua. È costituito da elementi cellulari, i globuli rossi (emazie), i globuli biancńi (leucociti) e le piasirine, e da una parte liquida, il plasma.

Sommario. - I. Anatomia comparata (p. 664). - II. Il sangue nell'uomo: Morfologia generale (p. 665); Antropologia (p. 670); Fisiologia (p. 672); Malattie del sangue (p. 674); Trasfusione del sangue (p. 677). - III. Patologia veterinaria (p. 679).

I. - ANATOMIA COMPARATA

Nei riguardi anatomo-comparativi, la individualizzazione del sangue, attraverso la serie animale, va di pari passo con l'evoluzione di quegli apparati organici, con i quali esso è funzionalmente in più immediata connessione, il digestivo e il respiratorio in modo particolare. È ovvio d'altro lato, che il primo momento della differenziazione del sangue deriverà anzitutto dall'aumento delle dimensioni corporee, per cui le porzioni profonde dell'organismo restano distanziate dalla superficie esterna, che è sede immediata degli scambî con l'ambiente.

Nelle Spugne e nei Celenterati il considerevole sviluppo di tale superficie, attraverso il complicato sistema delle camerette ciliate o delle ramificazioni della cavità gastrovascolare, riducendo al minimo la distanza tra le cellule e l'esterno, fa sì che la stessa acqua marina possa funzionare da veicolo di alimenti e di ossigeno nonché di prodotti di rifiuto.

Ma quando, da una semplice lamina di tessuto, si passerà alle più complesse architetture di veri e proprî organi, si differenzieranno allora, di pari passo, i liquidi interni per le funzioni di trasporto e di correlazione. Peraltro, la loro individuazione in un sistema di vie chiuse, che ne delimiti e definisca la fisionomia morfologica e fisicochimica, non si realizzerà che nei Vertebrati; negli Invertebrati al complesso delle funzioni del sangue partecipano a un tempo il liquido delle lacune, il liquido celomatico e quello che chiameremo sangue in senso stretto, in quanto circolante entro un sistema di vasi, i quali, più o meno estesamente incompleti, consentono assai spesso una mescolanza dei liquidi stessi, definibili col termine generico di emolinfa.

Sotto questo aspetto una considerevole varietà di rapporti intercede nelle diverse forme. Variamente accentuata è l'individualizzazione del sangue propriamente detto dal liquido celomatico, nei vermi; o del sangue dal liquido lacunare nei Molluschi e nei Crostacei, dove le forme più evolute (Cefalopodi e Crostacei decapodi) raggiungono condizioni paragonabili a quelle dei Vertebrati, con differenziazione di arterie, vene e capillari, mentre nei Tracheati, correlativamente alla particolare capillarizzazione delle trachee, i liquidi interni, perduta ogni importanza come mezzo di scambî respiratorî, si riducono a una emolinfa che dal cuore tubolare dorsale viene ritmicamente richiamata e dispersa verso le lacune del corpo.

Una condizione del tutto peculiare si riscontra infine negli Echinodermi, dove tre sono i liquidi interni che si dividono le funzioni del sangue: il sangue propriamente detto, il liquido celomatico e quello del sistema ambulacrale.

Costituzione generale di queste formazioni degl'Invertebrati è data da un plasma che porta in sospensione elementi cellulari.

Il primo è sempre, fondamentalmente, una soluzione salina che, nei casi più primitivi (sangue degli Echinodermi), ha semplicemente la composizione dell'acqua di mare, mentre negli stadî più evoluti si arricchisce di componenti proteici colloidali, rappresentati però pressoché esclusivamente dalle globuline respiratorie. Queste, salvo casi eccezionali, sono sempre disciolte nel plasma anziché localizzate in elementi cellulari specifici, e si presentano con notevole varietà: accanto a sostanze di tipo emoglobinico, disciolte nel liquido celomatico di molti Vermi, nell'emolinfa dei Crostacei inferiori (Dafnie, Apus, ecc.) e di alcuni Molluschi, si trova assai diffusa nella maggior parte di questi ultimi, nonché in molti dei Crostacei superiori (Homarus, Carcinus, Squilla, Maja, ecc.) l'emocianina, che per molti aspetti ci richiama all'emoglobina, ma contiene rame anziché ferro e ha minore capacità di assorbimento per l'ossigeno. Funzione respiratoria sembra doversi attribuire inoltre a pigmenti di composizione mal definita, come l'emoeritrina e la clorocruorina di alcuni Vermi, nonché poi a una globina incolora della Pinna nobilis che conterrebbe manganese.

Sostanze coloranti non proteiche e probabilmente estranee alla funzione respiratoria, indicate col nome generico di lipocromi (affini ai carotinoidi e alle xantofille) sono poi i pigmenti giallo-arancione dei crostacei, nonché quelli verdi e gialli dell'emolinfa di molti Insetti, nei quali è interessante la frequente differenza sessuale (il verde è proprio piuttosto delle femmine e il giallo del maschio), attribuita da alcuni a differente capacità di assorbimento o di rielaborazione, a livello delle cellule intestinali, della clorofilla e della xantofilla alimentari.

Gli elementi figurati sono costantemente e quasi esclusivamente formati da cellule ameboidi paragonabili alla serie bianca dei Vertebrati. Già presenti nelle Spugne, essi offrono grande varietà di aspetti e molteplicità di funzioni, in gran parte connesse con le loro capacità fagocitarie: catturatori di residui tissulari (forse essi stessi fattori dell'istolisi degli organi larvali nella ninfosi degl'Insetti) e di corpi estranei, sono la sede essenziale dei fenomeni immunitarî; dato che le esperienze condotte in proposito sugl'Insetti dimostrano la recettività o l'immunità naturali rispetto a varie specie batteriche derivare, rispettivamente, dall'inerzia o dall'attività fagocitarie degli amebociti, allo stesso modo che processo esclusivamente di esaltazione fagocitaria risulta essere l'immunizzazione attiva, non essendo dimostrabile la formazione di anticorpi. Essi inoltre sembrano anche partecipare largamente all'escrezione, anche nei riguardi dei materiali solubili (cellule renali natanti), nonché al trasporto di prodotti alimentari dall'intestino, alla loro rielaborazione e, eventualmente, all'accumulo in temporanea riserva. Questi stessi fagociti sono gli attori del processo di coagulazione quale si verifica nei Vermi, nei Molluschi e negli Echinodermi, dove esso è dovuto appunto all'agglutinazione delle cellule ameboidi, che formano veri plasmodî, mentre nei Crostacei questa fase cellulare è seguita dalla formazione di un vero e proprio coagulo proteico.

Se le cellule in questione sono dovunque presenti, nell'emolinfa come nel sangue o nel liquido celomatico, nonché - fra gli Echinodermi - in quello ambulacrale, cellule paragonabili alle emazie dei vertebrati costituiscono un reperto del tutto eccezionale, rilevato nel liquido celomatico di alcuni Anellidi e Sipunculoidi, in quello ambulacrale di un'Ofiura, nell'emolinfa di alcuni Lamellibranchi.

Come anche nei vertebrati, caratteristica, in confronto con la persistenza degli altri tessuti, è la labilità e la breve durata di vita di tutte queste cellule, cui corrisponde l'attività rigenerativa di organi citogeni, non sempre, peraltro, sicuramente identificati.

Alla molteplicità morfologica di tali dispositivi di trasporto e di correlazione, corrisponde, nelle diverse forme, molteplicità e talora incertezza di localizzazione funzionale. Così nei Vermi, mentre le funzioni nutritizie di trasporto e di elaborazione dei prodotti dell'assorbimento intestinale sembrano interessare a un tempo sangue e liquido celomatico, la funzione respiratoria trova in alcune forme i pigmenti disciolti del primo, in altre invece gli eritrociti del secondo e solo eccezionalmente entrambi i dispositivi a un tempo. Negli Echinodermi il sangue, privo di sostanze fissatrici di ossigeno e sottratto al diretto rapporto con le branchie, sembra aver funzione pressoché esclusivamente nutritizia, la respirazione essendo piuttosto prerogativa del liquido ambulacrale, portatore eventualmente anche di eritrociti.

Sono i Molluschi e i Crostacei superiori le forme nelle quali la funzione respiratoria si localizza specificamente, accanto alle altre, nel sangue, al che corrisponde, con la particolare adeguatezza dei dispositivi vascolari, la ricchezza di pigmento emocianico, che fa de sangue dei Cefalopodi quello più ricco di contenuto proteico di tutta la serie animale.

Dati interessanti, ai fini dell'anatomia e fisiologia comparate, scaturiscono anche dallo studio delle caratteristiche differenziali che il sangue presenta lungo la serie dei Vertebrati, pur entro lo schema fondamentale comune.

Sotto l'aspetto morfologico, le emazie dei Mammiferi, ridotte come sono ad una goccia di emoglobina, ci appaiono il termine ultimo di una evoluzione, che nella maturazione dell'eritroblasto elimina il carico superfluo, e della quale stadî intermedi sarebbero le emazie degli altri vertebrati, provviste di peculiari strutture, protoplasmatiche, nonché soprattutto del nucleo. Variano poi, considerevolmente, la forma (per lo più ellittica, talora ovoidale come nei Camelidi, o anche rotonda o a campana) e le dimensioni, che stanno d'ordinario in rapporto inverso al numero: il minimo di grandezza col massimo numerico, che significa il massimo di superficie di scambio, è offerto dai Mammiferi, cui seguono, con numero decrescente e dimensioni progressivamente maggiori, gli Uccelli, i Rettili, gli Anfibî e i Pesci. (Vedi tabella seguente).

Differenze sono rilevabili nel contenuto in ematina (più abbondante, ad es., nei carnivori che negli erbivori) e ancor più nella composizione minerale. Singolarmente elevato è, al riguardo, il tenore in ferro delle emazie dell'oca, forse in relazione alle esigenze respiratorie dei prolungati periodi d'immersione.

Dei varî tipi di elementi bianchi diverso è il rapporto nelle singole classi: in linea di massima, i piccoli linfociti sono più numerosi - prevalenti o talora esclusivi - nei Vertebrati inferiori, mentre per i granulari i Teleostei ricordano ancora la grande varietà di aspetti degl'Invertebrati e solo dagli Anfibî comincia a incontrarsi una più netta delimitazione delle diverse forme e una maggiore uniformità fra le specie.

Per quanto si riferisce al terzo costituente figurato - le piastrine - ci limiteremo a rilevare come esse, fuori dai Mammiferi, trovino un probabile equivalente in quelle cellule fusiformi, pure assai labili e analoghe nei riguardi fisioimmunitarî, che sono state descritte in molti rappresentanti delle altre classi.

Delle caratteristiche chimiche del plasma, basterà accennare alla decrescente percentuale di sostanze solide dai Mammiferi sino ai Pesci, nonché, d'altro lato, la posizione peculiarissima dei Selaci per l'enorme tenore, oltreché di creatina e creatinina, di urea (50 volte la concentrazione dei Mammiferi), la quale ha - in queste forme - particolare importanza come stimolante della funzione cardiaca.

Un problema del massimo interesse, ai fini della fisiologia comparata del sangue, in quanto questo è l'ambiente nel quale le cellule trovano le condizioni fisico-chimiche della loro attività e l'intermediario al tempo stesso tra di esse e l'esterno, è quello dei rapporti di concentrazione.

Gl'Invertebrati marini presentano, al riguardo, identità osmotica dei liquidi interni e succhi cellulari, tra loro e con l'acqua marina, le cui variazioni di concentrazione si traducono in corrispondenti variazioni osmotiche interne: essi sono cioè tipici pecilosmotici.

Costante e definita, da specie a specie, è invece la pressione osmotica negl'Insetti, i quali, anche se secondariamente adattati alla vita acquatica, conservano le caratteristiche dei progenitori terrestri e conservano, almeno entro i limiti delle condizioni normali di esistenza, un'indipendenza osmotica rispetto al mezzo.

Perfettamente analogo a quello degl'Invertebrati marini è il comportamento dei Selaci. I Teleostei invece - iposmotici i marini, iperosmotici quelli di acqua dolce - mostrano un primo tentativo d'indipendenza, tuttavia incompletamente raggiunta, dato che le oscillazioni esterne si fanno ancora risentire, benché con assai minore ampiezza, sul mezzo interno. Essi rappresentano così il primo passo verso quella costanza di pressione osmotica, omeosmoticità, che viene pienamente realizzata nelle classi superiori attraverso peculiari meccanismi osmeoregolatori

Bibl.: W. Stempell e A. Koch, Elemente der Tierphysiologie, Jena 1923; H. Winterstein, Handb. d. vergleich. Physiol., ivi 1925, I.

II. IL SANGUE NELL'UOMO

Morfologia generale.

Proprietà generali. - Il sangue è colorato in rosso dall'emoglobina dei globuli rossi. Secondo lo stato di ossigenazione dell'emoglobina, che si trasforma rispettivamente in ossiemoglobina o in emoglobina ridotta, il sangue ha colore rosso vivo, come nelle arterie, o ha colore rosso molto scuro, come generalmente nelle vene; mentre il sangue arterioso ha costantemente colore rosso vivo, la colorazione del sangue venoso varia secondo gli organi dai quali deriva; il colore del sangue varia pure negli avvelenamenti quando l'emoglobina forma altre combinazioni particolari diverse dalle due suddette. Il sangue è opaco e l'opacità è dovuta alla presenza dei globuli rossi in sospensione; infatti il sangue diventa trasparente quando per distruzione dei globuli rossi l'emoglobina è messa in libertà e disciolta nel plasma. Il sangue ha sapore leggermente salato; ha un odore particolare, probabilmente dovuto ad acidi grassi volatili. La densità del sangue oscilla fra 1057 e 1066; tali variazioni dipendono principalmente dal numero dei globuli rossi e dalla quantità di emoglobina. La pressione osmotica del sangue, misurata crioscopicamente, nell'uomo è di 0,55 circa. La temperatura del sangue nei Mammiferi e negli Uccelli è costante e fissa per le singole specie, nei Vertebrati inferiori invece dipende dal mezzo ambiente e ne segue le variazioni termiche.

La viscosità del sangue viene espressa dal tempo che il sangue impiega a colmare uno spazio dato, dopo avere attraversato un capillare di lunghezza e diametro dati, in condizioni fisse di temperatura e con pressione costante. Considerando eguale a 1 la viscosità dell'acqua distillata in tali condizioni, la viscosità del sangue è in media di 5. La viscosità dipende soprattutto dai globuli rossi; aumenta o diminuisce con l'aumento e con la diminuzione di essi; in minore misura dipende anche dai proteidi del plasma. La viscosità del plasma presenta oscillazioni più marcate di quelle del sangue in toto e di quelle del siero.

La reazione del sangue con la carta di tornasole e con gl'indicatori comuni è alcalina. Tale alcalinità è dovuta al bicarbonato e al fosfato di sodio presenti nel plasma. Ma questa alcalinità è apparente, poichè i sali da cui dipende presentano anche una funzione acida. L'applicazione del metodo elettrometrico per determinare la concentrazione nel sangue degli ioni OH e H dimostra che il pH del sangue è vicino alla neutralità.

Il sangue estratto dai vasi ed esposto all'aria si rapprende, tale fatto costituisce la prima fase della coagulazione (v.), durante la quale il sangue si rapprende in un coagulo, che contiene i globuli rossi imprigionati nelle maglie del reticolo di fibrina. In una seconda fase il coagulo si retrae e trasuda il siero, che ha aspetto di liquido trasparente, leggermente colorato in giallino; il siero corrisponde al plasma meno il fibrinogeno.

La quantità totale del sangue contenuto nell'organismo è stata valutata con diversi metodi. È stata valutata raccogliendo il sangue con salassi e lavando poi tutto il sistema vascolare per raccogliere i residui rimasti nei vasi. È stata valutata anche indirettamente facendo respirare quantità note di ossido di carbonio e valutando, prima e dopo della somministrazione di esso, la capacità respiratoria e calcolando la quantità di ossido combinato. Più facilmente è stata valutata la quantità del sangue iniettando sostanze coloranti nel sangue e misurandone la diluizione; quest'ultimo metodo è d'impiego corrente in clinica. La quantità di sangue circolante determinato con quest'ultimo metodo rappresenta nell'uomo circa 1/13 del peso. Rispettivamente i globuli rossi corrispondono al 3%, il plasma al 4% del peso. (La quantità di sangue varia molto secondo le specie: nel cane è dell'8%, nel coniglio del 5%, nella rana dal 2 al 4% del peso del corpo). Il volume del sangue circolante, fisso in condizioni basali per una data specie e per un singolo individuo, presenta modificazioni molto considerevoli in rapporto a particolari condizioni (esercizî muscolari, calore, asfissia, ecc.). Tale variabilità del volume del sangue circolante è possibile per l'esistenza di organi di accumulo che contengono quantità considerevoli di globuli rossi e di plasma, che possono cedere o sottrarre al circolo (milza, fegato, capillari di diversi tessuti).

Morfologia del sangue circolante. - La parte solida del sangue è costituita da diversi tipi di cellule: i globuli rossi o eritrociti o emazie e i globuli bianchi o leucociti. A questi si possono aggiungere le piastrine, che rappresentano, piuttosto che cellule, frammenti di citoplasma cellulare.

Gli elementi cellulari del sangue e soprattutto i globuli bianchi, come del resto i tessuti e le cellule in genere, possono essere studiati nei loro fini particolari morfologici solo dopo fissazione e colorazione. Per lo studio citologico del sangue si sono venute elaborando alcune tecniche particolari di fissazione e di colorazione e, fra queste, quella indicata come metodo di May-Grünwald-Giemsa, che rappresenta attualmente non solo il metodo di uso corrente, ma quanto di più fine e di più esatto, si possa desiderare nello studio citologico del sangue. Le differenziazioni, i particolari di struttura, i rapporti genetici sono stati in gran parte stabiliti su materiale preparato con tali metodi e specialmente con il metodo di May-Grünwald-Giemsa (v. tavole a colori).

Globuli rossi. - Morfologia. - All'esame microscopico il sangue si presenta come una sospensione di corpuscoli di forma discoide, omogenei, brillanti, di color giallo-verdastro; i corpuscoli corrispondono ai globuli rossi, hanno una grande regolarità di diametro, nell'uomo misurano 7 micron, più o meno nelle altre specie animali. La forma normale dei globuli rossi nell'uomo e nella maggior parte dei Mammiferi è quella di un disco con una leggiera depressione sulle due facce (v. sopra).

