Sanremo 2012: la fine di un ciclo

Il Libro dell Anno 2012

Aldo Grasso

Sanremo 2012: la fine di un ciclo

Si pensava che trasmissioni come Amici o X Factor lo avrebbero scalzato definitivamente, invece il Festival ha saputo inghiottire il genere, e resta la fiction meglio riuscita della RAI. Un rito che celebra la resistenza al nuovo

Ogni anno il Festival di Sanremo ci mette di fronte a un tragico dilemma: ma davvero questo baraccone è la misura dello stato di salute della nazione? E se così fosse, non dovremmo preoccuparci seriamente? C’è stato un tempo in cui effettivamente il Festival è stato specchio del costume nazionale, con le sue novità, le sue piccole trasgressioni, persino le sue tragedie. Ma tutto ha un tempo e questo (troppo iellato) non è più il tempo di Sanremo o di Adriano Celentano, se vogliamo rinascere.

Monti o Celentano? Se davvero il nostro premier vuole compiere il titanico sforzo di cambiare gli italiani («L’Italia è sfatta», con quel che segue), forse, simbolicamente, dovrebbe partire proprio dal Festival, da uno dei più brutti della storia.

Via le Olimpiadi del 2020 ma via, con altrettanta saggezza, anche Sanremo, usiamo meglio i soldi del canone. O Monti o Celentano. O le prediche del Preside o quelle del Re degli Ignoranti contro Avvenire e Famiglia cristiana.

Non preoccupa Adriano, preoccupano piuttosto quelli che sono disposti a prenderlo sul serio.

A bene vedere il Festival è solo una festa del vuoto, del niente, della caduta del tempo e non si capisce, se non all’interno di uno spirito autodistruttivo, come possano essersi accreditati 1157 giornalisti (compresi gli inviati delle tv bulgara, croata, slovena e spagnola, insomma paesi con rating peggiore del nostro), come, d’improvviso, ogni rete generalista abbassi la saracinesca (assurdo: durante il Festival il periodo di garanzia vale solo per la Rai), come ogni spettatore venga convertito in un postulante di qualcosa che non esiste più.

Ogni volta dato per morto, puro evento mediatico tenuto in piedi da cinque serate della rete ammiraglia e da una schiera di mille e passa giornalisti calati alla conquista della più irrelata kermesse canora oggi esistente in Europa, il Festival è forse la fiction meglio riuscita della storia della Rai: «Ogni Sanremo alla sua stagione». Fiction sì, cioè invenzione, racconto, ‘narrazione’ come direbbe Nichi Vendola.

Sanremo poi è la sconfitta delle élite culturali, delle minoranze autocompiaciute, di quelli che soffrono di mal di metafora, almeno da quando Ennio Flaiano, posando il suo sguardo sul Festival, ebbe a dire: «Non ho mai visto niente di più anchilosato, rabberciato, futile, vanitoso, lercio e interessato».

La famosa Italia nazional-popolare che si rispecchierebbe nel Festival è dunque una grande fiction che racconta più o meno lo stato di salute del paese, non per caso affidata a un autore come Federico Moccia. Qualche anno fa si pensava che i talent, come Amici o X Factor, avrebbero scalzato definitivamente il Festival.

E invece la manifestazione sanremese ha saputo inghiottire il genere nel suo corpaccione e, oggi, in crisi, se mai, sono proprio i talent. Si pensava anche che la generazione iPod, cresciuta nella rivoluzione digitale, sapesse tutto sui Grammy Awards e niente su Sanremo. E invece siti, blog, social network sanzionano ancora la centralità della tv più tradizionale.

Sanremo è il Festival dello sguardo all’indietro (anni Settanta?), dove il cantante Morandi, ‘il figlio del ciabattino di Monghidoro’, si trasforma in presentatore; è il Festival delle vecchie zie, dove tutti ci troviamo un po’ più stupidi proprio nel momento in cui crediamo di avere uno sguardo più furbo e intelligente di Sanremo; è il Festival della consolazione, dove Celentano concelebra la resistenza al nuovo. Sanremo è, letteralmente, un luogo della memoria, una localizzazione materiale e insieme una geografia dell’immaginario, un deposito di avvenimenti musicali, di situazioni, di personaggi che si autoalimentano in continuazione perché diventano essi stessi ‘alimento’ per altri media. È una memoria che ogni anno celebra il suo perpetuarsi. È un grande generatore di discorsi, la fiction che ci manca per governare questo paese con il televoto. Ma per restituire un futuro all’Italia possiamo ancora dare spazio a un campionario di polemiche, incidenti, freak show, casi umani, amenità, pessime canzoni e varia umanità con l’alibi che sono cose che fanno discutere e parlare?

Donne, farfalle e polemiche

Tre giovani artiste ai primi tre posti: basterà questo a far passare l’edizione 2012 come ‘la vittoria delle donne’? Probabilmente no, e non solo perché le canzoni eseguite da Emma (Non è l’inferno), Arisa (La notte) e Noemi (Sono solo parole) sono state composte rigorosamente da autori di sesso maschile (rispettivamente, F. Silvestre, E. Palmosi, L. Sala; G. Anastasi; F. Moro).

Parte delle polemiche che hanno accompagnato le cronache della gara canora ha riguardato infatti il ruolo riservato alle ‘vallette’ nella conduzione dello spettacolo. La presenza statuaria, pressoché muta, della modella ceca Ivana Mrázová, ma soprattutto l’esibizione di Belén Rodríguez, la soubrette argentina che, complice uno spacco vertiginoso, ha messo in mostra il suo tatuaggio inguinale, hanno riacceso le critiche sulla rappresentazione televisiva della donna. Sulla questione è intervenuta anche Elsa Fornero, ministro del Lavoro e delle Pari opportunità, la quale, precisando di parlare come donna e non come ministro, ha dichiarato di essersi sentita offesa dallo spettacolo andato in scena all’Ariston, attirandosi accuse di moralismo e perbenismo.

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