La forma dei globuli rossi è tale che la loro superficie risulta molto più estesa di quella di una sfera dello stesso volume. Nell'uomo il volume di un globulo rosso è di poco inferiore a 100 micron cubi, la superficie totale dei globuli rossi di un litro di sangue è di circa 500 metri quadrati.

Allo stato patologico i globuli rossi possono presentare figure irregolari a pera, a racchetta, a masse, a fusi; tale stato di alterata forma è chiamato poichilocitosi. Quando i globuli rossi, pur mantenendo la loro forma, aumentano o diminuiscono le loro dimensioni, vengono chiamati rispettivamente macrociti o microciti; il fatto di presentare dimensioni diverse complessivamente viene indicato con il nome di anisocitosi.

I globuli rossi possono anche presentare un diametro superiore al normale e presentare un contenuto di emoglobina superiore alla norma (ipercromia); i globuli rossi di tale tipo sono chiamati megalociti, e, come si vedrà oltre, sono tipicamente presenti nell'anemia permiciosa e hanno una derivazione citologica diversa da quella dei globuli rossi normali, dei microciti e dei macrociti. Praticamente i megalociti si distinguono dai macrociti perché, oltre ad essere voluminosi, sono anche ipercromici.

I globuli rossi sono costituiti da una sostanza omogenea, appatentemente senza struttura, formata da un complesso lipoproteico ricco di emoglobina.

I filamenti verticali, i noduli, ecc., descritti nell'interno dei globuli rossi sono artefatti. In particolare il cosiddetto stroma non ha esistenza reale. Si ammette che alla periferia dei globuli rossi esista un addensamento di lipoidi e precisamente alla superficie, di carattere chimico-fisico, che si forma alla superficie di contatto con il mezzo ambiente, ma non esiste una membrana in senso istologico. Il globulo rosso è una particella omogenea senza struttura anatomica, è un proteide allo stato di gel, di composizione complessa, alla cui superficie di contatto con il mezzo ambientale sono addensati lipoidi.

I globuli rossi normali hanno una particolare affinità per i colori acidi, la quale dipende dall'emoglobina in essi contenuta. In condizioni patologiche la colorabilità dei globuli rossi può variare per aumento o per diminuzione, dovute ad aumento o a diminuzione dell'emoglobina; i globuli rossi, dov'è aumentata la colorabilità sono chiamati globuli ipercromici, quelli dov'è diminuita ipocromici. L'affinità per i colori acidi è talvolta sostituita da un'affinità per i colori basici (basofilia); talvolta i globuli rossi presentano affinità tanto per i colori acidi quanto per i colori basici, si parla allora di globuli policromatofili; generalmente la basofilia e la policromatofilia sono tipiche dei globuli rossi giovani. Fisiologicamente e in particolari stati patologici i globuli rossi possono presentare granulazioni e filamenti particolari. Si distinguono due tipi: le granulazioni basofile e la cosiddetta sostanza granulo-filamentosa. Le granulazioni basofile sono visibili sul sangue fissato e colorato, sono granulazioni finissime e numerosissime, vanno considerate come un residuo della basofilia primordiale e quindi sono indice di giovinezza del globulo rosso. Con colorazione vitale (Brillantcresyl-blau), si possono mettere in evidenza giobuli rossi che presentano filamenti e granulazioni colorabili vitalmente; rappresentano la cosiddetta reazione granulo-filamentosa, la quale pure va considerata come un segno di particolare giovinezza dei globuli rossi.

Oltre a tali elementi, in condizioni patologiche il sangue può presentare elementi immaturi nucleati della serie emoglobinica e cellule emoglobiniche patologiche (megalociti, megaloblasti; v. sotto).

Proprietà generali dei globuli rossi. - Alcune proprietà dei globuli rossi dipendono strettamente dalla loro costituzione fisica e dipendono dalle leggi della fisico-chimica; in particolare vanno considerate; la permeabilità, l'agglutinazione in pile e la sedimentazione.

I globuli rossi sono permeabili all'urea, sono impermeabili al glucosio, al calcio, al sodio e in genere agli elettroliti. Essi sono capaci di assumere e di cedere acqua; questi fatti non sono legati all'esistenza di una membrana cellulare, ma sono in rapporto con la capacità d'imbibizione dei globuli rossi, che assorbono una quantità maggiore o minore di acqua secondo la reazione, la composizione del mezzo, ecc. La reazione del plasma, e specie la sua ricchezza in acido carbonico, influisce sulla permeabilità dei globuli rossi, specialmente in quanto lo stato elettrico della superficie globulare viene modificato dalla quantità degli ioni del mezzo. Pure le sostanze lipoidee addensate alla superficie dei globuli hanno grande importanza sulla permeabilità e sulla fissazione di sostanze tossiche sui globuli rossi. Con la questione della permeabilità si collega quella dell'emolisi (v.).

Quando si osserva il sangue fresco fra due vetrini si nota che i globuli rossi assumono una disposizione particolare sovrapponendosi in pile. Tale disposizione può anche venire osservata negli esami in vivo della circolazione capillare. La disposizione in pile è dovuta alla tensione superficiale e alla tendenza che hanno i corpi appiattiti sospesi in un liquido ad accollarsi con la loro superficie più estesa.

Se si lascia in riposo del sangue reso incoagulabile, si verifica una precipitazione dei globuli rossi, che si raccolgono al fondo del recipiente che contiene il sangue. Tale sedimentazione è più o meno rapida secondo i casi. In stati patologici può essere profondamente modificata. I fattori che influiscono su questo fenomeno sono numerosi e complessi; fra questi hanno certamente grande importanza il tenore del sangue in CO2, la viscosità, le cariche elettriche dei singoli globuli, sia per un aumento del tempo sia per una diminuzione, cosicché in alcune forme morbose il tempo di sedimentazione è aumentato o diminuito.

Numero dei globuli rossi. - Raccolto in condizioni basali, per puntura dei capillari della cute, il numero dei globuli rossi è quasi costante; nell'uomo si contano in media 5 milioni di globuli rossi per mmc., nella donna 4-5 milioni, nel neonato si hanno numeri maggiori: circa 6 milioni, nei vecchi il numero è invece un po' inferiore. Patologicamente il numero dei globuli rossi può essere aumentato (policitemie) o diminuito (anemie).

Il numero dei globuli rossi presenta leggiere variazioni secondo la sezione dell'albero circolatorio da cui è prelevato il sangue. Il sangue arterioso presenta un numero di globuli rossi costante, il sangue delle vene e dei capillari è generalmente più ricco di globuli rossi del sangue arterioso. E in generale il sangue profondo ne contiene meno che il sangue superficiale. Tali modificazioni sono essenzialmente legate a condizioni di circolo, tutte le cause che provocano diminuzione della rapidità di circolo producono per lo più aumenti relativi dei globuli rossi. Tali dati con le relative modificazioni valgono per le altre singole specie.

L'emoglobina (v.), materia colorante rossa dei globuli rossi, rappresenta circa il 90% del peso dei globuli rossi secchi; 100 cc. di sangue contengono circa 18 gr. di emoglobina. Per lo più le variazioni della concentrazione di emoglobina del sangue sono parallele a quelle dei globuli rossi. Ma sia in condizioni fisiologiche sia patologiche può variare il contenuto di emoglobina dei singoli globuli rossi, e viene comunemente definito valore globulare il rapporto fra contenuto di emoglobina del sangue e numero dei globuli rossi. In condizioni normali questo valore è di 1; in condizioni patologiche può essere superiore o inferiore (globuli rossi ipercromici e i pocromici).

Globuli bianchi. - Morfologia. - I globuli bianchi o leucociti, esaminati in preparazioni di sangue a fresco, si presentano come corpi irregolarmente arrotondati, un po' più voluminosi dei globuli rossi, fra i quali spiccano; sono dotati di una rifrangenza caratteristica e si presentano finemente granulosi e spesso tale granulosità maschera le particolarità interne della cellula. Per lo più sono in piccolo numero e isolati fra globuli rossi. Le granulazioni sono dotate di movimenti browniani. Il nucleo, spesso difficilmente visibile, può apparire come un campo vuoto, e si presenta come formato da masse tondeggianti o allungato o renifome. I leucociti sono quindi, come elementi cellulari, costituiti da un citoplasma e da un nucleo. All'analisi morfologica i leucociti fissati e colorati si distinguono in diverse categorie: i linfociti, i monociti, i granulociti. I granulociti alla loro volta vengono distinti in granulociti neutrofili, eosinofli e basofili (o polinucleati neutrofili, eosinofili e basofili).

Linfociti. - Elementi di piccole dimensioni, protoplasma scarso, intensamente basofilo; talvolta presentano granulazioni azzurrofile. Il nucleo è rotondo, ricco di cromatina, disposta in grosse zolle divise da spazî più chiari. Le colorazioni vitali con il Brillantcresyl-blau mettono talvolta in evidenza granulazioni piuttosto voluminose, corrispondenti alle granulazioni azzurrofile che si osservano con il metodo di May-Grünwald-Giemsa. Con colorazioni sopravitali di verde Janus e di rosso vitale si mettono in evidenza granulazioni color blu verdastro; mancano formazioni colorabili con il rosso vitale.

Monociti. - Sono più voluminosi dei linfociti, il citoplasma è omogeneo, meno basofilo di quello dei linfociti, spesso contiene granulazioni azzurrofile. Il nucleo è voluminoso, rotondo od ovale o reniforme o lobato, si colora poco intensamente; la cromatina è distribuita in un fine reticolo a maglie piuttosto evidenti. Con colorazioni sopravitali con il verde Janus e il rosso vitale si metterebbe in evidenza nel citoplasma attorno alla centrosfera una tipica rosetta costituita da granuli colorati in rosso, oltre a granuli colorabili in verde bluastro. A differenza dei linfociti, i monociti presenterebbero anche la rosetta di granuli rossi; questa particolarità differenzierebbe i monociti dai linfociti e dalle cellule istioidi somiglianti. Questo concetto è però discusso, perché anche nelle cellule di origine istioide si può trovare la rosetta di granuli rossi.

Granulociti neutrofili. - Il protoplasma contiene un grandissimo numero di finissime granulazioni rotonde, che si colorano con colori neutri di Ehrlich. Il nucleo si colora intensamente, è formato da numerosi lobi (3-4 e anche più) riuniti da filamenti. La cromatina è distribuita grossolanamente in zolle spesso tanto ampie da occupare anche interi lobi del nucleo.

Granulociti eosinofili. - Il citoplasma contiene un gran numero di granulazioni (200-220) rotonde; tali granulazioni sono piuttosto grosse, si colorano con i colori acidi, in particolare con l'eosina. Il nucleo è simile a quello dei granulociti neutrofili, ma d'ordinario è costituito da due lobi, più raramente da tre.

Granulociti basofili. - Il citoplasma contiene una quantità relativamente scarsa di granulazioni rotonde, piuttosto grosse, colorabili con colori basici. Il nucleo somiglia a quello dei neutrofili, ma il numero dei lobi è generalmente più scarso e presenta inoltre un'affinità poco spiccata per i colori basici; la struttura reticolare è inoltre meno evidente che negli altri granulociti.

Le granulazioni vanno considerate come elementi morfologici essenziali dei granulociti maturi, specie di unità funzionali. Sono probabilmente il risultato di un'attività secretoria del citoplasma. Per quel che riguarda la natura chimica delle granulazioni neutrofile si sa ben poco. Si ritiene siano complessi lipoproteici contenenti anche ferro; si tende da molti autori a identificarle come il substrato anatomico delle ossidasi. Sulla natura chimica delle granulazioni eosinofile sono state compiute numerose ricerche; si ritengono costituite da proteidi resistenti agli acidi e agli alcali, di natura ancora sconosciuta, sono inoltre ricche di ferro e povere di fosforo, si considerano da diversi autori come il substrato anatomico delle perossidasi. Poco è noto sulle granulazioni basofile; per alcuni autori sarebbero espressioni di fatti degenerativi, per altri, invece, andrebbero considerate, come le altre granulazioni, differenziazioni funzionalmente importanti del citoplasma. Le granulazioni azzurrofile non sono specifiche e vanno considerate come granuli di natura secretoria.

Cellule endotelioidi (dette anche c. endoteliali o c. reticolo-endoteliali). - Sono elementi di forma tondeggiante od ovoidale, talvolta con prolungamenti protoplasmatici, spesso riunite in sincizî. Il citoplasma è esteso, sottile, tenue, facilmente deformabile e tendente ad accartocciarsi. La struttura citoplasmatica è piuttosto uniforme o leggermente granulosa; spesso esistono vacuoli vuoti o contenenti elementi fagocitati; il citoplasma è uniformemente basofilo, spesso esistono zone ossifile. Il nucleo è di forma ovoidale o allungata o contorto su sé stesso, presenta un reticolo cromatinico sottile, a maglie piccole e regolari; tale struttura è tipica e non è confondibile con quella di altri elementi; spesso il nucleo presenta nucleoli.

Le cellule endotelioidi non si osservano normalmente in circolo, vi compaiono in diverse condizioni morbose (tifo, malaria, endocardite lenta, sepsi, emopatie in genere, ecc.).

Cellule leucocitarie patologiche. - Sono elementi leucocitarî che normalmente non si trovano nel sangue circolante, né negli organi ematopoietici. Si possono distinguere diversi gruppi: cellule atipiche, plasmacellule, leucociti in preda a processi degenerativi.

Cellule atipiche. Cellule di Rieder. - Compaiono in circolo con relativa facilità nelle forme patologiche più disparate (leucemie, anemia perniciosa, leucosarcoma). Sono cellule a volume molto variabile, tra quello dei monociti e dei linfociti; il citoplasma è basofilo più o meno intensamente. Mancano granulazioni specifiche, sono frequenti le granulazioni azzurrofile. Il nucleo ha forme svariate e strane, è irregolare, bernoccoluto o a lobi uniti da filamenti. La struttura del reticolo cromatico s'avvicina a quella dei monociti e dei linfociti.

Cellule di Türk. - Compaiono in circolo nelle forme morbose più svariate (polmonite, tifo, setticemie). Vanno considerate come emocitoblasti patologici. Sono cellule di volume variabile, fra quello di un monocito e quello di un linfocito, il citoplasma si colora in azzurro intenso con il Giemsa e presenta numerosi vacuoli. Il nucleo, centrale o eccentrico, presenta una struttura che ricorda l'emocitoblasto; talvolta presenta residui nucleolari, talvolta la cromatina tende ad assumere una disposizione analoga a quella del nucleo dei linfociti.

Plasmacellule (Plasmazellen). - Vengono trovate nel sangue circolante quasi esclusivamente nelle leucemie linfatiche; costituiscono un componente normale del connettivo. Sono cellule di tipo linfoide, con il citoplasma intensamente basofilo; il nucleo è eccentrico, relativamente piccolo, tondo od ovale, con struttura cromatinica radiata.

I processi degenerativi dei leucociti possono colpire le cellule mature o immature. Sono descritte: degenerazioni adipose (presenza di goccioline sudanofile nel citoplasma); scomparsa delle granulazioni specifiche; comparsa delle cosiddette granulazioni tossiche (granulazioni piuttosto grosse, irregolari, colorate in blu neutro con il Giemsa, compaiono nei granulociti neutrofili durante e dopo processi infettivi o tossici); inclusioni basofile dei neutrofili (zone citoplasmatiche basofile diffuse o in forma di granulazioni, considerate residui della primitiva basofilia del citoplasma: in forme emopatiche e infettive, specie nella scarlattina).

Oltre a tali cellule patologiche, in condizioni morbose il sangue può contenere cellule immature (v. oltre).

Numero dei leucociti. - Il numero dei leucociti del sangue non è fisso, ma oscilla entro limiti piuttosto ampî anche in condizioni basali. Nell'uomo i leucociti raggiungono 6000-7000 per mmc. con variazioni da 4000 a 10.000. Il sangue delle grosse vene ne contiene un numero minore che il sangue dei piccoli vasi periferici. I varî tipi di leucociti sono presenti in diverse percentuali e precisamente i linfociti rappresentano il 20-22% dei globuli bianchi totali, i monociti il 6-8%, i granulociti neutrofili il 70-72%, i granulociti eosinofili il 2-4%, i granulociti basofili 0,5-1%. Nelle altre specie di Mammiferi tanto il numero dei leucociti quanto la formula leucocitaria (percentuale dei diversi tipi) sono differenti.

Il numero dei leucociti e le proporzioni dei singoli tipi di leucociti possono variare anche temporaneamente; l'altezza e la depressione barometrica non producono modificazioni dei leucociti; la digestione invece s'accompagna a un aumento temporaneo e poco considerabile di essi, così pure la mestruazione e il parto provocano lievi aumenti dei globuli bianchi; anche gli sforzi fisici e i traumatismi possono produrre lievi aumenti di essi. In particolari condizioni morbose (malattie infettive, setticemie, suppurazioni, ecc.) si possono verificare aumenti considerevoli e prolungati, i quali costituiscono le leucocitosi. Nelle leucocitosi l'aumento assoluto (15.000-20.000 globuli bianchi per mmc.) s'accompagna anche ad aumento della percentuale di uno dei tipi di leucociti: si hanno così leucocitosi con granulocitosi relativa, con linfocitosi, ecc. La leucocitosi (v.) è dovuta a un afflusso di nuovi leucociti al sangue; essa rappresenta la fase intermedia sanguigna del passaggio dei leucociti dai tessuti leucopoietici alla regione dove si concentrano; il sangue è il veicolo che li trasporta dalle riserve al luogo di accumulo (v. oltre).

Proprietà generali dei leucociti. - Chimicamente i leucociti sono costituiti dalle stesse sostanze che costituiscono in genere le cellule. Contengono però in quantità rilevante nucleoproteidi, calcio, ferro, grassi, ecc. Sono inoltre molto ricchi di numerose diastasi. Sono elementi di grande attività fisiologica e schematicamente le loro attività fisiologiche possono venir distinte in attività ameboidi, attività fagocitaria, attività secretoria.

I leucociti esaminati vivi presentano spontaneamente modificazioni morfologiche e movimenti di traslazione, veri movimenti ameboidi; i leucociti possono così spostarsi con una certa velocità (circa 1 micron al secondo); tali movimenti sono influenzati dalla temperatura, dall'ossigeno, ecc. Tale proprietà è generale per tutti i globuli bianchi; è però presentata in grado cospicuo dai granulociti e in grado molto minore dai linfociti. Nella loro qualità di elementi mobili i globuli bianchi sono sensibili a diverse azioni, specie alle azioni chemiotattiche, che possono provocare movimenti di avvicinamento o di allontanamento (chemiotassi positiva, chemiotassi negativa).

I globuli bianchi sono capaci d' inglobare nel loro protoplasma sostanze polverulente. Questo fenomeno si verifica anche verso i bacilli e presenta particolare interesse nei riguardi dei fenomeni immunitarî (v. immunità). I leucociti possono attraversare i corpi porosi e i capillari sanguigni; tali proprietà sono comuni a tutti i leucociti, ma specialmente ai granulociti. Questo fenomeno, detto diapedesi, si fa particolarmente intenso nell'infiammazione (v.).

I globuli bianchi sono ricchi di molti fermenti (proteolitici, glicolitici, ossidasi e perossidasi), i quali esplicano importanti modificazioni sui tessuti. Verrebbero messi in libertà per disgregazione della cellula e possono quindi agire nell'interno e all'esterno della cellula.

La proteasi dei globuli bianchi è un fermento preformato, trasforma le albumine sino ai peptoni e agli amminoacidi, liquefà la gelatina e digerisce la fibrina, il siero coagulato, la caseina, avendo in complesso azione simile a quella della tripsina. Essa è presente esclusivamente nei granulociti neutrofili ed eosinofili, manca nei linfociti e nei monociti; è dimostrata l'esistenza del fermento proteolitico nel tessuto mieloide e la sua assenza nei tessuti linfoidi. La lipasi dei globuli bianchi saponifica i grassi, non è però capace di scindere gli acidi grassi nei loro radicali. La lipasi è presente nei linfociti, nei monociti, manca assolutamente nei granulociti; è stata inoltre dimostrata la sua presenza nei ganglî linfatici e nella milza e la sua mancanza nel midollo. È stato pure dimostrato nei leucociti un fermento amilolitico, una trombina e un fermento glicolitico. La presenza di ossidasi e di perossidasi è stata dimostrata nei leucociti neutrofili ed eosinofili, nei monociti, nei normoblasti, nei megaloblasti e negli emocitoblasti (v. sotto). Le ossidasi e le perossidasi mancano invece nei linfociti e nei granulociti basofili. È pure dimostrata la presenza nei leucociti di catalasi. A tali fermenti è attribuita grande importanza nei fenomeni immunitarî e nella reazione di difesa in genere. La presenza di fermenti diversi nei diversi tipi di leucociti è stata proposta anche come criterio diagnostico in fomme emopatiche (leucemie).

Piastrine. - Le piastrine dei Mammiferi si presentano come piccoli corpi tondeggianti (2-4 micron), di straordinaria fragilità, omogenei, senza nucleo. Fissate e colorate presentano, per lo più al centro, una massa cromatica costituita da granulazioni rosso violetto; tale massa cromatica (cromomero) posta al centro può dare l'illusione di un nucleo. Con grande facilità per azione di alterazioni le piastrine dànno origine a prolungamenti filiformi radiati, che dànno all'elemento un aspetto stellato. Il loro numero è di circa 400.000 per mmc. di sangue. Le piastrine intervengono nella coagulazione del sangue; osservando al microscopio la coagulazione, si vede che i primi filamenti compaiono a livello delle piastrine. Si ritiene abbiano un'azione di attivazione sulla coagulazione; è anche dimostrato che la retrazione del reticolo del coagulo si verifica solo se esistono piastrine. Le piastrine hanno una grande viscosità e hanno in alto grado la proprietà di agglutinarsi fra di loro e con particelle estranee introdotte nel sangue; tale proprietà è importante nel meccanismo dell'anafilassi e interviene nella proprietà del sangue di liberarsi rapidamente da germi che passano in circolo.

Ematopoiesi. - Secondo la concezione classica, l'ematopoiesi si compirebbe esclusivamente in particolari parenchimi altamente differenziati, costituiti da due tipi fondamentali di cellule: mieloidi e linfoidi. L'organo mieloide sarebbe rappresentato esclusivamente dal midollo osseo, l'organo linfoide sarebbe costituito dalle ghiandole linfatiche, dai nodi linfatici, dai follicoli malpighiani della milza e produrrebbe soltanto linfociti. Tale concezione non è più sostenibile; attualmente le ricerche anatomiche, anatomo-patologiche ed embriologiche dimostrano l'unità fondamentale dei tessuti ematopoietici. Il tessuto ematopoietico non è divisibile in senso anatomico in tessuto mieloide e linfoide e questi due tessuti non sono localizzati in parenchimi e in organi specifici, poiché, oltre ai parenchimi specifici ematopoietici (midollo osseo, milza, linfoghiandole), esistono numerosi elementi cellulari, sparsi nei tessuti connettivali e nello spessore stesso dei parenchimi ematopoietici, i quali elementi cellulari in condizioni normali poco partecipano alla funzione emocitopoietica; ma in condizioni diverse, per azione di stimoli disparati, possono assumere precipue funzioni citoemoblastiche. Questi elementi vengono definiti con il nome di emoistioblasti e vanno distinti dalle cellule indifferenziate parenchimali, generatrici degli eritrociti, dei granulociti, dei linfociti e dei monociti, le quali sono indicate con il nome di emocitoblasti. Emocitoblasti ed emoistioblasti derivano dalla cellula mesenchimatica embrionale polimorfa, vera matrice prima del tessuto ematopoietico. Le cellule mesenchimatiche embrionali, deputate alla formazione del tessuto ematopoietico, nell'evoluzione ontogenetica si dividono in emocitoblasti ed emoistioblasti. Gli emocitoblasti sono cellule che hanno assunto la specifica funzione emopoietica e che, localizzatesi in determinati organi (midollo osseo, milza, tessuti linfoadenoidei), dànno origine per molteplici e specifici differenziamenti agli eritrociti, ai linfociti, ai monociti, ai granulociti. Gli emoistioblasti sono cellule mesenchimatiche che rimangono in uno stato indifferenziato e si trovano diffuse nel tessuto connettivo e nella parte stromatica dei parenchimi ematopoietici, costituendo il cosiddetto sistema reticolo-endotelio (v. reticolo-endoteliale, sistema). Gli emocitoblasti e gli emoistioblasti sono cellule identiche per origine embriologica e per potenzialità di differenziamento e costituiscono il parenchima ematopoietico nel senso più largo della parola.

Il tessuto ematopoietico si può quindi distinguere in organi ematopoietici specifici e organi ematopoietici diffusi (sistema emoistioblastico). I tessuti ematopoietici specifici comprendono il midollo osseo, l'apparato linfatico, la milza. Dal punto di vista strettamente ematologico va ricordato che normalmente nel midollo si formano gli eritrociti, i granulociti, le piastrine, i monociti. Patologicamente possono formarsi le cellule della serie megaloblastica per un processo a carattere iperplastico atipico, e pure per iperplasia atipica possono formarsi elementi della serie linfatica. L'apparato linfatico (ghiandole linfatiche, follicoli splenici e follicoli diffusi) fisiologicamente è sede di formazione solo di linfociti, patologicamente con processi atipici può essere sede di formazione di elementi delle serie granulocitica e monocitica, e anche di elementi della serie normoblastica (in quest'ultimo caso la struttura ghiandolare nell'uomo viene modificata e assume i caratteri delle ghiandole emolinfatiche, presenti fisiologicamente in altri Mammiferi). La milza nei Mammiferi adulti è sede di produzione di linfociti e anche di piastrine; nelle emopatie può però diventare sede di produzione di elementi delle serie granulocitica, linfocitica e monocitica, di elementi delle serie eritroblastica e della serie megaloblastica.

Il tessuto istioblastico diffuso è citoematogeno solo in potenza; gli elementi sono diffusi nel connettivo, alla costituzione anatomica del quale prendono parte. Normalmente in parte sono presenti nel connettivo come elementi del reticolo-endotelio, in parte si trasformano in fibroblasti e in istiociti. Patologicamente si possono differenziare riproducendo elementi ematopoietici di tutti i tipi. Accanto a una citoematopoiesi normale dell'adulto, in cui singoli elementi derivano dalle successive differenziazioni dell'emocitoblasto, esiste patologicamente la possibilità di una citoematopoiesi patologica, per alcuni aspetti a carattere embrionario, che viene a riprodurre, per trasformazione di emoistioblasti, cellule di origine emoistioblastica analoghe alle normali di origine emocitoblastica. Tali elementi sono però sempre riconoscibili nella loro origine emoistioblastica; rappresentano un processo citogenetico analogo al normale, ma non identico e di carattere essenzialmente patologico.

Le citogenesi ematopoietiche emocitoblastiche normali comprendono i processi di differenziazione dell'emocitoblasto che, attraverso fasi di maturazione nettamente distinte mettono capo alle singole cellule del sangue normale.

Citogenesi dei globuli rossi. - Nell'adulto la sede di formazione dei globuli rossi è il midollo osseo delle epifisi e delle ossa corte; negli spazî connettivali del tessuto midollare evolvono gli elementi, che si caricano di emoglobina e si trasformano in globuli rossi; la loro evoluzione si compie accanto a quella di altre cellule, che si trasformano in granulociti.

Gli elementi della serie eritrocitica derivano dagli emocitoblasti per differenziamenti successivi, le varie forme cellulari di tale passaggio sono i proeritroblasti, gli eritroblasti basofili, gli eritroblasti policromatofili, gli eritroblasti ortocromatici, gli eritroblasti con nucleo in picnosi, gli eritrociti maturi.

Emocitoblasti. - Gli emocitoblasti sono cellule indifferenti, non sono né leucociti, né eritrociti, né linfociti, ma sono le cellule progenitrici dei globuli rossi, dei granulociti, dei monociti, dei linfociti, delle piastrine. Sono cellule di dimensioni molto varie, ma piuttosto voluminose, sono grandi da 5 a 6 volte un globulo rosso; la forma è per lo più rotonda od ovale, il protoplasma è basofilo, non appare omogeneo, ma presenta una struttura reticolare plasmatica evidente; il grado di basofilia può variare da cellula a cellula, ma è sempre notevole. Non si trovano nel citoplasma granulazioni specifiche, né azzurrofile. Il nucleo è per lo più voluminoso, occupa gran parte della cellula, talvolta è centrale, talvolta eccentrico. La sua forma è molto varia, per lo più è rotonda od ovale o reniforme. La struttura nucleare, che si mette in evidenza con le colorazioni ematologiche, è tipicamente costituita da un sottile reticolo cromatico a maglie finissime, e omogenee; il nucleo presenta due o tre nucleoli più o meno voluminosi.

Proeritroblasti. - Rappresentano la prima fase del differenziamento dell'emocitoblasto verso la serie emoglobinica, differiscono dall'emocitoblasto e presentano un citoplasma più addensato e omogeneo, con più intensa basofilia (fenomeno paradosso di Ferrata). Il nucleo conserva i nucleoli, ma presenta screpolature caratteristiche nella continuità del reticolo cromatinico. La cellula rappresenta un vero ponte di passaggio fra l'emocitoblasto, di cui ricorda la morfologia per la presenza dei nucleoli, e l'eritroblasto, al quale s'avvicina per la disposizione della cromatina e per l'addensamento della basofilia protoplasmatica.

Eritroblasti basofili. - Conservano i caratteri protoplasmatici dei proeritroblasti; la struttura nucleare è caratterizzata da una disposizione della cromatina in filamenti grossolani separati da spazî chiari; i nucleoli ma ncano.

Eritroblasti policromatofili. - Il protoplasma presenta minor grado di basofilia degli eritroblasti basofili e si colora anche con tinte acide, per una graduale comparsa in esso di emoglobina; il nucleo è più piccolo che nei normoblasti basofili e la cromatina è distribuita in blocchi grossolani, disposti a ruota.

Eritroblasti ortocromatici. - Il protoplasma presenta colorazione omogenea acidofila per comparsa di emoglobina; il nucleo è piccolo, molto colorabile, con manifesta tendenza alla picnosi. Dal normoblasto ortocromatico si passa ai globuli rossi maturi con la scomparsa del nucleo, che avviene per picnosi.

Tutte queste trasformazioni si compiono normalmente nel midollo e i globuli rossi passano nel sangue solo quando hanno raggiunto la maturanza e la forma definitiva. Ma in condizioni patologiche (anemia, eritremia) si può avere passaggio dal midollo nel sangue circolante di elementi della serie rossa immatura (normoblasti). I globuli rossi sono elementi labili, vanno incontro a continua distruzione (emolisi) e a continuo rinnovamento. Si calcola la durata in circolo di essi a circa 80 giorni. Tale durata può essere patologicamente molto ridotta (malattie emolitiche).

Nel processo distruttivo una parte dei globuli rossi viene certamente distrutta nella milza per fagocitosi. L'emoglobina messa in libertà viene elaborata e trasformata in bilirubina, e la quantità di pigmento biliare o, con maggiore precisione, dei pigmenti che ne derivano (bilinogeno, bilina) rappresenta un indice dell'intensità del ritmo emolitico.

Si può riconnettere con l'emolisi spontanea lo studio dell'emolisi in vitro. Se si mettono in contatto globuli rossi e acqua distillata, l'emoglobina dei globuli si diffonde nell'acqua. L'emolisi consiste nella separazione dell'emoglobina dal complesso lipoproteico del globulo rosso. Le sostanze che provocano emolisi sono numerosissime; con la nozione di emolisi si riconnette quella della resistenza dei globuli rossi agli agenti del processo emolitico. Tale nozione ha notevole interesse, poiché in diverse malattie la resistenza è modificata.

Citogenesi dei linfociti. - Nell'adulto la sede di formaziohe dei linfociti è data dalle ghiandole linfatiche, dai follicoli linfatici sparsi nei varî organi e dalla polpa bianca della milza. I linfociti derivano dall'emocitoblasto, attraverso fasi di passaggio ben definite, il linfoblasto e il proliniocito.

Linfoblasti. - Sono cellule più voluminose di un linfocito; il citoplasma è più o meno intensamente basofilo, quasi sempre senza granulazioni azzurrofile; il nucleo è piuttosto voluminoso e centrale, di forma tondeggiante, non di rado presenta nucleoli; il reticolo cromatinico nucleare è piuttosto fine, sono però visibili differenze di grossezza tra i varî filamenti del reticolo. I linfoblasti si trovano nelle ghiandole linfatiche; nel sangue circolante negli adulti normalmente mancano, possono essere presenti in stati patologici.

Prolinfociti. - Sono piccoli elementi, talvolta sono più piccoli dei linfociti del sangue circolante. Presentano citoplasma basofilo, scarso, il nucleo è fortemente colorabile, è formato da grossi blocchi di cromatina; quasi mai sono presenti i nucleoli. Eccezionalmente presentano granulazioni basofile. Mancano nel sangue circolante normale, ma possono essere presenti in stati patologici.

Citogenesi dei monociti. - La genesi dei monociti è duplice; in parte, i monociti derivano dall'emocitoblasto e in parte derivano dagli emoistioblasti. In parte si formano nel midollo osseo, in parte nei tessuti stromatici dei parenchimi, compreso il tessuto stromatico dei tessuti emocitopoietici. I monociti che derivano dall'emocitoblasto attraversano una fase ben definita: il monoblasto. È questa una cellula voluminosa, corrispondentemente al volume dei monoiti; il protoplasma presenta basofilia di grado diverso; scarse sono le granulazioni azzurrofile. Il nucleo è rotondo, ovale o reniforme, provvisto per lo più di nucleoli; la struttura del reticolo cromatinico è simile a quella del monocito, ma è più fine e regolare. Meno note sono le forme di passaggio dall'emoistioblasto al monocito; si ammette però anche per i monociti di origine emoistioblastica una fase monoblastica di passaggio.

Citogenesi dei granulociti. - I granulociti derivano dall'emocitoblasto per successive fasi di trasformazione, che prendono il nome di mieloblasti, di mielociti, di granulociti; tutti questi tipi di elementi si suddividono a loro volta formando le tre serie: neutrofila, eosinofila, basofila, che corrispondono ai tre tipi di granulociti. Queste cellule normalmente non si trovano nel sangue normale: compaiono in esso solo in condizioni patologiche.

Mieloblasto neutrofilo. - Il protoplasma è basofilo, presenta granulazioni minute azzurrofile, indipendenti dalle granulazioni neutrofile, che compaiono nelle cellule della serie, in fase più evoluta. Il nucleo è unico, con nucleoli, la struttura è caratterizzata da un reticolo fine e regolare, a maglie molto minute, simile a quella del nucleo dell'emocitoblasto.

Mieloblasto eosinofilo. - Il protoplasma è intensamente basofilo, con granulazioni azzurrofile molto voluminose, rotonde, relativamente scarse. Il nucleo è simile a quello del mieloblasto neutrofilo. La distinzione del mieloblasto eosinofilo dal mieloblasto neutrofilo è possibile per i differenti caratteri delle granulazioni.

Mastmieloblasto. - Può essere definito come un elemento simile all'emocitoblasto, con granulazioni protoplasmatiche basofile.

Promielocito neutrofilo. - Il protoplasma è più o meno intensamente basofilo, le granulazioni azzurrofile sono più scarse che nel mieloblasto; si osservano inoltre granulazioni neutrofile, simili a quelle del mielocito, ma più grosse e a forma allungata. Il nucleo ha struttura reticolare con filamenti più grossolani, disposti a reticolo piuttosto irregolare.

Promielociti eosinofili. - Simili ai promielociti neutrofili, presentano però, oltre alle granulazioni azzurrofile, granulazioni eosinofile, simili a quelle dell'elemento maturo.

Mielocito neutrofilo. - Il protoplasma è azzurrofilo, infarcito di granulazioni colorabili con i colori neutri, che presentano gli stessi caratteri di forma e di dimensione di quelle dei granulociti neutrofili. Il nucleo è unico, rotondo od ovale o reniforme, più o meno voluminoso; il reticolo cromatico mostra grosse maglie che circoscrivono spazî più chiari.

Mielocito eosinofilo. - Simile al precedente per i caratteri del citoplasma e del nucleo, contiene granulazioni eosinofile.

Mastmielocito. - Per gli elementi della serie basofila non è possibile distinguere una fase di passaggio definibile sicuramente come promielocito basofilo; si distinguono così solo mieloblasti basofili e mielociti basofili. Il mielocito basofilo presenta essenzialmente i caratteri già notati, ma questi sono molto meno spiccati ed evidenti, e contiene nel citoplasma granulazioni basofile.

Dai mielociti si distinguono i corrispondenti metamielociti, vere forme di passaggio fra mielociti e granulociti; differiscono dal mielocito perché presentano un nucleo incurvato, che s'avvicina al nucleo polilobato dei granulociti.

I globuli bianchi maturi sono elementi altamente evoluti, incapaci di riprodursi o di differenziarsi ulteriormente. Il destino dei leucociti è di abbandonare il sangue, passando per diapedesi attraverso l'endotelio dei capillari nel connettivo interstiziale. Il sangue può essere considerato un luogo di passaggio dei leucociti, dove essi non compiono funzioni importanti. In gran parte i leucociti sono eliminati dalla superficie dell'intestino e dalla superficie secernente delle ghiandole. Il modo di degenerazione dei globuli bianchi è diverso: si ha per lo più una degenerazione del nucleo per picnosi, nel citoplasma compaiono vacuoli, gocce di grasso, successivamente si colliquefa anche il citoplasma. Grandi distruzioni di globuli bianchi si accompagnano ad aumenti delle scorie puriniche, che derivano dalla disintegrazione dei nuclei.

Genesi delle piastrine. - Le piastrine del sangue dei Mammiferi si originano dai megacariociti in seguito a un processo di differenziazione del protoplasma. Nel protoplasma dei megacariociti, che spesso ha aspetto ameboide con lunghi pseudopodî, compaiono granuli azzurrofili che si raggruppano analogamente al cromomero delle piastrine del sangue circolante. Le formazioni a pseudopodio del megacariocito penetrano nel lume dei vasi, le masse piastriniche si rendono allora libere, le piastrine si isolano una dall'altra e passano nel circolo formando le piastrine del sangue circolante. I megacariociti si formano alla loro volta dall'emocitoblasto, attraverso forme di passaggio distinte, chiamate megacarioblasto, megacariocito linfoide, megacariocito granuloso.

Citogenesi patologiche. - Oltre ai processi ematopoietici descritti, che rappresentano la normopoiesi dell'adulto, in condizioni patologiche (specie nell'anemia perniciosa e nelle malattie leucemiche) possono comparire in circolo e nei tessuti elementi classificabili come elementi del gruppo dei globuli rossi o come elementi analoghi ai globuli bianchi che non derivano dall'emocitoblasto, ma dagli elementi indifferenziati, emoistioblastici equivalenti delle cellule mesenchimali primitive. Gli elementi emoglobinici di origine emoistioblastica, con le forme di passaggio, costituiscono la serie megaloblastica, che ha come elemento definitivo il megalocito.

Citogenesi dei megalociti. - Rappresentano un processo di ematopoiesi patologica propria dell'anemia perniciosa. I megalociti derivano dall'emoistioblasto attraverso fasi di differenziazione ben nette e analoghe a quelle dei normoblasti; gli elementi di passaggio sono: promegaloblasto, megaloblasto basofilo, megaloblasto policromatico e ortocromatico. Mancano nel midollo normale.

Promegaloblasto. - Il protoplasma è basofilo, abbondante più di quello dei corrispondenti proeritroblasti. Il nucleo contiene uno o più nucleoli e si differenzia da quello dei proeritroblasti per la presenza di screpolature del reticolo cromatico.

Megaloblasto basofilo. - Si differenzia dal promegaloblasto per la scomparsa dei nucleoli.

Megaloblasti policromatici e ortocromatici. - Nel citoplasma è già evidente la presenza di emoglobina, pur essendo evidenti i residui della basofilia primitiva. Vanno distinti due tipi, megaloblasti con nucleo voluminoso e megaloblasti con nucleo relativamente piccolo. Nei primi il nucleo ha struttura con masse cromatiche evidenti e individualizzate, i secondi hanno un nucleo che tende alla picnosi. Tanto gli uni quanto gli altri possono presentare granulazioni basofile.

Megalociti. - Corrispondono alle prime cellule emoglobiniche dell'embrione, rappresentano l'elemento maturo della serie megaloblastica. Si distinguono dagli eritrociti per le loro dimensioni notevolmente superiori e per essere più intensamente colorati; la determinazione del tasso emoglobinico dimostra la loro ipercromia.

Le cellule mesenchimali indifferenziate possono in condizioni patologiche differenziarsi e assumere granulazioni specifiche: vengono a prodursi così cellule, per alcuni aspetti, simili a quelle di origine emocitoblastica parenchimali, ma sempre riconoscibili come di origine istioide. Sono da distinguere: elementi a tipo linfoide con protoplasma ricco di granulazioni e di filamenti ergastoplasmatici. Elementi con citoplasma scarsamente basofilo, con granulazioni basofile e granulazioni specifiche neutrofile. Elementi con citoplasma ancora più scarsamente basofilo, con esclusive granulazioni neutrofile. Elementi con citoplasma lievemente basofilo, con granulazioni basofile e granulazioni eosinofile. Elementi con più lieve basofilia e solo con granulazioni eosinofile. Elementi con citoplasma intensamente basofilo e senza granulazioni di nessuna specie. Elementi con citoplasma scarsamente basofilo, ricco di granulazioni basofile, disposte anche sul nucleo. Si distinguono così altrettanti tipi di elementi quanti sono i linfociti e i granulociti. In tutti questi elementi il nucleo presenta una struttura diversa dalle altre cellule della serie leucocitaria mature e immature, caratterizzata da un reticolo cromatico a maglie grossolane, che nell'insieme ha l'aspetto di una spugna. Tali elementi si trovano in circolo generalmente nelle leucemie, mancano nel sangue normale.

Ematopoiesi embrionale. - Durante la vita embrionale, nella fase preepatica, gli elementi del sangue si originano indifferentemente dal tessuto connettivo e dai vasi primitivi. Dopo la comparsa del fegato, anche in quest'organo, anche durante il periodo postfetale, ha luogo una produzione sia di globuli rossi sia di globuli bianchi. Nel periodo preepatico il sangue contenuto nei vasi è costituito quasi esclusivamente da elementi simili ai megaloblasti e ai megalociti, solo nel mesenchima si possono trovare scarsi granulociti di origine istioide, ed è dubbia la presenza di eritroblasti secondarî. Mancano i megacariociti e le piastrine, come pure elementi analoghi ai linfociti e ammassi cellulari analoghi ai centri linfoadenoidei. Manca, in altri termini, prima del periodo epatico, un tessuto mieloide eritroleucopiastrinoblastico e un tessuto linfoadenoideo. Con l'inizio della funzione emopoietica del fegato la formazione delle cellule ematiche s'accentra nel fegato stesso che, per un periodo piuttosto lungo, costituisce il parenchima citoematogeno. In questa fase si riscontrano due tipi di globuli rossi: megaloblasti e megalociti, dovuti alla funzione residua del sacco vitellino, e normoblasti definitivi, di origine epatica; da questi ultimi vanno poi formandosi eritrociti normali. Contemporaneamente alla genesi degli eritroblasti e degli eritrociti si differenziano i granulociti, compaiono i megacariociti e le piastrine. Mancano però ancora elementi a carattere linfocitico.

Alla fase epatica succede poi la citoematopoiesi normale midollare. Le prime cellule linfatiche compaiono in seguito alla formazione di accumuli linfatici, che si raggruppano in ghiandole o follicoli (follicoli splenici e ghiandolari, follicoli diffusi).

Antropologia.

I gruppi sanguigni, proprietà squisitamente ereditaria e costituzionale (v. ematologia: Ematologia forense), hanno acquistato una notevole importanza in antropologia da quando è stato osservato che la loro distribuzione nelle popolazioni varia a seconda dell'origine etno-antropologica. La prima fondamentale pubblicazione fu fatta dai coniugi L. e H. Hirszfeld (1919), i quali, essendo addetti ai servizî medici degli eserciti alleati in Oriente durante la guerra mondiale, ebbero l'opportunità di esaminare numerosi militari e borghesi provenienti dai paesi più varî e appartenenti a razze diverse, ma viventi contemporaneamente nelle identiche condizioni ambientali. Specialmente opportuna fu la possibilità di usare tecnica e reattivi uniformi, per cui le conclusioni ebbero senz'altro valore decisivo. Da allora la varietà delle popolazioni esaminate è andata considerevolmente aumentando; il numero degli individui è ormai di qualche centinaio di migliaia e va via via crescendo. Malgrado alcune divergenze, dipendenti essenzialmente dalla brevità delle serie esaminate, è stato ampiamente confermato che, nelle sue grandi linee, la ripartizione dei quattro gruppi sanguigni dipende dall'origine etnica.

La frequenza del gruppo O non subisce grandi oscillazioni nelle popolazioni europee e africane dove essa varia in genere fra 35 e 45%.

Nelle popolazioni asiatiche, Mongolici (ivi compresi Ungheresi e Zingari), Indiani, Ainu, essa si riduce tra 20 e 35%. In alcune popolazioni d'origine antichissima, ove le infiltrazioni sono state storicamente assai scarse, e particolarmente negl'Indiani dell'America Settentrionale, negli Indî sudamericani, negli aborigeni australiani, nei Malesi filippini, negli Eschimesi, Lapponi, Islandesi si trovano percentuali elevatissime del gruppo O, sempre al disopra del 50 e che talora si avvicinano alla totalità (Indiani d'America 94%, Maya 97%). Sicché è probabilissimo che in certune di queste popolazioni la costituzione primitiva e caratteristica sia quella del gruppo O.

Là dove sono avvenuti incroci, le proporzioni di questo gruppo si abbassano, avvicinandosi a quelle dei Bianchi.

L'incrocio è certamente influente, come risulta dai confronti fra Negri africani e americani; i quali ultimi (largamente incrociati) hanno cifre assai più simili a quelle dei Bianchi. Anche le proporzioni relative degli agglutinogeni A e B dipendono strettamente dalle influenze etniche. Il prevalere notevole di A rispetto a B (tre o più volte) è caratteristico delle popolazioni dell'Europa occidentale e centrale, e loro derivate. In esse si trova circa 40-45% di A e 10-15% di B. La differenza va attenuandosi se ci si sposta verso l'Europa orientale e sud-Orientale (Slavi, Balcanici; A 30-35% B 20-30%; fig. a pag. 670 in alto) e più ancora in Africa e in Asia, ove le due frequenze si equiparano quasi (Malgasci, Indocinesi, ecc.), oppure predomina più o meno nettamente il B. Questa proprietà raggiunge la massima frequenza tra i Cinesi (40-44%, i Manciù 47%; gli Indù 49%; fig. a pag. 670, in basso).

Nelle popolazioni aborigene sopra ricordate, data la considerevole frequenza dell'O, tanto l'A quanto il B sono relativamente scarsi. Anzi in alcune di esse la proprietà B è praticamente inesistente. Si è cercato di sintetizzare con una formula la distribuzione dei gruppi in una popolazione e si sono proposti a tale uopo varî indici. "L'indice biochimico" di Hirszfeld è uguale al rapporto fra tutti gli individui in cui si trova A e quelli in cui si trova B, cioè

Esso però non include la frequenza del gruppo O.

Altri indici che mirano (del resto imperfettamente) a raggiungere lo stesso scopo sono quelli di Wichnewsky:

di Melkich

quello di Leveringhaus

quello di Wellisch

ed altri ancora.

Il più usuale, malgrado le sue imperfezioni, è l'indice di Hirszfeld che è compreso fra 2,5 e 4 per gli Furopei, tra 1 e 2 per le popolazioni intermediarie, e al disotto di 1 per la maggior parte degli Asiatici e Africani.

Il Bernstein ha emesso l'ipotesi che ogni popolazione risulti dalla mescolanza in proporzioni varie di tre "razze biochimiche" originarie, i cui elementi ereditarî si possono trovare riuniti nel medesimo individuo, e propriamente le razze A, B e R (recessivo o residuale).

La frequenza di questi elementi ereditarî dà dunque un'idea della composizione antropologica di una popolazione.

Se si designa con p la frequenza dell'elemento A, con q quella del B, con r quella del R, il calcolo dimostra la relazione seguente:

In genere invece di indicare p, q, r medianite frazioni di unità, si esprimono in percentuali, in modo che 100 = p + q + r.

In realtà per tutte le osservazioni praticate p + q + r è approssimativamente uguale a 100, e anzi si ritiene che la mancanza di esattezza in queste approssimazioni sia indice di errori nella raccolta dei dati.

La distribuzione dei gruppi sanguigni oltreché con indici numerici si può rappresentare graficamente mediante varî sistemi indicati da Streng, Kruse, Wellisch, Rubaschkin. Streng, ad es., traccia tre coordinate a 60° e vi riferisce i valori numerici di p, q, r. Ogni popolazione assume allora una posizione particolare; la quale però non può essere ritenuta prova dell'affinità antropologica, dal momento che si possono trovare vicine popolazioni assai diverse come Polacchi e Cinesi (fig. qui sotto).

Secondo Ottenberg le proporzioni delle tre proprietà O, A, B, dànno luogo a varî tipi di popolazioni, così classificate: I. Europeo O, 39%; A, 43; B, 12; II. Intermedio (Arabi, Turchi, Russi, ecc.) O, 40; A, 33; B, 20; III. Hunan (Giappone, Cina merid., Ungheria, Ebrei romeni) O, 28; A, 39; B, 19; IV. Indomanciù (Corea, Cina settentr., Zingari, Indù) O, 30; A, 19; B, 39; V. Afrosudasiatico (Negri, Malgasci, Malesi) O, 42; A, 24; B, 28; VI. Pacifico-Americano (Indiani, Australiani, Filippini, Islandesi) O, 67; A, 29; B, 3 (v. fig. qui sopra).

Un quesito di notevole importanza è quello se la distribuzione dei gruppi dipenda realmente dalla provenienza etno-antropologica, cioè dalla razza quale la intendono gli antropologi, oppure se è determinata da condizioni ambientali. Il fondamento ereditario dei gruppi sanguigni rende più verosimile l'influenza degl'incroci.

In realtà si può facilmente verificare che, in generale, popolazioni di origine diversa che convivono da molti secoli nello stesso ambiente presentano proporzioni diverse dei gruppi sanguigni.

In Ungheria, p. es., convivono da secoli parecchi nuclei etnici ben distinti: la popolazione magiara d'origine uralo-altaica, imparentata con i Turchi; le colonie tedesche immigrate nel '700 e confinate in alcuni villaggi, e gli Zingari che si fanno derivare dall'India e che il costume tiene da più di 5 secoli nettamente separati. Ora in questi tre ceppi la distribuzione dei gruppi è differentissima, e rassomiglia rispettivamente a quella dei Tedeschi di Germania, dei Turchi, degl'Indù.

Differenze altrettanto spiccate si riscontrano fra Bianchi, Negri e Indiani nell'America settentrionale; fra Giapponesi e Ainu dell'Isola di Hōkkaido; fra Giapponesi e Formosani di Formosa; fra colonie tedesche e Piccoli Russi dell'Ucraina; fra Italiani di Sicilia e colonie albanesi.

In Germania è stato osservato che la proporzione del gruppo B è tanto più spiccata quanto maggiore appare l'infiltrazione slava, segnalata oltre che dalla posizione geografica anche dai cognomi delle famiglie. La popolazione delle grandi città ha composizione notevolmente diversa da quella del contado; il che è stato attribuito al fatto che in campagna la popolazione è infinitamente più stabile e fissa che nelle città, ove essa è soggetta costantemente a profonde mescolanze.

Per ciò che concerne gli Ebrei, sparsi in tutta Europa, si è visto che in certe regioni la loro distribuzione dei gruppi sanguigni è differente da quella delle popolazioni circostanti; p. es., in Macedonia gli Ebrei si differenziano nettamente dai Turchi e dagli slavi. Ma altrove, come, p. es., in Germania, nei Paesi Bassi, in Polonia, le cifre non si differenziano in modo apprezzabile. Analogamente i Lapponi, d'origine Asiatica, non differiscono molto dalla popolazione svedese circostante.

Per quanto alcuni ritengano che l'ambiente possa influire a poco a poco, nel corso delle generazioni, sulla composizione sierologica di una popolazione, altri più fondatamente opinano che tale variazione sia dovuta agl'incroci più o meno frequenti e inevitabili con le popolazioni circostanti.

È d'altronde certo che la distribuzione dei gruppi sanguigni non corrisponde sempre alla razza propriamente detta; poiché si possono trovare cifre assai simili in popolazioni lontanissime e senz'alcun rapporto fra di loro, quali, ad es., i Russi e gli Hova di Madagascar; mentre all'inverso l'indice biochimico degl'Indù (0,6) è il più diverso possibile da quello degli Europei (3,0), quantunque vi siano fra queste due popolazioni legami indubbî di parentela.

Inoltre può darsi che in nuclei isolati e poco numerosi di una stessa popolazione la ripartizione dei gruppi sia assai varia; il che si spiega non solo per la scarsa ampiezza delle osservazioni, ma anche per la selezione determinata dalle unioni consanguinee abitudinarie.

Studî recenti hanno mostrato che non solamente le sostanze agglutinogene A e B (su cui si fondano i classici gruppi sanguigni) hanno distribuzione etnologica differente, ma anche altri antigeni dei globuli rossi umani, rivelabili soltanto mediante reazioni immunitarie, e denominati M, N da Landsteiner e Levine, loro scopritori. In America la proprietà M è risultata abbondantissima negl'Indiani (95%), meno nei Bianchi (81%) e meno ancora nei Negri (72%), mentre press'a poco l'inverso si verificò per N.

La frequenza di M è risultata simile per i Bianchi, negli Stati Uniti, in Germania, Belgio, Francia, Italia.

La ragione recondita della diversa distribuzione dei gruppi sanguigni in relazione all'antropologia non è finora bene stabilita. Secondo Hirszfeld e Bernstein sarebbe da ammettersi un'origine separata di A e B, il primo nell'Europa occidentale, il secondo nell'Asia centrale, in modo che le ripartizioni attuali sarebbero dipendenti dall'infiltrazione migratoria di un gruppo nell'altro, e specialmente dei Mongoli in Europa (Steffan). Sotto questo punto di vista la rarità del gruppo B negli aborigeni americani è argomento contrario alla provenienza asiatica di tali popolazioni (che alcuni antropologi sostengono, in opposizione all'origine australopacifica).

Secondo Bernstein e Snyder, la condizione primitiva dell'umanità sarebbe quella del gruppo O, che, come fu detto, si trova quasi allo stato puro in popolazioni primitive e confinate. L'assenza del B negl'Indiani farebbe ammettere che essi si siano distaccati dal tronco asiatico prima della formazione della proprietà B; oppure che sia avvenuta una formazione autoctona di quella popolazione; il che indicherebbe un'origine poligenetica delle varie razze. Secondo questa ipotesi, A e B, proprietà mendeliane dominanti, si sarebbero formate per mutazione. D'altra parte l'ipotesi che la razza O sia primitiva contrasta col reperto di proprietà A e B negli animali e in specie nelle scimmie antropoidi. Se si suppone che l'A e il B siano primitivi, si può anche interpretare la formazione dell'O come risultato recessivo dell'eredità mendeliana, o come mutazione difettiva.

Dal punto di vista antropologico può interessare ancora il problema se esista qualche legame tra il gruppo sanguigno e altri caratteri antropologici, quali il colore dei capelli e delle iridi, la forma del cranio, il tipo costituzionale, ecc.

Questo argomento è stato largamente studiato in varie popolazioni, e anche in Italia.

È apparso in modo certo che un rapporto diretto non esiste; p. es., non vi è relazione necessaria fra la dolico- o brachicefalia e la predominanza di un certo gruppo sanguigno; viceversa si può ammettere che in una data popolazione, che risulta dalla commistione di diversi ceppi originarî, si osservi un certo legame, nel senso che tanto i gruppi sanguigni quanto altri caratteri antropologici siano coeffetti della diversità di origine raziale delle diverse serie d'individui.

Gli studî sul valore antropologico dei gruppi sanguigni proseguono ovunque attivamente e persino si sono organizzate spedizioni per l'indagine sistematica in popolazioni difficilmente accessibili. Le ricerche, malgrado la loro estensione, sono state tuttavia alquanto frammentarie, tanto che è stata invocata l'organizzazione d'indagini omogenee su una base programmatica internazionale.

Bibl.: L. e H. Hirszfeld, Serological differences between the blood of different races, Lancet 1919; L. Hirszfeld, Konstitutionsserologie und Blutgruppenforschung, Berlino 1928; W. Scheidt, Rassenunterschiede des Blutes mit bes. Berücksichtigung der Untersuchungsbefunde an europäischen Bevölkerungen, Lipsia 1927; L. Lattes, L'individualità del sangue in biol., in chim. e in med. legale, Milano 1934; Streng, Die Blutgruppenforschung in der Anthropologie, Helsinki 1935.

Fisiologia.

Le funzioni del sangue possono essere riassunte nelle seguenti: 1. Il sangue trasporta il materiale nutritivo e le altre sostanze assorbite dal tubo digerente ai tessuti. 2. Trasporta ai tessuti l'ossigeno dai polmoni, dove questo viene assorbito. 3. I prodotti residuali, formatisi nel metabolismo dei tessuti, sono trasportati dal sangue agli organi di escrezione, e cioè ai reni, ai polmoni, all'intestino e alla pelle. 4. Per mezzo del sangue, sostanze chimiche, che si formano in una certa parte dell'organismo, vengono portate e agiscono in altre parti dell'organismo: tra queste sostanze, particolarmente importanti sono i cosiddetti "ormoni" prodotti di elaborazione delle ghiandole a secrezione interna. 5. I corpuscoli bianchi del sangue costituiscono un meccanismo di difesa contro le invasioni di batterî nell'organismo; in generale il sangue ha funzione importantissima nei fenomeni immunitarî (v. immunità). 6. Il sangue contribuisce a mantenere costante e uniforme la temperatura dell'organismo, raffreddandosi, e quindi cedendo calore, in corrispondenza delle parti fredde, e assorbendo calore quando attraversa una regione calda.

Massa del sangue. - Abbiamo detto sopra della determinazione della quantità del sangue circolante. Il valore di essa oscilla entro limiti ristrettissimi normalmente; una diminuzione della massa sanguigna si può avere in seguito a forti perdite d'acqua per diarrea, vomiti ripetuti, o sudorazione profusa; le massime diminuzioni si hanno nel lavoro muscolare molto intenso, perché parte dell'acqua del sangue viene richiamata nei muscoli dalle sostanze osmoticamente attive che in questi si sono formate per effetto della contrazione muscolare. In condizioni patologiche le variazioni del volume del sangue sono maggiori; un aumento, detto pletora sanguigna, si ha nella policitemia, nella clorosi, e in alcune altre forme di anemia: una diminuzione, detta anidremia, si osserva nelle malattie che s'accompagnano a forte perdita di acqua, e nelle emorragie gravi.

Il plasma. - La parte liquida del sangue, o plasma, contiene in soluzione varî sali inorganici, tra cui specialmente cloruro sodico e bicarbonato sodico; e varie sostanze organiche quali, fra le più importanti, l'urea, il prodotto di rifiuto risultante dalla combustione delle sostanze proteiche, il glucosio, varî amminoacidi, e sostanze proteiche.

Il glucosio si trova nella concentrazione di 0,1 g. per 100 cc. di sangue; quando, in seguito all'ingestione d'idrati di carbonio, la sua concentrazione tende ad aumentare, esso viene dal sangue ceduto a particolari organi, il fegato e i muscoli, che lo immagazzinano sotto forma di un polimero, il glicogeno. Quando, invece, come in seguito a lavoro muscolare intenso, i muscoli consumano una grande quantità del glucosio in essi contenuto sotto forma di glicogeno, il glucosio del sangue passa ai muscoli per sostituire il glucosio consumato, mentre contemporaneamente dagli altri depositi si versa glucosio nel sangue, sì da mantenerne la concentrazione entro limiti di relativa costanza. Quando la concentrazione del glucosio nel sangue sorpassa il 0,3% i reni lasciano passare parte del glucosio dal sangue nell'urina: si ha cioè una glicosuria; in particolari condizioni patologiche i reni lasciano passare glucosio nelle urine anche quando questo si trova nel sangue in concentrazione normale; si parla allora di diabete renale. Quando la concentrazione del glucosio nel sangue scende al disotto di 0,05%, intervengono convulsioni che s'accompagnano a una sindrome più o meno grave, che può anche portare alla morte.

Le sostanze proteiche del plasma sono date da albumina (4,85%), globulina (2,10%) e fibrinogeno (0,5%): queste sostanze conferiscono al plasma la sua viscosità caratteristica. Esse esercitano una pressione osmotica di circa 380 mm. di acqua, trascurabile come valore assoluto di fronte alla pressione osmotica del plasma che è di 6,5 atmosfere, ma molto importante dal punto di vista funzionale, perché tali sostanze non possono diffondersi dal sangue negli spazî intercellulari dei tessuti, come si verifica per le altre sostanze disciolte nel plasma. Esse perciò determinano, per mezzo della loro pressione osmotica, un continuo richiamo di fluido dai tessuti al sangue, favorendo cosi la circolazione della linfa negli spazî interstiziali dei tessuti. Quando la concentrazione delle proteine del plasma scende tanto da aversi una riduzione del loro valore di pressione osmotica al disotto di 250 mm. di acqua, si manifesta quell'imbibizione dei tessuti che è detta edema (v.).

La concentrazione del cloruro sodico nel plasma è di circa 0,6%; esso da solo contribuisce per circa ⅔ a mantenere la pressione osmotica del sangue. Oscillazioni intorno a questo valore si possono avere nelle malattie renali gravi, per incapacità del rene a secernere le sostanze contenute in eccesso nel sangue. Interessante è la diminuzione del cloruro sodico dovuta a forte sudorazione da calore e da lavoro: si possono eliminare col sudore quantità notevoli di cloruro sodico, fino a 2-3 gr. all'ora, che non vengono compensate quando, per la sensazione di sete che interviene in seguito alla sudorazione, s'ingerisce acqua; se i cloruri del sangue, in seguito a questo meccanismo, scendono in concentrazione al disotto di un certo valore, compare una sintomatologia particolare, dominata essenzialmente da crampi muscolari (crampi dei minatori).

Per ciò che riguarda la composizione chimica del sangue e delle sue parti, si veda la tabella riportata a pag. 672, tratta da E. Abderhalden e riferentesi a sangue di cavallo.

Coagulazione del sangue. - Il sangue si mantiene fluido finché è nei vasi, ma subisce il processo della coagulazione quando esce dai vasi stessi. Il tempo di coagulazione, e cioè il tempo che intercorre fra il momento di uscita del sangue dal vaso e quello della sua trasformazione a massa solida gelatinosa, è normalmente di 5-10 minuti.

L'essenza del processo della coagulazione consiste nella trasformazione di una sostanza proteica contenuta nel plasma allo stato di soluzione, il fibrinogeno, in fibrina che è insolubile. La formazione della fibrina avviene in forma di una rete fittissima, che racchiude nelle sue maglie gli elementi corpuscolari e la rimanente parte liquida del plasma: non si tratta di una solidificazione del sangue in toto, poiché la massima parte del plasma rimane liquida; questa parte liquida però rimane immobilizzata nella trama della fibrina. Lasciato a sé, il coagulo si retrae, e se ne esprime un liquido detto siero: la retrazione del coagulo è l'espressione di una retrazione della fibrina: il siero è la parte rimasta liquida del plasma che viene spremuta fuori dalle maglie della fibrina quando questa si retrae. Il siero è dunque plasma privato del fibrinogeno.

La trasformazione del fibrinogeno in fibrina avviene sempre e soltanto sotto l'azione di un fermento detto trombina; questa non si trova nel sangue circolante, nel quale si trova invece una sostanza detta protrombina, inattiva di per sé, ma che si può trasformare in trombina in presenza di ioni calcio, e di una sostanza appartenente al gruppo dei fosfolipidi detta trombocinasi, che non si trova preformata nel sangue. Poiché sali di calcio e protrombina si trovano ordinariamente nel sangue, basta la formazione di trombocinasi per scatenare le reazioni chimiche che dànno luogo alla coagulazione del sangue. La trombocinasi proviene da disintegrazione delle piastrine del sangue, o in genere dai prodotti di distruzione delle cellule dei tessuti.

Nel sangue circolante si può anche dimostrare la presenza di un'antitrombina, la quale serve probabilmente a neutralizzare ogni traccia di trombina che può essere formata nel sangue, in seguito a distruzione degli elementi corpuscolari del sangue stesso. Una coagulazione del sangue nei vasi in vivo può avvenire soltanto nei casi di lesione dell'epitelio endovasale (flebiti, endocarditi, arteriti, di origine infettiva o traumatica), specialmente se accompagnati da rallentamento della circolazione.

La coagulazione del sangue può essere impedita con parecchi mezzi: a) raccogliendo il sangue in un recipiente a pareti paraffinate, che non ledono le piastrine che vi vengono a contatto; viene così impedita, o almeno notevolmente ritardata, la liberazione della trombocinasi; b) trattando il sangue con ossalato di potassio o con citrato sodico, che sottraggono il calcio dal sangue; viene così impedita la trasformazione della protrombina in trombina; c) trattando il sangue con alcune sostanze particolari, quali: 1. l'eparina, sostanza che s'estrae dal fegato, e che agisce presumibilmente combinandosi chimicamente con la protrombina, impedendo così che questa possa ulteriormente trasformarsi in trombina; 2. l'irudina, sostanza che s' ottiene dalle ghiandole salivari della sanguisuga, e che si suppone agisca neutralizzando l'azione della trombina già formata; 3. altre sostanze chimiche preparate sinteticamente, quali la novirudina e il liquoid, che agiscono secondo un meccanismo tuttora poco noto (questo gruppo di sostanze agisce sia in vitro sia in vivo); d) iniettando in un animale del peptone; questa sostanza ha effetto solo in vivo, e presumibilmente agisce provocando la formazione di quantità molto forti di antitrombina.

Un ritardo molto notevole nel tempo di coagulazione si ha nella cosiddetta emofilia, anomalia ereditaria trasmessa soltanto attraverso le femmine, le quali, a loro volta, non ne sono affette; essa pare sia dovuta essenzialmente a una particolare resistenza delle piastrine alla loro disintegrazione.

Il trasporto dell'ossigeno nel sangue. - Chimica dell'emoglobina. - L'emoglobina è la sostanza colorante del sangue: essa è un composto proteico appartenente al gruppo dei cromoproteidi: la sua molecola risulta elementarmente composta da un gruppo pigmentato detto ematina o eme, e da un gruppo proteico a natura basica, la globina. L'eme contiene nella propria molecola quattro gruppi pirrolici e un atomo di ferro; la sua formula bruta sarebbe C34H32N4O4FeOH. L'eme, combinandosi con una base azotata, forma un emocromogeno: si possono formare per sintesi quanti emocromogeni si vuole, e poiché la globina si può anche considerare una base azotata, così l'emoglobina è un emocromogeno. Chimicamente s'è potuto scindere la molecola emoglobinica in globina ed eme, come partendo da queste sostanze s'è potuto ottenere per sintesi l'emoglobina.

L'emoglobina nella sua forma più semplice ha un peso molecolare di 17.000: ordinariamente, e allo stato fresco, essa si comporta come se avesse un peso molecolare di 68.000, il che sta a indicare che nel sangue quattro molecole si uniscono per formare una particella sola. L'emoglobina si può ottenere anche cristallizzata, e la forma dei cristalli, come la facilità con cui questi si ottengono, varia a seconda della specie animale a cui appartiene l'emoglobina. Questa sostanza dunque è chimicamente differente nei varî animali: ma la differenza è soltanto a carico del componente globina della molecola e non del componente eme.

L'emoglobina ha proprietà leggermente acide nel sangue, ove si trova prevalentemente sotto forma di sali e cioè di emoglobinato potassico o sodico.

Combinazione con i gas. - La proprietà più importante dell'emoglobina è quella di combinarsi con i gas in maniera labile e reversibile: così, in presenza di ossigeno, essa si combina con questo gas a formare l'ossiemoglobina. La proporzione con cui l'ossigeno può così venire assorbito è di una molecola di ossigeno per atomo di ferro, ossia di 1,34 cc. di ossigeno per gr. di emoglobina. Per mezzo di questo meccanismo dovuto all'emoglobina, 100 cc. di sangue possono contenere circa 20 cc. di ossigeno: in assenza di emoglobina, l'ossigeno non si potrebbe trovare nel sangue che allo stato di semplice soluzione, e cioè nella quantità di 0,5 cc. per 100 cc. di sangue; questa quantità è di gran lunga inferiore alla quantità minima compatibile con la vita, anche in condizioni di massimo riposo. Mentre l'emoglobina è di colore rosso scuro, l'ossiemoglobina ha un colore rosso rutilante; perciò il sangue arterioso, in cui l'emoglobina è per il 98% circa in forma di ossiemoglobina, ha un colore più chiaro del sangue venoso, in cui l'ossiemoglobina non rappresenta che il 40-60% dell'emoglobina totale.

Oltre che con l'ossigeno, l'emoglobina si può legare con il monossido di carbonio a formare la carbossiemoglobina: questo legame avviene nello stesso punto della molecola in cui si lega l'ossigeno, e perciò l'emoglobina non si può legare ai due gas contemporaneamente, ma all'uno o all'altro. Per di più, l'emoglobina si lega 300 volte più facilmente con l'ossido di carbonio che con l'ossigeno: per es., se nell'aria che contiene il 20,9% di ossigeno si trova anche 1/300 + 20,9 = 0,07% di monossido di carbonio, metà dell'emoglobina del sangue si trasformerà in ossiemoglobina e metà in carbossiemoglobina; metà della quantità totale di emoglobina viene così bloccata dal monossido di carbonio, e non può più svolgere la sua funzione di trasportare ossigeno. La morte per avvelenamento da monossido di carbonio avviene appunto, secondo questo meccanismo, per asfissia dei tessuti, ai quali il sangue non può più apportare ossigeno in quantità sufficiente. La carbossiemoglobina si distingue dall'ossiemoglobina per la sua colorazione rosso-chiara tendente al cremisi.

L'emoglobina si può combinare ancora con l'idrogeno solforato a formare la solfoemoglobina (che si osserva negl'individui colpiti da asfissia delle fogne), con l'acido cianidrico a formare la cianemoglobina, con l'ossido nitrico, con l'acetilene, ecc.

L'emoglobina può inoltre formare con l'ossigeno un composto non labile, come l'ossiemoglobina, ma stabile, detto metemoglobina: questa si può produrre facendo agire sull'emoglobina agenti ossidanti energici, quali ozono, permanganato potassico, ferricianuro potassico, clorati, nitriti, nitrobenzene, ecc.; la metemoglobina si forma anche in seguito all'ingestione e assorbimento di tali sostanze.

Meccanismo del traporto dell'ossigeno. - La quantità di ossigeno che il sangue assorbe dipende dalla pressione parziale dell'ossigeno, secondo la cosiddetta "curva di dissociazione per l'ossigeno" rappresentata dalla fig. 1.

Il sangue venoso, proveniente dai tessuti, giunge ai polmoni, ove si mette in equilibrio con l'aria contenuta negli alveoli polmonari, la quale ha una pressione parziale di ossigeno di 110 mm. di mercurio: come si vede dalla fig. 1, il sangue si satura così di ossigeno e diventa sangue arterioso. Questo, nei capillari dei tessuti, che continuamente consumano ossigeno, trova una tensione molto bassa, da 10 a 50 mm., a seconda dello stato di attività del tessuto stesso: perciò, in tali condizioni, parte dell'ossigeno abbandona l'emoglobina per diffondersi nei tessuti, così che solo il 40-60% dell'emoglobina viene a trovarsi in forma di ossiemoglobina.

Diminuendo la pressione barometrica diminuisce anche la pressione parziale di ossigeno: per es., a 7000 m. s. m. la pressione parziale dell'ossigeno negli alveoli si riduce a 30-40 mm. La saturazione in ossigeno del sangue arterioso non può allora essere maggiore del 60-70%, e la disponibilità di ossigeno da parte dei tessuti è così ridotta che è appena sufficiente, in taluni casi, a mantenere l'organismo in vita, e soltanto a condizione che questo, col più assoluto riposo, riduca al minimo il consumo di ossigeno dei tessuti.

Il trasporto dell'anidride carbonica nel sangue. - L'anidride carbonica (biossido di carbonio, CO2) si forma nei tessuti come prodotto della combustione del carbonio contenuto negli alimenti. Essa si versa dai tessuti nel sangue in forma di acido carbonico (H2CO3), o meglio di sali di questo acido e cioè di bicarbonato, e viene sotto questa forma trasportata dal sangue ai polmoni: qui l'acido carbonicn deve trasformarsi in anidride carbonica, la quale sola, essendo gassosa, può essere eliminata per la via polmonare: questa trasformazione avviene per disidratazione dell'acido carbonico, secondo la reazione:

Questa reazione, molto lenta di per sé, viene grandemente accelerata da un fermento che si trova nel sangue e che è stato denominato, per la sua funzione, anidrasi carbonica.

La quantità di anidride carbonica che il sangue può assorbire varia con la tensione parziale dell'anidride carbonica, secondo la curva rappresentata nella figura 2, detta "curva di assorbimento per il CO2".

Negli alveoli polmonari giunge continuamente anidride carbonica dai tessuti, e continuamente se ne elimina con i movimenti respiratorî, in misura tale che la tensione di CO2 negli alveoli è normalmente di 40 mm.: il sangue arterioso è perciò in equilibrio con 40 mm. di anidride carbonica.

Come si vede dalla curva della fig: 2, il contenuto di anidride carbonica del sangue varia con la tensione del CO2 e non si giunge mai, come nella curva di assorbimento per l'ossigeno, a un valore di tensione oltre il quale il contenuto in anidride carbonica non varia più. Per avere un concetto della capacità che ha un determinato campione di sangue a fissare anidride carbonica, si assume il valore della quantità totale in cmc. di anidride carbonica che 100 cmc. di sangue sono capaci di fissare quando la tensione dell'anidride carbonica è di 40 mm. di mercurio: questo valore si dice riserva alcalina.

Dell'anidride carbonica totale del sangue arterioso (circa 50 cmc. per 100 cmc. di sangue) la massima parte è sotto forma di bicarbonato (44,8 cmc.), una piccola parte è combinata eon l'emoglobina (3,2 cmc.) e una parte ancor minore è sotto forma di anidride carbonica vera e propria (2,5 cmc.). Quest'ultima quota è fisiologicamente molto importante, perché costituisce uno degli stimoli alla respirazione.

Potere regolatore della reazione del sangue. - Per quanto l'acido carbonico sia di natura notevolmente acida, esso non rende sensibilmente più acido il sangue, quando in questo esso viene versato dai tessuti, né notevolmente più alcalino quando abbandona il sangue diffondendosi, in forma di anidride carbonica, nei polmoni. Ciò è dovuto a un meccanismo multiplo: a) l'acido carbonico, quando si versa nel sangue, reagisce con i proteinati alcalini a formare bicarbonato alcalino e proteine acide: queste ultime sono acidi così deboli che non aumentano che di pochissimo l'acidità del sangue; b) l'ossiemoglobina ha proprietà più acide che l'emoglobina ridotta, e quindi la perdita di ossigeno da parte dell'emoglobina porta a un'alcalinizzazione: questo fenomeno si verifica appunto nei capillari dei tessuti ove si versa l'acido carbonico, e compensa in massima parte l'aumento di acidità che questo acido comporterebbe; c) una piccola parte dell'acido carbonico non si trova nel sangue in forma di bicarbonato, ma legato con l'emoglobina in un composto complesso nel quale l'acido carbonico perde in parte le sue proprietà acide; d) quando un eccesso di acido carbonico si viene a trovare nel sangue, esso stimola i centri respiratori e provoca così un aumento di ventilazione polmonare, e con esso un aumento dell'eliminazione dell'acido carbonico.

Di questi quattro meccanismi atti a regolare la reazione del sangue, a) e c) sono esclusivi per l'acido carbonico, mentre b) e d) valgono anche per qualsiasi altro acido che si versi nel sangue. Nei due ultimi casi la regolazione della reazione del sangue non avviene più per un meccanismo puramente chimico, ma essenzialmente fisiologico: se, p. es., si versa acido lattico nel sangue, come avviene nel lavoro muscolare molto intenso, oppure se, come avviene nell'acidosi, si versano nel sangue prodotti acidi provenienti dalla combustione dei grassi, questi acidi si legano con gli alcali dei bicarbonati alcalini, e l'acido carbonico, che rimane libero, viene eliminato dai polmoni come anidride carbonica: è facile comprendere come in tale caso diminuisca la riserva alcalina del sangue, mentre la reazione non varia affatto o varia pochissimo, eccetto che nei casi estremi.

Il versamento di acidi nel sangue si dice acidosi: se esso è bene compensato dai meccanismi chimici e fisiologici suddetti, in modo da non aversi una variazione della reazione del sangue, si parla di acidosi compensata. Abbiamo poi un'acidosi respiratoria che non è dovuta a versamento di acidi fissi nel sangue, ma è dovuta a diminuita attività respiratoria, che comporta una diminuita eliminazione di CO2 e conseguentemente un aumento dell'acido carbonico del sangue: in questo caso è aumentata l'acidità del sangue (aumento della concentrazione in idrogenioni), mentre la riserva alcalina mantiene valori normali.

Una diminuzione dell'acidità del sangue si dice alcalosi. Analogamente a quanto si verifica per l'acidosi, l'alcalosi può essere dovuta a un aumento degli alcali del sangue, e questo può o no, essere compensato da una ritenzione di acidi, particolarmente di acido carbonico: possiamo avere l'alcalosi respiratoria, che si verifica in seguito ad aumento della ventilazione polmonare e che risulta non da aumento assoluto degli alcali del sangue, ma da un aumento relativo, conseguente alla diminuzione di acido carbonico del sangue dovuta all'iperventilazione.

V. tav. a colori.

Malattie del sangue.

Sistematica generale. - Le malattie proprie del sangue costituiscono un gruppo di forme morbose dovute in parte a cause note e in parte a cause ignote. Le malattie del sangue sono in realtà forme morbose svariate, in cui l'espressione patologica dominante è una sindrome di alterata morfologia ematologica. Le sindromi ematologiche si possono quindi definire come caratterizzate da una deviazione profonda di uno o di più caratteri morfologici del sangue circolante, la quale trova la sua origine primitiva in una deviazione delle funzioni citopoietiche corrispondenti dei tessuti ematopoietici. Dal punto di vista etiologico si distinguono emopatie secondarie ed emopatie essenziali. Nelle emopatie secondarie la sindrome ematica è un quadro episodico di un complesso morboso che, nel suo predominio clinico e anatomo-patologico, appartiene a malattie estranee al sangue e ai suoi organi formatori (anemia da clorosi; a. malariche; a. da anchilostomiasi, angina monocitica, reazioni leucemoidi). Le emopatie essenziali sono invece le forme che colpiscono, a quanto è noto, primitivamente il sangue e gli organi ematopoietici, provocandone più o meno gravi modificazioni. Le emopatie essenziali si distinguono in emopatie generalizzate o sistematiche ed emopatie localizzate. Nelle emopatie sistematiche l'alterazione, a quanto è noto, non ha il suo inizio sotto forma di un focolaio, che vada successivamente estendendosi per contiguità o per via vasale o linfatica; ma interessa tutti gli elementi del tessuto ematico nel loro complesso, in modo più o meno grave o più o meno diffuso, con alterazioni più o meno manifeste (tale è il comportamento dell'anemia perniciosa, delle leucemie, ecc.). Le malattie sistematiche possono interessare gli organi ematopoietici, sia nella parte parenchimale, sia nella parte stromatica (esempio: leucemie, morbo di Hodgkin). Le forme emopatiche essenziali hanno in comune il fatto che l'agente patogeno agisce modificando l'orientamento citoevolutivo dell'emoistioblasto. Le emopatie localizzate comprendono quei processi che, per il caratteristico reperto anatomo-patologico, sono chiamati granulomatosi e che in parte sono dovuti ad agenti noti (tubercolosi, sifilide), e in parte sono criptogenetici.

Il sangue come sistema comprende, oltre al sangue circolante, anche il tessuto eritrocitario, il tessuto linfocitario, il tessuto granulocitico e il tessuto piastrinopoietico; le emopatie possono interessare uno di , tali sistemi o due o tutti i sistemi (esempî di forme che interessano un solo sistema: l'anemia perniciosa e la leucemia; che interessano due sistemi: eritroleucemie; che interessano tutti i sistemi: anemia aplastica). Schematicamente le malattie del sangue possono venire quindi riassunte nel quadro seguente:

Nelle malattie tanto parenchimali quanto stromatiche o istioidi, il processo anatomico è sempre dato da una particolare condizione dell'attività riproduttiva e citoformativa della cellula a tipo embrionale presente nei tessuti emopoietici e nei tessuti connettivi. I processi parenchimali e istioidi sono l'esponente di particolari orientamenti dell'emoistioblasto.

Sindromi ematologiche generali. - Sono date essenzialmente da modificazioni quantitative e qualitative, possono interessare i globuli rossi o invece i globuli bianchi. Comunemente si distinguono le anemie e le eritremie, le leucocitosi, le leucopenie e le leucemie, le piastrinosi e le piastrinopenie.

Anemia. - È la diminuzione della quantità del sangue, specie del pigmento di esso; può essere dovuta a diminuzione dei globuli rossi (oligocitemie) o del tasso emoglobinico degli eritrociti (oligocromemia); per lo più si associano i due fattori, salvo nella cloremia, dov'è prevalentemente diminuito il tasso emoglobinico degli eritrociti (ipocromia), e nell'anemia perniciosa, dove questo è invece aumentato (ipercromia). Le cause che provocano oligocitemia sono numerose e svariate (parassiti, intossicazioni, emorragie, ecc.) e si possono riportare a due meccanismi diversi: aumentata distruzione dei globuli rossi, diminuita produzione di essi con un conseguente disturbo dell'equilibrio fra tali fattori. ll fattore distruttivo è essenzialmente sintomatico, emocitico, periferico, il fattore citoformativo è centrale, organico e mieloide. Spesso i due fattori sono associati (v. anemia).

Eritrocitosi. - Sono stati ematici essenzialmente opposti agli stati anemici, sono caraterizzati da aumento degli eritrociti e dell'emoglobina. Si possono distinguere policitemie vere e policitemie false, quando per un'eccessiva perdita o per insufficiente assorbimento di acqua si verifichi un'inspissatio sanguinis (stenosi esofagea, colera, diarrea, ecc.) o quando si verifichi un'ineguale distribuzione dei globuli rossi (eritremia delle altitudini). In questi casi vengono facilmente raggiunti 7-10 milioni di eritrociti per mmc. di sangue; come cifre massime si possono raggiungere 13-14 milioni. Nelle policitemie vere si ha anche una pletora vera e la quantità di globuli e di emoglobina è aumentata. Oltre alle modificazioni quantitative si hanno pure modificazioni qualitative con comparsa di scarsi elementi giovani o immaturi della serie eritrocitaria e leucocitaria. Le eritrocitosi possono essere distinte in: a) eritrocitosi delle altitudini; b) eritrocitosi delle malattie di cuore; c) eritrocitosi degli stati di dispnea; d) eritrocitosi tossiche e medicamentose; e) eritrocitosi da splenopatie.

Eritremie. - Sono stati morbosi caratterizzati da iperattività eritrocitoformativa del midollo, con aumento degli eritrociti del sangue circolante e con comparsa in esso di numerose forme immature della serie rossa e di forme indifferenziate.

Leucocitosi, leucopenie, leucemie. - Si definisce come leucocitosi (v.) l'aumento dei leucociti, sia in toto sia in alcune singole specie; come leucopenia la loro diminuzione; si definiscono come leucemie aumenti considerevoli dei leucociti con modificazione della formula leucocitaria per comparsa di cellule leucocitarie immature, che normalmente si trovano solo nei tessuti ematopoietici. La leucocitosi e le leucemie si distinguono non per le modificazioni numeriche, ma per la qualità degli elementi cellulari. Ma nelle leucemie possono venire raggiunti numeri molto considerevoli, ciò che non si verifica abitualmente per le luecocitosi; praticamente quantità di leucociti superiori a 20-30-50.000 per mmc. di sangue sono per lo più di natura leucemica. Sostanzialmente simili alle leucemie sono le cosiddette pseudoleucemie, che sono stati emopatici nei quali si trovano nel sangue circolante cellule leucocitarie immature, senza che coesista, come nelle leucemie, aumento delle cellule bianche del sangue; sono leucemie leucopeniche.

Leucocitosi. - Si distinguono leucocitosi fisiologiche da leucocitosi patologiche. Le prime sono aumenti dei leucociti che si osservano nelle varie manilestazione della vita fisiologica e si distinguno in: a) leucocitosi dei neonati e dell'infanzia; b) leucocitosi gravidica; c) leucocitosi digestiva; d) leucocitosi da esercizio muscolare e da cause termiche.

Le leucocitosi patologiche, vera espressione di condizioni patologiche dell'organismo, sono: a) la leucocitosi postemorragica; b) la leucocitosi da malattie infettive; c) la leucocitosi da intossicazioni; d) la leucocitosi da tumori maligni e da cachessia; e) la leucocitosi agonica.

Ma le leucocitosi, oltre che con criterio etiologico, vanno considerate con criterio morfologico e si distinguono in: a) leucocitosi neutrofila; b) linfocitosi; c) l. eosinofila; d) monocitosi; e) mastleucocitosi.

Leucopenia. - La leucopenia può essere espressione di diverse cause meccaniche che agiscono sulla distribuzione dei globuli bianchi, come può essere espressione di un'aumentata leucocateresi; in malattie infettive, può essere dovuta a una ridotta formazione (leucopenia aplastica) o a un deficiente afflusso in circolo per deficiente chemiotassi.

Leucemie e pseudoleucemie. - Sono alterazioni ematiche provocate da malattie primitive protopatiche dei tessuti ematopoietici, sia parenchimali (emocitoblastici) sia connettivali (emoistioblastici). Tali malattie del tessuto emopoietico possono anche non essere accompagnate da uno stato di leucocitosi del sangue circolante: vengono allora chiamate pseudoleucemie. In questi stati passano nel sangue circolante le cellule immature delle serie leucocitiche già menzionate e anche cellule indifferenziate, sia parenchimali sia mesenchimali, con i derivati di tipo granulocitico e linfocitico di queste ultime, sempre riconoscibili per i caratteri morfologici come cellule istioidi. Le leucemie si presentano quindi come processi morbosi anatomicamente caratterizzati da iperplasia di elementi ematopoietici parenchimali e da iperplasia a carattere ematopoietico di elementi connettivali. Le leucemie sono distinte secondo il tipo delle cellule patologicamente dominanti, secondo la durata e il tipo della malattia; si distinguono comunemente: leucemia linfocitica acuta e cronica; leucemia granulocitica acuta e cronica; leucemia monocitica acuta e cronica; leucemia emocitoblastica.

Piastrinosi e piastrinoemie. - La piastrinosi è caratterizzata da aumenti delle piastrine del sangue; si osserva in molte emopatie essenziali e sintomatiche (leucemie, granuloma maligno, malaria, anemie postemorragiche), nei processi infettivi acuti, durante la convalescenza. Le piastrine sono invece diminuite nelle leucemie linfatiche, nell'anemia perniciosa, nelle anemie aplastiche, nell'acme delle malattie infettive.

Principali malattie del sangue. - Alcune delle forme morbose ematologiche indicate da un punto di vista generale e patogenetico presentano per la loro diffusione o per le loro caratteristiche cliniche ed ematologiche un interesse particolare: è così opportuno un'esposizione più completa dai caratteri principali di esse.

Anemie perniciose. - Malattia di Biermer, forme morbose gravi, criptogenetiche o apparentemente note nei fattori etiologici (anemia perniciosa da botriocefalo, anemia perniciosa da anchilostoma). Clinicamente: inizio insidioso e progressivo, astenia, pallore, disturbi digestivi, splenomegalia modica costante, linfoghiandole normali, febbre non costante. Ematologicamente: anemia spiccata, con presenza di megaloblasti e megalociti, indice globulare superiore al normale (anemia ipercromica), emolisi aumentata, leucopenia e piastrinopenia, eritropoiesi a carattere embrionale; eritrociti 1-2 milioni o meno; emoglobina diminuita; anisocitosi, poichilocitosi. Spesso la formula leucocitaria è modificata da reazione mieloide. Coagulazione normale, retrattilità del coagulo diminuita. Forme cliniche diverse: forme febbrili (febbre continua o intermittente), forme itteriche; forme emorragiche (manifestazioni porporoidi). Terapia sintomatica generale: ferro, arsenicali, opoterapia (sieri ematopoietici, prodotti midollari), terapia epatica (ingestione di 200 gr. di fegato), opoterapia gastrica; trasfusione di sangue.

Eritremie. - Poliglobulia essenziale, etiologia ignota. Inizio insidioso e progressivo, splenomegalia progressiva e costante. Evoluzione lenta (5-6 anni) con remissioni e recrudescenza. Morte per cachessia o insufficienza cardiaca o emorragie viscerali. Ematologicamente, aumento spiccato dei globuli rossi da 6 a 13 milioni. Eritrociti normali, non anisocitosi, resistenza globulare normale, emoglobina 120-150%. Valore globulare diminuito. Leucocitosi lieve 15.000-20.000. Lieve reazione mieloide. Piastrine aumentate. Il volume del sangue circolante è aumentato. Terapia: benzolo, salassi, radioterapia.

Leucemia linfocitica cronica. - Non molto frequente; inizio insidioso. Poliadenopatia spiccata progressiva per lo più superficiale e profonda; epatoplenomegalia. Tardivamente: anemia, astenia, cachessia. Manca la febbre e la diatesi emorragica. Ematologicamente, aumento dei leucociti 1100.000-250.000), presenza nel sangue in grande quantità di forme immature della serie linfocitica (60-90% dei leucociti): prolinfociti e linfoblasti, scarsi gli emocitoblasti; sopravvivenza terapeutica da due a quattro anni.

Leucemia linfocitica acuta. - In confronto della forma cronica prevalgono i linfoblasti e sono più abbondanti gli emocitoblasti. Clinicamente: decorso e sintomatologia simili per lo più a quelli della leucemia emocitoblastica.

Leucemia granulocitica cronica. - È la più frequente delle leucemie. Inizio insidioso, splenomegalia progressiva, molto considerevole, dolori ossei incostanti. Lieve epatomegalia. Mancano generalmente adenopatie. Ematologicamente è caratterizzata da una multiforme sindrome ematica con presenza di numerosissime cellule granulocitiche mature, nonché tipiche forme immature della serie granulocitica: mieloblasti, promielociti, mielociti, metamielociti. Sono presenti in quantità variabile, dal 2-7%, emocitoblasti. Si osservano pure: cellule di Rieder, cellule di Türk ed emoistioblasti con i loro derivati granulociti e inoltre aumento delle piastrine. L'evoluzione è lenta e la morte si ha per cachessia o infezioni intercorrenti; la sopravvivenza terapeutica è da tre a quattro anni.

Leucemia granulocitica acuta. - Clinicamente e per il decorso presenta profonda analogia con la leucemia emocitoblastica; ematologicamente è caratterizzata da un numero considerevole di emocitoblasti, da forme più o meno numerose imnature e indifferenziate della serie granulocitica. Si riscontrano pure cellule di Rieder e di Türk.

Leucemia acuta emocitoblastica. - Spesso è preceduta da uno stato proleucemico (astenia, anemia, leucemia cronica). Inizio rapido, sintomatologia generale di forma settica grave (emorragica). Febbre elevata oscillante, irregolare, gengivite, emorragie, amigdalite, adenite cervicale infiammatoria secondaria. Emorragie nasali, gengivali, petecchie, splenomegalia modica, epatomegalia incostante. Ematologicamente è caratterizzata dalla prevalenza quasi assoluta di emocitoblasti di dimensioni normali oppure più piccoli del normale (leucemia microemocitoblastica). Si possono riscontrare anche scarsi polimorfonucleati neutrofili, qualche monocito, quasi mai mastleucociti ed eosinofili.

Leucemia monocitica acuta e cronica. - Caratterizzata dalla prevalenza di monociti e di monoblasti; si osservano pure emocitoblasti ed emoistioblasti, cellule di Rieder e di Türk; è forma rara.

In tutti questi quadri leucemici i globuli rossi presentano modificazioni numeriche e qualitative, più accentuate nelle forme granulocitiche che nelle forme linfoidi. Si osservano eritrociti policromatici con corpi di Cabot e di Jolly, non mancano quasi mai eritroblasti ortocromatici e policromatici e proeritroblasti nucleati. A tutte queste forme di leucemia corrispondono forme caratterizzate dalla mancanza di un aumento considerevole dei leucociti e dalla presenza nel sangue circolante di forme immature delle serie di leucociti corrispondenti: sono chiamate pseudoleucemie rispettivamente linfocitica, granulocitica, monocitica, possono avere decorso più o meno prolungato, talvolta acuto. Per le caratteristiche cliniche non differiscono dalle forme corrispondenti con aumento considerevole dei leucociti.

La terapia delle leucemie consiste in leucocateretici (benzolo), röntgenterapia, trasfusione di sangue.

Mielosi globale aplastica, detta anche anemia aplastica, panmielotisi, atrofia midollare progressiva, criptogenetica. Inizio più o meno rapido, spesso preceduto da altre forme emopatiche (anemie secondarie ed essenziali, leucemie). Clinicamente, pallore, astenia, temperatura normale, fegato, milza e ghiandole linfatiche non ingrossati. Stato di anemia gravissima. Morte rapida (5-6 mesi), decorso talvolta relativamente prolungato (fino a 6-10 mesi). Ematologicamente: ipoglobulia massiva, progressiva, più o meno rapida (i globuli rossi possono raggiungere 300.000). L'emoglobina è ridotta corrispondentemente a un valore globulare normale o lievemente ridotto. Eritrociti normali, resistenza globulare normale. Scarsi o assenti i globuli rossi con reazione granulo-filamentosa. Leucopenia (1500 e anche 600, 200 e anche meno; la formula dimostra una forte riduzione dei granulociti). Piastrinopenia (60.000-3000, talvolta assenti). Le terapie tentate finora non dànno vantaggi.

Emopatie istioidi sistematiche. - Sono malattie caratterizzate da lesioni a carico degli elementi reticolo-endoteliali (emoistioblasti) dello stroma dei diversi organi. Comprendono diverse forme morbose che si possono dividere in reticolo-endoteliosi e granulomatosi. Le reticolo-endoteliosi sono caratterizzate da iperplasia degli elementi reticolo-endoteliali con variazioni quantitative e qualitative del sangue periferico. Forme tipiche di questo gruppo sarebbero le leucemie monocitiche, che per diversi autori non sono malattie degli elementi parenchimali degli organi ematopoietici, ma dell'elemento indifferenziato reticolo-endoteliale e vengono considerate reticolo-endoteliosi leucemiche. I granulomi sono dati da iperplasia a carattere flogistico e produttivo dei tessuti di sostegno stromatici; oltre alle forme a etiologia nota, localizzate o diffuse (granuloma tubercolare sifilitico, actinomicotico, lebbroso, ecc.) comprendono la forma seguente a etiologia sconosciuta.

Linfogranuloma maligno (malattia di Hodgkin). - Malattia relativamente frequente. Si manifesta subdolamente, evolve per molto tempo come una malattia infettiva; termina, analogamente a una neoplasia, per generalizzazione e cachessia. È carattenzzata da un'iperplasia sistematica dello stroma dei diversi organi, specialmente dei ganglî linfatici e della milza. Secondariamente provoca reazioni ematiche diverse secondo gli organi interessati. Anatomicamente è caratterizzata da noduli biancastri, numerosi negli organi colpiti, dove, fra altre alterazioni e lesioni vascolari, dominano le cellule di Sternberg, cellule voluminose polinucleate. Clinicamente la malattia si manifesta con astenia, febbre irregolare, adeniti superficiali o profonde progressive, sintomi viscerali variabili. Le adenopatie esterne rappresentano il sintoma clinico fondamentale; sono per lo più cervicali (sopraclaveari, sottomascellari, carotidee, ecc.), hanno dimensioni svariatissime, sono bilaterali o monolaterali, mobili sotto la cute, non suppurano (mediastiniche, addominali, ecc.), coesistono con le superficiali e si traducono con sintomi svariati a carico degli organi compromessi (sintomi di soffocazione, diarrea, ecc.). La splenomegalia è abituale e modica, l'epatomegalia è rara. La febbre è costante e molto variabile (spesso a carattere ondulante). Sintoma frequente: il prurito cutaneo, spesso intenso e generalizzato.

Forme cliniche: forme subacute (morte in un anno al massimo); forme acute (morte in pochi mesi); forme mediastiniche (tumefazioni ghiandolari talora enormi, visibili radiologicamente, disturbi da congestione); forme pleuriche (versamenti pleurici fibrinosi ricchi di eosinofili); forme splenomegaliche (splenomegalie molto considerevoli); gastriche (quadro dell'ulcera, del tumore); epatomegaliche (talvolta ascite e ittero); forme addominali gangliari (quadro sintomatico della neoplasia o della tubercolosi addominale, diarree, disturbi da compressione); forme cutanee (polimorfe, eritrodermiche, nodulari); forma ossea (tumefazioni ossee primitive o secondarie con quadri nevralgici, paralisi, neuriti, ecc.).

Ematologicamente: anemia lieve, spesso tardiva, leucocitosi o lieve leucopenia. Eosinofilia relativa. Evoluzione per lo più cronica a poussées gangliari e febbrili. Morte in 15-18 mesi per cachessia. Con terapia adatta (irradiazione delle masse gangliari) sopravvivenza fino a 5 anni.

Bibl.: Trattati: E. Grawitz, Klinische Pathologie des Blutes, 4ª ed., Lipsia 1911; A. Pappenheim, Grundriss der haematologischen Diagnostik und praktischen Blutuntersuchung, Lipsia 1911; A. Ferrata, Morfologia del sangue normale e patologico, Milano 1912; J. Jolly, Traité technique d'hématologie, Parigi 1923; A. Maximow, Bindegewebe und blutbildendes Gewebe, in W. v. Möllendorff, Handb. d. mikr. Anat. des Menschen, Berlino 1926; Ch. Aubertin, M. Monquin, A. Clerc, P. E. Weil, L. Kindberg, Affection du sang er des organes hématopoïetiques, in H. Roger, F. Widal, P. J. Teissier, Nouveau Traité de Méd., IX, Parigi 1927; O. Naegeli, Blutkrankheiten und Blutdiagnostik, 4ª ed., Berlino 1931; A. Schittenhelm, Krankheiten des Blutes und der blutbildenden Gewebe, in Lehrb. d. inn. Med., II, ivi 1931; H. Hirschfeld e A. Hitmeier, Handbuch der algemeinen Haematologie, Berlino e Vienna 1932; A. Ferrata, Le emopatie, 2ª ed., voll. 4, Milano 1932-35; P. Introzzi, Appunti di ematologia, Pavia 1932; Ch. Laubry, Maladies du sang et des organes hématopoïetiques, in E. D. Enriques, A. Lafitte, Ch. Laubry, Cl. Vincent, Nouveau Traité de pathologie interne, Parigi 1933.

Periodici: Folia Haematologica, intern. Magazin für klinische und morphologische Blutforschung (A. Pappenheim, O. Naegeli, H. Hirschfeld, H. Downey, Lipsia dal 1903); Archives des maladies du cøur, des vaisseaux et du sang (H. Vaquez, Parigi dal 1906); Haematologica (A. Ferrata, Pavia dal 1920); Archivos de cardiología y hematología (G. Pittaluga, L. Calandre, Madrid 1920); Le Sang, biologie et pathologie (P. E. Weil, N. Fiessinger, J. Roskam, P. Chevallier, Parigi dal 1927).

Trasfusione del sangue.

È l'operazione mediante la quale viene introdotto a scopo terapeutico, attraverso le vene, nel sistema circolatorio di un individuo (ricevitore) una certa quantità di sangue prelevata da altro individuo (donatore). In rari casi particolari (quando non abbia subito alterazioni chimiche o contaminazioni settiche) il sangue stravasato per emorragia nelle cavità del corpo (emoperitoneo, emotorace) viene reiniettato nel circolo dello stesso individuo e allora si parla di reinfusione.

Accenni vaghi, quasi leggendarî, di questa pratica si ritrovano in papiri egiziani, in scritti ebraici e nella letteratura romana della decadenza (ne riferiscono particolarmente E. Weil con P. Isch-Wall, E. Morselli, A. Simili); ma si comprende come la trasfusiorie non si potesse affermare che dopo la scoperta della circolazione del sangue. Secondo A. Castiglioni, non si può parlare di una storia vera della trasfusione prima del sec. XVII; Giovanni Colle da Belluno è il primo del quale si abbia sicura notizia avere praticato nell'uomo la trasfusione, da lui accuratamente descritta nel Methodus facile procurandi tuta et nova medicamenta, pubblicato nel 1628. Pertanto non ha fondamento il vanto che s'attribuisce Francesco Folli, nato a Poppi nel 1624, nella sua Stadera medica, d'avere praticato per primo nel 1654 la trasfusione del sangue in presenza di Ferdinando II di Toscana. Escogitò un particolare strumentario: un tubo d'argento per la vena del donatore, un tubo d'osso per la vena del ricevitore congiunti da una cannula fatta con un vaso sanguigno opportunamente preparato di un animale. Ma in ogni modo ebbe il merito di vaticinare che la trasfusione del sangue "avrà ad essere facile e sicura come l'innesto della vite". Seguendo il Folli (come racconta F. Fieschi nella continuazione della storia della medicina di K. Sprengel, 1840-46), Geminiano Montanari nel 1667 fece una trasfusione di sangue da un agnello a un altro in presenza del principe Leopoldo di Toscana. Da allora cominciò a diffondersi in Italia la pratica della trasfusione (Guglielmo Riva, Paolo Manfredi, ecc.) che fece parte della cosiddetta cerusia infusoria o chirurgia clysmatica o enematica nova, che tanto appassionò i dibattiti scientifici del tempo. In Inghilterra Richard Lower (1631-1691) nel 1666 aveva praticato la trasfusione da animale ad animale e nel 1667, insieme con E. King, la trasfusione nell'uomo. Nel 1667 fu praticata a Parigi da Jean-Baptiste Denis, medico di Luigi XIV. Ma l'ignoranza dei metodi dell'antisepsi, l'insufficienza dei mezzi tecnici per il trasporto del sangue dal donatore al ricevitore, la mancanza di cognizioni sui fenomeni d'incompatibilità tra il sangue anche d'individui della stessa specie, furono causa di tali disastri terapeutici che la trasfusione del sangue, proibita con un atto del parlamento francese e con una bolla papale, per più di un secolo cadde in disuso.

La nuova era della trasfusione poggiata su basi scientifiche si apre con le classiche ricerche sull'emorragia di G. Hayem, Ch.-E. Brown-Séquard, ece. (1860-1862), alle quali seguirono le nuove tecniche della sutura vasale artero-venosa o veno-venosa (A. Carrel, 1902); del trasporto del sangue con raccordi a cannula (G. Wrile, 1906); mentre gli studî di L. Sabbatani sull'azione stabilizzante, anticoagulante del citrato di sodio sul sangue ne rendeva più facile il trasporto da un soggetto all'altro; e finalmente la scoperta delle isoagglutinine e delle isolisine (K. Landsteiner) permetteva di giungere alla determinazione dei gruppi sanguigni (L. Lattes) prevedendo i fenomeni d'incompatibilità e dando pertanto alla trasfusione un carattere assolutamente razionale. Lo strumentario moderno s'è arricchito di numerosi modelli di facile manovra rivestiti o costruiti con sostanze che ritardano la coagulazione (vasellina, paraffina; atrombit), i quali permettono di trasfondere sangue genuino ovviando anche ai possibili inconvenienti del sangue citratato e rendendo impossibile qualunque contaminazione batterica nell'atto della trasfusione. Il primo congresso internazionale della trasfusione del sangue è stato tenuto a Roma dal 26 al 29 settembre 1935.

Il complesso argomento della trasfusione, nelle sue premesse biologiche, nei particolari di tecnica, nella discussione delle indicazioni pratiche è stato recentemente bene riassunto da A. M. Dogliotti. Limitandoci qui ai cenni più generali, ricorderemo che l'azione biologica della trasfusione si può esplicare in vario modo: con la sostituzione integrale del sangue alla quantità perduta per emorragia acuta: con l'aggiunta di sangue normale a un sangue povero di elementi cellulari e umorali nelle molteplici forme di anemia sintomatica o essenziale; con l'azione opoterpica per stimolazione diretta dell'eritropoiesi, bene dimostrabile nelle forme suddette; con la spiccata azione anticoagulante nelle diatesi emorragiche; con il durevole ristabilirsi della pressione arteriosa in confronto all'effetto transitorio che s'ottiene a questo riguardo con la fleboclisi; con l'eventuale azione antibatterica (particolarmente sostenuta quest'ultima dal Dogliotti). Nella trasfusione hanno massima importanza i globuli rossi trasfusi, in quanto appunto alla loro deficienza si deve la diminuzione del ricambio gassoso nei tessuti e la conseguente modificazione dell'equilibrio acido-base del plasma. La tecnica moderna con particolari metodi di agglutinazione dimostra che i globuli rossi del donatore possono sopravvivere fino a 40-60 giorni dopo la trasfusione. Pertanto le indicazioni alla trasfusione sono molteplici e possono riassumersi così (Dogliotti): anemie postemorragiche, anemie acute e croniche sintomatiche, anemie criptogenetiche, affezioni emorragiche, anemie e tossicosi gravidiche, anemie dell'infanzia, malattie infettive, indicazioni preoperatorie, shock postoperatorio e traumatico.

Premesse sierologiche della trasfusione del sangue; incompatibilità trasfusionali. - Prescindendo dalle manualità tecniche necessarie per assicurare la trasfusione di un sangue fluido e intatto (v. sotto), è necessario considerare la qualità del sangue da prescegliersi.

Non tutti i "donatori" convengono a ogni singolo "ricettore". L'antica medicina, fidandosi delle sole esterne apparenze (colore, struttura, densità, viscosità) aveva creduto di risolvere semplicisticamente il problema, ricorrendo al sangue di animali. Malgrado certi apparenti successi, è risultato che il sangue animale introdotto nelle vene dell'uomo si dimostra oggetto estraneo, fondamentalmente incompatibile. La biochimica immunitaria chiarisce le sostanziali differenze costitutive, per cui il sangue eterologo è con tutti i mezzi respinto dall'ospite, flocculato, digerito fino alla sua espulsione definitiva. Se il sangue è poco, la sua distruzione è possibile, con una più o meno grave scossa dell'organismo dell'ospite; se è molto, anziché giovare danneggia e uccide. Solamente il sangue umano si presta a essere trasfuso nell'uomo. Peraltro anche nell'ambito della specie umana esistono eterogeneità, le quali possono diventare causa d'incompatibilità gravissime, talvolta letali. Lo studio biochimico immunologico approfondito rivela che ogni uomo possiede caratteristiche personali inconfondibili nella composizione delle sue cellule e dei suoi umori, tantoché anche fra madre e figlio può sussistere la più radicale eterogeneità. Le più spiccate fra esse fanno capo ai cosiddetti quattro gruppi sanguigni (v. ematologia: Ematologia forense). Questi sono caratterizzati dalla presenza o assenza negli elementi sanguigni di antigeni ereditarî (A oppure B) e dei relativi anticorpi nel plasma. L'esperienza dimostra (R. Ottenberg) che la compatibilità trasfusionale non richiede l'identità del gruppo sanguigno; basta che il plasma del ricettore non contenga anticorpi attivi sui globuli del donatore. Seguendo questa norma si è qualificato come ricettore universale l'individuo del gruppo ABo il cui plasma non contiene anticorpi; e donatore universale quello del gruppo Oαβ i cui globuli non contengono antigene A né B. Tali sangui possono essere introdotti in qualsiasi ricettore, il che li rende preziosi per le trasfusioni d'urgenza. Gl'individui dei gruppi A e B sono in condizioni intermedie, poiché oltre al sangue O possono ricevere soltanto sangue del loro medesimo gruppo. È attualmente norma inderogabile che si debba mediante esami preventivi accertare a quale gruppo sanguigno appartiene il donatore preconizzato e, possibilmente, anche il ricettore; dal risultato dell'esame si stabilisce la loro compatibilità, com'è indicato dal classico schema qui riprodotto. Tali esami e la conseguente scelta possono essere praticati estemporaneamente al momento del bisogno; ma non sempre l'esame del gruppo sanguigno è possibile lì per lì, e meno ancora le ricerche dirette all'esclusione delle malattie trasmissibili col sangue, quali la sifilide e la malaria. Il fornitore estemporaneo può far correre gravi rischi nelle trasfusioni d'urgenza, anche quando si tratta di uno stretto congiunto. In linea pratica si è perciò dimostrata estremamente opportuna l'organizzazione dei servizî trasfusionali. Essa si è realizzata in varî paesi, e in Italia principalmente mediante l'Associazione volontarî del sangue (AVIS) con sede a Milano e sezioni nelle principali città. Tali servizî sono destinati a recare nel minor tempo possibile presso l'infermo uno o più fornitori preventivamente esaminati e riconosciuti idonei sotto il punto di vista del gruppo sanguigno e dello stato generale di salute. È naturalmente il gruppo O, donatore universale, il più sovente richiesto, perché, usandone, non è strettamente necessario conoscere il gruppo del ricettore. In una situazione di particolare favore vengono a trovarsi rispetto alla trasfusione i giovanissimi infanti. In essi gli anticorpi di gruppo sono mancanti o debolissimi, sicché il loro plasma è per lo più privo della capacità di aggredire qualunque sorta di globuli estranei. Essi si trovano cioè assai sovente nella condizione del ricettore universale e l'omissione delle ricerche sierologiche preliminari è per essi assai meno facilmente pericolosa. Sebbene le più importanti e sostanziali incompatibilità e le loro gravi conseguenze si debbano attribuire a errori nel riconoscimento delle proprietà gruppospecifiche A, B, O, in taluni casi, malgrado siano state rispettate le norme sierologiche della scelta del donatore (e siano esclusi errori tecnici), si sono avute manifestazioni d'incompatibilità più o meno spiccate.

Talora si sono usati donatori universali riconosciuti in seguito anormalmente ricchi di anticorpi anti-A oppure anti-B, i quali, contrariamente al solito, hanno aggredito i globuli rossi A (o B) del ricettore. Anche per questa ragione conviene studiare preventivamente i donatori ed eliminare quei pochi (circa 4%) che appaiono troppo ricchi in anticorpi. Altre manifestazioni d'incompatibilità si possono verificare nella trasfusione ripetuta, anche fra individui appartenenti allo stesso gruppo sanguigno e perciò senza riferimento al sistema A, B, O. Può avvenire che, mentre la prima o le prime trasfusioni sono decorse senza inconvenienti, in quelle ulteriori insorgano sintomi minacciosi.

Non tutte le eterogeneità fra uomo e uomo sono qualificate dai quattro gruppi sanguigni. In questi gli anticorpi aggressivi sono preformati. Ma oltre all'A e al B esistono nei globuli rossi umani antigeni di altri sistemi (denominati M, N, P, G, H; K. Landsteiner, F. Schiff) cui non corrispondono anticorpi naturali. Tali anticorpi si possono formare a poco a poco sotto lo stimolo immunitario di ripetute introduzioni di sangue, sotto questo punto di vista eterogeneo. Quando si siano sufficientemente accumulati, la trasfusione ulteriore darà luogo a sintomi d'incompatibilità acquisita. È quindi necessario in clinica ripetere i saggi sierologici a ogni nuova trasfusione e specialmente ricorrere alla cosiddetta "prova biologica preliminare" vale a dire, all'introduzione preventiva di 10 a 20 cmc. di sangue e all'osservazione delle eventuali reazioni immediate prima di passare alla trasfusione propriamente detta.

Le manifestazioni cliniche d'incompatibilità, dovute a ragioni di eterogeneità biochimica, sono di natura e gravità varie.

Alcune sono semplici reazioni scarse e transitorie, costituite da febbre con brivido. In altri casi abbiamo da fare con veri e proprî accidenti. Questi appartengono a due tipi principali. Nell'uno vi sono disturbi di aspetto anafilattico, ipotermia, abbassamento della pressione, leucopenia, orticaria, edemi; nell'altro, più grave, si manifesta un vero shock emolitico con emoglobinuria, talora massiva, e ittero tardivo. I sintomi immediati della grave incompatibilità trasfusionale sono caratteristici: formicolii, oppressione precordiale, dolore atroce lombo-sacrale, cianosi, dispnea, caduta del polso, perdita della coscienza e coma. La morte può essere rapidissima o ritardare qualche ora con i segni sopraccennati dell'emolisi. In questi casi gravissimi si tratta costantemente di errori nell'assegnazione dei gruppi sanguigni.

Le lesioni viscerali nei casi mortali sono scarse e consistono in piccole emorragie diffuse nel cervello e nel mesenterio, ecchimosi sotto l'endocardio, l'epicardio e la mucosa gastro-enterica; irregolarità nella distribuzione del sangue nei polmoni, talora infarti emoglobinici nei reni. Questo quadro fa pensare piuttosto a una azione tossica del sangue incompatibile anziché a lesioni materiali da parte dei globuli trasfusi agglutinati e disciolti.

Un'accurata tecnica d'esame permette ormai di premunirci sicuramente almeno contro gli accidenti più gravi dell'incompatibilità sierologica.

Tecnica della trasfusione del sangue. - La tecnica della trasfusione sanguigna si è venuta semplificando notevolmente, così che oggi può essere eseguita con tutta facilità in qualunque ospedale e anche al domicilio stesso del malato, usando il cosiddetto metodo indiretto. È ormai abbandonato, infatti, il metodo della trasfusione diretta da donatore a ricevente mediante sutura vasale arterio-venosa, o veno-venosa alla Carrel, o mediante raccordi a cannula come avevano eseguito G. W. Crile e T. Tuffier. La trasfusione indiretta, oggi comunemente usata, può essere eseguita con sangue puro, oppure con sangue citratato. Dei due metodi, il primo è quello preferibile, giacché in grazia alla possibilità di usare siringhe rivestite di vaselina o costruite con materiale ritardante la coagulazione, diviene superflua l'aggiunta al sangue di sostanze anticoagulanti. Si deve tuttavia rilevare che molti usano tuttora il sangue citratato, e che il metodo ha un titolo d'onore: quello di aver rivoluzionata la tecnica della trasfusione sanguigna, ciò che fu reso possibile dalle fondamentali ricerche di L. Sabbatani (1902) sull'azione stabilizzante anticoagulante del citrato di sodio. Numerosi apparecchi furono ideati per la trasfusione del sangue citratato, ma non è necessario uno strumentario speciale. Essenzialmente si tratta di raccogliere il sangue con un ago dalla vena, immetterlo in un recipiente generalmente a forma di ampolla nel quale è stata posta in precedenza una certa quantità (20-30 cmc.) di acqua distillata o di siero fisiologico con aggiunta di un grammo di citrato di sodio. Tale quantità è sufficiente per rendere incoagulabili 300-400 cmc. di sangue. S'intende che per trasfusione di una minore quantità di sangue si riduce proporzionalmente la quantità di soluzione citratata; ciò che importa è di avere una concentrazione del 3-4‰. Il sangue raccolto così in una siringa, o in un'ampolla o in un bicchiere e reso perfettamente stabilizzato e incoagulabile, può assere poi iniettato nelle vene del ricevente per mezzo di un apparecchio a caduta semplice o a pressione mediante palla di gomma. L'iniezione dev'essere fatta lentamente e possibilmente non deve essere superat0 il quantitativo di 300-400 cmc. di sangue; sono anzi preferibili le trasfusioni medie (200 cmc.) eventualmente da ripetersi. Secondo la tecnica di R. Lewisohn il sangue viene raccolto in un bicchiere contenente la soluzione di citrato e poi versato in un'ampolla contenente soluzione fisiologica, dalla quale viene poi iniettato.

G. Rosenthal fece costruire una siringa da 100 cmc. che permette la presa e la reiniezione del sangue, poiché la citratazione avviene nel corpo stesso della siringa. Alcuni apparecchi, come quelli di F. Rossi, di C. Semenza, hanno una doppia parete, che permette di mantenere la miscela alla temperatura del corpo. Ampolle di varia forma sono state proposte da A. Biancheri, B. Schiassi, G. Protti, G. Dossena, E. Bayon, ecc.

I metodi per la trasfusione di sangue puro si possono così distinguere: a) metodi ad aspirazione valvolare mediante apparecchi a due o a tre vie, fra i quali particolarmente usati quelli di F. Oehlecker, di A. Tzanck, la siringa di Jubé, gli apparecchi di A. L. Soresi, di Scannell, di E. Bayon. Sono pure da citare gli apparecchi per trasfusione continua di E. Ciocca e di A. Beck: b) metodi con siringa paraffinata, ai quali appartengono quello di A. Bécart che usa una siringa a stantuffo autovaselinante; quello di B. Quarella che usa una siringa del tipo a tre anelli per lavatura vescicale, smontabile, a becco eccentrico, nella quale si fa fluire direttamente il sangue, prelevato con ago cannula, la siringa essendo trasformata in ampolla grazie allo svitamento della calotta di chiusura distale; c) metodi ad ampolla paraffinata, fra cui quello di A. M. Dogliotti appare il migliore. Esso si basa sull'uso di un apparecchio a tubi paraffinati multipli, forniti di aghi appositamente studiati. L'apertura superiore ampia smerigliata si può chiudere a stretta tenuta mediante un tappo a sua volta smerigliato, al quale si adatta un pallone doppio di gomma per pressione; l'estremità inferiore, tirata e ripiegata a squadra, termina con un beccuccio smerigliato che si chiude con un piccolo tappo di vetro o di metallo e che si adatta facilmente a pieno canale all'estremità posteriore degli aghi da donatore. Vi sono aghi del calibro di mm. 2-2,5 che permettono di raccogliere 200 cmc. di sangue in due minuti circa, mentre gli aghi del ricevitore sono di un calibro un po' minore; d) metodi ad ampolle costruite con materiale ritardante la coagulazione. Lampert e Neubauer hanno chiamato "atrombit" una sostanza, prodotto di condensazione del fenolo e della formaldeide, con la quale sono state costruite ampolle di vario calibro per la raccolta del sangue che proviene dal donatore e che poi, sotto lieve pressione, fatta con doppia palla di gomma, viene iniettato nel ricevente. Questo materiale semplifica al massimo la tecnica della trasfusione: basta infatti che le ampolle, sterilizzate con la bollitura in acqua distillata, siano ben asciutte, perché siano atte a ricevere e conservare incoagulato il sangue anche per parecchi minuti.

Bibl.: M. De Cristoforis, La trasfusione del sangue, Milano 1875; E. Morselli, La trasfusione del sangue, Torino 1875, 2ª ed., 1881; A. Benedicenti, Malati, medici e farmacisti, Milano 1924; E. Weil e P. Isch-Wall, La trasfusion du sang. Étude biologique et clinique, Parigi 1925; A. Castiglioni, Storia della medicina, Milano 1927; A. M. Dogliotti, La trasfusione del sangue, Torino 1929; D. Giordano, La trasfusione del sangue, in Rass. clin. scient. ist. biochim. ital., novembre-dicembre 1921 e sett.-ott. 1932; A. Tzanck, Problèmes théor. et prat. de la transfusion sanguine, Parigi 1933; A. Simili, Origini e vicende della trasfus. d. sangue, Bologna 1933; L. Lattes, L'individualità del sangue, Milano 1934.

III. PATOLOGIA VETERINARIA

Anche in patologia veterinaria le malattie del sangue e degli organi emopoietici costituiscono un importante gruppo di affezioni morbose.

Anemia (v.).

Leucemie e pseudoleucemie. - Le leucemie dei Mammiferi domestici sono malattie non rare, a decorso generalmente cronico, caratterizzate da una prolificazione generale atipica del tessuto linfadenoide (leucemia linfatica) o del tessuto del midollo osseo con contemporanee formazioni mieloidi nei diversi organi (leucemia mielogena). In ordine di frequenza le leucemie colpiscono il cane, gli equini, i bovini, i suini e i gatti. La forma mielogena si rinviene specialmente nel cane, mentre negli altri animali si riscontra con maggiore frequenza la linfatica.

L'etiologia delle leucemie è ancora nell'oscurità. Tuttavia anche se gli esperimenti di trasmissione sperimentale non hanno ancora portato a risultati decisivi, molteplici considerazioni ne giustificano un'origine tossico-infettiva. Al solo esame clinico le leucemie vere non sono decisamentel identificabili, perché, se è vero che nella linfatica i fatti iperplastici costituiscono in prevalenza a carico del tessuto linfadenoide, per cui i ganglî e i follicoli linfatici appaiono simmetricamente ingrossati (e di conseguenza si riscontrano tumefatti anche gli organi interni che sono ricchi di tali follicoli, come la milza, il fegato), è anche vero che nella mielogena accanto alla proliferazione mieloide del midollo osseo, per l'istituirsi di formazioni mieloidi, in diversi organi e cioè nella milza nel fegato, nei ganglî linfatici, tali organi ne risultano parimenti aumentati in volume, di guisa che, senza il sussidio dell'esame istologico del sangue, una diagnosi precisa riuscirebbe spesso difficile se non impossibile. Il reperto istologico del sangue è contraddistinto da un'abnorme comparsa in circolo di linfociti grandi e piccoli nella leucemia linfatica e di leucociti polinucleati nella mielogena. Nell'una e nell'altra è anche pressoché costante la presenza nel sangue di forme giovanili e atipiche di quegli elementi bianchi che caratterizzano il quadro istologico del sangue della prima e della seconda varietà di leucemie. La prognosi delle leucemie è infausta. La cura è soltanto sintomatica.

A lato delle forme leucemiche vere, esiste un processo morboso con manifestazioni cliniche similari, per l'istituirsi di fatti iperplastici a carico del sistema linfadenoide e mielogeno, non accompagnati però da un aumento reale degli elementi bianchi del sangue (pseudoleucemia). Grazie alle osservazioni e agli studî più recenti, le concezioni sulla pseudoleucemia, che in passato veniva ritenuta entità morbosa ben caratterizzata, hanno subito un orientamento del tutto diverso, nel senso che le affezioni del sistema linfatico presentantisi con il quadro sommario di una pseudoleucemia, a un esame accurato e metodico, basato su rilievi istologici, si rendono ascrivibili o alle leucemie vere, o ai granulomi o alla linfosarcomatosi.

Linfosarcomatosi. - È una malattia non molto rara anche negli animali, caratterizzata dalla formazione di tumori a carico del tessuto linfadenoide dell'organismo. È un processo morboso che di paragonabile alle leucemie non ha che l'ingrossamento spesso simmetrico, diffuso in parte o in tutto il tessuto linfatico, mentre per i suoi caratteri isto-anatomopatologici si avvicina ai veri tumori maligni.

Granuloma infettivo. - Il granuloma infettivo è una malattia rara negli animali. La statistica cita solo qualche caso nel cavallo. Si presenta a decorso cronico, con ingrossamento dei ganglî linfatici e con la formazione di noduli nel midollo osseo, milza, fegato. È ormai accertata la sua natura infettiva, e il movente eziologico sembra attribuibile, negli animali, al bacillo di Koch.

Leucemia dei polli. - Questa malattia dei polli si distingue da quella omonima dei Mammiferi perché l'origine infettiva ne è definitivamente dimostrata.

Emoglobinemia. - L'emoglobinemia è una malattia acuta del cavallo, di natura tossica, caratterizzata, soprattutto, da degenerazioni muscolari, disturbi motorî paralitici ed emoglobinuria.

La natura tossica della malattia è ormai da tutti riconosciuta e fra le varie ipotesi emesse al riguardo, è abbastanza soddisfacente quella che ne attribuisce l'origine a sostanze acide derivanti dal ricambio materiale dei muscoli. La malattia si osserva a preferenza nei cavalli pesanti, linfatici, dai 5 agli 8 anni di età, dopo un periodo variabile di alcuni giorni di riposo, durante il quale, se abbondantemente alimentati, si forma nei loro muscoli un forte accumulo di glucosio. Un notevole valore predisponente viene pure attribuito allo strapazzo fisico, in quanto acuisce la formazione di acido lattico. Alla luce delle più recenti acquisizioni sulla chimica fisiologica muscolare, sembra facile spiegare l'origine e il meccanismo d'azione di quelle sostanze tossiche che sono elevate al valore di causa determinante. Queste sostanze in parte sono direttamente rappresentate dal prodotto di ossidazione ultima del glicogeno muscolare: l'acido lattico (il quale in ambiente ove l'ossigeno scarseggia e sotto l'azione della temperatura elevata - come l'una e l'altra cosa si avvera nel muscolo che lavora - non si trasforma come di norma o si trasforma solo in parte in carbonato alcalino e in lattacidogeno), e in parte derivano dall'azione dell'acido lattico stesso sui carbonati alcalini, a cui sottrae gli alcali con formazione di acido carbonico e sui bifosfati alcalini e sull'albuminato alcalino, che vengono trasformati in monofosfati acidi e in albumina acida. Ne consegue quindi che l'ambiente muscolare viene a essere spiccatamente impregnato di composti acidi. L'aumento del tasso di acidità può cosi spiegare la contrattura muscolare da acidità, che a primo tempo si manifesta, come rende comprensibile la successiva rigidità e degenerazione muscolare con scomparsa del potere contrattile (paralisi). Gli acidi e i sali organici formatisi nei muscoli passando nel sangue determinano emoglobinemia e spesso emoglobinuria. (Secondo una diversa concezione l'emoglobinemia potrebbe essere in rapporto all'uscita dell'emoglobina dai muscoli colpiti). L'accumulo delle sostanze acide accennate, determina un'azione eccitante sul cuore, sui centri respiratorî, termogenetici e sudoriferi. E da tutto questo si rende chiaro il complesso delle manifestazioni generali. Il sintomo clinico più caratteristico è rappresentato che oltre dall'emoglobinuria, da disturbi motorî, in quanto, come generalmente avviene, i muscoli colpiti sono quelli preposti alla deambulazione (del treno posteriore specialmente). Questi disturbi si manifestano con tremori muscolari dapprima, poi con rigidità e paralisi dei muscoli stessi. La prognosi è infausta in percentuale piuttosto alta, anche per le possibili complicanze (cancrena cutanea da decubito, infezione generale, polmonite, ecc.). La cura dev'essere rivolta a infrenare la formazione di sostanze acide e a liberare l'organismo dalle stesse. Questo trattamento dovrà essere completato dalla terapia sintomatica.

Emofilia. - Con questa denominazione si designa un particolare stato morboso ordinariamente congenito, per il quale in seguito a cause traumatiche anche minime o consecutivamente a congestioni viscerali, si verifica una manifesta tendenza alle emorragie, con ritardo evidente della coagulabilità del sangue. Questa forma morbosa si riscontra specialmente negli equini. La causa intima sfugge alle indagini della scienza, quantunque il concetto di molti autori propenda per una modificazione della composizione chimica del sangue.

Parassiti del sangue. - I parassiti che si sono adattati a vivere nel sangue degli animali sono riumerosi; possono essere microparassiti (Protozoi e Schizomiceti) e macroparassiti (Filarie, Schistosami o Bilharzie). Per questi parassiti, e per le malattie di cui sono causa, v. le singole voci.